giovedì 28 gennaio 2010

Nil - Quarante Jours Sur Le Sinaï

Uno dei migliori gruppi di progressive rock francese a mio parere sono i NIL.
Sono contento di pubblicare un recente video dove si può ascoltare un estratto dalla suite Quarante Jours Sur Le Sinaï che dà il titolo all'omonimo album del 2003.
Comunque il successivo Nil Novo Sub Sole del 2005 è un vero capolavoro.

martedì 26 gennaio 2010

Il secondo EP dei Water & Bodies (ex-Kaddisfly) sarà disponibile in download dal 16 febbraio sul sito www.raincityrecords.net

Track Listing for Rain City Sessions Part 2:

1.Life is Education
2.Hard to Pin
3....To the Sun
4.Moments in a Life
5.Bizarre
6.Over Grown Cloud


Hard to Pin si può già ascoltare sulla pagina MySpace della band.

domenica 24 gennaio 2010

THE REIGN OF KINDO - "October's Storm" Video

Un altro video registrato in studio dai The Reign of Kindo. October's Storm è una bonus track della versione giapponese del loro album di debutto. Ricordo che la band sta lavorando al secondo album che, con molta probabilità, sarà pubblicato nei prossimi mesi. Intanto chi ancora non li conoscesse si procuri Rhythm, Chord & Melody e non rimarrà deluso.

sabato 23 gennaio 2010

JAGA JAZZIST - One-Armed Bandit (2010)


Cinque anni sono lunghi. Tanti ne sono passati dall'ultimo lavoro in studio dei Jaga Jazzist ed è un peccato che il nonetto (nella formazione odierna, beninteso) ci abbia fatto attendere così tanto. Il jazz, è noto, è musica libera per sua stessa natura, ma i Jaga Jazzist, durante la loro carriera, hanno contribuito a renderlo ancora più libero e sciolto, contaminandolo di volta in volta con ogni sorta di linguaggio elettronico. E One-Armed Bandit è l'opera che sinora si addentra con più profondità in questo concetto, lasciandosi alle spalle i lidi più rockeggianti, ma altrettanto affascinanti, di What We Must.

Su One-Armed Bandit i fiati e il tappeto sonoro creato da sintetizzatori e tastiere rivestono la stessa importanza, anche se questa volta, nell'economia sonora, i secondi operano su un piano mai così prominente. Ance, trombe e tromboni nel gruppo, più che dedicarsi ad assoli in modo ortodosso al jazz "tradizionale", servono a guidare le melodie, che sono a loro volta completate dai contrappunti di tastiere che doppiano le linee guida - come, ad esempio, nella frizzante lounge della title-track. Uno dei pezzi più riusciti è Banafleur Overalt che fonde in maniera fresca, originale e inedita jazz bandistico e psichedelia, che trova una variazione nell'epopea da colonna sonora di Prognissekongen e nell'incedere sicuro di Book of Glass - che è un tripudio di variazioni tematiche (da applauso).

I Jaga Jazzist in pratica usano il jazz come trampolino per lanciarsi nelle contaminazioni più disparate, privilegiando sempre l'elettronica, senza paura di confrontarsi con i linguaggi musicali colti e l'avanguardia. Nulla sfugge al radar della band sia che si tratti di rivisitare il minimalismo di Steve Reich in Toccata, lanciata come un treno in corsa, sia raddoppiare il rischio, intercalando e farcendo la musica con sacrileghe ritmiche jungle e breakbeat su pezzi come Music! Dance! Drama! e Touch of Evil. Ma i Jaga Jazzist hanno sempre fatto questo: congiungere ciò che è distante o, meglio ancora, far incontrare senza incidenti estremità opposte.

www.myspace.com/jagajazzist

giovedì 21 gennaio 2010

MOTORPSYCHO - Heavy Metal Fruit (2010)


Dopo Little Lucid Moments e Child of the Future c'era una certa suspance per capire cosa ne sarebbe stato dei Motorpsycho. Voglio dire, chi conosce il gruppo sa che, ad ogni nuovo album, ci possono essere delle sorprese, delle piccole, ma rilevanti mutazioni stilistiche o, al contrario, anche nulla di tutto questo. Heavy Metal Fruit, già dal titolo ampiamente esplicativo, non si sforza più di tanto e riparte proprio dalle due ultime opere sopra citate. Dal primo riprende il gusto per la dilatazione temporale che tante soddisfazioni frutterà nelle esibizioni live; dal secondo quel blues metal un po' sciapo che ha avuto il demerito di rendere meno avventurosa la musica dei Motorpsycho.

Si parte con i riff cadenzati e granitici di Starhammer che includono immediatamente gli intenti del trio norvegese, impegnato in un primitivo metal alla Blue Cheer che incontra i lidi spaziali e psichedelici degli Hawkwind. X-3 (Knucklehead in Space) / The Getaway Special all'inizio sembra un incrocio tra i Blues Brothers (seriamente) e i Rolling Sones, ma è quella che si presume essere The Getaway Special la parte migliore, con tromba (per gentile concessione del Jaga Jazzist Mathias Eick) e chitarra che si inseguono in una inebriante session jazz rock. Su The Bomb-Proof Roll And Beyond i Motorpsycho mettono in atto uno di quei trucchetti da enciclopedie viventi del rock che solo loro sanno interpretare e rileggono i Pink Floyd e Beach Boys in chiave hard rock con tanto di parte centrale sperimentale (a la Saucerful of Secrets).

Se ogni pezzo ha la sua bella jam strumentale per fare la sua porca figura dal vivo, fa eccezione la breve nenia pianistica Close Your Eyes. W.B.A.T. presenta una delle novità, dove il gruppo prova a suonare per la prima volta fusion psichedelica (si può dire?) nell'introduzione, per poi deragliare nel più scontato heavy blues che più scontato non si può. Gullible's Travails (pt.I-IV) per la sua durata (20:42 minutes my dear) riesce allo stesso tempo ad aprire nuove, interessanti porte verso il futuro (pure verso i Gentle Giant per la miseria!) e a richiuderle con una parte strumentale uguale a mille altre. Comunque sia, si aggiudica la palma di miglior pezzo dell'album.

Ma in definitiva Heavy Metal Fruit vale o non vale? Si e no. E' meglio di alcune cose passate (vedi gli orridi Black Holes/Blank Canvas e It's a Love Cult) il che riaccende la speranza in una lentissima ripresa iniziata con Little Lucid Moments, ma non ci contiamo troppo. L'album dà l'idea che i Motorpsycho si stiano divertendo un mondo a suonare questa musica, ma che allo stesso tempo abbiano abbandonato l'impegno passato che riusciva a raccogliere aggressività, riflessione e genuine divagazioni lisergiche. Anche se penso che ogni buon psychonauta (come me) lo debba avere.

Un'ultima tirata d'orecchie per la pigrizia telematica: i Motorpsycho non hanno mai avuto una web page ufficiale e il profilo MySpace io lo aggiornerei ogni tanto!

domenica 17 gennaio 2010

THE UNWINDING HOURS - The Unwinding Hours (2010)



Il mondo discografico è incomprensibile oltre che spietato. Le sue leggi non seguono alcuna logica, tanto che una band come gli Aereogramme si è vista mancare un adeguato seguito ed è stata costretta a sciogliersi nonostante il loro ultimo lavoro fosse il più accessibile, il più melodico ed orecchiabile, oltre ad essere il più riuscito. In pratica era quello che più si prestava ad allargare il loro bacino di fan. Tutto questo, stranamente, non bastò e i quattro si dissero addio.

Oggi però, a meno di tre anni dall'uscita di My Heart Has a Wish That You Would Not Go, due di loro si sono incontrati di nuovo per dare vita ai The Unwinding Hours. Intanto, durante questo lasso di tempo, quando ascolto ancora l'ultimo lavoro degli Aereogramme, mi chiedo come ha fatto Barriers a non divenire un inno epocale - come invece lo diventa qualsiasi ultima cagata partorita dagli U2 - o come mai Exits non sia diventata un classico per cuori romantici. E ancora: perchè le perle disseminate in quell'album sono state ignorate da chi di dovere (leggi: giornalisti). Avrete capito che se finora non eravate a conscenza degli Aereogramme avete fatto un grande errore (a cui si può sempre porre rimedio), ora però non fate lo stesso ignorando gli Unwinding Hours.

Il chitarrista Iain Cook e il cantante Craig B. con questo nuovo progetto non hanno la pretesa di mostrare una deviazione dal loro percorso musicale, ma si riallacciano idealmente a quella strada che era stata interrotta, proseguendo il percorso degli Aereogramme. The Unwinding Hours somiglia maledettamente ad un nuovo capitolo del loro ex gruppo, tanto che sembra il naturale sviluppo di ciò che è stato prodotto dai due nel passato. Nella musica degli Aereogramme convivevano sentimenti contrastanti come malinconia, disagio, rabbia, tensione e dolcezza, tutti attributi che ora ritroviamo in questo album, però con molto più romanticismo e pacatezza.

L'album si apre con Knut - che è stata anche la prima canzone ad essere trapelata dalla pagina MySpace del duo - che rende palese il richiamo al minimalismo in crescendo dei Sigur Ròs, iniziando sommessamente con un nucleo di accordi reiterato, fino alla conclusione in un solenne "fortissimo" di distorsioni e noise. Si continua con il pezzo forte Tightrope, classica ballata dal sapore Aereogramme (che vedrei molto lanciata come singolo): archi e nostaligia sono tenuti insieme da una trama di accordi maestosi ed emozionanti. Da qui in poi è un susseguirsi di canzoni che si addentrano nel mondo Aereogramme e ne sondano le varie declinazioni: dai dolci arpeggi di chitarra acustica in Little One e Solstice, allo spettro dell'elettronica invasiva di Peaceful Liquid Shell con i suoi bordoni di synth e colpi di batteria in primo piano che fanno molto anni '80. Child recupera questo aspetto in una veste sonora ancora più drammatica, immersa in quelle spire tanto claustrofobiche quanto seducenti, in un gioco di contrasti che solo gli Aereogramme sapevano creare. Il trittico finale è all'insegna della quiete: Traces si fonda su giochi di specchi di chitarra tra riverberi e reiterazioni, Annie Jane è una ballad di un'intensità struggente e The Final Hour chiude prima con un sussurro, per poi svegliarsi all'improvviso, nella seconda metà, con cadenzati colpi di tamburo che, come un grido di battaglia, segnano metaforicamente la rinascita di Cook e Craig B., come a dire "noi siamo qui e continuiamo nella nostra strada, contro qualsiasi avversità, a testa alta".

Stavolta non c'è spazio per gli assalti aggressivi in stile hardcore, la rabbia è scomparsa: ora il posto è lasciato ad una musica riflessiva, pacata, per cuori romantici e per inguaribili nostalgici e per trascorrere "ore rilassate". E' appena finito il 2009 e già ci ritroviamo ad iniziare il conto dei migliori album del 2010. Si comincia con The Unwinding Hours.

mercoledì 13 gennaio 2010

Scopri l'intruso (non accreditato)







Si dice che Roger Dean non sia accreditato tra coloro che hanno ispirato le ambientazioni del pianeta Pandora nel film Avatar. Beh James, almeno avresti potuto affidare il tema musicale del film agli Yes invece che a quella coattona di Leona Lewis!

Michael Beinhorn, ovvero quando il produttore c'è e si sente


Nella sua controversia, è innegabile che la reunion dei Soundgarden avrà generato sia felicità che scetticismo in molti e ha anche portato a singolari messaggi di giubilo come questo. Comunque la si pensi si capisce che la notizia è una di quelle che fanno rumore, attesa da molti, temuta da altri, ma in ogni caso un evento. E come celebrare una tale buona novella se non parlando del gruppo interessato? Con un colpo di scena si potrebbe invece parlare del produttore che li ha portati alla consacrazione definitiva. Colui che, con il senno di poi, ha contribuito in maniera determinante, tanto quanto i quattro membri del gruppo, a consegnare alla leggenda quel capolavoro che fu (e che è) Superunknown. Molti di noi hanno una band preferita, un album preferito e perchè alla lista dovrebbe mancare un produttore preferito?

L'uomo di cui stiamo parlando è Michael Beinhorn, che imparai ad apprezzare proprio per il lavoro svolto su Superunknown e divenne uno dei miei produttori preferiti nonostante avesse lavorato con Marilyn Manson, Red Hot Chili Peppers e Korn.

Cosa ha di così particolare Beinhorn? E' solo uno di quei pochi produttori che quando siede dietro il banco di regia diventa un membro aggiunto della band, nel senso che il suo tocco si riconosce, sa imprimere il suo stile e dona il proprio carattere sonoro ad ogni album a cui lavora (e scusate se è poco!). Quella sua particolare esaltazione delle frequenze basse che infonde a tutto un specie di aura cupa, anche nelle canzoni più solari, è ormai un marchio di fabbrica che ha creato veri e propri capolavori.

Capii di essere entrato nel mondo di Beinhorn quando, senza averene alcuna idea (dato che non avevo letto i credits), ascoltai ...And the Glass Handed Kite dei Mew e, trovando delle affinità con il timbro della chitarra di Bo Madsen con le ben più aggressive chitarre di Cornell e Thayil, intuii che alla produzione ci poteva essere lui. A rendere più facile il compito di Beinhorn nel sottolineare i bassi c'era inoltre l'uso della chitarra baritono da parte di Madsen come ad esempio su Special.



Stessa cosa mi capitò con Everything Last Winter dei Fields (che, a proposito, purtroppo si sono sciolti) dove la continua prominenza dei bassi con il loro suono avvolgente, rauco e distorto al limite del clipping, mi fece venire subito in mente Beinhorn che infatti produsse questo piccolo capolavoro.




Le cronache delle sessioni di registrazione di Superunknown narrano di scontri tra forti personalità (Beinhorn da una parte e Cornell dall'altra) esasperate dal lungo tempo passato in studio. Anche questo album si prestava particolarmente alle cure di Beinhorn, grazie all'uso di accordature aperte particolarmente basse, al limite della cacofonia. Si sentano questi riff cadaverici (come giustaente li battezzò un critico) su Limo Wreck, Mailman o 4th of July. Il mixaggio di quest'ultima in particolare fece saltare i nervi a produttore e gruppo dato che non trovavano una resa soddisfacente. Thayil testimoniò che nei mixaggi (affidati a Brendan O'Brian) 4th of July era l'unica che non funzionava: si riusciva a distinguere solo il ritmo. In effetti la canzone si basa su un'accordatura abbassata delicatissma nel mantenere un'intonazione che non risulti dissonante (le prime tre corde sono in Do, Fa, Do). Quindi fu Beinhorn a prendere in mano la situazione e a togliere le castagne dal fuoco ai Soundgarden, nonostante qualche vivace scambio di battute con Cornell. Shepherd in seguito dichiarò che il mixaggio dell'album, anch'esso molto lungo, fu la parte più veloce del processo di produzione. Ma tutto è bene ciò che finisce bene: i Soundgarden ottennero il loro capolavoro da consacrazione e Beinhorn dimostrò ancora una volta la validità del suo lavoro, facendo suonare Superunknown una spanna sopra a tutto ciò che il gruppo aveva prodotto.

mercoledì 6 gennaio 2010

The Punk Side of the Moon


I Flaming Lips, si sa, sono dei geni, ormai è fatto assodato, la critica li ama e il pubblico pure. Quindi guai a parlarne male. Eppure...eppure per la prima volta nella loro carriera si sono andati ad infilare in un ginepraio che gli ha fatto piovere addosso tante di quelle critiche che giusto dei buontemponi come loro possono reggere.

Tutto ciò a causa dei tipi di iTunes che volevano qualcosa in esclusiva dai Flaming Lips per vendere solo attraverso il celebre negozio di musica on-line. Loro pensavano ad un singolo, ad un EP e invece Wayne Coyne ha alzato il tiro e, quasi per scherzo, ha proposto di registrare The Dark Side of the Moon (mica Invisible Touch!!).

Per farsi una chiara idea a cosa i Flaming Lips sono andati incontro (freschi dal trionfo di Embryonic) basta leggere alcuni giudizi su iTunes Store, che si dividono tra una o cinque stelle, le vie di mezzo sono rare o inesistenti, come dire che questo rifacimento o lo si ama o lo si odia.

Per quel che mi riguarda, come scrissi giusto un annetto fa, trovo queste operazioni inutili oltre che insensate. Nel particolare caso dei Flaming Lips la rilettura è alquanto personale e basta dire che il gruppo si è fatto aiutare da Henry Rollins e da quell'usignolo di Peaches che, con quella sua ugola d'oro, è andata ad intaccare i gorgheggi di The Great Gig in the Sky con urla sapientemente filtrate al fine di ovviare ai limiti vocali. Mi pare tutto semplificato, ridotto all'osso, come se i Flaming Lips avessero drenato l'immortale opera flydiana. Bassi distorti, ritmiche funkeggianti e sintetizzatori invadenti creano un clima opprimente e sensazioni sgradevoli, le uniche cose che sono in tema con il concept dei Pink Floyd. Insomma si possono riscrivere i romanzi del '700 in chiave pulp o rigirare Il Padrino in versione horror? Certo che sì! Oggi si può tutto, ma il risutato sarebbe una schifezza comunque.


lunedì 4 gennaio 2010

JOFF WINKS BAND - Songs for Days (2007)



La verità è che adoro il suono del Fender Rhodes. Lo adoro sin da quando, anni or sono, scoprii gli Hatfield & the North e quel gusto caloroso e avvolgente delle tastiere di Dave Stewart. Cosa c'entra questo con la Joff Winks Band? Molto, visto che, anche se i quattro ragazzi di Oxford suonano pop, questo non ha certo ascendenze scontate o gettonate come l'ultimo divo da classifica. La musica della Joff Winks Band, anche se molto più immediata, parte infatti direttamente dalla scuola di Canterbury (che a suo tempo esaltò le qualità del Rhodes) e si infila in una terra di mezzo tra Badly Drawn Boy e Caravan.

Ho già dedicato qualche post ai vari progetti di Joff Winks, personaggio che, a partire dai recentemente defunti Antique Seeking Nuns, fino alla reincarnazione nei Sanguine Hum (che unisce il suo universo sonoro, incanalando qui tutte le sue velleità musicali), non ha mai nascosto il suo amore per Hatfield e affini. Nelle intenzioni di Winks, la band che prende il suo nome doveva dedicarsi ad una musica meno progressiva degli Antique Seeking Nuns e rispettare delle direttive più cantautorali. Ho quindi deciso di parlare di un album del 2007 come Songs for Days dato che non ho trovato praticamente nulla (in italiano) a riguardo sul web (e lo spazio se lo merita) e poi perché il corredo musicale di Winks è stato praticamente la mia colonna sonora di questi giorni natalizi.

Songs for Days è destinato a rimanere l'unico lavoro della Joff Winks Band (se si escludono una manciata di singoli) dato che il gruppo ha ultimamente cambiato nome in Sanguine Hum. Ad un primo ascolto l'album potrebbe lasciare indifferenti, ma come ogni buon prodotto con il tempo esso accresce il suo potenziale. La spigliatezza di Juniper, Revisited Song o Someone Else's Word, sono una delizia di melodie, mentre i tempi dispari di Before We Bow Down o le armonie oblique di Milo scavano più a fondo di una canzoncina pop. C'è spazio anche per due splendide rivisitazioni degli Antique Seking Nuns con Little Machines e Morning Sun. La parentesi strumetale It Grows in Me Garden riesuma pure un certo impressionismo wyattiano, senza contare l'atmosfera sospesa e misteriosa di Hedonic Treadmill che si impenna in volata durante il ritornello.

Songs for Days ha solo la pecca di non avere ancora una pubblicazione fisica (che per i pochi come me a cui ancora piace avere tra le mani CD e booklet non è roba da poco) grazie al reiterato rifiuto delle signore case discografiche (sempre più simili a puttane che a signore) alle quali Winks ha proposto l'album. Comunque il tutto può essere scaricato da iTunes o dal sito ufficiale della band (riportato di seguito). Fate in modo di comprarvelo perché non solo ne vale la pena, ma andrete ad alimentare artisti che valgono qualcosa, permettendogli di creare future perle.

<a href="http://joffwinksband.bandcamp.com/album/songs-for-days">Songs For Days by Joff Winks Band</a>





sabato 2 gennaio 2010


http://circasurvive.merchnow.com/products/111464
mmmmmh...che coincidenza....sembra quasi che Chris Cornell abbia dato una letta a questo blog! Certo che le sta provando veramente tutte per tornare in pista. Non posso credere che dopo 12 anni i Soundgarden tornino insieme, ormai è un po' tardino per una reunion. Infatti non mi aspetto nulla di buono.