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domenica 22 maggio 2022

Notes from the Edge of the Week


Questa vuol essere un nuovo tipo di rubrica non continuativa, come lo è quella delle scoperte del mese, ma una specie di esperimento per ora. In pratica l'idea è di raccogliere pensieri su album usciti in settimana o ascoltati di recente che 1) o non ho avuto tempo di recensire 2) o non mi hanno stimolato abbastanza per scriverne nel dettaglio, ma che comunque ho voglia di condividere perché meritano la vostra attenzione. (Il titolo della rubrica si ispira alla fan page degli Yes).

  • Dopo una campagna Kickstarter per finanziare il nuovo album, ritroviamo i The Family Crest a quattro anni di distanza dal primo capitolo con The War: Act II. Diciamo che per un gruppo indipendente non è sicuramente una passeggiata racimolare un budget adeguato per una concezione musicale a grande respiro come quella dei The Family Crest. Infatti si tratta di un pop barocco orchestrale con grandi potenzialità commerciali, per la sua accessibilità e la sua componente romantica ad alto tasso di melodia. Forse a lungo andare è proprio tale aspetto a rendere il tutto un po' troppo sdolcinato e stucchevole, ma di positivo c'è che in qualche passaggio è presente quel gusto di alternative prog sinfonico abbracciato anche dai The Dear Hunter. 

  • Se da molte parti sto leggendo che Raw Data Feel è diventato all'improvviso il miglior album degli Everything Everything, superando in eccellenza Get to Heaven, ovvero quello che finora era ritenuto il lavoro più solido del gruppo, vuol dire che ho dei seri problemi a connettermi con la percezione imperante, dato che non ritengo entrambi lontanamente paragonabili all'eccellenza di Man Alive. Va dato atto agli EE di aver portato con Raw Data Feel il synthpop, ma pure la dancepop vista la direzione radicale, in territori inusuali per il genere. Ma tutto si risolve in un art pop che perde di vista il gusto decostruttivo del math rock, con ritornelli talvolta troppo ripetitivi, che si usurano dopo qualche ascolto, e in una predominanza di una straripante elettronica che soffoca il talento dei quattro strumentisti, come l'insistere sui drum beat programmati invece che utilizzare le doti di un batterista sopraffino come Micheal Spearman.

  • I FES sono già stati presentati in passato in questo blog, ma ora è arrivato per loro l'importante momento dell'esordio con With Regards Form Home. Il trio, guidato dalla cantante/chitarrista Pollyanna Holland-Wing, firma un album math pop di tutto rispetto, gradevole e scorrevole da ascoltare, con molti punti in comune con gli altri gruppi della "math rock wave" inglese come Orchards, Sketchshow, Signals.

  • Ho iniziato ad apprezzare i Moon Tooth con il precedente Crux e, per quante lodi stia accumulando il nuovo Phototroph, non mi ha coinvolto in modo altrettanto efficace. Certo, è sempre una potente collezione di pezzi granitici, ma questa volta mi pare tutto molto più diretto verso un metal pirotecnico dall'immediatezza quasi pop, che ha perso quella sottile componente prog. In questo ci sono sicuramente brani di spessore che si ricordano più di altri, come I Revere, Alpha Howl o Nymphaeceae, ma non tutto è solido come l'opera precedente.

domenica 31 marzo 2019

Moon Tooth - Crux (2019)


Avvertenza: qualsiasi genere ascoltiate con piacere o disprezziate con disgusto non ha importanza, perché il nuovo album dei Moon Tooth Crux non ha un genere: non è metal, non è prog, non è alternative rock, ma è solo un grande, ciccione, gigantesco flusso di energia scagliato a velocità luce nelle orecchie dalle casse dei vostri auricolari. Difficile, anche se non del tutto imprevedibile, aspettarsi un assalto di tale portata dopo tre anni di distanza da un lavoro già saturo come Chromaparagon. La differenza è che questa volta Crux, dall'inizio alla fine, non presenta un attimo di pausa né uno di cedimento, cantato e suonato con una potenza inaudita, come se questa fosse l'ultima prova in studio del gruppo prima dell'apocalisse.

A partire da Trust i Moon Tooth ci sparano in faccia tonnellate di distorsioni (a cura della chitarra di Nick Lee), tamburi che ruotano e battono intensificati dai bassi (grazie alla sezione ritmica composta da Ray Marté e Vincent Romanelli) con la stessa pesantezza di solidi macigni ai quali si aggiunge la voce passionale e selvaggia di John Carbone. Quindi, come dicevamo, la cosa più plausibile da fare è non associare Crux a canoni ben definiti che lo possano incasellare in preciso movimento, il fatto di essere così diretto, affilato e monolitico ne fa prima di tutto un'evoluzione di puro rock n' roll per il XXI secolo. Poi, se si somma anche il suo districarsi tra venature venature blues, stoner e hard rock, abbiamo un quadro completo della versatilità di questo siluro lanciato alla massima potenza tra le sponde del prog metal.

Se siete in dubbio sulla destrezza dinamica del gruppo ascoltatevi subito la title-track che partendo con un incipit da ballad va ad intensificarsi fino a degenerare in un doom thrash violento come un tifone. Oppure i differenti registri assunti da Motionless in Sky tra un chorus che sfiora l'AOR, intermezzi math rock, l'infusa drammaticità del southern rock e un lancinante assolo finale di Lee. E ancora Musketeers che è un po' la summa di tutta la potenza di fuoco di cui è capace la band. Mai come in questo caso si potrebbe adattare il terribile termine "bombastico" ad un album, perché oltre a godere di una produzione che risalta l'incredibile energia trasmessa in ogni brano, Crux è anche una lezione di tecnica al servizio dell'intensità, così viscerale e primitiva che è impossibile non rimanerne contagiati.