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venerdì 5 ottobre 2018

Black Peaks - All That Divides (2018)


Boh, io proprio non capisco. Non che mi aspettassi chissà che cosa, ma il secondo sforzo discografico dei Black Peaks, come si poteva intuire dai primi singoli, non è altro che un proseguo senza quasi nessuna novità da aggiungere che calca le stesse orme di Statues. Non starò qua a riproporvi un riassunto della loro storia (che potete andare a leggervi qui), ma se All That Divides pare ormai essere una conferma della strada che i Black Peaks vogliono intraprendere, possiamo affermare che avevano da offrire molto di più quando si facevano chiamare Shrine.

La loro sorte ricorda da vicino quella dei FOES, un'altra band che si presentò agli esordi con un EP strepitoso (Ophir), il quale faceva intravedere possibilità di sviluppi originali ed eccitanti poi, al contrario, arrivati alla prova del primo album si sono persi in una versione stereotipata di loro stessi: troppo conformati ad un'idea di post hardcore patinata e da catena di montaggio, facendo quasi scomparire la componente sperimentale e progressiva, assorbita da un compromesso simile al riflesso condizionato per la consapevolezza di poter raggiungere un pubblico più vasto, ma sempre con il rischio paradossale di porsi in una via di mezzo che non accontenta pienamente nessuno.

Come Statues, All That Divides contiene alcuni spiragli d'interesse nei brani Aether e Electric Fires, ma nel contesto generale la band pare quasi scrivere con pattern preconfezionati come fossero decisioni prese a tavolino: "allora, nel ritornello ci mettiamo sempre quel tipo di ritmica, nella strofa usiamo sempre il solito tono di chitarra con l'arpeggio melodrammatico e così via..." tanto che ogni cambio e ogni dinamica appaiono addirittura prevedibili. Forse questo album potrà piacere a chi sente la nostalgia dei primi Arcane Roots, ai fan dei Muse e le recensioni positive potranno anche arrivare, ma alla fine, nella massa di proposte del post hardcore, in quanti saranno a ricordarsi dei Black Peaks?

mercoledì 6 aprile 2016

BLACK PEAKS - Statues (2016)


L'evoluzione e la storia dei Black Peaks è come un piccolo bignami di come una band possa passare in poco tempo dal quasi anonimato di culto al nuovo nome caldo da tenere d'occhio. Infatti, nonostante il quartetto di Brighton sia al primo album, ha già alle spalle una storia ben delineata che lo differenzia sostanzialmente da molti altri gruppi che, come loro, pubblicano musica su Bandcamp e si fanno il culo nei concerti in piccoli club. Sarà per le giuste conoscenze o per un'otttima strategia di mercato, comunque Joe Gosney (chitarra), Liam Kearley (batteria), Andrew Gosden (basso) e Will Gardner (voce), dopo aver pubblicato nel 2014 un fantastico EP di tre tracce sotto la sigla Shrine, di lì a poco hanno cambiato nome in Black Peaks (poiché avevano scoperto che quello vecchio era fin troppo abusato), tirato fuori un paio di singoli inediti che prontamente hanno avuto molteplici passaggi su BBC Radio 1 e lodi da dj del calibro di Zane Lowe e Daniel P. Carter e ci è scappato pure un contratto con la Sony che adesso pubblica Statues tramite la consociata Easy Life Records.

Nel frattempo, il materiale a nome Shrine presente nelle piattaforme di streaming musicale è stato prontamente cancellato, come a segnare un nuovo inizio, ma se non ci fosse stato l'EP Closer to the Sun non credo avrei guardato ai Black Peaks con lo stesso interesse. Un po' perché i singoli Glass Built Castles e Crooks non avevano la stessa potenza di Saviour e Say You Will (due pezzi compresi nell'EP e che in questa sede sono stati leggemente ritoccati a livello di sound), un po' perché Will Gardner (che pure ha una grandissima voce) eccede talvolta negli scream da me personalmente non molto tollerati. Lasciando da parte i gusti personali, però, c'è da dire che Statues mantiene un grado tale di componenete prog e di abrasività hardcore che è impossibile non annoverarlo tra le più importanti uscite dell'anno, anche se non è esente da contradizioni interne.





L'album parte a palla con l'assalto di Glass Built Castles, il brano che tratteggia le peculiarità comuni anche agli altri singoli (Crooks, Set in Stone, White Eyes), che la band ha lentamente svelato mano a mano che la data di uscita si avvicinava, e cioè un'inclinazione al chorus da arena rock con implicazioni epic metal, ma comunque con una melodia che si ricorda - una formula simile agli ultimi Biffy Clyro - intervallati da arpeggi e riff hard con la medesima intensità stoner prog dei Mastodon, i quali riecheggiano nel potente tour de force Hang Em High. Ma in queste prolungate reiterazioni corrosive che si replicano su Drones ci si dimentica troppo spesso della bellezza dell'imprevisto, della virata improvvisa che spiazza l'ascolatatore e si procede a risaltare la materia hard tout court. Ecco allora che Statues si trasforma più in un ritratto di un post hardcore emancipato, come testimonia la stima e la partecipazione su To Take the First Turn da parte di Jamie Lenman (ex frontman degli ormai dimenticati Reuben), che non in un prog-core capace di osare, imparentato alla lontana con gli Oceansize, una tra le band a cui il gruppo si ispira.

La perla prog hardcore di tutto il lavoro rimane quindi la già nota Saviour che, nel suo alternare epiche cadenze a trame dinamiche in continua evoluzione culminante negli intricati fraseggi chitarristici dell'esplosivo finale, non trova un altro brano all'interno di Statues che possa reggerne lo stesso livello d'intensità, a parte forse la calma apparente allestita da Say You Will che, guarda caso, si trovava anch'essa nell'EP già citato (del quale ormai potevano recuperare anche la validissima title-track Closer to the Sun). Insomma, la sensazione è che con Statues i Black Peaks non abbiano voluto esporsi al rischio di risultare troppo cervellotici e abbiano imbrigliato parzialmente quella libertà che traspariva quando si chiamavano Shrine. Ad ogni modo, i protagonisti sono grandiosi nel portare l'esecuzione ad un livello di sfida permanente: Gardner passa in un secondo da violente urla a passaggi ariosi alla Jeff Buckley, dando prova di una duplicità vocale schizofrenica e versatile, Gosney, da solo, cuce assieme furiosi riff e arpeggi da ballad senza abbassare il pathos drammatico di una tacca e il motore propulsivo del duo Kearley-Gosden raggiunge alti stati di frenesia ritmica.

lunedì 9 novembre 2015

I Black Peaks presentano "Statues", il primo album confermato per il 2016

 
Nel luglio del 2014 presentai un EP della band Shrine dal titolo Closer to the Sun. Qualche tempo dopo il gruppo cambiò nome in Black Peaks e quest'anno ha presentato due nuovi singoli Glass Built Castles e Crooks. A parte questo, non vi è più traccia nel web del vecchio materiale poiché i Black Peaks, annunciando l'uscita del loro primo album per il 26 febbraio dal titolo Statues, probabilmente vogliono vedere questa cosa come un nuovo inizio.

All'interno di Statues, che è stato mixato nientemeno che da Alex Newport, ci saranno anche due dei tre pezzi tratti dell'EP già citato, uno dei quali, Saviour, è stato appena lanciato come nuovo singolo. Influenzati da Oceansize, Mastodon e The Mars Volta (si legga questa bella intervista), nella loro ascesa i quattro di Brighton sono stati aiutati da due dj influenti come Zane Lowe e Daniel P. Carter che hanno lanciato con entusiasmo i due singoli appena menzionati dalle antenne radio della BBC, elogiando il gruppo come una delle migliori scoperte del 2015. E noi non possiamo che concordare.





Tracklist:
1. Glass Built Castles
2. Crooks
3. Say You Will
4. Hang ‘Em High
5. Set In Stone
6. Saviour
7. Statues Of Shame
8. Drones
9. White Eyes
10. To Take The First Turn

martedì 27 gennaio 2015

I nuovi singoli di Black Peaks e F.O.E.S - "Glass Built Castles" e "Rival Thrones"

 
Due dei migliori gruppi scoperti da Altprogcore nell'anno appena passato sono stati i Black Peaks (ex Shrine) e i F.O.E.S. I loro due EP continuano ad essere in costante rotazione nella mia personale playlist e, per certi versi, le due band continuano ad avere delle vite artistiche parallele, oltre che uno stile musicale affine che unisce elementi di hardcore, prog e metal. A distanza di pochi giorni, infatti, entrambe le band hanno rilasciato un singolo a testa che sarà il preludio ad un album per i Black Peaks e ad un secondo EP, dal titolo Antecedence, per i F.O.E.S. A tutt'ora non ci sono date di uscita ufficiali, soprattutto per i Black Peaks che hanno dichiarato - nella trasmissione radiofonica del celebre dj inglese Zane Lowe (che, insieme al collega Daniel P. Carter, ha osannato il gruppo) - di stare ultimando in studio alcuni pezzi.





venerdì 11 luglio 2014

Altprogcore July discoveries


Questo EP di tre tracce, esordio del quartetto di Brighton denominato Shrine, è un biglietto da visita di tutto rispetto che include molte cose che ci piacciono: rock duro, elaborato, multiforme e imprevedibile, un po' post hardcore, un po' progressive rock alla maniera degli Oceansize. Closer to the Sun ha già incontrato i favori della stampa di settore inglese e gli Shrine sono sicuramente da tenere d'occhio.



Il collettivo musicale Prismatic Mantis, guidato da Mark Reynolds offre un ascolto stimolante di fusion contaminata pesantemente da elettronica per una visione futurista e senza confini. In Swords of Truth i Prismatic Mantis usano ogni traccia come un contenitore di molteplici spezie musicali. Ci si può imbattere in influenze psichedeliche e post jazz tra Ozric Tentacles, Flying Lotus, Thundercat, Jaga Jazzist e Father Figure.




Still + Storm è un progetto di Dave Raymond (Damiera, Hidden Hospitals) e Rachel Raymond che lascia da parte il math rock in cui è solito cimentarsi Dave per dare spazio a delicate canzoni di dream pop elettronico dominate da malinconia, droni di basso e tempi rallentati. Molto suggestivo.




Questa non è proprio un nuova scoperta in quanto credo conoscerete il math prog strumentale e molto tecnico degli Scale the Summit. Il loro chitarrista, Chris Letchford, se ne uscira il 15 luglio con un album solista che sembra propendere verso una fusion in stile Pat Metheny. Ma non è finita qui, in quanto, tra gli ospiti dell'album, figurano il batterista Steven Padin e il tastierista Danny Pizarro entrambi dei The Reign of Kindo. Garanzia di qualità.




E, se vi piacciono gli Scale the Summit, potreste apprezzare anche il math rock del giovane quertetto Vasudeva. Life in Cycles è il loro primo album, dopo un buon EP, che conferma le ottime doti esecutive e compositive del gruppo. Grazie al costante tapping di chitarra (che ormai è divenuto un marchio di fabbrica per il genere) e i ricami psichedelici che ne conseguono, a me ricordano una versione strumentale dei Six Gallery e quindi la cosa è sicuramente positiva, con in più un tocco di new age virata in post rock.