domenica 27 giugno 2010

COG - The Sound of Three - 12 Years with You (2010)


Devo confessare che non ho una particolare predilezione per i video live, in genere tendo a guardarli una volta sola e non è detto che arrivi in fondo. Insomma, guardare un concerto comodamente seduti da casa non è che sia il massimo, preferisco esserci e viverlo veramente, come tutti credo, e scusate la banalità.

Raramente capita però un DVD veramente ben fatto, che riesce a trasmetterti l'adrenalina del concerto anche di fronte ad un noioso televisore. Il nuovo DVD dei Cog The Sound of Three è uno di questi. La sapiente regia e il montaggio ben orchestrato non solo ti trascinano nell'atmosfera di quella serata in cui il tutto è stato registrato, ma, cosa ancor più importante, ti fa vedere, capire e assaporare che grande live band siano i Cog.

Peccato che questo trio australiano non sia ancora conosciutissimo in Europa e USA, mentre in patria raggiunge regolarmente la cima delle chart, perchè darebbero del filo da torcere a molti altri colleghi. Lucius Borich alla batteria è una forza della natura, Flynn Gower, nonostante sia forzatamente "ingessato" nel doppio ruolo di cantante e chitarrista, e suo fratello Luke al basso, sanno sprigionare dai loro pezzi un'energia incredibile, in alcuni casi superiore a quella in studio.

Il doppio titolo del DVD si riferisce al concerto (The Sound of Three) e ad un documentario che ripercorre la storia dei Cog dalle loro origini (12 Years with You). Tra gli altri contenuti: tutti i video promozionali della band e quattro video live registrati con una risoluzione meno professionale ma sempre potenti, tra i quali questo di Real Life:






sabato 26 giugno 2010

Emarosa - Same (2010)


Il secondo e omonimo album degli Emarosa uscirà ufficialmente il 29 giugno, ma nel frattempo lo si può ascoltare interamente in streaming nella loro pagina MySpace.

www.myspace.com/emarosa

Tracklist:
1. A Toast to the Future Kids! (3:49)
2. Pretend.Relive.Regret (4:09)
3. Share the Sunshine Young Blood (3:00)
4. Truth Hurts While Laying On Your Back (3:40)
5. Live It. Love It. Lust It (3:52)
6. The Game Played Right (4:04)
7. Broken vs the Way We Were Born (4:31)
8. I Still Feel Her Pt 4 (3:26)
9. The Weight of Love Blinds Eyes (3:35)
10. We Are Life (4:00)

venerdì 25 giugno 2010

From the vaults pt.II: Pain of Salvation, 12:5

Mentre il nuovo album dei Pain of Salvation, il controverso Road Salt One, sta facendo discutere animatamente i fan, ecco due video estratti dall'esibizione della band, che registrò per l'album 12:5.




mercoledì 23 giugno 2010

From the vaults: Motorpsycho dal passato remoto

Girellando sul Tubo ho trovato inaspettatamente questi due video incredibili (estrapolati da Tele +3...chi se la ricorda?) riguardanti i Motorpsycho che ci riportano indietro nel tempo all'epoca di Blissard. 1996 quindi.

Ci sono un'intervista (curata da Ezio Guaitamacchi, attuale direttore di Jam) e Bent e Snah che improvvisano alcuni pezzi unplugged (Aaahhh, i vecchi programmi musicali di una volta!).

Ho pensato quindi di postare questo bellissimo documento con stralci delle performance acustiche di Mad Sun, Greener...quanti ricordi! Bei tempi andati....





Sopraffatto dalla nostalgia non posso fare a meno di postare anche il video della bellissima Now It's Time to Skate.

martedì 22 giugno 2010

Alex Ross, il nuovo libro "Listen to This"


Lo scrittore e critico musicale Alex Ross, già autore di Il Resto è Rumore, pubblicherà il 28 settembre il suo nuovo libro Listen to This. Per ora il libro uscirà solo in USA e a gennaio 2011 in UK. Un'uscita italiana non è stata ancora annunciata ma speriamo che ciò accada presto.

Il libro è una raccolta di scritti alcuni dei quali già editi sulla rivista The New Yorker - dove Ross scrive - e spaziano dalla musica classica a quella contemporanea, prendendo in esame autori come Bach, Mozart, Schubert, Verdi, Brahms, Marian Anderson, Frank Sinatra, Cecil Taylor, Led Zeppelin, Björk, Radiohead, Mitsuko Uchida, Esa-Pekka Salonen, John Luther Adams, Lorraine Hunt Lieberson, Bob Dylan e la Malcolm X Shabazz High School Marching Band.

Il titolo Listen to This è ripreso da questo lungo articolo pubblicato sul New Yorker nel 2004 che poi è divenuto il primo capitolo del libro.


sabato 19 giugno 2010

The Trophy Fire - Armor EP (2010)


I Trophy Fire sono una band di San Francisco con all'attivo l'album A Lifetime in the Middle of the Ocean del 2008. Il 22 giugno sarà rilasciato tramite iTunes un EP di inediti dal titolo Armor e la notizia è che Gavin Hayes, cantante dei Dredg, è ospite nella title-track. Quattro delle sei tracce presenti nell'EP possono essere ascoltate nella pagina MySpace della band. Inutile dire che ciò è caldamente consigliato.

Tracklist:

1. Glow
2. Armor
3. The Last American Phone Booth
4. Lies
5. Chasing the Ghost
6. Bend

www.myspace.com/thetrophyfire

mercoledì 16 giugno 2010

Alive in the Superunknown

Di nuovo insieme dopo 14 anni, cominciano ad affiorare news...
si parla di un inedito - dal titolo Black Rain - che dovrebbe vedere la luce questo autunno su Guitar Hero e di molte altre cose.



















"Che la distruzione totale abbia inizio" H.J.Simpson

martedì 15 giugno 2010

DEMIANS - Mute (2010)


Il primo album dei Demians (anche se dietro c'è il solo Nicolas Chapel), Building an Empire, fu ben accolto dalla critica. Non era chissà cosa, ma qualche pezzo era azzeccato. Personalmente l'ho apprezzato di più dopo aver visto la band dal vivo l'anno scorso in supporto dei Porcupine Tree.

Mute devìa leggermente da quell'hard prog melodico compattamente omogeneo dell'esordio e punta su due strade distinte: da una parte approfondisce molto più ruvidamente la componente heavy, dall'altro un lato più dolce che aveva fatto capolino su Building an Empire.

Swing of the Airwaves, Feel Alive e Tidal (che ha un approccio abbastanza pop) appartengono alla prima categoria, con riff pesanti e gravi, molto diretti e sanguigni. A moderare il tutto ci pensa la voce di Chapel che possiede una tonalità e una potenza nella media, che tende più al melodico invece che al metal.

Il resto dell'album non è duro come questi tre pezzi, ma esplora comunque vari tipi di ballad elettriche, dalla sinuosa Rainbow Ruse alla mediorientaleggiante Overhead. Tra i pezzi più pacati si distinguono la bella Porcelain e la ultra malinconica Black Over Gold con una coda in crescendo, mentre la chiusura affidata alla debole e ripetitiva Hesitation Waltz e alla raccolta Falling from the Sun non è molto incisiva

Il risultato è un album che ad un primo impatto farà una buona impressione, grazie a delle composizioni di sicura presa emotiva, ma si percepisce che, nella lunga distanza e dopo ripetuti ascolti, la maggior parte di esse tende a mostrare alcuni limiti. In pratica Mute dà l'idea di non essere un album tanto difficoltoso da penetrare, un giudizio lo si può ricavare abbastanza velocemente, soprattutto se si è avvezzi ad un prog con qualità non diciamo metal ma quasi.

www.myspace.com/demiansmusic

lunedì 14 giugno 2010

Ellie Goulding: come ti rovino un album (ma te lo spedisco primo in classifica)

Ogni tanto mi va di divagare e andare fuori tema. Lasciamo perdere per il momento quei gruppi sconosciuti - che ci piacciono tanto - ma che li ascoltano si e no in quattro gatti. Andiamo nel "cuore della musica" di consumo e parliamo del nostro "disco per l'estate".

Le ultime notizie che ci arrivano da oltre Manica ci dicono che nella Terra d'Albione sta imperversando una giovin donzella che è schizzata al primo posto in classifica ed è riuscita a scalzare una cialtrona che stazionava lì da diverso tempo, ma che preferisco non nominare in questa sede.

Dopo aver letto questo non mi sono fatto prendere da pregiudizi, ma anzi ero veramente curioso di ascoltare chi e cosa è riuscito finalmente a detronizzare un fenomeno da baraccone e sono andato a cercare qualcosa sul Tubo.
In un primo momento ho trovato questo:



Ho pensato: niente male, forse c'è scappato un bell'album folk alla Scott Matthews. La ragazza ha una bella voce, sa suonare e comporre con la chitarra...ma qualcosa non torna. Che in Inghilterra siano ammattiti e sparano una folk singer prima in classifica?
Ho provato a guardare altro e ho trovato questo:

Beh! Complimenti, non c'è che dire. Una pop song carina e una giovane interprete che ha già una buona padronanza del palco. Fin qui direi che gli inglesi finalmente non hanno mandato in classifica la solita fuffa dance o il divo/a del momento sfornato/a da un talent show.

Poi ho deciso di ascoltarmi tutto l'album Lights ed è allora che ho scoperto qual'era il trucco. In pratica le versioni di Lights sono pesantemente rimaneggiate in studio, il piano e le chitarre acustiche sono schiacciate sotto il peso di sintetizzatori, percussioni programmate e tutto l'armamentario elettronico del caso. Tanto che questa è la versione che si trova in Lights del brano precedente:



Alla fine solo una domanda mi sovviene: Perchè? Perchè lo hai fatto Ellie?
E non vi posto il video di Starry Eyed per la vergogna. Neanche dovreste sentire la versione originale di Wish I Stayed.
Ora voglio dire: ignoro se questa scelta di trasformare delle decenti canzoni folk in mostruosi giocattoli da dancefloor sia del produttore o della stessa Goulding, ma cosa aveva che non andava la versione "ripulita"? E poi cosa c'entrano i ballerini nel video?

Non voglio sparare a zero su questa pur brava ragazza, che alla fine Lights è molto meglio di tanta spazzatura che si ascolta in giro (vedi la precedente regina delle classifiche), però anche l'inserimento dei ballerini è un accattivante segno di furbizia che in questo contesto è comunque inadeguato. Come a riprova che se spacci per dance qualsiasi cosa alla fine vendi. I crimini musicali pagano.

Se avete tempo e voglia vi propongo un passatempo. Prendete la tracklist di Lights e andate ad ascoltarvi le canzoni su YouTube nelle versioni dal vivo e poi confrontatele con quelle originali. Infine decretate quale secondo voi sia la versione migliore.


P.S. Questo 2010 è davvero avaro di nuove uscite interessanti visto che mi riduco a scrivere di queste cose!

domenica 13 giugno 2010

Una vecchia intervista

Ho ritrovato questa mia vecchia intervista e ho deciso di pubblicarla. Fu rilasciata nel 2007 al collega di Wonderous Stories Donato Zoppo in occasione dell'uscita del mio primo libro The Lamb - Il percorso del "lamb" di Peter Gabriel e fu pubblicata nel Sannio Quotidiano nell'approfondimento musicale settimanale de Le Vie della Musica.


Il giovane musicologo approfondisce il capolavoro dei Genesis in un interessante libro
Storie e segreti di ‘The Lamb’: lo studio di Lorenzo Barbagli

Di Donato Zoppo
La grande anomalia del rock progressivo. Un movimento davvero sui generis, senza le rockstar capricciose con stuoli di groupies alle calcagna, senza i quattro accordi in croce, gli strumenti distrutti sul palco o le gare a chi alza di più il volume. Un movimento che ha rinnovato il rock, aprendolo alla musica colta, al jazz, all’elettronica, travalicandone i confini; un movimento che ha fatto penetrare tematiche complesse, dalla fiaba alla filosofia, dalla riflessione esistenziale all’esoterismo, dal teatro alla science-fiction.
Con il progressive nasce la forma compositiva della suite, matura il concept-album, esplode la grande utopia dell’opera rock. Proprio come “The Lamb Lies Down On Broadway” (1974), il capolavoro dei Genesis, l’ultimo della formazione storica, prima che Peter Gabriel lasciasse la band per battezzare la propria fortunata carriera solista. Lorenzo Barbagli è un giovane musicologo che si è dedicato anima e corpo allo studio di quest’opera, cercando di carpirne i significati più reconditi, entrando in contatto con argomenti difficili: il Mito, la Qabbalah, la psicologia junghiana.
Il suo “The Lamb – Il percorso del “lamb” di Peter Gabriel” (Edizioni Segno) è appena uscito, con la prefazione del giornalista Mario Giammetti, uno scrittore ben noto ai lettori delle “Vie della Musica”. Incontriamo Lorenzo e cerchiamo insieme a lui di mettere a fuoco tutti gli aspetti di questo straordinario album.


 

Partiamo da alcuni dati storici. 1974. I Genesis hanno all’attivo 5 album in studio e un live, un successo crescente e una cifra stilistica sempre più definita. Come nasce “The Lamb”?Come hai ben sintetizzato in quegli anni i Genesis, oltre a vedere crescere la loro popolarità, erano arrivati ad una maturità artistica impressionante e ormai sentivano di dover affrontare un ulteriore passo avanti. Era arrivato il momento di realizzare un album doppio che fosse basato su un concept. Quindi, da parte della band, ci fu una scelta meditata, non casuale ed in un primo momento il filo conduttore della storia doveva essere il libro Il Piccolo Principe proposto da Mike Rutherford. Ma, fortunatamente, la lungimiranza di Peter Gabriel portò a proporre una storia più vicina alla contemporaneità e adatta ai tempi che stavano cambiando, lasciando da parte l’impianto favolistico che fino ad allora aveva dominato la band ma anche il prog in generale. Così The Lamb è divenuto una “favola moderna”.

Si dice sempre che questo disco sia un parto del solo Peter Gabriel: quanto è fondata questa affermazione?
Dipende dal punto di vista col quale prendiamo in considerazione l’opera: quello musicale o quello lirico. Se si considera quest’ultimo aspetto possiamo dire che, effettivamente, l’idea della storia, il suo dipanarsi e la conseguente scrittura dei testi è opera del solo Gabriel. Inoltre, il cantante lottò anche contro la volontà degli altri membri del gruppo riguardo la scelta del soggetto, dato che loro erano scettici al riguardo, ritenendo la storia incomprensibile e oscura.
Dal punto di vista musicale, invece, il contributo di Gabriel fu minimo in quanto impegnato nella stesura delle liriche. Ancora oggi molti hanno la tendenza a credere che Peter Gabriel fosse il factotum dei Genesis o per lo meno il principale compositore, invece questa cosa andrebbe sfatata. Dato che nei dischi dell’epoca i Genesis erano soliti firmare le canzoni come gruppo è difficile stabilire, musicalmente parlando, chi ha scritto cosa. Riguardo a The Lamb si capisce che un lavoro molto importante lo deve aver fatto Tony Banks, poiché l’album è essenzialmente basato sulle sue tastiere. Andando più a fondo, si può confermare tutto ciò analizzando le parti per pianoforte che portano gli stilemi compositivi di Banks e cioè l’uso di progressioni di accordi e di fraseggi di note arpeggiate molto vicini tra loro, con salti di un tono o mezzo tono.

“The Lamb” è un’opera rock: un “sottogenere” che trova nei protagonisti del prog particolare fortuna. In cosa si differenzia rispetto a predecessori come “Tommy” degli Who e a successori come “The Wall” dei Pink Floyd?Per quello che mi riguarda giudico The Lamb un’opera del tutto unica nel panorama dei concept. Se, ad esempio, prendiamo in esame gli album da te citati, possiamo dire che sono piuttosto coerenti con quanto questi gruppi avevano fatto in passato a livello musicale. Sono entrambi delle opere straordinarie, ma, in un certo modo, rimangono ancorate all’estetica dei loro autori e questo discorso credo si possa estendere anche ad altri gruppi.
Al contrario, The Lamb, è una specie di “anomalia” nella discografia dei Genesis, presenta delle caratteristiche che il gruppo ha sviluppato solo in questo lavoro: suoni pesantemente elettronici e sperimentali, poche chitarre, l’assenza di suite e la presenza di brani strutturalmente più regolari rispetto al passato, ma non certo delle pop songs. Se una persona apprezzasse questo album, non conoscendo nulla del gruppo, potrebbe paradossalmente rimanere delusa ascoltando in seguito, ad esempio, Nursery Cryme o A Trick of the Tail.

Negli ultimi tempi abbiamo molti esempi di opere rock (mi viene in mente la recente “Dracula” della PFM oppure “Herpes Temporis” dei campani Magni Animi Viri), tuttavia non sembrano molto distanti dal modello del “musical” di Broadway. Come giudichi il proliferare di queste produzioni?Nelle opere rock di oggi si tende a dare un respiro sinfonico e orchestrale alla musica, ma anche a dare molta importanza alla messa in scena teatrale in stile “musical” che credo sia mutuata dal successo che ultimamente stanno avendo queste iniziative. Si cerca cioè di pensare non tanto al disco come opera già compiuta e a sé stante, ma di vederlo inglobato in un più ampio progetto che prevede come fine ultimo la messa in scena con tanto di attori/cantanti. In questo modo si rischia di snaturare il lavoro del musicista, facendo prevalere lo spettacolo sulla musica. Occorrerebbe considerare l’album come un prodotto che possa funzionare anche se preso separatamente, poiché il suo destino è quello di sopravvivere alle varie repliche dello spettacolo. In tal senso preferisco la concezione delle performance del passato (si veda The Wall o lo stesso The Lamb) dove il gruppo stesso e la musica erano sempre i protagonisti e la messa in scena, per quanto poteva essere spettacolare o imperfetta, agiva su livelli differenti rispetto a quelli odierni.

Veniamo alla tua chiave di lettura: nell’analizzare l’opera ti sei servito di alcuni strumenti particolari, in primis le teorie di Joseph Campbell. Vuoi introdurle ai nostri lettori?Le teorie di Campbell sono estremamente affascinanti, soprattutto se ci chiediamo non solo se Dio esiste, ma anche perché l’uomo ha sempre avuto bisogno di crearsi degli Idoli. Nei suoi studi, Campbell, ha notato che i culti di molti popoli presentano delle similitudini e, con la teoria del "monomito", ha postulato dei punti fermi attraverso i quali si svolge “il viaggio dell’eroe” (che sia leggenda o parabola religiosa) e le sue conseguenti prove da affrontare per raggiungere uno scopo. Servendosi anche delle psicologia e della teoria sull’inconscio collettivo di Jung, Campbell sostiene che i miti sono delle metafore universali della nostra vita sulla Terra e della nostra concezione di “vita dopo la morte”.

Altro elemento centrale del tuo libro sono i riferimenti all’esoterismo, in particolare alla Qabbalah ebraica: vuoi introdurceli e spiegarci come sono penetrati nell’opera gabrieliana?
Il corpo centrale dei vari argomenti che confluiscono nella Qabbalah è costituito dall’albero delle Sefirot, una rappresentazione iconografica dell’operato divino. Esso è formato da 10 sfere che simbolizzano gli attributi di Dio, unite da 22 sentieri che rappresentano le lettere dell’alfabeto ebraico. Si arriva così alle 32 vie della sapienza attraverso le quali Dio avrebbe creato l’universo. Come si vede, la numerologia è molto importante quando si parla di Qabbalah e mi sono servito di queste speculazioni partendo dal brano The Chamber of 32 Door. Analizzando i vari significati che può assumere metaforicamente l’albero delle Sefirot, si può interpretare la parabola di Rael (il protagonista della storia) come un’ascesa verso il divino o l’aldilà. Gabriel, nelle sue dichiarazioni, non ha mai fatto cenno esplicitamente all’influenza della Qabbalah per quanto riguarda The Lamb, ma, visti i suoi precedenti, non è da escludere il riferimento a questa tradizione.

Già in “Foxtrot”, l’album genesisiano del 1972, alcuni riferimenti biblici e numerologici erano presenti: secondo te si trattava di pura casualità, di un capriccio gabrieliano oppure di un’impostazione meditata e sistematica?Queste relazioni non sono casuali, lo stesso Gabriel dichiarò all’epoca di aver fatto letture a carattere religioso. Lo testimonia anche il primo album dei Genesis dal titolo From Genesis to Revelation, un concept che ha come tema la Creazione. Però non credo che ci sia da parte di Gabriel un vero e proprio coinvolgimento a livello personale, credo piuttosto fosse mosso verso queste tematiche dalla sua curiosità. Non lo vedo come una specie di predicatore da palcoscenico o un sostenitore del christian rock.

Dal tuo libro si evince anche un altro elemento cruciale, quello psicanalitico: il sogno, l’inconscio, gli archetipi.Parlando di The Lamb sarebbe un errore omettere tutti i riferimenti che rimandano alla nostra attività onirica, dato che la storia narrata da Gabriel trae ispirazione dalle suggestioni del subconscio. The Lamb diviene così un perfetto connubio tra mito e sogno: come sostiene Campbell le similitudini rilevate analizzando i miti e le religioni di varie culture possono essere derivate dal nostro subconscio e specialmente dai sogni. Tutto questo ci porta ad intuire che la natura di queste storie, in qualche modo, è innata in noi. Campbell spiega ciò attraverso la psicologia e la psicoanalisi e conclude pertanto che mito e sogno sono strettamente legati, chiamando in causa anche la psicologia di Jung e la sua teoria dell’inconscio collettivo legata agli archetipi. Come Jung, anche Campbell si serve delle immagini archetipe sepolte dentro di noi per spiegare le origini del mito nella nostra società.

Grazie a queste letture hai affrontato il “plot” dell’opera con una rinnovata chiave di lettura: quali sono state le reazioni degli appassionati genesisiani, solitamente molto attenti all’esegesi dei loro beniamini?Quando ho affrontato la materia sapevo a quali rischi andavo incontro dato che i cultori dei Genesis sono molto attenti e preparati su tutto ciò che riguarda il gruppo. Sinceramente ancora non so di preciso cosa ne pensino del libro perché è passato poco tempo da quando è uscito nelle librerie. Comunque ho parlato con Mario Giammetti che mi ha confermato che sta ricevendo buoni consensi oltre che suscitare interesse.

Una domanda allo studioso del rock progressivo: come ti spieghi che ad un certo punto dell’evoluzione rock, gruppi come i Genesis abbiano cominciato a far entrare nella loro musica argomenti così particolari?
Credo che, molto semplicemente, anche la storia della musica rock non sfugga al destino dei grandi movimenti letterari o culturali che abbiamo avuto in passato. Banalmente si può dire che ad un’azione corrisponde una reazione: un movimento si sviluppa o va a sostituire quello precedente in contrapposizione ad esso e ciò che rappresenta, poiché è ritenuto inadatto ai tempi che cambiano. In questo è emblematica la nascita del punk come ribellione ai canoni del rock progressivo portando con sé un’estetica diametralmente opposta.
Le tematiche affrontate dal progressive nascono dalla volontà di andare oltre le classiche canzoni d’amore e di protesta o le bizzarre suggestioni dei trip di acido in voga negli anni ‘60. Tutto ciò si è sviluppato grazie a musicisti con una sensibilità e una curiosità più sviluppata rispetto agli altri, con degli studi alle spalle ed un notevole bagaglio culturale. I gruppi progressive non hanno fatto altro che dare voce ad una parte dei forti stimoli intellettuali che si percepivano alla fine degli anni ’60, sia che fossero l’interesse per racconti utopici alla Tolkien o dissertazioni filosofiche sul ruolo dell’uomo nella società.

Allo studioso della “popular music” chiediamo: pensi che sia proponibile l’epoca di un rock “curioso”, che guarda alle altre forme d’arte? Dobbiamo rassegnarci ad una musica sempre più “autoreferenziale”?
Anche in questo caso dipende dai punti di vista. Se consideriamo solo la musica ritenuta “di consumo” o comunque “di massa” allora ci sono poche speranze, dobbiamo rassegnarci. Viviamo in un’era tecnologica dove la musica si scarica dal web e la si ascolta in auto con sempre minor attenzione. Di conseguenza è naturale, purtroppo, che anche le tematiche siano disimpegnate. Un rock “curioso” richiede attenzione anche da parte dell’ascoltatore per essere apprezzato in pieno ed è per questo che oggi non si ha successo con proposte di questo genere.
Dall’altro lato, se anche il fruitore è a sua volta curioso non si sofferma di fronte a quello che gli propina la radio o MTV, ma inizia a ricercare gruppi meno noti e più inclini ad una visione più ampia della musica, lontana da mere logiche commerciali. Oggi la fonte primaria per queste ricerche è naturalmente Internet che ha permesso lo sviluppo di una vastissima scelta di musica. Attraverso la rete si possono trovare sempre interessanti proposte musicali che non raggiungono però vaste platee e, di conseguenza, il fenomeno rimane relegato a pochi sostenitori.

Nel tuo testo individui anche un altro gruppo che non disdegna riferimenti psicanalitici e qabbalistici: i Tool. Sono loro gli unici successori di questo “spirito” genesisiano o pensi ci siano altri gruppi inclini a questa forma di composizione rock?Premetto che i Tool sono stati fondamentali nel mio approfondimento della materia qabbalistica, studiando i loro testi ho iniziato ad interessarmi all’argomento.
I Tool, con le loro liriche mistiche ed intellettuali allo stesso tempo, hanno creato una poetica che si è sviluppata e si è approfondita nel corso dei loro album con una coerenza estranea ad altri gruppi. Quindi, in questo senso, penso che non solo siano dei successori, ma che abbiano portato il discorso verso territori sconosciuti alla musica moderna.

domenica 6 giugno 2010

Oceansize... nuovo album.....

L'avvento è fissato per settembre...

Il titolo sarà Self Preserved While The Bodies Float Up...

Dalle prime dichiarazioni sembra che sarà molto più pesante dei suoi predecessori...

Qui è possibile leggere un'intervsta a Mike Vennart (in fondo trovate la versione in inglese)

venerdì 4 giugno 2010

Totally wired. "Post-punk". Dietro le quinte


Per chi ha gradito il capolavoro letterario Post Punk scritto da Simon Reynolds, segnalo l'uscita dell'edizione italiana di Totally Wired edito da ISBN edizioni.

«Il modo migliore di pensare al post-punk non è nei termini di un genere ma ma in quelli di uno spazio di possibilità dal quale è emerso uno spettro di nuovi generi: dark, industrial, synthpop, mutant disco eccetera», afferma Simon Reynolds nell’intervista a se stesso che chiude doverosamente questo volume. L’autore di Postpunk (Isbn Edizioni 2006) riapre gli archivi di quel monumentale racconto di una delle epoche più avventurose della musica rock, tra il 1978 e il 1984, selezionando le trentadue interviste che hanno rappresentato il cuore del suo lavoro: da David Byrne dei Talking Heads a Alan Vega dei Suicide , da Gerald Casale dei Devo allo storico dj della BBC Jonh Peel. Estraneo a qualsiasi logica nostalgica, Reynolds ricostruisce per i lettori di oggi la caotica vitalità e la portata culturale che ebbe quella scena, dando a tutti un’opportuità in più per capire non "come eravamo", ma "chi siamo oggi".