Visualizzazione post con etichetta John Mitchell. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta John Mitchell. Mostra tutti i post

sabato 27 agosto 2022

Notes from the Edge of the Week #6


  • Se è vero che non è facile provare a rinnovarsi ad ogni album (oltre che impossibile senza correre dei rischi), è altrettanto plausibile che il fatto di mantenersi costantemente sulla stessa linea stilistica evitando di cadere nella trappola della monotonia e della stanca ripetizione non è certo un'impresa da sottovalutare. John Mitchell sembra non temere tale sfida ed è maestro in questo: dai Kino agli It Bites fino ad arrivare a tutti gli album dei Lonely Robot, compreso il presente A Model Life, è riuscito a creare una propria comfort zone che si estende alle aspettative ripagate da noi ascoltatori, tra le cui peculiarità spiccano un sound distinguibile e un caratteristico metodo compositivo. La grande competenza ed esperienza in campo musicale di Mitchell è parte integrante di una costante qualità che è rimasta invariata ad ogni lavoro. Il suo è un progressive pop ad alto tasso emotivo, sapientemente dosato tra elettronica, assoli memorabili e un gran senso per le progressioni melodiche. Uno dei pochissimi casi in cui la prevedibilità non è un'accezione negativa, confermando che anche in A Model Life sono contenute ottime canzoni e una performance strumentale sempre di gran livello.      


  • Rimanendo in tema di mantenersi sugli stessi standard, il supergruppo prog hardcore Royal Coda, formato da Kurt Travis (A Lot Like Birds, Gold Necklace), Will Swan (Dance Gavin Dance), Sergio Medina (Stola, Sianvar, Edicola) e Joseph Arrington (A Lot Like Birds, Sianvar), è arrivato al terzo album con To Only A Few At First senza grandi rivoluzioni sonore rispetto ai due predecessori. Si tratta di un altro manifesto swancore nella media che mostra la parte più diretta e accessibile di questo sottogenere. Il livello rimane altalenante con alcuni pezzi effettivamente riusciti ed altri dimenticabili. Sempre nella medesima categoria i Sianvar erano ben altra cosa.


  • Gli England sono un misconosciuto gruppo prog inglese attivo per un breve periodo alla fine degli anni 70. Il tastierista Robert Webb resuscitò la sigla nel 2006 per alcuni concerti in Giappone e questo live album appena pubblicato ne è la testimonianza postuma. Come album dal vivo la resa dei pezzi e la registrazione sono ottimi, ma vale la pena segnalarlo e prenderne a pretesto l'uscita per ricordare l'esistenza degli England, sicuramente una band meritevole di essere scoperta da ogni amante del prog classico in quanto il loro album Garden Shed (1977) è da considerarsi una vera perla dimenticata e assolutamente da conoscere, un'intelligente e creativa rivisitazione dei migliori spunti sonori mutuati da Yes e Genesis, ma pure un tocco del prog americano di Kansas e Todd Rundgren. 

  • Sun's Signature è la sigla che sancisce il ritorno sulle scene di Elizabeth Frazer, indimenticata cantante dei Cocteau Twins, che insieme al compagno Damon Reece (dei Massive Attack) firmano un EP omonimo di dream pop soave e delicato. La curiosità che arricchisce il sound di echi prog è la presenza in tre brani su cinque di Steve Hackett, un ospite che i due hanno contattato e voluto in quanto entrambi affascinati dal suono della sua chitarra su The Lamb Lies Down on Broadway. In particolare il brano Apples richiama le magiche suggestioni di A Trick of the Tail.

venerdì 14 maggio 2021

Frost* - Day and Age (2021)

 
E' passato quasi un anno dall'EP Others - che ha anticipato il box set antologico 13 Winters pubblicato lo scorso novembre -, una piccola raccolta di inediti uscita per mitigare l'attesa di questo Day and Age, quarto album in studio della band di Jem Godfrey. Con lui sono rimasti in formazione i fidati John Mitchell alla chitarra e Nathan King al basso. Purtroppo qualche tempo fa il batterista Craig Blundell ha lasciato in termini amichevoli i Frost*, i quali in questo lavoro hanno deciso di non sostituirlo con un membro stabile, ma sono ricorsi all'avvicendarsi di tre batteristi: Kaz Rodriguez (Chaka Khan, Josh Groban), Darby Todd (The Darkness, Martin Barre) e, last but not least, Pat Mastelotto (King Crimson, Mister Mister). 
 
La particolarità di un gruppo come i Frost*, oltre a quella di non cadere nelle trappole del prog revival, ma infondere al genere una visione moderna e rinnovata, è stata quella di cambiare prospettiva in ogni lavoro mantenendo salda un'identità sonora tra elettronica e prog futurista che li ha da sempre caratterizzati. Tale aspetto li ha agevolati nella maturazione, come se ogni volta avessero esplorato un aspetto diverso del loro metodo compositivo, cercando soluzioni al fine di non ripetersi. In questa seconda fase della storia dei Frost* si può affermare che la scrittura è nelle mani dell'esperto duo Godfrey/Mitchell e da questo punto di vista Day and Age è un album dei Frost* a tutti gli effetti, dove i contributi dei due autori sono più che riconoscibili. Questa volta però la prima cosa che può essere rilevata è l'assente di quella particolare miscela che ha sempre portato i Frost* a cambiare e progredire. Day and Age risulta così un album di stallo all'interno della discografia del gruppo, un momento creativo che non aggiunge nulla a quanto già fatto in passato. Ma questa non vuole essere una critica severa, poiché è comprensibile che non si possa pretendere che ogni capitolo apporti qualcosa di differente.

La title-track, ad esempio, pur sfiorando i dodici minuti, si consuma in una prima parte dove è compresa una canzone (infatti disponibile anche in versione edit) che avrebbe potuto tranquillamente essere inclusa nel progetto solista di Mitchell Lonely Robot (senza nulla togliere, ma dai Frost* ci si aspetterebbe di più), proseguendo poi con una parte strumentale che invece è un vacuo contenitore di suoni tastieristici e chitarristici, ben ritmato ed eseguito, ma nnell'insieme abbastanza dimenticabile. Stesso discorso vale per la successiva Terrestrial, ineccepibile dal punto di vista interpretativo, ma un episodio di stesura quasi di routine per il duo.

Waiting for the Lie è un brano d'atmosfera guidato da piano e tastiere, a volte a carattere minimale, che pare un interludio allungato al quale sono stati donati connotati da pezzo compiuto. Sempre tra le composizioni più brevi (cioè normali se non si utilizzano i parametri prog) sono da includere Island Life e Skywards, molto gradevoli, ma nulla di più. The Boy Who Stood Still è la traccia più inaspettata, strumentalmente è la più interessante del lotto, riportando i Frost* a quell'electro prog presente sul precedente Falling Satellites, con la peculiarità di utilizzare al posto del cantato un racconto in spoken word per buona parte della sua durata.
 
Kill the Orchestra nelle intenzioni dovrebbe essere l'epic track, il pezzo di punta dell'album, ma dopo una timida introduzione di due minuti con Godfrey in solitaria tra tastiera e voce, prende il via con un insieme sonoro abbastanza standard, spinto da un groove cadenzato, anche se l'impasto si dimostra poco convinto, restituendo l'idea che anche la band sia poco partecipe emotivamente nell'esecuzione. Repeat to Fade ha una cadenza marziale e un tema musicale reiterato, edificato da bassi bombardanti e tastiere sontuose e algide, che donano al tutto un sapore industrial. Il giudizio generale è che Day and Age rimanga un'opera che riporta una versione un po' sbiadita dei Frost*, fotografia di un istante non molto ispirato in cui la band ha bisogno di un nuovo slancio, oppure, se questa sarà la direzione futura, fermarsi per riflettere su soluzioni più incisive.
 

mercoledì 10 giugno 2020

Frost* - Others EP (2020)


Dopo aver rimesso insieme i Frost* in seguito ad una lunga pausa di riflessione, il mastermind del gruppo Jem Godfrey sembra non volersi fermare, fortunatamente aggiungiamo. Il nuovo EP Others è solo un assaggio di ciò che ci aspetta in futuro ed è compilato con brani rimasti fuori dal precedente Falling Satellites, album pubblicato ormai quattro anni fa. Ma nuove offerte sono all'orizzonte, in quanto i Frost* stanno preparando un nuovo album che se tutto va come deve andare vedrà la luce a settembre, al quale seguirà poi un'antologia con artbook dal titolo 13 Winters e conterrà anche il qui presente EP che per ora è disponibile solo in versione digitale.

Others è un perfetto compendio (o appendice) a Falling Satellites, ripercorrendo con Fathers e Clouda il percorso di quel prog rock bombastico e futuristico che caratterizzava tracce coraggiose e originali come Towerblock e Numbers. Il martellante utilizzo di percussioni elettroniche tra l'umano e l'umanoide, le inondanti tastiere sintetiche, gli effetti distorti di voce e strumenti, fanno come sempre del progressive dei Frost* un mondo a sé stante, totalmente avulso dal panorama attuale del genere. Godfrey fonde benissimo elementi pop, synthwave, techno e colto in un contesto più ampio che non stona mai, anche quando si tratta delle esagerazioni da capogiro, specie nel caso della infuocata tribal dance di Exhibit A.

Stupisce poi Eat, un pezzo che si serve dei parametri tecnologici pop del momento e dei loro conseguenti trucchi di arrangiamento, poi in un colpo solo rimette in riga popstar mainstream sopravvalutate come Billie Eilish, mostrando cosa si può fare nel medesimo ambito con giusto un margine di talento in più. Down è infine un chiaro tributo di Godfrey ai Genesis di The Lamb Lies Down on Broadway, citando, neanche troppo velatamente, l'intenzione dell'incipit della title-track adattandola all'interno di un dream prog delicato e sognante. In definitiva i Frost* continuano a non sbagliare un colpo, ormai il loro stile è riconoscibile e per fortuna non si lascia mai tentare da facili datati canoni prog nostalgici.

martedì 18 dicembre 2012

Il ritorno dei Frost*

Dopo un prolungato periodo di inattività, Jem Godfrey quest'anno ha annunciato di rimettere in piedi il suo progetto Frost* e, attualmente, sta preparando il terzo album in studio della band che si prevede uscirà nel 2013.

Nel frattempo, domenica si è tenuto il concerto "natalizio" dei Frost* dal quale sono trapelati questi due brani inediti: Heartstrings e Fathers. La qualità audio/video non è eccelsa, ma può comunque dare un'idea della direzione che prenderà il nuovo lavoro.



venerdì 9 ottobre 2009

Francis Dunnery and The New Progressives


Brett Kull e Paul Ramsey (echolyn) hanno preso parte al nuovo album dell'ex-It Bites Francis Dunnery insieme a Tom Brislin (Spiraling) con il nome The New Progressives.


There's a Whole New World Out There è, in pratica, una collezione (in doppio CD) rivisitata di vecchi pezzi degli It Bites e, a detta dello stesso Kull, i nuovi arrangiamenti hanno molto migliorato le canzoni. Nell'album saranno presenti come ospiti anche Theo Travis al flauto e John Mitchell alla chitarra.

Tracklist:

CD 1
01. Whole New World
02. Kiss Like Judas
03. Holiday
04. Old Man and the Angel
05. Animal Life and Water Life
06. Calling To You
07. Still Too Young to Remember
08. Hunting The Whale
09. Back in New York City
10. Staring at the Whitewash

CD 2
01. Underneath Your Pillow
02. Sister Sarah
03. Glad and Sorry
04. Let Us All Go
05. Charlie
06. Yellow Christian
07. Murder of the Planet Earth
08. Love Will Tear Us Apart
09. Still Life in Mobile Homes
10. Feels Like Summertime

giovedì 10 settembre 2009













Essendo stato molto colpito dai due album dei Frost* (si veda qualche post più addietro), ho voluto spulciare le discografie dei due frontman della band: John Mitchell e Declan Burke.

Quest'ultimo confesso che non lo conoscevo ed ho scoperto i due piacevoli (e niente di più) album di classico neo-progresive incisi con la sua band primaria Darwin's Radio: Eyes of The World del 2006 e l'ultimo, uscito quest'anno, Template for a Generation che comprende tre lunghe suite.

www.darwinsradio.co.uk
www.myspace.com/darwinsradiouk

John Mitchell invece ho già avuto modo di apprezzarlo negli album dei Kino e dei riformati It Bites e lo considero uno dei migliori chitarristi della nuova generazione prog, dato che ogni suo intervento solista, con gusto sempre ispirato, sintetizza magnificamente virtuosismo e melodia.

Mitchell è stato impegnato con un gruppo un po' più oscuro e non prettamente progressive chiamato The Urbane. Con loro ha realizzato Neon nel 1999 e Glitter nel 2003. Anche questi due album non sono nulla di trascendentale e su Mitchell è meglio orientarsi nella discografia progressive.

www.myspace.com/theurbane