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venerdì 26 maggio 2023

The Intersphere - Wanderer (2023)


In ambito alternative rock esistono band che tecnicamente si elevano sopra la media, pur non dedicandosi apertamente a composizioni articolate e complesse. La loro capacità si continua a percepire nel modo in cui arrangiano un pezzo e nel modo in cui lo eseguono, inserendo durante il suo percorso trucchi e abbellimenti strumentali che lo valorizzano e lo fanno risaltare ancora di più. Talvolta succede che alcuni di questi gruppi si pieghino troppo a regole commerciali e finiscano poi per soffocare tali espedienti in favore di una scrittura piatta e prevedibile. Gli Intersphere appartengono invece a uno di quei rari casi in cui la freschezza riesce a perdurare, anche nei brani che all'apparenza possono risultare meno interessanti.

Questo per dire che nel loro ultimo album Wanderer si possono trovare episodi che non reggono il confronto con la scrittura ispirata e ad alto tasso emozionale dei singoli micidiali che lo hanno preceduto, come la title-track o Down, ma gli Intersphere mantengono costantemente interessante e divertente il livello dell'attitudine con la quale affrontano l'esecuzione. Preservando l'energia che gli è propria, il quartetto tedesco si cimenta nella nuova prova con una parabola simile a quella dei Biffy Clyro, aprendosi a traiettorie più semplici, dirette e commerciali, sia che si tratti di riff contaminati di groove elettronici con Bulletproof o più ballabili come Who Likes to Deal with Death?, sia che si arrivi all'impostazione quasi hip hop/nu metal nella spiazzante e rabbiosa Heads Will Roll, atmosfera che poi si replica come un macigno nella industriale A La Carte.

Il loro stile rimane qui più che mai ancorato a pezzi dalla struttura formale convenzionale e una propensione ad annettere elementi pop e metal maggiormente spiccata, ma in passato più di una volta sono stati accostati al progressive rock. Un motivo ci sarà e su Wanderer lo si può ancora rintracciare, per come vengono organizzate le scelte dinamiche, mai scontate, e come sono architettati i suoni all'interno di una produzione al solito di gran respiro. Treasure Chest, per il suo equilibrio nell'edificare un'atmosfera allo stesso tempo rock ed eterea, è uno degli esempi migliori per cogliere la grande abilità del gruppo nel dosare i giusti elementi ed ingredienti strumentali.

All'interno di Wanderer ci sono brani che non aggiungono molto alla carriera degli Intersphere, come Always on the Run e Corrupter, mentre la ballad Under Water non ha la stessa potenza memorabile che la band sa infondere abitualmente alla traccia di chiusura di ogni loro album. Nonostante questa virata verso parametri più concisi e meno elaborati (in direzione opposta rispetto al precedente The Grand Delusion), Wanderer non manca di valorizzare la scrittura che rende riconoscibile il sound degli Intersphere e diventa per questo un ascolto che, si spera, abbia le potenzialità di portare la band ad avere un riscontro di pubblico più ampio.

venerdì 11 giugno 2021

The Intersphere - Ritorno alle origini con S​.​o​.​b​.​p.

Quindici anni fa i The Intersphere facevano il loro debutto discografico con S​.​o​.​b​.​p., anche se per qualche tempo il primo album del gruppo è stato considerato interspheres><atmospheres, pubblicato quattro anni dopo nel 2010, tanto che fino ad oggi S​.​o​.​b​.​p. non era compreso neanche nella loro pagina Bandcamp, una lacuna a cui la band di Mannheim ha oggi posto rimedio e si spera che dia all'album un meritato nuovo slancio.

La storia di S​.​o​.​b​.​p. (acronimo di Small Ones Brain Pain) è un po' particolare. Come prima emanazione della band, l'album nasce sotto la sigla di Hesslers, prendendo in prestito il cognome del chitarrista e cantante Christoph Hessler, il quale aveva già scritto tutti i brani proponendoli poi a Moritz Müller (batteria), Thomas Zipner (chitarra) e Sebastian Wagner (basso), ovvero gli altri tre musicisti che si uniranno a lui nell'avventura The Intersphere e conosciuti alla Popakademie Baden-Württemberg, università ad indirizzo musicale di Mannheim. E' nel 2009 che gli Hasslers cambiano nome in The Intersphere, al fine di valorizzare il fatto di essere divenuti ormai un gruppo a tutti gli effetti e non un progetto solista di Hassler. Di conseguenza S​.​o​.​b​.​p. viene remixato, rimasterizzato e ripubblicato con il nuovo nome, diventando ufficialmente l'opera prima dei The Intersphere. 

L'anniversario e il suo approdo su Bandcamp costituiscono quindi una buona scusa per far scoprire (o riscoprire) questa perla di cui probabilmente si erano perse le tracce e anche forse dimenticata. Personalmente, dopo averli scoperti con The Grand Illusion e aver ripercorso tutta la loro discografia a ritroso, mi sono appassionato al sound dei The Intersphere e ho trovato in S​.​o​.​b​.​p. una maturità di scrittura e una capacità esecutiva che pochi altri possono vantare in sede di debutto. In seguito, già a partire dal secondo album, il gruppo ha raffinato ed arricchito i propri arrangiamenti, oltre che la compattezza strumentale, ma da una differente prospettiva S​.​o​.​b​.​p. ci mostra immediatamente un suono solido nel suo approccio più diretto, abrasivo e massiccio, senza tralasciare le improvvise esplosioni di melodia che tengono le composizioni in costante equilibrio tra accessibilità orecchiabile e impetuosità metallica. Un amalgama di tensione e ispirazione costanti che non accennano a calare per tutta la durata, non c'è una traccia fuori posto o debole. 
 
Ogni brano ha qualcosa da offrire: i riff killer in sapore di nu-metal di KOMA, Whispering e Please Lie che si infrangono con groove tra lo psichedelico e il post hardcore, la title-track che si frattura tra aggressività punk e inaspettate armonie cantabili, per non parlare poi delle tiratissime Trans-late e Winner?, che si destreggiano in un rock da arena per quanto mantengono alto il livello adrenalinico. In pratica il segreto che risiede nelle dinamiche, nel drumming perfetto di Müller, nella voce a volte roca a volte espressiva di Hessler, mentre si susseguono riff elettrici dallo spessore molto pronunciato, si rispecchia all'interno di canzoni che rappresentano le perfetta via di mezzo tra il metal alternativo e il rock radiofonico il che, visti i risultati eccellenti ottenuti con due pezzi come Crime e Don't Say a Word, non va letta affatto come un'accezione negativa. Per questo S​.​o​.​b​.​p. rimane il mio album preferito dei The Intersphere, riuscendo nell'impresa di cucire un pezzo epico dopo l'altro senza mai cedere a debolezze. Assolutamente da recuperare. 
 

domenica 9 dicembre 2018

The Intersphere - The Grand Delusion (2018)


In genere le crisi umane personali, a qualsiasi livello, portano paradossalmente un artista a dare il meglio nel suo campo. I tedeschi The Intersphere erano fermi dicograficamente a quattro anni fa con Relations in the Unseen proprio a causa di questi problemi. Con The Grand Delusion forse hanno cercato di esorcizzare il passato e rimettere a posto le loro vite con una sorta di concept album ispirato alle teorie sulla realtà dello psicologo Paul Watzlawick e del suo omonimo libro.

Il risultato è l'album più vario e potente che il gruppo abbia prodotto sinora. Non nascondo che l'interesse per i The Intersphere sia nato per il fatto che mi capitò di vederli più volte paragonati ai Dredg. In realtà ben poco dell'hard rock barocco dei The Intersphere è accostabile alla band di Los Gatos, ma posso capire che in quanto ad esecuzione di un alternative rock venato di momenti progressive, la questione facilita una certa affinità. Complice la voce di Christoph Hessler e l'apparato strumentale intento ad erigere mastodontici muri post hardcore, le somiglianze si avvicinano con più coerenza ad un mix tra Sucioperro e Shihad.

Ma vediamo perché The Grand Delusion è un album che va ascoltato attentamente, nonostante abbia ricevuto un'accoglienza tiepida. Innanzitutto, nel suo mostrarsi molto accessibile e diretto, può facilmente creare l'equivoco di essere messo da parte in seguito a qualche ascolto poco attento, al contrario si comprenderà il suo valore solo dopo alcuni ascolti che svelano molte doti nascoste. Ma ciò che risalta maggiormente in The Grand Delusion sono la produzione, gli arrangiamenti e la cura dei suoni. I riff giganteschi, gli intrecci delle chitarre, la profondità delle ritmiche convulse, non si perdono in una nube indefinita di rumore elettrico, ma ogni suono viene esaltato, contribuendo a creare un'onda che avvolge l'apparato uditivo per un'esperienza di ascolto che è un valore aggiunto.

Ogni brano, nel suo mantenere uno schema tematico abbastanza ortodosso, conserva comunque al suo interno piccoli particolari di inaspettate variazioni che contribuiscono nel non abbassare la guardia e mantenere desta l'attenzione. Man on the Moon è forse l'esempio più lampante: quello che all'apparenza parte come come un rock slow alla Queens of the Stone Age, si arricchisce ben presto di epiche svolte prog hardcore passaggi da chamber con tanto di fiati e archi. Anche la title-track nei suoi frenetici bombardamenti punk metal si dipana in progressioni melodiche con proporzioni anthemiche da arena rock. Una cornice generale che esalta grandi aperture pensate per aggiungere quella sensazione larger than life ad un alternative rock che altrimenti si perderebbe nella massa. Ed è forse quello che è sfuggito a molti di coloro che hanno sottovalutato la potenza (ma anche le potenzialità) di questo album.