mercoledì 23 dicembre 2020

ALTPROGCORE BEST OF 2020


Beh, come direbbero gli americani, "what a ride!". Quante cose ci sarebbero da analizzare in questo 2020, e parlo semplicemente dal punto di vista musicale: concerti azzerati, band in crisi, uscite discografiche penalizzate, ecc. Ma sicuramente da questo punto di vista ci saranno degli analisti e statistici più competenti di me. Lasciando perdere tutto ciò che ha portato (via) questo anno, meglio soffermarsi come sempre esclusivamente sulla qualità e quantità di uscite del 2020.

In questi termini, non mi pare che i dodici mesi appena trascorsi abbiano regalato un gran numero di uscite e se comunque lo hanno fatto, non lo sono state ad un livello di interesse tale rispetto agli anni precedenti. Eppure il 2020 qualche perla dietro di sé l'ha lasciata. Tirando le somme quindi, non c'è stato molto da segnalare anche in termini di blog e quelle poche cose degne di una menzione ho cercato di farle presenti. Quest'anno però credo che la lista che segue sia più interessante del solito per chi segue altprogcore, dato che sono contenuti anche album dei quali al momento dell'uscita non ho parlato, ma ora fanno qui la loro comparsa e, se qualcuno se li fosse persi, può adesso avere il tempo di recuperare.

Anche questa volta non mancano defezioni eccellenti che magari faranno storcere il naso a qualcuno...non leggerete, ad esempio, i nomi degli osannati nuovi lavori di Motorpsycho, Pain of Salvation, Protest the Hero, Wobbler, Pure Reason Revolution, per il semplice motivo che a questi ho preferito dare priorità ad altre cose, per il semplice motivo di non aver trovato particolarmente avvincente e interessante quello che avevano da proporre i loro album. Tutto considerato, pensandoci, meglio per voi, visto che potrebbero apparire improvvise e piacevoli sorprese delle quali non avete sentito parlare. Penso che andando a scavare si riesca a portare in superficie meteriale molto più degno di nota. 
 
A tale proposito vorrei fare un piccolo appunto sulla prima posizione di quest'anno, a cui tengo in modo particolare. In pratica dispiace constatare che l'oggettiva caratura dell'album che troverete al primo posto di questa lista è stata praticamente ignorata da qualsiasi sito o blog che si occupa di progressive rock o roba simile. Al di là dei gusti soggettivi, va riconosciuto comunque un valore artistico, che almeno avrebbe meritato, non dico il primo posto, ma almeno la citazione. Invece nulla, si punta sempre su nomi sicuri e collaudati. La cosa è ancor più demoralizzante se andiamo a controllare le scelte singole dei vari redattori che popolano questi siti di divulgazione musicale. Quasi divertente notare come nelle loro classifiche individuali compaiano gli stessi nomi, naturalmente disposti in posizioni differenti. In più si può cogliere il comune denominatore che le pervade, riconducibile al prog rock/prog metal di derivazione InsideOut, giusto per intenderci e detto con tutto il rispetto per l'etichetta, che praticamente da anni è l'epitome di progetti e gruppi fatti con lo stampino. Bravi quanto si vuole riguardo a tecnica e produzione, ma che di coinvolgente ed emozionante hanno poco o nulla da offrire.

Ma mi fermo qui, poiché andrei a ripetere cose già dette in passati editoriali di fine anno. Come sempre la classifica, o meglio la lista, di fine anno di altprogcore si prefigge di suggerire spunti d'ascolto senza perseguire l'impossibile pretesa di mettere tutti d'accordo, ma cercando comunque di mantenere alto il livello di qualità nel proporre artisti meno noti. Da qui, se ancora vi andrà di seguirmi, ci possiamo dare appuntamento al 2021.
 
 
 
 
 
  
 #50.Vast Robot Armies
Paper Crown Parade
Paper Crown Parade è il quarto album in studio dei Vast Robot Armies e forse anche quello che finora li rappresenta nella forma migliore. Il legame con lo space rock è più evidente che mai e la presenza alla batteria come ospite di Kelli Scott dei Failure è quasi una dichiarazione di intenti in quella direzione. Il lavoro non è da intendere comunque in stretta linea con il genere, ma piuttosto come un contenitore di psichedelia pop compresa tra il presente ed il passato.
 
 
 


 
 #49.Acceptance
Wild, Free  
Dopo essere tornati insieme nel 2015 dopo quasi dieci anni di pausa, gli Acceptance non si sono più fermati. Il terzo album della loro carriera Wild, Free è un buon concentrato di pop alternativo con venature emo, non ai livelli inarrivabili del classico Phantoms (2005), ma sicuramente meglio orchestrato del comeback album del 2017 Colliding by Design
 
 
 
 
 

lunedì 21 dicembre 2020

Corelia - New Wilderness (2020)

 
La storia di quello che è e sarà il primo e ultimo album dei Corelia rimarrà tra le più amare e disgraziate dell'epoca del crowdfunding. Quella che nelle intenzioni doveva essere una mastodontica ed epica opera prima di oltre novanta minuti, a causa di eventi fuori controllo si è trasformata in una gigantesca occasione mancata oltre che una dura perdita di credibilità della band nei confronti del proprio pubblico. Ma veniamo ai fatti.

Dopo essersi creati una solida fanbase e reputazione con l'EP Nostalgia nel 2011, il quintetto californiano annunciò una campagna Indiegogo per realizzare un ambizioso doppio album di debutto. Nel 2015 l'ammontare del contributo dei fan arrivò alla considerevole cifra di oltre 30.000 dollari, una somma ben al di sopra di quanto richiesto dai Corelia. Tutto secondo i piani quindi, si penserà. Non proprio. Il gruppo per circa un anno mantenne le comunicazioni con i finanziatori per poi sparire nel nulla e non dare più notizie sulla progressione dei lavori, facendo naturalmente imbufalire coloro che avevano anticipato il denaro per un'opera che sembrava a questo punto non esistere. Ma quella che appariva una truffa a tutti gli effetti ha avuto quest'anno un seguito inaspettato. I Corelia sono infatti riapparsi ad aprile con un comunicato che in pratica spiegava che la produzione dell'album aveva dovuto stopparsi improvvisamente a causa della salute mentale di un membro del gruppo il quale, a quanto pare, era l'unico in possesso delle tracce individuali degli strumenti e negli stadi finali dei lavori ha cessato ogni rapporto comunicativo con loro, rendendo di fatto impossibile il completamento dell'album. 
 
A far uscire allo scoperto la band è stata una trollata partita da una pagina Facebook fittizia chiamata "Corelias", attraverso la quale un sedicente ex membro del gruppo, poi rivelatosi un produttore de Los Angeles, dichiarava che avrebbe reso pubblico l'album. Vera o falsa che fosse tale affermazione i Corelia ci sono cascati e tornati quindi operativi dopo quattro anni di silenzio con un post su Facebook nel quale spiegavano finalmente cosa era successo. Una volta scoperto l'inganno, comunque, si sono decisi ugualmente a rendere disponibile una versione demo (poi rimasterizzata da un fan) di New Wilderness, promettendo anche di fare il possibile per rimborsare i fan delle somme versate, o almeno ciò che ne resta. 
 
Quello che possiamo ascoltare è un prodotto comunque vicino al suo stadio finale e i brani che emergono sono abbastanza definiti da far rimpiangere veramente che New Wilderness non riuscirà a vedere la luce nella sua forma compiuta. Anche in tale versione il disco si mostra di grande spessore, oltre che un'opera gigantesca e ambiziosa che racchiude tante sfaccettature che girano attorno al prog metal, dal djent al math, dal technical al thrash, dal power alla fusion. Per questo, nonostante la sua lunga durata, New Wilderness rimane godibile e soddisfacente, mentre in ogni brano si trovano idee differenti e un'alta qualità tecnica e compositiva, a partire dalla voce limpida e stentorea di Ryan Devlin. Veramente un peccato per i Corelia chiudere la loro storia in un modo così amaro: tra spreco di talento, fan delusi e un album non completato che li avrebbe potenzialmente proiettati tra i nomi di punta del prog metal.
 

domenica 20 dicembre 2020

Altprogcore December discoveries, part 2

Prima di chiudere l'anno ecco un altro veloce sguardo alle uscite del 2020:

I Johari sono un trio prog metal americano formato da Connor Hill (voce, tastiere), Gabriel Castro (chitarra) e Corey Sturgill (batteria) e si apprestano a pubblicare il terzo album Yūrei nei primi mesi del 2021. Nel frattempo la band ha reso disponibili due singoli in anteprima che, a quanto pare, si distaccano leggermente dal materiale contenuto nei due precedenti. Per essere più precisi ci troviamo dalle parti dell'ultimo Daniel Tompkins e del djent più atmosferico e melodico, mentre in passato non veniva disdegnata qualche parentesi metalcore.

 

Di nuovo un trio, sempre dagli USA, i So Soon, The Truth vanno a rinfoltire le fila dello swancore con una miscela di experimental/prog hardcore che farà felici gli appassionati degli Hail the Sun, Stolas e Sianvar.

 

Sembra un caso, ma ecco un altro trio, questa volta dall'Australia. I Lucid Planet, fin dai primi ascolti, richiamano i tratti distintivi dei Tool, ma riletti se vogliamo in chiave più prog e con sonorità molto tendenti al mistico/mediorientale.

 

I Quantum invece sono un quartetto di Stoccolma che arriva al suo esordio con l'EP The Next Breath of Air... e mischiano prog metal moderno con qualche influsso dal passato proveniente in particolare dai Rush.

venerdì 18 dicembre 2020

Bitch Falcon - Staring at Clocks (2020)


Per arrivare al primo album i Bitch Falcon hanno dovuto attraversare una gavetta di sei anni, condita da svariati singoli e fatta di concerti coinvolgenti. Come sempre in questi casi, però, l'anticamera paga e ha permesso al trio di Dublino, guidato dalla imponente presenza vocale di Lizzie Fitzpatrick, di forgiare un sound che, dagli acerbi inizi post punk/post grunge, si è in seguito evoluto, aggiungendo alla miscela dello spessore shoegaze fino a crearsi un'identità propria. 

L'esordio Staring at Clocks è una bomba di elettricità lisergica dove finalmente le tanto in voga sonorità del passato non vengono sfruttate per trasmettere nostalgia, ma piuttosto per inspessire l'impasto strumentale. Contando su una sezione ritmica ben rodata, affiatata e tiratissima composta dal basso di Barry O’Sullivan e dalla batteria di Nigel Kenny, la Fitzparick si serve della chitarra come se fosse un mezzo per suturare gli spazi lasciati vacanti, tra feedback viscerali, riverberi abissali e note reiterate, tralasciando power chords e accordi ritmici.

Il primo pezzo, I'm Ready Now, è un post grunge che incontra la new wave con la Fitzparick intenta ad aggiungere un tocco di gotico con il suo cantato, come fosse una novella Siouxsie Sioux. Ecco, come si accennava, è la sua voce a dare un grande impatto melodico ai brani, dato che è lei ad emergere nel labirinto di pulsazioni di Gaslight o nello spaziale trip di Sold Youth. Basso, batteria e chitarra vivono in una dimensione strumentale tribale, noise e scollegata da quella che può essere la melodia portante. E' la Fitzpatrick che porta in superficie un barlume di filo conduttore melodico.

Turned to Gold si avvicina addirittura alle coordinate di Elizabeth Frazer e dei Cocteau Twins, anche grazie ad un caleidoscopico tappeto di riverberi ultraterreni da dreamgaze. How Did I Know? sarebbe quasi ballabile se non fosse che l'attenzione viene calamitata altrove, tra la ritmica serrata e gli infiniti effetti chitarristici che si susseguono nel brano. Questa sensazione di porre l'accento sulla costruzione dinamica del sound continua nella title-track, la quale è come un attestato che prova il lavoro certosino di arrangiamento e produzione messo in atto dal gruppo con il supporto della mano sicura del produttore Alex Newport (At The Drive-in, The Mars Volta, Death Cab For Cutie, The Melvins).

Sono ancora il basso graffiante di O'Sullivan, la batteria metronomica di Kenny e la chitarra heavy-gaze della Fitzparick a fare di Damp Breath, Test Trip e Martyr un trittico che avvolge l'intera gamma sonora che negli anni '80 creava una fittizia linea comune tra gothic rock, pop metal e new wave. Il tutto è ben riassunto nella chiusura di Harvester, avvolto da un'atmosfera straniante e surreale in quello che rimane uno degli esordi più convincenti dell'anno.

giovedì 17 dicembre 2020

ALTPROGCORE 2020 BEST EPs

 
Quando si arriva alla lista dei migliori EP su altprogcore vuol dire che siamo molto vicini anche alla pubblicazione del "best of" degli album veri e propri. Quest'anno non è stato semplice compilarle entrambe, in quanto non ho rilevato una ricchezza di offerta sia da una parte che dall'altra, anche se la pandemia ha messo in moto la volontà da parte degli artisti di offrire al proprio pubblico pubblicazioni che magari non rientravano nei piani degli autori e che sono uscite fuori grazie al (o a causa del) confinamento forzato del lockdown. Nonostante tutto, la qualità dell'offerta riguardante gli EP è stata come sempre alta, e per alcuni lavori ci si duole sinceramente che il minutaggio non basti a soddisfare la voglia di sentirne ancora. Comunque un antipasto di ascolti più che sufficiente nell'attesa del piatto forte.


 
 #28.Made of Water 
 Hydrosphere





   
 #27.Fight Cloud 
 Thoughts Aligned
 
 
 
 
  
#26.Reader 
Behind The Empty House
 
 
 
 
 
  
#25.Tajanae
Half Moon
 
 
 
 
 
 
#24.Backyard Pyrotechnics 
The Theory of the Movement of Things
 
 
 
 
  
 #23.All Systems Know 
I/O 
 
 
 
 
 
#22.Jardín de la Croix 
 Letargo 

 
 
 
 
   
#21.Nova Charisma
III
 
 
 
 
   
#20.The Kraken Quartet and Adobo
Backdrop



 
 
 
#19.Honorary Astronaut
EP. 001
 
 
 
 
 
 
#18.Fer Sher
Step Siblings
 
 
 
 
 
 
   
 #17.Thrailkill 
 Detach
 
 
 
 
  
#16.IZZ
Half Life
 
 
 
 
 
 
 #15.New Ghost
Future is Dead
 
 
 
 
 
   
#14.Pineapple Express
Passeges
 
 
 
 
 
 
#13.Aviations
Retrospect
 
 



 
 
#12.Mascara
Cameo Blue Estate 
 



#11.Oh Malô 
Young Orchard, vol.2




 
 
#10.Gnarbot
Meinl Sessions Vol.1
 
 
 
 
 
 
#9.Miles Parlysis
b0nx EP
 
 
 
 
 
 
#8.Shubh Saran
Becoming
 
 
 
 

#7.Hidden Hospitals
Headstones
 
 
 
 
#6.Frost*
Others
 
 
 
 
 
 
 
#5.Snooze
Still 
 
 
 
 
  
#4.Real Terms 
Housework
 
 
 
 
 
 
#3.Time King 
Adventureland 
 
 
 
 
 
 
#2.Arch Echo 
Story I

 

 

 
 #1.Bird Problems
Beyond the Nest 
 

mercoledì 16 dicembre 2020

Lakes - The Constance LP (2019)


Se suoni un certo tipo di musica che non va per la maggiore nel tuo paese d'origine è molto probabile che avrai buone possibilità di essere ascoltato altrove, ovvero dove è nato quel particolare genere. E' quello che è successo ai Lakes, band inglese nata dall'amore dei due fondatori Matthew Shaw (batteria) e Roberto Cappellina (voce, chitarra) per l'americanissimo midwest emo. Prendendo le mosse nel 2017 da alcuni demo registrati da Shaw, il gruppo Lakes si è ben presto espanso ad un ensemble di sei elementi con l'aggiunta di Rob Vacher (chitarra), Gareth Arthur (chitarra), Charlie Smith (basso) e Sam Neale (voce, glockenspiel, synth), di recente sostituita da Blue Jenkins che compare nel nuovo singolo di quest'anno Kids, contenuto sul 7" This World Of Ours, It Came Apart, pubblicato a luglio.

I Lakes, dopo due EP autoprodotti, con l'album The Constance LP come era prevedibile hanno attirato l'attenzione oltreoceano fino ad arrivare al cuore dell'IIlinois, lo stato per eccellenza del midwest emo, collezionando consensi eccellenti da personaggi come il produttore Neil Strauch (Owen, Owls, Joan of Arc, Iron & Wine) e l'ex frontamn dei Real Friends Dan Lambton, il quale ha fatto una comparsata su Kids.  

The Constance LP è un disco che penetra con personalità nel midwest emo, con rara sensibilità pop, senza il rischio di far passare i Lakes come l'ennesima copia sbiadita accanto ad altre band che si sono gettate nel filone dell'emo revival. Capace di fondere le melodie malinconiche degli American Football alle trame più ritmate dei Braid, sfiorando con delicatezza il math rock e il dream pop grazie alle delicate polifonie vocali create da Cappellina e dalla Neale, il gruppo pare una piccola orchestra per quanto sa accumulare un volume di suono da chamber rock, come fosse una versione emo dei compianti Anathallo. E' proprio il caso di dire che il miglior disco emo del 2019 dopo LP3 degli American Football non arriva dagli USA, ma dall'Inghilterra.

 

Bouns track: la cover di Must've Run All Day dei Glassjaw appena pubblicata 

martedì 15 dicembre 2020

Reader - Behind The Empty House (2020)


Il veterano del math rock Mike Sparks in passato ha fatto parte di alcune band di culto nell'area di Seattle tra cui By Sunlight, Mister Metaphor e Bridges, sperimentando una musica che non si lasciasse incasellare facilmente per il suo vagare in schemi trasversali, pur partendo da requisiti alternativi. La sua ultima avventura è chiamata Reader, una band costituita con Jack Clemens al basso, Aaron Kasson alla chitarra e Andrew King alla batteria. L'anno scorso i Reader hanno esordito con Engrams, un album dal potente impatto heavy math rock, fondato su trame chitarristiche rauche dallo svolgimento imprevedibile, ritmiche cervellotiche e melodie persistenti, rafforzate dal cantato polifonico, che si scontrano con un sottotesto strumentale tempestoso e costantemente in movimento.

Behind The Empty House è invece un EP di due tracce uscito quest'anno, di cui la title-track è il pezzo forte, tanto roboante ed entropica nella parte strumentale quanto dolce in quella cantata, che è un po' la peculiarità dei Reader mostrata anche su Engrams. Two Pines si infila in una estesa introduzione strumentale che presenta una ragnatela di intrecci chitarristici tra i King Crimson e i Faraquet. Le dinamiche cambiano e si fanno più psichedeliche superata la metà del brano, quando intervengono le voci. Due sole tracce, ma sufficienti per condensare un intero universo sonoro compreso tra il post rock e il math rock.

 

lunedì 14 dicembre 2020

Thrailkill - Detach (2020)


Forse questo EP per Wes Thrailkill non era nei programmi, dato che è stato scritto e registrato durante il lockdown. Detach nasce infatti come reazione ad un periodo in cui il chitarrista si è trovato senza ispirazione. Il seguito a Everything That is You arriva quindi a distanza esatta di due anni sotto forma di sei tracce, che comunque sono unite musicalmente come fosse un'unica suite di circa venti minuti. 

Tra le sue trame Detach fa trasparire in parte la frustrazione di Thrailkill in quanto molto più aspro negli arrangiamenti e aggressivo nel mostrare virtuosismi o anche semplicemente nel modo di suonare. Quello di Thrailkill è un assalto allo strumento che raggiunge il culmine nella title-track, nella quale vengono liberate tutte le capacità funamboliche del musicista. Capace di momenti di puro chaos, ma anche distensioni psichedeliche, l'EP si cementa nell'abilità di Thrailkill nel creare suggestioni sonore tra la fusion e il djent ad un livello molto più vivido rispetto alle ormai centinaia di chitarristi che popolano questo genere.

domenica 13 dicembre 2020

Vulkan - Technatura (2020)


Anche se non c'è bisogno di ribadirlo la Svezia si conferma fertile terra di talenti per quanto riguarda il progressive rock. Dopo aver dato atto della loro competenza in tale ambito con due album, i Vulkan con Technatura superano qualsiasi aspettativa e si vanno a collocare senza problemi accanto a nomi ben più osannati di loro come Haken, Mastodon, Opeth e Pain of Salvation (ai quali tra l'altro fecero da spalla nel tour del 2018), band a cui potrebbero essere accostati. Si sarà capito che l'ambito specifico dei Vulkan è il prog metal, ma privo di quei richiami al passato e maggiormente piantato nel presente. L'unica traccia dello scontro tra i due piani temporali è dato dall'utilizzo delle tastiere vintage di Olle Edberg, il quale sceglie di tessere con basso profilo (ma essenziale nell'economia sonora) una rete di Hammond piuttosto che di synth, e la chitarra metal di Christian Fredriksson. La particolare miscela di aggressività metal e cerebralità prog fa venire in mente un'altra band norvegese, oscura ed illuminata, di nome Anti-Depressive Delivery.

Dai tempi di Observants (2016) i Vulkan dimostrano di avere fatto un grande passo di maturità verso ogni direzione: 1) arrangiamenti, che risultano più stratificati e ricchi; 2) produzione, con una grande cura per dare risalto ai vari strumenti utilizzati ed alle finezze che rifinuscono il sound; 3) abilità specifiche dei membri, a cui un particolare plauso va a Jimmy Lindblad per aver saputo lavorare sulla propria voce che in questo album brilla più del solito, decidendo oltretutto di cantare sia in lingua inglese che svedese, riuscendo a mantenere una fluidità metrica associata alla musica veramente encomiabile.

Su Technatura il risalto dato alla sezione ritmica, basso e batteria a cura di Oscar Pettersson e Johan Norbäck rispettivamente, attraverso vari tribalismi o richiami arcaici, può far venire in mente certe soluzioni alla Tool o Karnivool. Le atmosfere oscure e minacciose che troviamo in apertura con This Visual Hex ci introducono in un viaggio tortuoso e complesso, ma anche capace di racchiudere efficaci distensioni melodiche, come le contrapposizioni tensive di Redemption Simulations e Bewildering Conception of Truth, che navigano tra il selvaggio aggressivo ed il prog alternativo. Spökskepp ridefinisce in modo perfetto quest'ultimo aspetto, mentre negli oltre dieci minuti di The Royal Fallacy il gruppo mette in tavola le proprie doti di edificatore di trame strumentali multipartite, tornando alle intricate massicce radici progressive dell'esordio Mask of Air (2011). Non che con gli altri due album, che vi consiglio di riscoprire, i Vulkan non avessero dato prova di sollevarsi sopra la media di molti gruppi prog contemporanei più pubblicizzati, ma Technatura li consacra tra gli interpreti contemporanei più illuminati per portare avanti la fiamma del prog meno scontato.

sabato 12 dicembre 2020

Daniel Tompkins - Ruins (2020)


Nel panorama prog metal il nome di Daniel Tompkins non ha certo bisogno di presentazioni, dato che il suo curriculum è quantomeno impressionante visti i progetti di spessore a cui ha preso parte durante la sua carriera. Tutto ciò grazie ad una voce versatile ed espressiva, molto apprezzata dagli addetti ai lavori e non. Dallo scorso anno Tompkins, dopo molto tempo sulla breccia, ha tentato per la prima volta la carta da solista con l'album Castles, indirizzandosi giustamente su una direzione diversa rispetto a quello a cui ci ha abituati con band come TesseracT, Skyharbor, Piano, First Signs of Frost o persino con la synthwave degli Zeta.

Ma Castles si cullava in un electro art pop intellettuale un po' scialbo a dire il vero e come album d'esordio non contribuiva a valorizzare Tompkins sia come autore che come interprete. Sarà forse per questo che il cantante è tornato sui propri passi e ha reinventato, ri-immaginato e stravolto le canzoni di Castles, rivisitandole su questo nuovo album Ruins, sempre comunque avendo al suo fianco il produttore e co-autore di Castles Eddie Head (Haji’s Kitchen). Già leggendo i nomi degli ospiti coinvolti - Paul Ortiz (Chimp Spanner), Plini e Matt Heafy (Trivium) - si capisce però che la volontà di Tompkins era ricongiungersi in parte con quel genere che gli ha dato popolarità e Ruins appare, più che una rilettura, un album nuovo di zecca. 

Questa volta le atmosfere si fanno più metalliche ed oscure, l'elettronica non è scomparsa del tutto sposandosi bene con le chitarre djent, mentre la voce di Tompkins è libera di vibrare tra gli acuti più luminosi e gli scream più cupi e aggressivi. Quindi, anche se le tematiche e le liriche rimangono quelle di Castles, Ruins ha tutt'altro sapore tanto che persino i titoli dei brani sono stati cambiati. A ripensare la musica ci ha pensato in gran parte Ortiz, perciò Tompkins sapeva dove andare a parare per immettere nuovo smalto a composizioni originariamente animate da poco carattere. 

Quanto stagnante e privo di vera emotività appariva Castles, tanto musicalmente più interessante e profondo, oltre che intriso di melodrammatica dinamicità, si mostra Ruins fin dalla prima traccia Wounded Wings. Ma se il principio da cui partiamo è quello già esposto, per il quale Ruins si distacca da Castles talmente tanto da diventare una prova a sé, forse è meglio giudicarli come due album distinti, senza confrontarli. E allora possiamo affermare che Ruins è una seconda opera riuscita, che questa volta rende giustizia al Tompkins solista.

venerdì 11 dicembre 2020

Jakub Zytecki - Live 2020


L'ormai ex chitarrista dei Disperse Jakub Zytecki ha appena realizzato, come molti suoi colleghi hanno fatto e stanno facendo quest'anno, un live a porte chiuse. Per ovviare alle ormai note restrizioni pandemiche Zytecki, accompagnato dagli altri due musicisti Józef Rusinowski (batteria) e Michał Sarapata (basso), hanno suonato il set che avrebbero dovuto portare in tour dal vivo, composto dal materiale tratto dal suo ultimo album Nothing Lasts, Nothing's Lost e dagli EP Ladder Head e Feather Bed. In più, per la prima volta, Zytecki si è cimentato alla voce, anche nell'ancora inedito Moon Ghost, la cui versione definitiva verrà pubblicata in futuro. 

Il documento video in particolare offre uno sguardo sulla versatilità e la sensibilità strumentale di Zytecki, forse il più dotato tra le nutrite fila dei "chitarristi da cameretta" (non c'è Plini che tenga), ma anche il meno celebrato. Nel suo percorso da solista Zytecki ha approfondito ancora di più quanto stilisticamente accennato con i Disperse, ovvero la fascinazione per un sound personale che travalica il djent, anzi lo abbandona proprio, in favore di una fusion meditativa la quale, attraverso le proprie sfumature delicate, abbraccia generi insospettabili come world music, new age e ambient. La resa live riesce sicuramente a valorizzare ancora di più l'intensità che questi brani vogliono trasmettere.

martedì 8 dicembre 2020

Hidden Hospitals - Headstones (2020)


Gli Hidden Hospitals hanno presentato quasi a sorpresa il nuovo EP Headstones. Compreso di quattro tracce, è stato preceduto dai due singoli, How Amazing e Here Lies, senza annunci particolari, seguiti quindi dalla pubblicazione accompagnata solo da qualche nota di produzione. L'EP arriva a due anni di distanza dall'album LIARS e continua quella scia che vedeva il gruppo quasi reinventarsi grazie ad una presenza più corposa dell'elettronica.

domenica 6 dicembre 2020

Introducing: JIA


La collaborazione del trio JIA inizia nel 2018, quando i tre musicisti Jacob Umansky (già bassista negli Intervals), Ivan Chopik (chitarra) e Alan Hankers (tastiere), dopo qualche anno di tour e idee musicali condivise, pur vivendo separati dalle due coste degli Stati Uniti tra New York e Los Angeles, decidono di formare un gruppo ed usare le proprie iniziali per il nome. I primi frutti della collaborazione sono stati svelati quest'anno attraverso quattro singoli (finora) a cui ne seguiranno altri, fino a pubblicare tutti i brani a cui il trio ha lavorato.

Come la tendenza contemporanea prog metal/djent vuole, i JIA spaziano con i propri virtuosismi tra sonorità aggressive e melodia pop new wave unite senza troppi pregiudizi allo stesso modo degli Arch Echo. In più, come ciliegina sulla torta, il trio è riuscito a coinvolgere in ogni singolo nomi importanti della scena prog metal come Matt Garstka (Animals As Leaders), Michael Lessard (The Contortionist), Casey Sabol (ex Periphery) e Eddie DeCesare (Painted in Exile).

sabato 5 dicembre 2020

Altprogcore December discoveries

 
 
Nato nel 2017, il quartetto dei Gnarbot formato da Zach LoPresti (chitarra), Rodrigo Pichardo (basso), Chris Paprota (batteria) e Zack Smith (chitarra, voce) si è cimentato in musica prevalentemente strumentale ad impianto di jam session, fondendo math rock, jazz e metal, e registrando il loro materiale live in studio.
 
 
 
Il debutto discografico dei Fallow Land dal titolo Slow Down, Rockstar è una calma e suggestiva raccolta di intrecci di chitarre e melodie distensive.
 
 
Santiago Fradejas con il progetto Layama Azur dà vita ad un album enigmatico tra lo zeuhl e il Rock In Opposition con parti destrutturate di musica aleatoria e sezioni strumentali che sfiorano l'improvvisazione e il flusso di coscienza.
  
 
 
Undefy è il nome del progetto solista di Rafał Biernacki, voce e tastiere dei Disperse, Jakub Żytecki è ospite alla chitarra naturalmente.
 
 
Arne è un trio math rock giapponese che sembra voglia ricalcare le orme dei gloriosi Uchu Combini e finora ha prodotto due EP molto carini nel giro di poco tempo.
 
 
Nell'ambiente prog il nome del pianista Erez Aviram va ricollegato al gruppo prog israeliano Anakdota, ma da quest'anno è anche attivo come solista avendo prodotto due EP di composizioni per piano, oltre che questo singolo.
 

mercoledì 2 dicembre 2020

McStine & Minnemann - II (2020)


Davvero instancabili e non contenti di aver realizzato già un album lo scorso luglio, la coppia McStine e Minnemann torna a colpire con un secondo sforzo discografico prima che l'anno si concluda. Registrato praticamente subito dopo concluse le sessioni del primo omonimo, tra aprile ed ottobre, II può essere considerato il prodotto del lockdown dei musicisti e si destreggia tra le pieghe della trasversalità prog, pop, alternative e fusion con ancor più convinzione e ardore del suo predecessore. 

In particolare pare che i due questa volta vogliano dar spazio alla vena più eclettica ma anche al divertimento strumentale e stilistico, un'attitudine sottolineata dalle brevi intermissioni, più simili ad esperimenti che spingono sull'acceleratore che a brani veri e propri. Il tutto si ricompone con maggior compiutezza su Quarantine Sex Slave. Previsto per una pubblicazione il 4 dicembre, il duo ha reso lo streaming dell'album disponibile con due giorni di anticipo.

venerdì 27 novembre 2020

Snooze - Still (2020)


Un gruppo non molto fortunato quello degli Snooze che, per una ragione o un'altra, hanno perso elementi della formazione per strada, l'ultimo dei quali il bassista Cameron Grom, deceduto prematuramente lo scorso marzo. Ad ogni modo l'unico superstite della band Logan Voss, non si è dato per vinto e con l'aiuto del produttore ed ex batterista degli Skyharbor Anup Sastry ha portato a termine l'EP Still, dove è presente anche l'ultima apparizione di Grom nel brano di apertura What's the Secret Ingrediant of a Toilot?

Degli Snooze si può affermare che, dopo la prova encomiabile di Familiaris, sono diventati tra i migliori e più originali fautori di math rock del decennio. Still è una nuova incursione nel loro mondo surreale, che fonde elementi di post rock, emo, metal e progressive in modo personale. Non c'è bisogno di imbastire virtuse svolte tematiche per gli Snooze, ma piuttosto amalgamare stilemi differenti al fine di produrre una compatta atmosfera potente e nebulosa, che si lascia riconoscere tra mille altre.

Il tutto è calato in un clima ipnotico di riff che sembrano loop di muri elettrici, voci scandite come fossero salmodie psichedeliche e ritmiche martellanti e incessanti. In questo senso Still si concentra nel mettere a fuoco queste determinate peculiarità del sound degli Snooze, approfondendo tali aspetti e tralasciandone altri che magari in Familiaris davano un senso di dinamicità e varietà maggiormente vivaci. Ma anche con questa formula compressa gli Snooze ne escono di nuovo vincitori.

 

giovedì 19 novembre 2020

VEMM - Compromesso [Atto 1] (2020)

Nati nel 2013 per impulso del chitarrista Emanuele Luigi Andolfi, i VEMM (acronimo di Very Excited Mad Musicians) hanno all'attivo un omonimo album in studio del 2014, un live del 2017 e qualche singolo. Nonostante l'oggettiva qualità della proposta musicale che con eclettismo attraversa con disinvoltura vari generi come jazz, funk, metal, avant-garde e naturalmente prog, anche tra gli addetti ai lavori non sono stati in molti ancora ad accorgersi del gruppo romano. Speriamo che con il presente nuovo ambizioso progetto fresco di pubblicazione le cose si apprestino a cambiare.

Come suggerito dal titolo, Compromesso è il primo atto di una trilogia di album concept i cui capitoli successivi saranno Conservazione e Comunicazione. E' la stessa band a spiegare la storia aperta da Compromesso, la quale ruota attorno al personaggio immaginario di Elea, "una liceale, in procinto di sostenere l’esame di maturità. Si pone molte domande sul suo futuro e sull’umanità. Fa queste riflessioni tramite il suo diario a cui si rivolge con il “Tu”. In questo dialogo incessante, Elea si aliena dal mondo, saltando delle parti di vita quotidiana, in un paradosso in cui per cercare di trovare il significato della sua vita ne perde la vividezza. Nel percorso riesce a carpire uno schema alla base delle dinamiche naturali e umane, e divide questa ricerca in tre capitoli: Compromesso, Conservazione e Comunicazione. Un viaggio di formazione al confine tra realtà e percezione, della protagonista, che dialogando con varie parti di sé stessa vorrebbe sbrigliarsi dalla routine intrisa di preconcetti e rinascere dall’abisso della cultura con una consapevolezza in grado di riesumare i “tesori di umanità” che la rendono “reale”.

Il corposo sound del gruppo rispecchia la formazione allargata composta da Emanuele Luigi Andolfi (chitarra), Flaminia Lobianco (voce), Valerio Garavaglia (voce), Davide Savarese (batteria), Edoardo Cicchinelli (basso), Daniele Greco (chitarra), Giacomo Tagliaventi (tastiere), Costantino Stamatopoulos (sassofono) e Giuseppe Panico (tromba).

In bilico tra rock opera e opera concettuale, nel vero senso della parola, Compromesso scava nei meandri musicali come promette di farlo nei pensieri di Elea. Ed ecco allora che al singolo brano non basta più un titolo per essere caratterizzato, ma vengono associati due indirizzi, tipo a simbolizzare una biforcazione anche in ambito strutturale e formale. Come il percorso interiore della protagonista, infatti, ogni traccia è una scoperta che svela gradualmente le proprie deviazioni tematiche. L'ambivalenza dell'atmosfera racchiusa all'interno di esse funziona anche da incentivo per molteplici ascolti.

In pratica, la metafora delle voci interiori di Elea che si accavallano è ottimamente trasportata in musica con sovrapposizioni continue di strumenti e voci, permettendo alla band di spaziare nel modo più ampio possibile tra una moltitudine di dinamiche strumentali. L'opulenza degli arrangiamenti la si potrebbe ricondurre ad un trasversale gioco ed incontro di stili musicali, come il djent orchestrale di Tu/Pagine di Me, comprensivo di parti sinfoniche e acustiche, il frenetico electro prog sintetico di Entropia/Tempo che si tinge di bossa nova e fusion, oppure il jazz polifonico di Assillo/Assente, fino al calderone di chiusura Ombra/Gioco dell'Onda. Come a dire che gli accostamenti sono i più lontani ed improbabili, ma funzionano. Con Compromesso i VEMM si qualificano tra i più competenti, ambiziosi ed originali interpreti del prog italiano e non solo. Naturale che con tali premesse l'attesa per i prossimi capitoli a questo punto si fa concreta.

venerdì 6 novembre 2020

Vennart - In The Dead, Dead Wood (2020)


Costretto dal lockdown a cancellare eventuali impegni concertistici con i Biffy Clyro, Mike Vennart si è adeguato all'isolamento forzato e, oltre ad aprire una personale pagina Patreon, ha prodotto a sorpresa un album intero a due anni di distanza da To Cure a Blizzard Upon a Plastic Sea. In The Dead, Dead Wood riporta ancora la collaborazione e supervisione musicale degli ex compagni presenti negli Oceansize, Gambler alle tastiere e Steve Durose al mix. L'album nella sua totalità, a parte l'epica apertura di Silhouette, che è una delle cose più vicine agli Oceansize scritta dal Vennart solista, è un passaggio oscuro e meditativo nella discografia di Vennart, che non manca di squarci aggressivi come nel caso del singolo fuzz Super Sleuth. Il cantante e chitarrista mette qui in chiaro più che mai il suo amore per i Cardiacs e per Mike Patton, sconfinando in territori da ballad cantautorale su Elemental e Lancelot, le quali non mancano di offrire un impianto tastieristico velatamente chamber rock.

La title-track, fondata interamente su un drone minaccioso, è uno strumentale che funge quasi da spartiacque con i rimanenti tre pezzi finali, maggiormente dedicati all'aspetto sperimentale. Weight in Gold si poggia su un edificio di distorsioni che si contorcono in un incedere marziale ed ossessivo, mentre Mourning on the Range è una triste ed elegiaca composizione che sembra portare uno spiraglio di luce solo nel finale, soffocato poi dai riff funerei della chitarra, che riportano tutto ad un limbo oscuro. Forch in the Road rallenta e dilata ancora di più i tempi, accostandosi a quelle evanescenti cavalcate di stampo Oceansize come Savant e The Frame. Ad ogni modo, per i nostalgici di quel leggendario gruppo, In The Dead, Dead Wood appare come l'album più personale di Vennart, distanziandosi dai canoni della sua vecchia band. Oltre a ciò, la natura più immediata di certe soluzioni compositive, questa volta meno inclini a sperimentazioni progressive e maggiormente indirizzate al cantautorato art rock, palesa le circostanze improvvise e imprevedibili che hanno generato l'album.

sabato 17 ottobre 2020

Autocatalytica - Powerclashing Maximalism (2020)


L'incontrollabile, folle e imprevedibile progetto Autocatalytica del chitarrista Eric Thorfinnson approda, con Powerclashing Maximalism, ad un lavoro più contenuto e meno ambizioso del precedente e dobordante Vicissitudes. Non che l'eclettismo e la pirotecnica vena creativa siano carenti in questo capitolo, ma la minor quantità di materiale presentato fa in modo di digerire l'album con più dedizione e attenzione. Come sempre nella tavolozza degli Autocatalytica si passa da orrorifici growl a melodie power metal con la stessa incuranza eclettica di Devin Townsend, senza alcun timore di creare un saliscendi vertiginoso tra stili. 

La versatilità di Thorfinnson, che vanta studi al Berklee College of Music, torna in ambiti più impegnati con il prog jazz di Cheggo, il quale riprende la medesima spigliatezza strumentale da funk fusion dei Thank You Scientist, oppure mostra la propria finezza nel florilegio acustico alla Mike Keneally di Bananas Have Potassium. I due estremi antitetici sono toccati da Crawboi, fin dall'inizio una fluida e sognante ballad crepuscolare piena di suggestioni psichedeliche e prog che, a ridosso della coda, si tramuta in un apocalittico finale distorto e acido.

giovedì 15 ottobre 2020

Chaos Divine - Legacies (2020)


Gli australiani Chaos Divine con il quarto album, che arriva a cinque anni di distanza dall'ultimo Colliding Skies, hanno deciso di dare uno sguardo al passato e tornare parzialmente all'aspetto metal più estremo dei primi lavori, pur mantenendo la componente più prog e melodica emersa di recente. Sono loro stessi a presentare ampiamente i dettagli di Legacies:

The concept of legacy has had increasingly more meaning for Chaos Divine as time has gone by. As one of the world's finest progressive acts, they have secured their own legacy over the course of 15 years, three iconic albums, countless stage hours and a trophy cabinet full of awards and industry accolades. Added to this, with band members recently entering into the world of parenthood for the first time, Legacies has not only emerged as the most fitting title for their gargantuan fourth album, but the theme that threads everything together.

From the dexterous opener Instincts, to the powerhouse finale of Into The Now, Legacies is a journey of exemplary musicianship and songwriting. Songs like Only Son, Colours Of War and the ambient title track affirm the album's concept, while singles False Flags and Unspoken each flaunt the band's staggering level of finesse. Their progressiveness has never come at the cost of their songwriting, nor have their penchants for brutality and melody ever been at odds with one another. True to this, Legacies finds Chaos Divine galvanising the crushing heaviness of their early work with the musicality and atmosphere of their 2015 masterpiece Colliding Skies.

As a working band, Chaos Divine have always done the hard yards required to bring their vision to life. From their music, to their artwork, to their stage show; the band has taken no shortcuts in striving for greatness. Since their inception they have pushed the envelope with a series of stunning releases that would define them. They forged their name as one of the must-see emerging heavy acts with their relentless debut Ratio (2006) and from there continued to progress exponentially. Defying expectations with three phenomenal albums back-to-back (and one hell of a cover of Toto's Africa) Chaos Divine's musical output has been nothing short of heavyweight.

Each Chaos Divine album has built upon the one that came before it. 2008's Avalon took the heaviness of Ratio to lofty new places. Its follow-up The Human Connection (2011) was the perfect bridge between sheer heaviness and the increasingly more progressive sound that would define Colliding Skies. Honouring this tradition, the band have raised the bar yet again with Legacies. Visceral and emotional, Legacies captures Chaos Divine at their absolute best – due in no small part to the skilled production team of Forrester Savell, Brody Simpson, Troy Nababan and Simon Mitchell.

The process of writing Legacies was very different than previous records. After the colossal undertaking that was Colliding Skies, the band took a well-earned break from creating. Eventually, new ideas began to surface during intensive group writing sessions, and members of the band worked on other songs more or less in solitude. As Legacies began to unfold, so too did its concept. Singer David Anderton explains, “Unlike our previous works, Legacies has a really strong theme throughout the album. Virtually every song in some way links back to the experience of parenthood and the innocence of children.”

Guitarist Simon Mitchell adds, “When it came time to record, the songs needed to be fleshed out, so the recording process ended up being significantly longer than had previously been the case.” Upon listening to Legacies though, it is instantly apparent that the extra effort has been worthwhile. Flawlessly performed and produced, it is the band's finest work to date. 

sabato 10 ottobre 2020

The Most - Of What We Have (2020)


Con Of What We Have i The Most pubblicano il loro primo album dopo due interessantissimi EP di math rock che si incontra con il jazz. Il settetto infatti, oltre a far uso spregiudicato di trame complesse tipiche del rock più intricato, aggiunge una sezione di fiati (comprendente sax soprano e tenore e clarinetto), elementi che in questo album si ampliano con l'aggiunta di tre ospiti al clarinetto tenore, alto sax e tuba, facendo diventare a tutti gli effetti i The Most un ensemble sperimentale che, volontariamente o meno, si accosta anche alle metodologie stravaganti e tortuose del Rock In Opposition. L'equilibrio tra consonanza e dissonanza è costantemente rimesso in discussione non solo dagli strumenti, ma anche dalle tre voci di Connor Waage, Nick Hasko e Sean Pop a tratti volutamente sgraziate nell'inserirsi in un contesto musicale del genere che comunque, per il suo approccio funambolico, richiede una componente anarchica e destabilizzante.