Messi in pausa i Thumpermonkey ormai da un po' di tempo, il chitarrista e frontman del gruppo Michael Woodman si è dedicato ad un quieta ma ispirata carriera solista, prima con l'EP Psithurism (2021) e ora con il suo vero e proprio primo album di debutto Hiss of Today. Con questo lavoro sembra quasi che Woodman si sia prefissato uno scopo artistico con i mezzi a disposizione, puntando su una solita minuziosa ricerca timbrica della chitarra attraverso intrecci arpeggiati, riverberi cosmici e lontani vortici sintetici.
martedì 22 aprile 2025
Michael Woodman - Hiss of Today (2025)
Messi in pausa i Thumpermonkey ormai da un po' di tempo, il chitarrista e frontman del gruppo Michael Woodman si è dedicato ad un quieta ma ispirata carriera solista, prima con l'EP Psithurism (2021) e ora con il suo vero e proprio primo album di debutto Hiss of Today. Con questo lavoro sembra quasi che Woodman si sia prefissato uno scopo artistico con i mezzi a disposizione, puntando su una solita minuziosa ricerca timbrica della chitarra attraverso intrecci arpeggiati, riverberi cosmici e lontani vortici sintetici.
sabato 12 aprile 2025
The Mars Volta - Lucro Sucio; Los Ojos Del Vacio (2025)
I Mars Volta, al di là del rilevante o meno successo commerciale ottenuto, è innegabile che siano stati tra i più influenti innovatori del rock degli anni 2000. I loro paradigmi sonori si ritrovano oggi anche in band che ruotano al di fuori del prog o del post hardcore, i due generi che vengono principalmente ricollegati al duo Bixler-Zavala e Rodriguez-Lopez. Gli album dei Mars Volta sono stati così radicali nel reinterpretare certi schemi musicali da risultare amati o odiati senza mezze misure. Eccessivi a volte, sperimentali in più di un’occasione, ma mai banali. Come Zavala e Lopez lo sono stati nella loro “prima fase”, lo sono anche adesso, in questa nuova forma, ripartita ormai tre anni fa in modo inaspettato e totalmente differente a livello estetico, tanto che ancora una volta in tale incarnazione non assomiglia a nulla che è là fuori. Questo lo si può affermare adesso, con ancor più cognizione e al di là dei gusti personali, con l’arrivo di Lucro Sucio; Los Ojos Del Vacio, un lavoro sempre teso ad esplorare territori musicali alieni, divisivi e coraggiosi.
domenica 9 marzo 2025
Steven Wilson - The Overview (2025)
Facciamo un gioco. Proviamo ad immaginare che Steven Wilson dopo The Raven That Refused to Sing non si sia mai distaccato dal progressive rock, che non si sia mai fatto tentare dal pop con velleità sofisticate (To the Bone, The Future Bites) o da un solipsismo tracotante ed eclettico che ha generato cose più apprezzabili ma tuttavia che rasentano l'esercizio di stile (The Harmony Codex, Hand.Cannot.Erase). Per quanto un artista senta il bisogno di cambiare traiettoria, per quanto abbia tutto il diritto di sentirsi libero di cimentarsi in altri ambiti stilistici, ci sarà sempre un legame in cui si sente a proprio agio e gli permette di essere più ispirato, in pratica di "ritornare a casa". Il fine del gioco è realizzare definitivamente che, quando si parla di Steven Wilson, questa caratteristica venga più in evidenza e con The Overview ha preso di nuovo il sopravvento.
Non ho mai fatto mistero della mia personale "antipatia" per il corso intrapreso negli ultimi anni da Wilson e non perché ritengo che debba dedicarsi esclusivamente al progressive rock, solo che ho sempre avuto l'impressione che con altri stili non riesce a connettersi a dovere e produrre qualcosa di convincente. Il suo nuovo album presenta solo due lunghe suite, ispirate non tanto a un concept quanto all'idea dell' "effetto della veduta d'insieme" ("The Overview" appunto), ovvero una particolare condizione di cambiamento cognitivo riscontrato negli astronauti che, una volta nello spazio, realizzano come la Terra sia un piccolo e fragile pianeta dove tutto ciò che è stato nel tempo costituito dall'uomo (conflitti, confini, religioni, ecc.) diventa all'improvviso insignificante di fronte alla precarietà del nostro pianeta fluttuante nell'universo. Una variante del discorso sul "Pale Blue Dot" di Carl Sagan in pratica.
L'intrigante premessa tematica si riflette nella musica più ispirata creata da Wilson dai tempi di Grace for Drowning a questa parte. Finalmente si sente scorrere linfa nuova nell'uso della sua voce (con tutti i limiti che si porta dietro), nel ricorso a multistrati vocali sfruttati in modo creativo, così come inconsueti timbri di tastiere e chitarre elettriche i quali, è vero che richiamano le asprezze di Yes e King Crimson, ma assumono una personalità tutta propria nel contesto sonoro.
La prima parte - Object Outlive Us - mette in prima linea il piano acustico e i temi musicali vengono sviluppati e impiegati forse in modo ridondante, ma in generale piacevolmente. Insistenti cori marziali si scontrano con cadenze reiterate minimali, come nel pop dei Field Music, ma allo stesso tempo imponenti e psichedeliche come nei Knifeworld. La parte strumentale che inizia circa dopo 14 minuti dall'inizio è tra le cose più interessanti prodotte da Wilson negli ultimi anni, una jam in cui si insinuano chitarrismi alla Steve Howe e Robert Fripp, mentre il groove ritmico spinge senza sosta.
Sulla title-track ritorna l'amore per le ritmiche elettroniche breakbeat, retaggio dei primissimi Porcupine Tree degli anni '90, quando Wilson era affascinato dai suoni IDM dei The Orb e dei Future Sound of London. La parte che segue forse è l'unico punto debole di tutto l'album, modellata come una più che ordinaria ballata per chitarra e piano, svogliata come un pezzo di David Gilmour, dimenticabile come una b-side di british pop. Il resto è una costruzione di suoni e accordi di tastiere avvolgenti che sfiorano la muzak e la fusion, dove si respira veramente del prog accattivante, soprattutto nelle varianti degli assoli che si susseguono, tra chitarre, synth e tastiere. Il tutto si chiude con lunghe note ambient di tastiere che sembrano provenire dal progetto collaterale Bass Communion.
Con The Overview Steven Wilson sembra perseguire un proprio ideale su grande scala alla Mike Oldfield, dove a tratti compaiono stratificazioni strumentali e architetture sonore che lasciano da parte l'ambizione in favore di un'organizzazione strutturale focalizzata su un fluire coerente e ben collegato. Al di là di tutte le voglie di peregrinazione stilistica che si è potuto togliere Wilson come artista, in definitiva si sente che è questo che deve perseguire e che gli riesce meglio. Intendiamoci, The Overview non è un capolavoro, ma almeno in questo caso la componente sonica e timbrica funziona meglio che altrove e possiede un sapore nuovo, svolto in modo molto più efficace rispetto agli album precedenti, strombazzati dall'autore all'epoca quasi come produzioni che sondavano territori musicali inediti, quando in realtà, con il senno di poi, non hanno lasciato un granché.
venerdì 1 novembre 2024
Isbjörg - Falter, Endure (2024)
Da ormai più di un anno e mezzo fa i danesi Isbjörg avevano iniziato la marcia che ha portato a questo secondo album, che arriva dopo Iridescent del 2019, cominciando con il pubblicare il primo singolo Ornament (di cui qui abbiamo un'intervista) e con l'occasione presentare anche il nuovo cantante entrato in formazione Jonathan Kjærulff Jensen. Arrivati adesso a Falter, Endure i sei mostrano tutta la potenzialità di quello che loro chiamano "math-stadium rock", qualità che già risplendevano nei cinque singoli usciti in anteprima.
venerdì 4 ottobre 2024
Geordie Greep - The New Sound (2024)
L'annuncio improvviso lo scorso agosto della fine dei black midi penso abbia colto di sorpresa quasi tutti coloro che li conoscono. Altrettanto sorprendente è stata la velocità con cui il frontman Geordie Greep ha pubblicato il suo primo album da solista, registrato per la maggior parte in Brasile con musicisti trovati in loco per un totale di una trentina di persone coinvolte, oltre alle ospitate degli ex black midi Morgan Simpson e Seth Evans. The New Sound è contemporaneamente il titolo dell'album, il nome della band e una dichiarazione di intenti. Il distaccarsi dal suono originario dei black midi era quindi già prefigurato, ma in tutta sincerità non sapevo quale indirizzo avrebbe potuto prendere la carriera solista di Greep, ma di sicuro niente che potesse accostarsi a tale livello.
Se questo deve essere ciò che la dissoluzione dei black midi ha generato, allora ben venga la loro morte. Tutto ciò per dire ancor più chiaramente che The New Sound in termini di risultati supera di gran carriera quanto prodotto da quella band nell'arco di tre album. Magari non sarà giusto fare paragoni, ma Greep è stato pur sempre un membro fondatore dei black midi ed un confronto con il repertorio che ha contribuito a scrivere è inevitabile. La maturazione di Greep come direttore artistico e principale motore del progetto è impressionante e a questo punto è lecito sospettare che la band fosse per lui un freno, il che è paradossale visto che il trio inglese aveva fatto della libertà sperimentale il proprio cavallo di battaglia. Eppure The New Sound sa percorrere strade ancor più avventurose e avvincenti. Senza mezzi termini, qui siamo di fronte ad una resa grandiosa: lo spettro sonoro coperto, la visione musicale di Greep, l'esecuzione musicale dell'insieme, l'organizzazione strumentale, sono qualcosa di impressionante se si pensa poi alla giovane età dell'autore.
Su The New Sound Greep costruisce un ensemble dai forti connotati musicali latino-americani, per ciò che riguarda le ritmiche (salsa, samba, rumba) e certe armonie estratte dalla bossa nova. Questo ultimo aspetto si arricchisce da sprazzi jazz, fusion e prog, che riprendono le pirotecniche linee math rock e sperimentazioni avant-garde dei black midi, ma con un gusto di profondità melodica e strumentale degna della maniacalità degli Steely Dan. La componente cabarettistica che nei black midi era accentuata proprio dall'istrionismo canoro di Greep in questo caso lascia spazio ad un crooning da big band in un connubio, come anche il cantante sottolinea, tra Frank Zappa e Frank Sinatra.
Sinceramente stupisce come Greep abbia orchestrato e concepito un disco del genere, così sontuosamente ricco negli arrangiamenti e nelle stratificazioni. In ogni passaggio o cambio di direzione sono nascosti tanti particolari timbrici che formano un corto circuito tra sonorità lounge jazz/funk anni '70 e lo sfoggio di tecnicismo moderno, non indirizzato però al virtuosismo ma all'accrescere le potenzialità della prospettiva sonora e timbrica. Forse a descrivere ogni brano si fa un disservizio alla sorpresa che ognuno di questi può suscitare, anche perché non ce n'è uno che risalti sopra ad un altro, l'eccellenza in questo caso trabocca nella totalità di tutte le tracce. Un esordio di tutto rispetto, forse anche di più. I black midi sono morti, lunga vita a Geordie Greep.
martedì 24 settembre 2024
Paul Hanson and Raze The Maze - Calliope (2024)
Ci voleva un fagottista per concepire uno degli album prog più avventurosi di quest'anno. Proprio così, Calliope è stato realizzato da Paul Hanson in collaborazione con i Raze The Maze, ovvero il duo formato dagli ex MoeTar Moorea Dickason (voce) e Tarik Ragab (basso) che, se già conoscete, potrete avere un'idea dello stile che crea un crossover tra fusion e pop matematico, qui condotto su confini ulteriormente avanzati. Hanson ha ovviamente una formazione classica, ma il suo impegno a far sconfinare il proprio strumento nei reami del jazz lo ha portato a collaborare con leggende del calibro di Jon Batiste, Wayne Shorter, Béla Fleck e Billy Cobham, il quale è qui presente come ospite in un brano.
mercoledì 4 settembre 2024
Marianas Trench - Haven (2024)
Nella loro carriera i Marianas Trench, guidati dall'ispirazione trascinante del cantante e autore Josh Ramsay, si sono cimentati in un emo power pop indirizzato verso connotazioni grandiose, magniloquenti e, quasi a legittimare tale indirizzo, per ogni album è stato scelto un concept o un tema portante che andasse a legare le varie canzoni. Haven, sesta opera in studio che segna una pausa di cinque anni dal precedente Phantoms, non fa eccezione ed è forse il picco creativo del gruppo canadese in questa continua ricerca della pomposità barocca applicata al pop, detto con tutta l'accezione positiva del caso. "Opera" è un termine scelto non a caso, visto che i Marianas Trench non hanno mai nascosto la propria volontà di creare una musica teatrale e altisonante che, a partire dal secondo album Masterpiece Theatre (2009), ha scavalcato i confini dell'originario emo pop presentato su Fix Me (2006). Da quel momento i Marianas Trench hanno allargato i propri orizzonti toccando power pop, synphonic rock, art pop e dance pop. Non a caso i loro punti di riferimento si possono rintracciare in Queen e Jellyfish.
lunedì 2 settembre 2024
Zane Vickery - Interloper (2024)
Un album spesso diventa un diario a cuore aperto del proprio vissuto e, nel caso riguardi un evento drammatico, è molto probabile che la sua intensità vada a intensificare l'emotività della musica. Questo in pratica è, in due righe, il contenuto di Interloper, secondo album del cantautore Zane Vickery. Un disco che si rivela una bestia di 73 minuti, risultato di due anni di travagliato lavoro nei quali Vickery si è ripreso da un quasi mortale incidente stradale causato da un guidatore ubriaco che purtroppo non si è salvato dallo scontro. Interloper riguarda un profondo processo di introspezione con il quale Vickery ha reagito all'accaduto, sentendosi responsabile per il tragico destino dell'altro guidatore tanto da sentirsi in colpa per essere sopravvissuto, pur non essendo lui la causa dell'evento. E a questo punto si apre tutta una parentesi sul perdono, sulla provvidenza divina che ci dà segnali e ci guida verso scopi a noi ignoti, sul credere in qualcosa di superiore che ci fa vivere momenti difficili e corregge la nostra morale attraverso ciò che accade nella nostra vita. In una parola: la fede.
Vickery affronta tutto questo aprendosi completamente nelle liriche, aggiungendo all'esperienza del perdono anche il difficile rapporto col padre, l'amore per sua moglie e rispolverando con ancora più forza il suo credo cristiano che già aveva fatto capolino nel precedente Breezewood (2021) tramite i riferimenti allo scrittore C.S. Lewis e alla sua opera sul mondo di Narnia. Nella musica statunitense non è raro imbattersi in tematiche cristiane pur non ricadendo specificatamente nell'etichetta di "christian rock". Anche nella musica alternativa si possono trovare velati riferimenti alla religione o precisi contenuti sulla fede, a seconda che i testi lascino libera interpretazione o che non ne nascondono i riferimenti. Per fare degli esempi nel rock contemporaneo si pensi a Dustin Kensrue dei Thrice, a Jeremy Enigk, ai Valleyheart, agli Emery, agli Adjy e molti dei gruppi appartenenti all'etichetta Tooth & Nail. Detto questo, penso che si possa apprezzare la musica che ci viene offerta anche se si è agnostici.
E' raro al di fuori del progressive rock trovare un album così esteso, peraltro con una gran mole di canzoni (17 in tutto), che scorra senza stancare e che possegga un'ampia varietà di pezzi ad alto spessore. In più, per essere una produzione indipendente, c'è una qualità e un'attenzione nella costruzione sonora da poter competere con quelle di più alto profilo. Vickery usa l'alternative rock americano come punto di partenza e lo ammanta con arrangiamenti ricchi che di volta in volta pescano stratagemmi da post rock, dream pop, folk, prog, post hardcore e emo. Ovviamente questi riferimenti vanno contestualizzati nel quadro generale come sfumature che aiutano le canzoni a rendere meglio la carica emozionale che possiedono e a fargli spiccare il volo. Proprio per questo Interloper non è il classico alt rock album che si omologa alla moltitudine, ma si distingue nel cercare un sound personale, aiutato dalla notevole interpretazione vocale di Vickery.
La title-track che apre anche l'album è, nella sua lenta evoluzione in crescendo, un foreshadowing del mood con cui procederà il disco, a tratti malinconico a tratti epico. Ed infatti si parte subito in pompa magna con i grandi spazi avvolgenti di Whatever Light We Have che si spalanca in sonorità eteree post rock ed un andamento punteggiato da ritmiche chitarristiche post hardcore. L'essenza di Interpoler è un po' questa: mostrare delicatezza ma sostenerla con una forte carica elettrica. Anche nei brani più romantici o elegiaci come Demimonde o Hydrangea si fa strada un'energia insolita grazie a orchestrazioni, strati di voci in lontananza, riverberi elettroacustici.
Non mancano parentesi folk e quasi country con The Best You Could e Honest, ma Vickery si mostra soprattutto un grande autore di pezzi che potrebbero fare concorrenza all'aristocrazia dell'art pop, su Greenhouse sembra rivisiti alla sua maniera Peter Gabriel, mentre su The Weight e Big Things Coming aggiunge la propria prospettiva rispettivamente sul rock radiofonico e AOR americano e sul post hardcore melodico dei primi anni 2000. Breathe & Affirm e The Gallery riprendono quella caratteristica a cui si accennava in proposito della title-track, partendo come delle ballad pacate per poi crescere in una versione solenne di loro stesse. Ovviamente, nella sua lunga durata e varietà, l'album offre momenti che rilasciano la tensione e si dirigono su coordinate indie rock più leggere come Sad Dads Club o genuinamente aggressive come Y.D.W.M.A., ma che in fondo conservano una radice pop rock. Insomma, Interloper è un disco vario che ha molto da offrire e non poteva essere altrimenti, inoltre è uno spaccato di cantautorato americano di rara bellezza, di sicuro fuori dai canoni di ciò che tale definizione vorrebbe associata al mainstream, dato che flirta con generi che per loro stessa configurazione ne sono sempre stati lontano.
lunedì 1 luglio 2024
My Epic - Loriella (2024)
I My Epic sono un nome relativamente nuovo per me e penso anche per la maggioranza di utenti musicali italiani (se non addirittura europei). Il fatto è che fanno parte di quella schiera di band (delle quali altprogcore parla da anni) che fanno fatica a farsi conoscere oltre i confini statunitensi. La circostanza per la quale, nonostante i loro quasi venti anni di attività, sono arrivati solo adesso alla mia attenzione è quella di essere entrati nella scuderia della Tooth & Nail Records per la pubblicazione del loro nuovo album Loriella.
Ma veniamo a Loriella. Ascoltando il sound atmosferico di chitarre stratificate post rock e shoegaze proposto dai My Epic mi sono fatto l'idea di una versione dark dei Valleyheart con l'aggiunta di un uso calibrato dell'elettronica alla maniera della più recente versione dei Thrice. La carriera dei My Epic negli ultimi anni ha avuto un andamento a singhiozzo, dato che la loro testimonianza discografica più recente risale al dittico di EP Ultraviolet (2018) e Violence (2019) il cui intento era di mostrare i due lati antitetici che pervadono la musica del gruppo, quello meditativo e atmosferico nel primo EP e quello più potente e massiccio nel secondo. Per trovare l'album in studio precedente a Loriella, Behold, si deve addirittura procedere a ritroso di undici anni.
Loriella riesce nell'intento di essere allo stesso tempo il lavoro più accessibile e maturo dei My Epic. La scrittura delle canzoni viene valorizzata da una ricerca timbrica e sonora che dona loro spazialità ed emotività ed è questa forse la peculiarità che meglio emerge di questo album. Le chitarre, il sound design dei riverberi e delle distorsioni ricavati per dare un'identità ai brani non potrebbero sposarsi meglio negli slanci dinamici di Wildflowers e in quelli melodrammatici di Northstar, oppure quando arriva il momento dei riff oscuri che ricamano la spirale imponente di Red Hands o che tessono sottotraccia la fibra che infonde energia a Old Magic. Come i due EP anche Loriella mostra un duplice lato della musica dei My Epic, dato che non mancano episodi più distesi come Late Bloomer e Make Believe, i quali possono servirsi dell'elettronica al fine di trasmettere un senso di conforto e intimità o brani più apertamente malinconici e positivi come Heavy Heart ed eterei al modo dei From Indian Lakes (Phantom Limb, High Color).
Forse ci vorrà più di un ascolto per penetrare in pieno il lavoro sulla dimensione sonora che i My Epic hanno consolidato durante gli anni, e per questo credo che anche le passate pubblicazioni siano meritevoli di attenzione e scoperta, ma se già conoscete e apprezzate alcuni dei nomi sopra citati, sarete più facilitati ed inclini nel trovare una familiarità nella musica dei My Epic.
venerdì 28 giugno 2024
Bilmuri - AMERICAN MOTOR SPORTS (2024)
I Bilmuri ricadono in quella categoria di ibridazione estrema di generi che con gli Sleep Token l'anno scorso si è presa tanti insulti quante approvazioni. Non a caso i Bilmuri sono stati scelti come supporter degli Sleep Token per il loro prossimo tour europeo, ma il paragone tra le due band va comunque contestualizzato dato che il gruppo di Johnny Franck, oltre a non prendersi troppo sul serio, lavora su un piano estetico e musicale che si distacca considerevolmente da quello di Vessel e compagni. Qui un meme che spiega meglio di tante parole.
mercoledì 26 giugno 2024
Strelitzia - Winter (2024)
Quello degli Strelitzia è un nome relativamente nuovo che si affaccia dal nulla nel panorama midwest emo/math rock con un album ambizioso, anche se in verità alle spalle hanno un EP già pubblicato nel 2017. Il fatto è che al qui presente disco d'esordio Winter ci sono voluti sette lunghi anni di lavoro affinché vedesse la luce, si capirà quindi che il periodo trascorso fa percepire il quartetto dell'Arizona formato da Skylar Bankson (chitarra, voce, tromba), Jacob Howard (chitarra), Hunter Hankinson (basso) e Kyle Porter (batteria, piano) come una totale novità. Questa volta però le premesse che caratterizzano Winter sembrano fatte apposta per farsi finalmente notare e non poteva essere altrimenti vista la cura che gli è stata dedicata nella produzione.
Gli Strelitzia hanno dato alla loro opera prima l'impostazione di un concept album (si narra di un amore tormentato in pieno stile emo) con canzoni che si dilatano temporalmente e imboccano percorsi che spesso deviano dall'emo e sconfinano nel post rock, nel prog e nello sperimentale. Uno dei primi termini di paragone a venire in mente ascoltando la prima traccia Decigic sono i Delta Sleep, per un brano che affronta il crescendo di dinamica tra delicata malinconia e improvvisa esplosione emocore, espediente che poi sarà anche alla base della cifra stilistica di molti episodi. Nel frizzante math rock di This Bed Ain't Big Enough Fer The Two of Us tali caratteristiche prendono la via di declinare il tutto in un viaggio di inaspettate svolte tematiche e ritmiche.
Ma Winter per alcune scelte appare un album coraggioso, al di là se lo si apprezzi o meno, tipo quella di porre al centro della storia il monolite da undici minuti Sara, un continuo saliscendi di umori romantici e sussulti aspri, tradotti con il linguaggio di chitarre elettriche emo e timbriche clean con tapping math rock, che si vanno a diluire dentro una coda di suoni astratti tra ambient e post rock, oppure chiudere inaspettatamente facendo ricorso ad una nota quasi di anti-climax per quell'uso minimale, ma struggente, solo di chitarra acustica e voce su Epilogue. Il pregio di Winter risiede infatti nella sua imprevedibilità, proprio per l'alternarsi di pezzi che non sai mai che piega prenderanno.
Ci sono delizie midewest emo, come Digital Spliff (Bees?!) e Sben, piene di contrappunti chitarristici elettroacustici, accenni hardcore, numeri prog emo, gang vocals interpretati con il massimo del coinvolgimento catartico, quasi a ricordare la dedizione e lo sforzo con cui è stato prodotto il disco. Poi c'è la title-track che pare un racconto in musica per come l'atmosfera strumentale avanza e si ritira in modo etereo ed impressionista, come fosse una marea. In pratica Winter trasmette il trasporto e l'emotività con cui gli Strelitzia lo hanno concepito e realizzato, se non altro per avergli dato un'identità sperimentale che oltrepassa i classici confini dell'emo.
martedì 21 maggio 2024
Ghost Rhythms - Arcanes (2024)
Se c'è un uso che non sia fuori luogo del termine "monumentale" è associarlo al nuovo album dei Ghost Rhythms Arcanes: due ore di musica per 22 tracce, ognuna delle quali ispirata e legata ad una carta degli arcani maggiori dei tarocchi. Per chi non li conoscesse i Ghost Rhythms sono un collettivo di musicisti, che può variare il proprio numero, fondato nel 2005 dal batterista Xavier Gélard e dal pianista Camille Petit che rivesto i ruoli di leader. Nel tempo l'ensemble parigino è passato dalla Cuneiform Records, ma per lo più ha realizzato i propri lavori in modo indipendente, come tra l'altro è avvenuto per questo Arcanes.
sabato 18 maggio 2024
Ugly - Twice Around The Sun (2024)
Qualche volta il tempo che passa senza darti la possibilità di esprimerti nel momento che vorresti può essere non un nemico ma un saggio alleato. E' stato così per gli Ugly, nati nel 2016 e che arrivano solo ora all'esordio con Twice Around The Sun, nominativamente un EP, ma che con i suoi 36 minuti e il ricco contenuto non sarebbe sbagliato considerare un vero e proprio album. Provenienti da Cambridge, gli Ugly appartengono all'ultima scena indie inglese a cui piace prendersi delle libertà verso spazi più ampi - tra cui non manca il progressive - che tra i nomi più noti comprende HMLTD, black midi, Squid e per finire Black Country, New Road con i quali gli Ugly hanno condiviso concerti e, fino al 2020, pure il batterista Charlie Wayne.
mercoledì 1 maggio 2024
Topiary Creatures - The Metaphysical Tech Support Hotline (2024)
Si può parlare ancora di purismo nel 2024? Rimane ancora quel netto pregiudizio per cui se si è estimatori di un genere ben definito (in questo caso il progressive rock), si nega di definirlo tale nel momento in cui entra in gioco un qualsiasi tipo di contaminazione esterna che non si ritenga appartenere a quei precisi dettami? Anche se ognuno può rispondere alla domanda in base alla sua sensibilità, penso che con questa preclusione si perda l'occasione di scoprire un sacco di roba interessante e stimolante, perché la musica nel frattempo evolve e il purista rimane nella preistoria.
venerdì 19 aprile 2024
Uncanny - Shroomsday (2024)
sabato 2 marzo 2024
Professor Caffeine & the Insecurities - Professor Caffeine & the Insecurities (2024)
In una selva di sottogeneri prog dove molto spesso gli schemi e le formule si ripetono, è sempre più raro trovare una band con le caratteristiche dei Professor Caffeine & the Insecurities, che almeno tenta di percorrere strade alternative facendo della trasversalità il proprio manifesto programmatico. Loro sono un quintetto di "nerdastri" di Boston che si diletta nel proporre un mix di prog, math rock, fusion, midwest emo e solo raramente qualche incursione su toni più accesi che definire metal sarebbe un azzardo. Per fare paragoni, dal punto di vista strumentale propongono una soluzione molto simile alla virtuosa fusione di stili dei Monobody. Se invece si aggiunge l'insieme cangiante della melodiosità del cantato (a cura del bassista Dan Smith) e la natura imprevedibile delle progressioni armoniche, si ha l'impressione di una versione più leggera di Thank You Scientist e Coheed and Cambria.
giovedì 15 febbraio 2024
Vicarious - Esoteria (2024)
Quante volte si è parlato della saturazione che purtroppo affligge molti dei sottogeneri di cui ci occupiamo? Forse, leggendo da altre parti, non se ne fa mai cenno perché sembrano assuefatti ad uno standard che ormai è divenuto formula, ma qui dalle parti di altprogcore si è sempre stati alla ricerca di qualcosa che non si adagi sui canoni della riproposizione fine a sé stessa. Questo non significa che serva inventare chissà che cosa, basta avere idee e un pizzico di creatività. Così, se in ambito prog metal e djent ultimamente avete trovato indigeribile il mega mappazzone dei TesseracT, oppure una minestra riscaldata il recentissimo dei Caligula's Horse ed infine siete stufi di aspettare il nuovo album dei The Contortionist che forse non arriverà più, l'esordio dei Vicarious dal titolo Esoteria arriva in soccorso ed è ciò che fa per voi.
Il trio del North Carolina è composto da tre virtuosi dello strumento a partire dal fondatore e bassista Brad Williamson, affiancato da Colin Moser (chitarra, voce) e Zach Winton (batteria). In questo caso ci sarebbe da dire che tre teste lavorano meglio di cinque o addirittura sei componenti, cioè il numero che di solito troviamo in band di questo tipo. Tra le dodici tracce che costituiscono i corposi 64 minuti di durata è veramente difficile trovare un cedimento o un punto debole, tanto da erigere Esoteria ad un vero e proprio lavoro che può competere a ruolo di opera ispirata, senza nulla da invidiare ad altri album classici del genere.
A partire dal primo brano Bend Don't Break, Esoteria riesce ad esporre in modo convincente ogni sfumatura del moderno post prog metal, dalle atmosfere ambient alle sfuriate growl, dai tecnicismi math rock e fusion ad ampi passaggi solenni. Già l'unico pezzo strumentale dell'album, 52!, passa attraverso una serie di variazioni e dinamiche tra le più avvincenti e originali ascoltate ultimamente, mai leziose o riempitive, inoltre quasi tutti i pezzi, pur mantenendo un'impostazione prog basata su variazioni tematiche, si ricollegano sempre ad un chorus ricorrente che cerca nella sua complessità strumentale di mantenere orecchiabilità ed epicità. Esoteria è quindi un album che riesce a soddisfare la carenza di una nuova spinta nel prog metal e a colmare una lacuna all'interno di un genere sempre più stagnante.
venerdì 8 dicembre 2023
Codeseven - Go Let It In (2023)
I Codeseven hanno rappresentato una delle realtà più anomale del post hardcore degli anni Zero. Praticamente cambiando direzione ad ogni album sono riusciti nell'intento di esplorare la parte più melodica e psichedelica del genere. Rimanendo dentro un limbo elusivo con un progresso stilistico spiazzante ed in continuo sviluppo, di volta in volta i Codeseven sono stati accostati ai compagni di avventura Hopesfall ed in seguito, con il secondo album The Rescue (2002), alla singolarità trasversale e fuori dagli schemi dei Dredg. La band, nonostante il suo riconosciuto apporto all'espansione espressiva del post hardcore, non è riuscita comunque a raggiungere la notorietà di culto dei due gruppi appena citati, a causa di un prematuro capolinea ed un ultimo album, Dancing Echoes/Dead Sounds (2004), che lasciava un senso di irrisolto per la sua natura indecisa nell'equilibrare la trasversalità di fusione tra art rock e hardcore melodico.Dopo una pausa di quasi 20 anni, senza alcun preavviso e in una successione di eventi simile a quella degli Hopesfall, i Codeseven sono tornati in scena con la line-up originale che comprende Jeff Jenkins (voce), James Tuttle (chitarra, tastiere), Eric Weyer (chitarra), Jon Tuttle (basso) e Matt Tuttle (batteria) e un album ispiratissimo che, con tutta probabilità, è il migliore della loro carriera. Go Let It In riprende il discorso dove lo avevamo lasciato con Dancing Echoes/Dead Sounds, ma si fa forte di un gruppo ormai maturo e sicuro dei propri mezzi, trascinandoci di nuovo in una dimensione insolita per il post hardcore e quasi facendo risplendere di luce rinnovata l'ultimo incompreso lavoro del 2004. A dominare in tutte le tracce sono i suoni sintetici delle tastiere che sovrastano le trame chitarristiche, nel creare un'atmosfera sognante ed elettrica, a cavallo tra latente space rock ed energica new wave.
sabato 2 dicembre 2023
IONS - Counterintuitive (2023)
Nella moderna giungla musicale dove, a quanto pare, è stato già detto tutto a livello di contaminazioni, cosa si può inventare una band o un artista per attribuirsi almeno un barlume di sostanza e personalità? Senza la pretesa di conseguire nell'impossibile impresa di abbattere chissà quale frontiera di innovazione, credo che comunque gli IONS con il loro secondo album Counterintuitive abbiano provato a dare una risposta. La via maestra è lavorare quanto più possibile sul sound e cercare di sposare timbri e colori che solitamente non siamo avvezzi ad ascoltare dentro lo stesso contesto. Abbinamenti i quali, più che chiamare inconsueti, azzarderei a definire assortiti in maniera insolitamente avvincente.
Nel loro primo omonimo album gli IONS avevano già mostrato di apprezzare lo stratagemma del "wall of sound" vicino alle consuetudini debordanti di Devin Townsend. Su Counterintuitive cambiano però traiettoria, acquisendo una propria consapevolezza estetica nel forgiare un quadro sonoro pieno, compatto e dinamico. In breve, il quintetto ceco è un'emanazione dell'ultima onda prog metal che fa uso abbondante di poliritmie e riff djent accompagnati da sintetizzatori e tastiere, ma sfruttati per potenziare e arricchire il pathos dei paesaggi sonori e non dal lato virtuoso e tecnico come ci si aspetterebbe da un gruppo prog metal. E' proprio nelle sfumature timbriche che Counterintuitive prende vita e riesce ad elevarsi sopra altre band affini, contando naturalmente su una scrittura di grande impatto valorizzata da questi elementi.
La musica degli IONS è altamente complessa ma non inaccessibile dal punto di vista melodico. Per il connubio a cui si accennava prima si potrebbe tentare un'accostamento con le trame synth-djent dei VOLA, ma dove la band danese nel tempo si è avvicinata sempre di più a caratteri formali alt pop, gli IONS mantengono un legame adiacente e solido con la frangia sperimentale del prog. Se quindi da una parte abbiamo brani che possono catturare la nostra attenzione ad un primo ascolto, come A Terrible Mistake e The Same As You, dall'altra troviamo le trame elaborate di Out of Sight, Slpit Character e Birds of Reminiscence, che comunque non ne intaccano la scorrevolezza.
Tornando al carattere sonoro dato all'album l'uso spaziale e quasi alieno che viene fatto dei synth attribuisce un'aura al confine tra post rock, electrorock, sfiorando quasi una versione metal della new age. Un contrasto in termini di esecuzione, dato che gli IONS puntano molto sull'energia e la veemenza nella resa finale della loro formula, ma è proprio qui che risiede il fascino di Counterintuitive, un lavoro di assoluto valore che mi ha subito conquistato e sicuramente da ritenere tra le gemme nascoste di quest'anno che volge al termine.
mercoledì 29 novembre 2023
Mingjia - star, star (2023)
Arrivare a produrre come debutto un album di chamber pop con velleità jazz e prog non deve essere certo un’impresa da poco. Figuriamoci intensificare al massimo le potenzialità dell’aspetto compositivo in modo da includere parti per orchestra, rinunciando quasi del tutto alla classica strumentazione rock di chitarra, basso, batteria, sviluppare i brani come lunghe suite attraverso una varietà timbrica che sfrutta le varie peculiarità di ogni strumento. Tutto ciò lo si trova in star, star, opera prima della compositrice Mingjia Chen (nata a Pechino ma residente a Toronto), un doppio album che definire ambizioso sarebbe riduttivo.