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sabato 12 dicembre 2020

Daniel Tompkins - Ruins (2020)


Nel panorama prog metal il nome di Daniel Tompkins non ha certo bisogno di presentazioni, dato che il suo curriculum è quantomeno impressionante visti i progetti di spessore a cui ha preso parte durante la sua carriera. Tutto ciò grazie ad una voce versatile ed espressiva, molto apprezzata dagli addetti ai lavori e non. Dallo scorso anno Tompkins, dopo molto tempo sulla breccia, ha tentato per la prima volta la carta da solista con l'album Castles, indirizzandosi giustamente su una direzione diversa rispetto a quello a cui ci ha abituati con band come TesseracT, Skyharbor, Piano, First Signs of Frost o persino con la synthwave degli Zeta.

Ma Castles si cullava in un electro art pop intellettuale un po' scialbo a dire il vero e come album d'esordio non contribuiva a valorizzare Tompkins sia come autore che come interprete. Sarà forse per questo che il cantante è tornato sui propri passi e ha reinventato, ri-immaginato e stravolto le canzoni di Castles, rivisitandole su questo nuovo album Ruins, sempre comunque avendo al suo fianco il produttore e co-autore di Castles Eddie Head (Haji’s Kitchen). Già leggendo i nomi degli ospiti coinvolti - Paul Ortiz (Chimp Spanner), Plini e Matt Heafy (Trivium) - si capisce però che la volontà di Tompkins era ricongiungersi in parte con quel genere che gli ha dato popolarità e Ruins appare, più che una rilettura, un album nuovo di zecca. 

Questa volta le atmosfere si fanno più metalliche ed oscure, l'elettronica non è scomparsa del tutto sposandosi bene con le chitarre djent, mentre la voce di Tompkins è libera di vibrare tra gli acuti più luminosi e gli scream più cupi e aggressivi. Quindi, anche se le tematiche e le liriche rimangono quelle di Castles, Ruins ha tutt'altro sapore tanto che persino i titoli dei brani sono stati cambiati. A ripensare la musica ci ha pensato in gran parte Ortiz, perciò Tompkins sapeva dove andare a parare per immettere nuovo smalto a composizioni originariamente animate da poco carattere. 

Quanto stagnante e privo di vera emotività appariva Castles, tanto musicalmente più interessante e profondo, oltre che intriso di melodrammatica dinamicità, si mostra Ruins fin dalla prima traccia Wounded Wings. Ma se il principio da cui partiamo è quello già esposto, per il quale Ruins si distacca da Castles talmente tanto da diventare una prova a sé, forse è meglio giudicarli come due album distinti, senza confrontarli. E allora possiamo affermare che Ruins è una seconda opera riuscita, che questa volta rende giustizia al Tompkins solista.

venerdì 7 settembre 2018

Skyharbor - Sunshine Dust (2018)


Quando hai alle spalle un album gigantesco come Guiding Lights che è praticamente un monumento verso l'evoluzione atmosferica del djent, le aspettative per nuovo materiale che possa conservare la medesima forza espressiva e che abbia le capacità di spiegare al meglio cosa significhi quella brutta parola, sono tanto alte quanto facili da deludere. Questa pressione la devono aver vissuta in prima persona anche gli Skyharbor, dato che la lavorazione di Sunshine Dust, terzo lavoro in studio del gruppo, è stata alquanto lunga e travagliata.

Il primo duro colpo, a dire il vero, non è dipeso dalla volontà degli Skyharbor, ma lo hanno dovuto subire, cioè il pesante abbandono congiunto del batterista Anup Sastry (sostituito da Aditya Ashok) e soprattutto del frontman Daniel Tompkins, che se ne è tornato in pianta stabile con i TesseracT. Al suo posto è arrivato il carneade debuttante Eric Emery con un registro vocale simile ma più ruvido, tecnicamente meno misurato e più sguaiato e logicamente dotato di minor carisma, ma tant'è, il vero cuore musicale degli Skyharbor è rimasto saldamente nelle mani del chitarrista Keshav Dhar, il che dovrebbe garantire continuità di intenti.

In questi quattro anni di gap temporale, per amore di cronaca, è successo però ben altro: tra il 2015 e il 2016 gli Skyharbor pubblicano i primi tre singoli con la nuova formazione Blind Side, Chemical Hands e Out of Time, annunciando in seguito l'uscita di Sunshine Dust entro il 2017. Ma dopo un preoccupante silenzio e nessun aggiornamento ufficiale, alla fine di quell'anno la band fa sapere che sarebbe volata in Australia per registrare l'album daccapo sotto la guida del rinomato produttore Forrester Savell (Dead Letter Circus, Karnivool, The Butterfly Effect). Evidentemente l'insoddisfazione della prima stesura aveva preso il sopravvento.



Quindi mettiamola così: nell'ipotesi prevedibile che sarebbe servito uno sforzo sovrumano per superare e competere con Guiding Lights, Sunshine Dust nella sua versione definitiva è proprio l'album di media intensità che ci si poteva aspettare dopo quella perla di rara bellezza. Chiariamo poi che la responsabilità di tutto ciò non è da attribuire dalla prova di Emery (anche se Ethos con Tompkins sarebbe stata un'altra cosa), ma piuttosto è da imputare a composizioni buone, talvolta ottime, però non sempre eccellenti o indimenticabili. E la pecca maggiore di Sunshine Dust va forse proprio rintracciata nel patire il confronto con il suo predecessore e il fatto di non smuoversi in nessuna direzione di crescita. Preso singolarmente altrimenti il lavoro offre spunti interessanti come i tre singoli prima citati e potenziati, uno addirittura rimodellato (Synthetic Hands ex Chemical Hands nella quale sopravvive il riconoscibile chorus).

Per il resto il rimodellamento generale in corso d'opera che ha subito Sunshine Dust non è sembrato distanziarsi molto da quelle coordinate, neanche alla luce della comparsa dei primi antipasti che hanno anticipato il lavoro rappresentati da Dim e dalla title-track. Dissent invece aveva fatto preoccupare per quella sua piattezza nu metal che fortunatamente è rimasta solo un episodio isolato. Ma i problemi dell'album sono altri: quelli che dovrebbero servire da pezzi cardine con i loro potenti melodismi djent, come Ugly Heart, Ethos e Menace, scivolano via come esercizi di stile studiati a tavolino; pezzi più lunghi come Disengage/Evacuate e la strumentale The Reckoning fanno invece fatica a trovare un punto focale che serva da valvola di sfogo ad un cambiamento che non arriva mai. Sunshine Dust vive di questi saliscendi che lo indeboliscono nella lunga distanza e lo rendono inevitabilmente un'opera di transizione, buona nel complesso, ma con poca identità.


domenica 20 maggio 2018

Nuove uscite e anticipazioni


In questo fine settimana ci sono state alcune novità che sommerò in quest'unico post:

Mike Vennart ha da molto tempo annunciato il secondo album al quale, ancora una volta, prenderanno parte gli ex Oceansize Richard Ingram e Steve Durose. Ancora non c'è una data definitiva, ma nel frattempo è possibile ascoltare il nuovo singolo Donkey Kong.


 Tra i singoli che annunciano nuove eccitanti usciteci sono quelli di Skyharbor (il più volte annunciato Sunshine Dust è previsto per il 7 settembre) e di The Mercury Tree che si ripresentano con il pezzo Superposition of Silhouettes composto interamente in accordatura microtonale.





Forse sapete che i The Dear Hunter e i Between the Buried and Me hanno intrapreso insieme un tour statunitense. Le due band sono molto amiche e hanno deciso di celebrare la cosa con uno speciale 7" in edizione limitata dove ognuno coverizza un pezzo dell'altro: The Tank per i Between the Buried and Me e Rapid Calm per i The Dear Hunter.


Sempre in tema di singoli il trio giapponese di math pop Tricot ha appena pubblicato due nuovi brani inediti dal titolo postage e On the boom.



I Dream the Electric Sleep hanno invece recuperato un intero album inedito risalente al 2008 (quando la band era appena in embrione ed era solo un duo) dal titolo The Giants Newground. Questa uscita anticipa anche il nuovo lavoro previsto per il 2019 e prodotto nientemeno che da Michael Beinhorn.

venerdì 23 settembre 2016

Skyharbor - Chemical Hands (single, 2016)


Dopo aver presentato il nuovo cantante Eric Emery in sostituzione del dimissionario Daniel Tompkins, gli Skyharbor non avevano perso tempo e, durante il 2015, hanno immediatamente realizzato due singoli inediti, Blind Side e Out of Time, per mostrare le doti di Emery. Ora ecco che arriva il primo video ufficiale del terzo singolo Chemical Hands con il quale la band annuncia la pubblicazione del nuovo album prevista per febbraio e un tour europeo a ottobre.






http://skyharbor.band/

sabato 19 settembre 2015

TESSERACT - Polaris (2015)


Con due album e un EP alle spalle, i TesseracT hanno già una travagliatissima storia per quanto riguarda i cantanti. L'ultimo colpo di scena è arrivato insieme alla notizia di un terzo album in cantiere con il clamoroso, quanto inaspettato, ritorno del figliol prodigo Daniel Tompkins a riprendersi il suo posto dietro al microfono (il quale questa volta deve essere più convinto e motivato nel restare dato che ha di recente lasciato gli Skyharbor). Tompkins era colui che aggiunse le sue doti vocali ai soundscapes metallici e psichedelici messi in atto dai TesseracT nel loro esordio One, diventato poi uno dei primi capisaldi del cosiddetto movimento djent. Dopo di Tompkins arrivarono, in ordine di tempo, Elliot Coleman (che abbandonò per motivi logistici in quanto statunitense) seguito da Ashe O'Hara con il quale la band ha realizzato l'insipido secondo album Altered State.

E questo è il motivo per cui mi sono avvicinato a Polaris con dei forti pregiudizi che però sono stati spazzati via, se non al primo, sicuramente al secondo ascolto. Intanto la nota gradita è che i TesseracT e Tompkins hanno deciso di non ricorrere ai growl che erano parte integrante di One e che già con Coleman e O'Hara erano scomparsi. Poi si sarà notato come la musica della band possa vivere di vita propria in due distinti formati: quello strumentale e quello cantato. Mai come in questa occasione penso che si possa godere dei tappeti strumentali che si dispiegano ai piedi delle corde vocali di Tompkins. Quella di Polaris è una specie di new age metal che affascina, si trasforma e cresce, attraversando vari umori. E così ogni brano procede e prende forma in modo inaspettato, con cambi tematici non propriamente repentini, ma naturali. Le sonorità elastiche delle chitarre di Kahney e Monteith e il basso di WIlliams, insieme alla batteria geometrica di Postones, danno vita a degli impasti gelidi eppure coinvolgenti. Tompkins dal canto suo (scusate il gioco di parole) non aggiunge nulla di quanto già abbia fatto lo scorso anno con Skyharbor e Piano, tra l'altro in modo egregio, e scusate se è poco.

 

giovedì 27 agosto 2015

Skyharbor - Out of Time (single, 2015)

 
Se avete seguito le ultime vicende degli Skyharbor probabilmente saprete che il cantante Daniel Tompkins non fa più parte della band, essendosi dedicato (di nuovo) ai TesseracT (il cui terzo album Polaris è in uscita il 18 settembre). In sua vece è arrivato Eric Emery con il quale gli Skyharbor si sono subito affrettati a registrare qualcosa di inedito per dare un'idea di quello che ci aspetta. Così, con largo anticipo sul nuovo album previsto per il 2016, gli Skyharbor pubblicano oggi il singolo Out of Time. Per quello che si può sentire qui e nel video di presentazione di Emery, sembra che la band non abbia subito alcun contraccolpo, anzi, il brano persegue con ancor più consistenza, incisività e potenza il percorso di Guiding Lights.

lunedì 10 novembre 2014

Due colpi da maestro per Dan Tompkins: Piano "Salvage Architecture" e Skyharbor "Guiding Lights"

Se quest'anno volete ascoltare qualcosa che unisca post hardcore, metal o djent di qualità e che esca dai canoni della norma, potete rivolgervi a delle uscite che hanno tra loro un comune denominatore. L'irrequieto (artisticamente) vocalist Dan Tompkins, che si muove agilmente tra un progetto e l'altro, è famoso per la sua militanza nei TesseracT (nei quali è rientrato da poco dopo averli lasciati all'indomani del primo album One) e nei Skyharbor. Ma il ragazzo ha accumulato altre apparizioni degne di nota. Pochi sanno che già nel 2008 aveva esordito su The Valediction of Verse, secondo EP dei Piano, band inglese sotto contratto con l'etichetta giapponese Zestone Records. A distanza di ben sei anni da quell'EP è uscito Salvage Architecture, primo full length dei Piano, ovvero Dan Tompkins, Ciaran Cahill (batteria), Jeremy Mortimer (chitarra, voce) e Christopher Haywood (basso, voce), mixato e masterizzato dal chitarrista degli Skyharbor Keshav Dhar.

Click Here for Salvage Architecture full stream 

Ho molto apprezzato l'ibrido stilistico che i Piano operano su Salvage Architecture, quasi post hardcore con appena un'ombra di djent. Non è propriamente prog metal, chiamatelo atmospheric metal, post metal oppure ambient metal, ma i Piano si vanno a incasellare in un'area effimera come gli impalpabili paesaggi sonori che sanno creare. Non aspettatevi grandi virtuosismi, il gruppo punta su un sound compatto che predilige l'instaurazione di atmosfere melodrammatiche, spaziose ed evocative, forse solo un po' penalizzate da una produzione con l'insieme del sound in un amalgama leggermente offuscato.


A meno di due mesi di distanza è appena stato pubblicato il secondo album dei succitati Skyharbor, Guiding Lights. Devo dire che non sono stato un fan del precedente Blinding White Noise: Illusion & Chaos e, forse, proprio per questo Guiding Lights mi ha sorpreso positivamente per la sua svolta. A parte il gradito abbandono da parte di Tompkins delle cosiddette harsh vocals, l'album è un possente catalizzatore di melodie prog metal che unisce tecnicismi e ambient atmosferico con lo stesso equilibrio. La prima traccia Allure, ad esempio, contrappone ad una prima parte energetica, una seconda molto spaziale ed eterea. Ma il valore aggiunto di Guiding Lights è di non sconfinare mai nell'esagerazione e nelle trappole pacchiane del genere, pur mantenendo un alto livello di riff brutalmente djent. Ciò accade, tipo su Evolution e alla bellissima Kaikoma, grazie ad un alone quasi mutuato dall'AOR che attenua la pesantezza del metal in favore di progressioni melodiche molto suggestive.
Questo post cumulativo è per dire che le produzioni di Tompkins di quest'anno raggiungono tranquillamente l'eccellenza. Due album da non perdere.



Bonus Track;
Altro gruppo nel quale in passato ha militato Tompkins sono i First Signs of Frost con i quali pubblicò il solo Atlantic nel 2009 sempre per la giapponese Zestone Records. Anche se è un vecchio disco, lo voglio citare a margine di questi due album dato che l'ho scoperto questa estate ed è diventato uno degli album che sto ascoltando di più in questo momento.
Atlantic non ebbe purtroppo i riconoscimenti che si meritava. Invece fu un primo mirabile esempio di come post hardcore, djent e progressive metal potevano interagire. Ogni brano di Atlantic potenziava i riff post hardcore con il tecnicismo del progressive, in più, le maestose melodie, si intrecciavano nei cumuli atmosferici del djent. Tompkins si lasciava andare a brutalità vocali hardcore, oppure più spesso abbracciare armonie epiche.
In un certo senso lo vedo come un precursore di Salvage Architecture.