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domenica 21 luglio 2024

I migliori 12 album Emo Prog di tutti i tempi


Dato che in giro tra blog e siti musicali è molto in voga creare liste e Top 10 su svariati argomenti (come sempre opinabili e la presente non è da meno) mi sono cimentato anch'io a compilarne una, soprattutto dopo che Loudwire si è interessato di recente alla fusione tra prog ed emo nell'articolo "The 10 Best Emo-Prog Bands of All Time" ed io stesso ho provato a fare un sunto sul tema nel numero di maggio di Prog Italia. In passato qui sul blog mi sono già occupato della materia, molto poco e molto meno di quello che vorrei in realtà, poiché tale tipologia di ibrido sembra non susciti interesse o curiosità nei fan italiani del prog moderno, ma pure nei frequentatori di altprogcore. Può essere che risulti un connubio troppo azzardato e indigesto o forse proprio non è un genere che incontra i gusti musicali del pubblico europeo, abituato a contenere i paletti del prog moderno nei confini di band come Opeth, Porcupine Tree, Leprous, Big Big Train, ecc. che con il tempo producono album sempre meno interessanti ma che comunque si muovono in una sicura comfort zone dalla quale è difficile staccarsi.

Al contrario, in questi altri orizzonti prettamente statunitensi si trovano idee, intuizioni e sperimentazioni se non altro inedite e più stimolanti, magari anche perché a crearle sono artisti che non hanno avuto legami esclusivamente con il prog e che neanche sanno di cosa si parli quando ci si riferisce alla frangia sinfonica del genere. Come l'articolo di Loudwire testimonia, credo che siamo arrivati ad un punto in cui non si può ignorare il nuovo connubio tra prog ed emo, tanto che nel 2024 sono stati pubblicati nel giro di poco tempo dei lavori importanti per la sua affermazione da parte di band appartenenti alla cosiddetta "quinta onda emo", riuscendo a rafforzare tale unione grazie a creatività e voglia di sperimentare indirizzate nella giusta direzione.

Ad essere precisi comunque questo sodalizio parte da lontano, ovvero da quando il post hardcore e il math rock ad inizio secolo hanno iniziato a comprendere tratti più ambiziosi, trame articolate e complesse sonorità molto allargate sul fronte dello stile. Poi c'è il versante più strettamente legato all'emo e alle sue "ondate" che, passo dopo passo, ha operato un progressivo avvicinamento a caratteri sfaccettati e innovativi che esulano da ciò che il mainstream ha fatto passare come idea estetica imperante nel momento in cui ci fu l'esplosione dell'emo pop (terza onda) all'inizio degli anni 2000 con gruppi come My Chemical Romance, Fall Out Boy, Panic! At the Disco e Paramore. A guardare bene quindi ne viene fuori uno scenario composito e diversificato del quale la "quinta onda emo" è solo una recente frazione che ha aiutato a solidificare tale connubio, sviluppando i canoni stilistici offerti dalle varie ondate - post rock, chiptune, jazz, bedroom pop, math rock - e servirsene per trasformarli in una nuova forma di Emo Prog. 

Qui di seguito ho cercato di compilare una esaustiva e rappresentativa lista di 12 album, in ordine rigorosamente cronologico, che spazia dagli albori di questo strano legame fino ad arrivare alla sua ultima e ancor più imprevedibile incarnazione.




1. Coheed & Cambria - In Keeping Secrets of Silent Heart:3 (2003)
I Coheed & Cambria vengono giustamente designati come pionieri nel coniugare post hardcore, emo e prog rock grazie all'album d'esordio The Second Stage Turbine Blade del 2002 (anche se un tentativo lo si poteva già riscontrare nel primo e unico disco dei Breaking Pangea con il brano Turning). Nonostante quel disco rappresenti un importante punto d'origine per la fusione dei generi, è con il suo successore In Keeping Secrets of Silent Earth:3 che la band di Claudio Sanchez raggiunge la piena forma prog, oltre che una maturità e varietà stilistica, mettendo in chiaro come un gruppo dalle origini emocore potesse puntare sulla perizia strumentale per sviluppare il proprio sound. Durante l'album si può oscillare dall'orecchiabilità contagiosa del singolo A Favor House Atlantic ai macchinosi e articolati riff in continua evoluzione di The Crowing, per arrivare infine alle conclusive simil-suite con flauti, synth e ricami chitarristici The Light & The Glass e 21:13, nelle quali i Co&Ca si avvicinano a tensioni e progressioni che giustificano i paragoni fatti più volte dalla stampa musicale con i Rush
 




2. The Velvet Teen - Elysium (2004) 
La critica non ha mai saputo in quale categoria esatta inquadrare i The Velvet Teen a causa della loro imprevedibilità stilistica. Il primo album Out of the Fierce Parade si attestava in una zona grigia tra indie rock ed emo influenzati dall'art pop aristocratico dei Radiohead. Il suo successore Elysium fu una spiazzante deviazione verso un'opera di baroque chamber rock che abbandonava per scelta le chitarre e le sostituiva con tastiere, piano e un'orchestra da camera con fiati e archi. I The Velvet Teen non erano esattamente emo, ma le loro sonate romantiche che si spingono oltre il limite condividevano la sensibilità con alcuni angoli della scena emo. Le tracce di Elysium sono un'apoteosi di crescendo emotivi sottolineati dalla vocalità melliflua ma altamente espressiva di Judah Nagler che prende il volo sulla crepuscolare amarezza di A Captive Audience e nel centro emotivo dell’album occupato dall’epico tour de force di tredici minuti di Chimera Obscurant che, dopo poche strofe accompagnate da accordi di piano con una ritmica jazz, si trasforma in un logorroico sfogo musicale. Un album che rispecchia l'introversione e la malinconia emo attraverso melodie notturne ma che celano potenza. Un vero capolavoro senza tempo e genere. 
 




3. The Receiving End of Sirens - Between the Heart and the Synapse (2005)
Nei primi anni in cui veniva a galla l'intreccio tra emo e post hardcore era piuttosto comune inserirvi delle band che fossero adiacenti ad entrambi i generi, dato che la categoria di appartenenza proveniva dalla stessa matrice punk. La linea che demarcava le peculiarità delle due categorie era sottolineata, da un lato, da una spiccata predisposizione per le melodie pop punk (l'emo) e, dall'altra, dalla forte componente aggressiva con ricorso a scream e harsh vocals (post hardcore). I The Receiving End of Sirens, forti di un arsenale di tre chitarre, tre voci principali che si alternano tra lead vocals e intrecci polifonici, mettono insieme il meglio dei due mondi e non solo, alzando l'asticella verso un'inedita visione da arena prog con grandiosi passaggi di interplay chitarristici, enfatiche e frastornanti parti vocali, architetture sonore sature sia nelle ritmiche che nei tappeti sonici elettrici. Le canzoni di Between the Heart and the Synapse sono monumenti al post hardcore più solenne e magniloquente. 
 




4. Gospel - The Moon is a Dead World (2005)
Lo status da culto ristretto di cui hanno goduto i Gospel non ha impedito a quella che per molti anni è stata la loro unica testimonianza discografica - The Moon is a Dead World - di acquisire con il tempo un'aura mitologica. Nati dalle ceneri del gruppo screamo Helen of Troy, i Gospel mantennero la traiettoria di questo sottogenere dell’emo che ne esasperava la parte caotica e sperimentale soprattutto dal punto di vista vocale, adottando costantemente un registro scream. Dall’altra parte i Gospel operarono un salto rilevante sul versante strumentale spostando la veemenza del post hardcore verso le complesse coordinate del progressive rock, lasciando una traccia importante per aver apportato nuovi parametri al genere. Come già sperimentato dai The Mars Volta, i Gospel si erano impegnati a rendere cerebrale il punk hardcore, ma con caratteristiche ancora più accese ed estreme. I synth, l’organo e le tastiere di Jon Pastir, fusi assieme alla chitarra di Adam Dooling e con la sezione ritmica guidata dalla batteria indomabile di Vincent Roseboom e dal basso massiccio di Sean Miller, formavano un requiem sinfonico incessante, contrappuntato dalla vocalità screamo di Dooling, per arrivare ad un punto di saturazione di ogni aspetto. 





5. The Dear Hunter - Act II: The Meaning of, and All Things Regarding Ms. Leading (2007)
Come per i Coheed & Cambria i The Dear Hunter vengono generalmente associati all'emo soprattutto in virtù dei loro primi due album. Il leader Casey Crescenzo se ne allontanerà progressivamente per abbracciare un prog più barocco e teatrale, ma agli albori dei The Dear Hunter era ancora fresco di fuoriuscita dai The Receiving End of Sirens, motivo per cui Act I e II beneficiano ancora di quell'influenza. Questo album in particolare è un magnum opus di 77 minuti che spazia tra il prog hardcore dei The Mars Volta al musical da operetta dei Queen, dal rock orchestrale al pop di Tin Pan Alley e che tramuta una molteplice parata di generi tra soul, blues, americana, rock opera e le trasfigura in chiave prog rock. E proprio in continuità con questo genere ne rispecchia una visione grandiosa e imponente, generando uno dei concept album più incisivi del prog moderno. 






6. The Brave Litlle Abacus - Masked Dancers: Concern in So Many Things You Forget Where You Are (2009)
I The Brave Litlle Abacus, dopo gli American Football e Sunny Day Real Estate, sono forse i più influenti e citati alfieri dell'emo, avendo anticipato quasi involontariamente tutte le caratteristiche che hanno preso forma e abitudine nel genere dopo la quarta onda emo. Come gli American Football anche il loro catalogo è stato scoperto quando la band già non esisteva più e la sua importanza a livello ereditario non ha fatto che crescere nel tempo per ciò che riguarda l'importanza della sperimentazione. E' incredibile notare come nei Brave Little Abacus si possano rintracciare già tutti i prodromi musicali ricorrenti nel post emo in forma primordiale: il ricorso al lo-fi del bedroom pop e al chiptune contrapposti a strutture complesse con richiami math rock, l’uso distintivo di una strumentazione allargata con piano, fiati e percussioni programmate che concorrono ad architettare un hardcore barocco. Per i Brave Little Abacus l’esplorazione di nuove possibilità non si esauriva solo all’uso di strumenti eterogenei, ma anche nel dilatare i tempi di un brano in modo da accrescere il pathos delle variazioni offerte e così facendo anche del crescendo emotivo, come nell’avvio di I See It Too con quel suo indolente e reiterato riff iniziale. La musica cambia traghettata da un singolo accordo ad arpeggi con shredding e tapping alla chitarra acustica, da una sezione di fiati all’integrazione di tastiere atmosferiche. I The Brave Little Abacus non erano interessati all’edificazione in senso lato, ma piuttosto al continuo mutamento e con con i dieci minuti di Born Again So Many Times You Forget You Are si inventano la prima suite “midwest prog” della storia. Gli intricati arabeschi chitarristici e ritmici di Underground che rimettono continuamente in discussione lo svolgimento del pezzo in modo repentino e assolutamente disordinato fanno sembrare la band una versione avant-garde dell’emo, mentre gli oltre sette minuti di Untitled sembrano una mini odissea sonora per quel suo dischiudere una varietà di temi impressionante. Quando i brani si accorciano non sono da meno e il risultato finale è più vicino al prog sperimentale di quanto si pensi, ma purtroppo i The Brave Little Abacus erano troppo sconosciuti per attribuirgli l’invenzione di un nuovo sottogenere. 
   




7. The Felix Culpa - Sever Your Roots (2010)
Con Sever Your Roots i The Felix Culpa consegnano alla storia il capolavoro prog emocore definitivo, ignorato e dimenticato da tutti. Ogni cosa che lo riguarda assume i contorni di un'opera grandiosa, nella sua ora di durata le quattordici tracce che fanno parte del disco hanno modo di mettere in campo un ventaglio di espressioni che passano dalle dilatazioni del post rock, dalla convulsa articolazione del math rock fino alla quiete delle ballad struggenti. Il tutto viene condotto con improvvise svolte tematiche, leitmotiv che ritornano e si nascondono nel camaleontico scorrere da un brano all'altro con una consistenza sonora omogenea che non spezza mai la tensione. I The Felix Culpa conducono la dinamica dell'album come fosse un concept unitario, anche se a livello lirico si pone su interpretazioni aperte. Non è una rock opera punk ma ne ha alcune caratteristiche grazie all'aggiunta di piano e archi che ne arricchiscono la proporzione bombastica e quasi barocca. La tensione dinamica dei crescendo è condotta in modo magistrale, mentre l'aggressività non viene mai espressa in forma di rabbia cieca e veemente, ma si impone con visceralità, elementi che vanno a concorrere ad aumentare quel senso di experimental post hardcore da camera di un lavoro in cui l'emotività esecutiva è palpabile ad ogni secondo. 
 





8. Emery - You Were Never Alone (2015)
Nel caso degli Emery la tentazione di includere ...In Shallow Seas We Sail era forte, ma la scelta nel preferirgli You Were Never Alone è giustificata dal fatto che possiede dei tratti più accostabili a parametri prog. Questo la dice lunga sulla discografia degli Emery composta di album per lo più di  qualità eccellente. Nonostante ciò, difficilmente troverete il nome degli Emery citato in qualche lista emo o post hardcore, dato che lo stigma di "christian band" sembra avergli precluso qualsiasi considerazione da parte della critica. Raramente mi è capitato di scoprire un catalogo impeccabile come quello degli Emery e You Were Never Alone raggiunge forse l'apice della loro proposta. La tecnica di accostare le più limpide melodie emo pop con l'ausilio di ineccepibili armonie vocali e farle cozzare contro repentine svolte abrasive metalcore non ha eguali in altre band e in questo album il gruppo si concede il massimo della libertà e sperimentazione nell'oscillare tra i due umori in modo tecnicamente complesso ma accessibile. Thrash e la coda finale di What's Stopping You stanno lì a testimoniarlo dato che non potrebbero essere più estreme nella propria dicotomia. Mentre le vertiginose e imprevedibili progressioni di Salvatore Wryhta e Go Wrong Young Man rivaleggiano con la competenza dinamica ed esecutiva degli Ocenasize.





9. Adjy - The Idyll Opus (I-VI) (2021)
Gli Adjy mostrano il lato folk e chamber rock del midwest emo e The Idyll Opus (I-VI), al di là di essere un concept album in due parti, si sviluppa come un concerto per sei suite, con tanto di leitmotiv abbinati ai protagonisti della storia, nelle quali la band si destreggia come fosse un piccolo ensemble di musica neo folk americana con ampio uso di percussioni, fiati e banjo, eredi degli Anathallo quanto innovatori di un linguaggio progressive folk che parte dalle tradizioni musicali dei monti Appalachi, luoghi dove il disco è stato concepito. L'irruenza emo punk è presente nella gioiosità delle melodie che esplodono con gli stessi crescendo del post rock e le dilatazioni temporali dei brani ne cambiano di continuo la prospettiva durante il loro dipanarsi. Come gli Adjy attingono a piene mani dal folk, dal country, dal bluegrass, servendosi di quel genere musicale chiamato appunto “americana” per stigmatizzare stilemi che appartengono a quella tradizione, allo stesso modo li trasformano in qualcosa di trascendentale, trasfigurandoli attraverso la chiave moderna del chamber rock, delle dinamiche del midwest emo e della maestosità del progressive rock, in una tela intricata e ricca di timbri sonori.
   




10. The World Is a Beautiful Place & I Am No Longer Afraid to Die - Illusory Walls (2021)
Pionieri nel fondere le dinamiche dilatate del post rock con l'estetica math rock del midwest emo negli album Whenever, If Ever e Harmlessness, nel loro quarto lavoro Illusory Walls i TWIABP cercano di approdare ad un più alto livello sperimentazione e ambizione, bastassero come prova solo i lunghi trip stellari di Infinite Josh e Fewer Afraid per darne prova. Ma la band in più aggiunge una rilettura inedita dei tapping math rock nel momento in cui li accosta a sintetizzatori che creano spazi sonori che trasmettono inquietudine e a vortici metal oscuri e apocalittici.

 



11. Glass Beach - Plastic Death (2024)
Con il primo album nel 2019 i Glass Beach hanno creato un nuovo paradigma di emo quando, per la prima volta, si sono azzardati ad introdurre l'uso di accordi derivati dal jazz, assurde timbriche di tastiere a metà strada tra le colonne sonore per cartoni animati e il musical di Broadway, condite da un'estetica da bedroom pop figlia della comunità online, luogo virtuale dove la quinta onda ha proliferato. Plastic Death è ancora più complesso e ambizioso di The First Glass Beach Album. Quello della band è un gioco all’accumulo, stando però attenti a dosare bene gli ingredienti della musica moderna che si ciba principalmente di elettronica e avanguardia. E se in ambito rock questi due elementi si ricollegano quasi inevitabilmente ai Radiohead, complice la vocalità opaca e strascicata simile a Thom Yorke del leader J McClendon, i Glass Beach mantengono uno stralunato approccio per dare la sensazione di un costante senso di “weirdness” all’interno della musica, come una versione futurista del dadaismo patafisico dei Soft Machine di Volume 2. Questo lo si nota tanto nell’eccentrico patchwork di acquerelli swing pop di motions, guitar song, rare animal e cul-de-sac, quanto nei puzzle camaleontici e cervellotici di slip under the door, the CIA e commatose

 



12. Topiary Creatures - The Metaphysical Tech Support Hotline (2024)
Come si fa ad inventare un sound riconoscibile e peculiare nel 2024, quando tutte le strade musicali sembrano essere state battute? The Metaphysical Tech Support Hotline ci riesce partendo da un'idea massimalista del punk, basata sull'accumulo non solo architettonico ma anche stilistico. Il terzo album dei Topiary Creatures è una summa delle varie forme che ha assunto l'emo nelle sue cinque ondate ed in più le rilegge a proprio modo. Il prog è trasfigurato da synth ipercinetici che sembrano provenire da soundtracks per video games, la potenza del power pop si scontra con squarci metal e le ballate acustiche si fregiano di intarsi chitarristici math rock e midwest emo. La produzione viene ammantata da un'aura bedroom pop solo all'apparenza, dato che per contrasto l'accumulo di strumenti e sfumature timbriche suggerisce un lavoro di architettura sonora mastodontico. The Metaphysical Tech Support Hotline si espande in tante direzioni contemporaneamente ma non suona come niente là fuori, è davvero difficile trovare un termine di paragone. Una delle cose che non mi spiego è perché i Topiary Creatures, appartenendo a buon diritto alla quinta onda emo, non siano riusciti a beneficiare di quell'hype online che ha origine in siti come RateYourMusic o social come Discord e Reddit che da qualche anno si sono rivelati di grande aiuto per far emergere dall'anonimato i nomi di Parannoul e Glass Beach. Di sicuro sono il nome più rilevante che il genere ha da offrire ultimamente.

lunedì 7 febbraio 2022

The Velvet Teen - The Great Beast February / Immortality - 20th Anniversary (2022)


Nel 2001, quando ancora erano ai loro esordi, i The Velvet Teen pubblicarono i due EP autoprodotti The Great Beast February e Immortality, i quali seguivano di poco l'EP d'esordio Comasynthesis pubblicato l'anno prima. In occasione del loro ventesimo anniversario i due EP sono stati raccolti per la prima volta in unico vinile. Un'occasione per riscoprire soprattutto Immortality, in origine pubblicato come vinile 7 pollici, che finora non era mai stato ristampato e l'unico modo per procurarsi le tracce in esso contenute era tramite la rara compilation giapponese Secrets Safe, A Buried Box del 2004. Per The Great Beast February invece è la sua prima volta in vinile e, a differenza di Immortality, nel tempo è stato più semplice da trovare, in quanto era stato inserito insieme a Comasynthesis nella raccolta Plus Minus Equals sempre del 2001.

martedì 26 maggio 2020

The Velvet Teen - il nuovo singolo "Mean Mind" e un album in lavorazione


La storia che segue è il seguito di una notizia di due anni fa, quando i The Velvet Teen realizzarono un singolo inedito - Parallel Universes - che in realtà era già stato pubblicato in precedenza esclusivamente in Giappone in formato 7". Il lato B di quel vinile conteneva un altro inedito dal titolo Mean Mind che vede la luce in formato digitale solo ora e che, come Parallel Universes, non farà parte del nuovo album a cui il gruppo sta lavorando. La notizia che infatti accompagna l'uscita di Mean Mind è quella che i The Velvet Teen, reduci da poco da un tour con i Caspian, stanno dando gli ultimi tocchi a quello che sarà il successore di All is Illusory ormai risalente al 2015, e che i tre sperano di completare entro la fine dell'anno. Ma conoscendo i tempi dilatati del gruppo non stupisce che si stiano dilungando più del dovuto nella produzione di un nuovo lavoro.




martedì 24 luglio 2018

The Velvet Teen - Parallel Universes (single, 2018)


Fin da dopo l'uscita di All is Illusory (2015) ci si era chiesti se i The Velvet Teen a quel punto avrebbero continuato la loro avventura musicale a stretto giro oppure se si sarebbero fermati ancora per altri nove anni prima di produrre un nuovo album. Poi una parziale risposta è arrivata lo scorso settembre quando, in un breve tour autunnale giapponese, la band per l'occasione aveva messo in vendita esclusiva per quel Paese un 7" con due inediti dal titolo Parallel Universes e Mean Mind che facevano presagire una imminente nuova attività. Come sempre, senza alcuna fretta, i The Velvet Teen ci hanno fatto attendere quasi un altro anno per arrivare alla pubblicazione ufficiale (al di fuori dei confini giapponesi) del singolo Parallel Universes che anticipa sicuramente qualcosa di ben più consistente (ancora non è dato sapere se sarà un EP o un full length poiché credo di essere il primo nel Globo a scrivere di questa cosa).

Per il resto Parallel Universes ci mostra una band che non ha smesso di integrare nel proprio indie rock elementi di elettronica e dream pop, influssi contemporanei che al momento vanno per la maggiore, ma sono influenze delle quali i The Velvet Teen furono pionieri anche intransigenti e radicali attraverso l'esoterico glitch pop di quel capolavoro sottovalutato che fu Cum Laude! (2006). Famosi per aver cambiato direzione stilistica ad ogni nuova uscita, i tre di Santa Rosa sembrano inclini a continuare sulla strada di All is Illusory anche se pare prematuro affermarlo, quello che è certo è che ogni loro sortita corrisponde ad un evento.

the Velvet Teen / Parallel Universes from Brady Baltezore on Vimeo.

http://thevelvetteen.com/

lunedì 29 giugno 2015

THE VELVET TEEN - All is Illusory (2015)


Parlando e conoscendo la carriera dei The Velvet Teen, la maggior curiosità all'annuncio del nuovo album All is Illusory è stata chiedersi quale direzione musicale avrebbe intrapreso questa volta il gruppo. Sì, perché nella parca discografia del trio di Santa Rosa (capoluogo della contea californiana di Sonoma) ogni album ha segnato una netta trasformazione che ha cambiato pelle al loro originale indie rock, arrivando a stupire per la distanza artistica che ha caratterizzato i tre lavori, ancora di più per il fatto di aver sempre mantenuto un alto profilo qualitativo. Un percorso artistico più unico che raro quello dei The Velvet Teen, che ha fatto propria la filosofia del non ripetersi anche a rischio di diventare una band da culto elitario, cosa che è puntualmente accaduta. (Se volete saperne di più su di loro qui trovate una mia retrospettiva).

A parte l'EP di quattro tracce No Star uscito nel 2011, che è servito più che altro a ricordarci che erano ancora vivi e vegeti, i The Velvet Teen non si ripresentavano al pubblico con un full length album dal lontano 2006 e quindi, alla domanda quasi obbligata su quale sarebbe stata la strada imboccata dai tre musicisti, il frontman Judah Nagler ha risposto che All is Illusory avrebbe attinto da tutti gli aspetti ed elementi che nel tempo hanno attraversato il loro percorso stilistico. È andata a finire che le parole di Nagler dicevano il vero, ma c'è di più: All is Illusory non si limita a ripercorrere e rivisitare i vari stili nei quali si sono coraggiosamente cimentati i The Velvet Teen, ma ci aggiunge qualcosa di inedito: li sviluppa, li aggiorna e li potenzia. Ed è proprio questa varietà che, invece di rivestire un punto debole per l'opera, ci mostra una band in stato di grazia che porta All is Illusory a rivaleggiare qualitativamente con quel magnifico capolavoro che fu Elysium.

Ogni canzone dell'album si differenzia da quella che segue, come un mix eterogeneo e caleidoscopico, unito però dalla singolarità con la quale i The Velvet Teen hanno affrontato tutto il proprio catalogo. C'è l'amore mai sopito per l'indie rock d'autore simil-Radiohead di Out of the Fierce Parade, c'è la passione per l'epica emo rivistata in chiave romantica di Elysium e c'è, infine, la gioia iconoclasta dell'electropop-prog che pervadeva Cum Laude!. Tra suoni di harpsichord che sembrano uscire da un giradischi difettoso (Sonreo), perfette e fulminanti cavalcate power pop (Eclipses), delicate ballate condite di spezie di synth e vocoder (The Manifest), ipnotiche escursioni in territori da indie rock sperimentale (Pecos), la prima metà di All is Illusory scorre via come un'altalena di emozioni tra euforia e sentimentalismo.



Le peculiarità che imprimono carattere alla musica dei The Velvet Teen sono rintracciabili in vari fattori. Tra le prime troviamo la batteria irrefrenabile di Casey Deitz che imprime il proprio marchio eslposivo e sincopato su tutto il disco e particolarmente nel rock scoppiettante di You Were the First. Poi come non citare la stupenda voce di Nagler che con raccoglimento quasi religioso interpreta la title-track accompagnato solo dal pianoforte, oppure dona spessore all'oceano di riverberi di The Giving In. Infine quella prerogativa di rendere tutto imprevedibile, non risultando scontati neanche quando si tratta di tornare nei binari dell'indie rock con Gtra e con la solennità struggente The Veil Between, che segna un'altra prova da maestro per Nagler.

Nella sua varietà la band ha sempre rifuggito le catalogazioni ben determinate, preferendo posizionarsi in una linea sfumata a cavallo tra i generi ma, se All is Illusory è destinata ad essere la loro opera più sfuggente stilisticamente, è anche quella che consolida con maggior affermazione un fiero richiamo all'emocore progressivo dei Sunny Day Real Estate attraverso Church or State e l'introspettiva marea crescente di undici minuti Taken Over. Un album il cui eclettismo è pari solo alla sua brillantezza, speriamo solo che i The Velvet Teen non aspettino altri nove anni per farci dono delle loro perle in musica.

www.thevelvetteen.com

martedì 24 marzo 2015

"All is Illusory" - Il ritorno dei The Velvet Teen


Tra i tanti gruppi di cui ho parlato su altprogcore ne manca uno importantissimo all’appello e non perché mi fossi scordato di loro, ma perché, da quando questo blog è nato, non hanno mai pubblicato niente a parte l’EP di quattro tracce No Star nel 2010. Il gruppo in questione si chiama The Velevet Teen e il loro ultimo album in studio, Cum Laude!, risale addirittura al 2006. Questo lungo silenzio sarà finalmente interrotto il 30 giugno quando verrà pubblicato All is Illusory, quarto album in studio del gruppo, via Topshelf Records. Colgo quindi l’occasione di anticipare tale uscita con un doveroso articolo poiché, nella esigua discografia dei The Velvet Teen, fa parte anche quello che personalmente ritengo uno dei capolavori del passato decennio e cioè Elysium (che poi è il soggetto di questo articolo).

La principale curiosità che mi fa attendere All is Illusiory con trepidazione è che i The Velevet Teen sono da sempre una creatura anomala nel panorama musicale, dato che, non solo gli album da loro prodotti risultano uno diverso dall’altro, ma in ognuno di essi hanno sempre cercato di perseguire soluzioni originali con l'intento di non suonare come una banale e prevedibile indie rock band. Questa schizofrenia stilistica ha in pratica relegato i The Velvet Teen ad uno status di popolarità quasi di nicchia se vogliamo, ma comunque molto amati e rispettati da chi li conosce.

Le origini dei The Velvet Teen risalgono al 1999, quando il nome (una storpiatura ispirata al libro per bambini The Velveteen Rabbit) fu usato dal solo Judah Nagler per un breve tour in Islanda. Dopo l’incontro con il batterista Logan Whitehurst, i due registrano l’EP Comasynthesis per poi stabilizzarsi come trio con l’ingresso del bassista Josh Staples e la realizzazione di un altro EP dal titolo The Great Beast February (entrambi gli EP poi raccolti su Plus, Minus, Equals). L’esordio vero e proprio avvenne nel 2002 con Out of the Fierce Parade (co-prodotto da Christopher Walla dei Death Cab for Cutie), un onestissimo album di indie-emo rock che tentava di andare oltre i soliti cliché, anche grazie ad un certo intellettualismo stilistico di fondo che non si limitava alle citazioni letterarie di Henry Miller e C. S. Lewis, ma si ispirava un po’ ingenuamente anche ai Radiohead, somiglianza amplificata dai falsetti di Nagler (Red, Like Roses, Into the Open).

 

Quando nel 2004 Elysium fu pubblicato, i The Velevet Teen potevano contare, quindi, su una carriera già ben avviata che li aveva fatti inquadrare dalla critica statunitense come una nuova promessa indie rock: praticamente un confortevole e sicuro angolo musicale nel quale crescere e magari, con il tempo, avere successo. Nessuno, al contrario, si sarebbe aspettato che con il secondo lavoro il trio californiano avrebbe scombinato le carte in tavola con un incredibile salto di maturità. Il totale cambio di prospettiva sonora, indirizzato sulla ricerca e sulla sperimentazione nell’ambito di un baroque pop orchestrale quasi progressive, si poneva sullo stesso piano delle scelte compiute da un gruppo come Talk Talk e, in seguito, anche dai These New Puritans.

Il mutamento radicale operato dai The Velvet Teen su Elysium faceva in modo che la sua materia rimanesse nell’ambito pop, ma che difficilmente avrebbe scalato le classifiche. La decisione di non utilizzare chitarre e affidare il ruolo di strumento protagonista al pianoforte con l’aggiunta dell’orchestra, i cui interventi non risultano mai eccessivi o barocchi, generò degli arrangiamenti delicati dove ogni traccia era un piccolo mondo in cui perdersi. I refrain di pianoforte e gli archi di Poor Celine e Forlorn avevano qualcosa di irresistibile, eppure erano lontani dal pop inteso nel senso classico del termine. Le canzoni non avevano strutture ortodosse, preferendo collegare tra loro delle progressioni armoniche che si sviluppavano in crescendo emotivi. Con tali premesse Penicillin (It Doesn’t Mean Much) e A Captive Audience annegavano la malinconia in un vortice intimistico di sensazioni che penetravano sottopelle, dove la voce espressiva di Judah Nagler, spaccata tra un crooner di night club e un Jeff Buckley depresso, dava il suo meglio nei dettagli.

Il centro dell’album era occupato dall’epico tour de force da 13 minuti di Chimera Obscurant che, dopo poche strofe accompagnate da accordi di piano con una ritmica jazz, si trasformava in un logorroico sfogo musicale nel corso del quale Nagler si esibiva, senza prendere fiato, in una sorta di testo-Weltanschauung di oltre 1000 parole che racchiudeva di tutto: dalla critica al capitalismo e alla religione organizzata, fino alla biologia cellulare, alle cospirazioni governative e alla geometria sacra biblica. Un monumento lirico/musicale di uno sforzo notevole. Infine, c’è da aggiungere che Elysium, pur non essendo un concept, fa comunque i conti con il tema portante della separazione sentimentale, non solo nei confronti di una persona, ma verso ogni tipo di cosa. Nonostante tali caratteristiche, l'estetica di Elysium non è riconducibile ad un lavoro eccessivamente sdolcinato o che si crogiola nell’autocommiserazione. Quello di Elysium era un mondo calmo, rallentato e notturno il cui valore cristallino difficilmente veniva sviscerato al primo ascolto, come le canzoni che vi sono contenute, esso è un album che cresce e si fa strada poco a poco. In me l’amore per quest’opera scattò in modo istantaneo, cogliendo immediatamente un fascino singolare nelle sue musiche. E anche per questa affinità personale lo ritengo uno dei miei album preferiti, uno di quelli che vorresti suonassero in loop nella tua vita ininterrottamente 24 ore su 24.



Dopo la folgorazione di Elysium sarebbe stato possibile superare qualitativamente tale capolavoro? Forse i The Velevet Teen non se lo posero neanche questo problema e, come se nulla fosse, due anni dopo, con il terzo album Cum Laude!, sterzarono su una via stilistica diametralmente opposta a quell'opera, ancora una volta cambiando pelle musicale e attitudine, dimostrando coraggio e versatilità. Tanto era crepuscolare e meditabondo Elysium, tanto solare e spensierato risultava Cum Laude!. Tanto era acustico e pianistico Elysium, tanto Cum Laude! era elettrico e con un ritorno prepotente verso la chitarra, anche se le sue peculiarità erano ben altre.

L'album sembrava voler proseguire la sperimentazione di glitch music, introdotta fugacemente su Elysium nella strumentale Sartre Ringo, con effetti e risultati ancora una volta lungimiranti che hanno precorso il riflusso della moda della musica 8 bit (o chiptune) in voga in questi ultimi anni. Non che Cum Laude! suonasse cacofonico e privo di melodia, tutt'altro, ma conteneva canzoni pop rock rivestite di electro noise con in più la scelta radicale di camuffare e sfregiare la bella voce di Nagler con abbondante uso di vocoder. Sepolti sotto gli strati di rumori giacevano motivi irresistibili come Noi Boi, Spin the Wink, Gyzmkid, incorniciati dal rutilante e frenetico drumming del nuovo batterista Casey Deitz, che dovette sostituire temporaneamente Whitehurst al quale era stato diagnosticato un tumore al cervello. Dopo la morte di Whitehurst, avvenuta nel dicembre 2006, Deitz prese definitivamente il suo posto e il gruppo decise di continuare. Come accennato, però, fino ad oggi a livello discografico i The Velevet Teen sono rimasti quasi del tutto inattivi, quindi l'uscita di All is Illusory possiede tanto i connotati dell'evento.






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