giovedì 26 dicembre 2013

Jellyfish - Radio Jellyfish (2013)


Il 2013 è stato il ventennale di uno dei miei album preferiti di sempre: Spilt Milk dei Jellyfish. Questo secondo e ultimo album del gruppo di San Francisco, pubblicato nel febbraio 1993, era un puro concentrato di power pop che frullava Queen, Beatles, Beach Boys e Supertramp in un mix geniale ed unico. Purtroppo però, i Jellyfish arrivarono comprensibilmente al momento sbagliato, quando cioè, a livello di stampa musicale e moda, si parlava solamente di grunge e brit pop. E' logico che, con queste premesse, la musica dei Jellyfish non trovò molto spazio nel mercato, pur avendo realizzato un capolavoro che, non a caso, il tempo ha riscoperto.

Da un po' di tempo la label Omnivore Recordings sta tirando fuori dal cassetto vecchie e inedite registrazioni di archivio e l'ultima è davvero succulenta. Si tratta di Radio Jellyfish, una raccolta di versioni unplugged del repertorio Jellyfish che il gruppo performò come promozione in due radio (olandese e australiana). A parte la cover dei Move I Can Hear the Grass Grow, comparsa nel box set Fan Club, il resto dei brani non è mai stato ufficialmente pubblicato. Mi sembra superfluo aggiungere che si tratta di materiale di qualità superiore, dove il quartetto riesce, in versione acustica, ad ovviare ai limiti imposti dalla strumentazione per ricreare i loro arrangiamenti barocchi.
Di seguito ho aggiunto, oltre al trailer, alcune performance acustiche - tre delle quali tratte proprio dallo show olandese - per dare l'idea di cosa aspettarsi:

martedì 24 dicembre 2013

By Sunlight - Penumbra (2013)

 
Ecco, per mesi non esce niente di niente e poi, in un paio di giorni a fine anno, ti ritrovi con due album notevoli come quello dei Being e ora questo dei By Sunlight!

Proprio circa due mesi fa avevo parlato dell'imminente pubblicazione di questo album d'esordio dei By Sunlight. Penumbra viene a sorpresa pubblicato oggi, quando ormai credevo che il gruppo lo avesse rimandato al 2014. Per mia fortuna è già da qualche mese che sono in possesso di questo album, ma per parlarne volevo aspettare la pubblicazione ufficiale. Devo dire che raramente si ascolta in giro un rock pop così ben strutturato, raffinato e intelligente, con armonie vocali levigate benissimo e twist melodici inaspettati. Come dicevo nel post di ottobre i By Sunlight potrebbero essere una versione intellettuale dei Minus the Bear (tra l'altro entrambi i gruppi sono di Seattle) per il loro porre in primo piano gli intrecci di chitarre arpeggiate.

Come apertura è posto un pezzo particolare come Prufrock, una specie di folk da camera, molto dark, dove si incontrano la West Coast anni '60 e Simon and Gurfunkel. Da qui in poi si susseguono brani affascinanti come Chandelier, Apple TreeBastion tutti uniti tra di loro senza soluzione di continuità (un espediente già provato nel loro omonimo EP). Gnash & Chime è un altro carillon atmosferico impregnato di malinconia che si risolve in una lunga coda ambient. Isis è un raccolto brano acustico, quasi liturgico, che pallidamente richiama i primi Pink Floyd, mentre la title-track ha un piglio più romantico, toccando le stesse corde da ballad. Crescent e July riportano alle elaborate armonie del trittico Chandelier - Apple Tree - Bastion ed infine Diamonds, con quelle sue volute e leggere atonalità, porta agli estremi gli stilemi dei By Sunlight. Musica costruita con sapienza che ha il raro dono di poterla ascoltare distrattamente, ma anche di immergersi totalmente nell'amalgama creato dai suoni caldi ti chitarre e tastiere.




www.bysunlight.com

The Venetia Fair - Basically Just Does Karaoke EP (2013)

 
I The Venetia Fair hanno deciso di festeggiare il Natale con un EP di cover, canzoni di altre band scelte dai fan e reinterpretate dal quintetto di Boston alla propria maniera scanzonata. Ecco il comunicato che spiega la genesi di questo progetto:

Boston-based rock band The Venetia Fair has officially announced the release of their highly anticipated cover EP, “The Venetia Fair…Basically Just Does Karaoke”, which will hit digital retail platforms on December 24th, 2013.

Plans for this EP stem back to the band’s extremely successful Kickstarter campaign in 2012 which funded their acclaimed full-length record, “Every Sick Disgusting Though We’ve Got In Our Brain”. During this campaign, 6 donors purchased a prize which entitled them to choose a song for the band to cover - as a result the track listing for this EP was born.

Singer Benny Santoro comments, “We said we'd cover anything they wanted and we got 6 very different songs from different genres and different eras in music, each with their own challenges. We had no intention of simply playing these songs as they were originally played (especially Bohemian Rhapsody... we didn't wanna go anywhere near that song!) so we took our time and completely rebuilt them from the ground up to make sure we made them our own. Some of the songs we loved and had to figure out how to tweak them without totally ruining them and some of the songs we hated and had to figure out how to make them good, but I believe we rose to the challenge and, with the help of our Kickstarter backers, put together a very strange and very cool little cover EP. We definitely trashed some classic tunes, but it's all very tongue-in-cheek since we would never take a cover song seriously 'cause it's basically just doing karaoke..."

This pre-holiday treat will feature 6 well know songs (listed below) which have been pulled apart and pieced back together in the whacky, wonky TVF style that their fans have come to know and love.

Keep your eyes on the band’s social media pages for more news, clips, and images leading up to the Christmas Eve digital release.




Track listing:

1. Bohemian Rhapsody - Queen
2. Come on Eileen - Dexy's Midnight Runner
3. Rock Lobster - The B52s
4. Jesus of Suburbia - Green Day
5. Camouflage, Camouflage - The Blood Brothers
6. The Willing Well III: Apollo II: The Telling Truth – Coheed and Cambria

domenica 22 dicembre 2013

BEING - Anthropocene (2013)


La prima volta che ho sentito parlare dei Being fu all'interno del fan forum dei Dredg più di un anno fa. Le voci davano per imminente il loro album di debutto, ma, dopo un'attesa senza riscontri, si scoprì che il disco era stato rimandato a data da definire. La storia di Anthropocence è quella di una lunga e travagliatissima gestazione, dato che sarebbe dovuto uscire esattamente un anno fa. Prova ne è che i Being avevano già realizzato via web quasi tutte le tracce in una versione però ancora non definitiva. Ma, per vari problemi legati al mixaggio e alla produzione, la band non era completamente soddisfatta dei risultati e ha preferito quindi aspettare. Già all'epoca, comunque, il "metal cosmico" dei Being mi aveva incuriosito, però il tempo è passato e mi ero quasi dimenticato di loro.

Adesso possiamo infine ascoltare Anthropocene in tutta la sua gloria e, come nel fan forum dei Dredg facevano notare, i Being assomigliano ad una versione djent del gruppo di Los Gatos. In realtà il riferimento al djent è un po' forzato poiché quello dei Being è un progressive metal spaziale (Devin Townsend è un altro paragone) che per non nascondere le proprie radici djent ospita molti musicisti del genere tra i quali spiccano Misha Mansoor e Spencer Sotelo dei Periphery. Mentre il riferimento ai Dredg è marginalmente portato a galla dalle inflessioni vocali di Casprin Haruna che dona alle linee melodiche lo stesso gusto di Gavin Hayes, ancora più palese quando il suono si alleggerisce specialmente su Sorrow.

Sarà forse proprio per questa lunga gestazione che Anthropocene appare un lavoro imponente. Un concept album di circa 71 minuti con muri di suono che fondono metal con l'elettronica (anche se l'intermezzo su Escape è alquanto fastidioso) come vuole l'ultima tendenza del genere. I famigerati growl sono dosati con sapienza e non si scade mai in aggressività eccessive. Qualche volta l'album soffre per un eccessivo uso di espedienti da studio, palese nel confusionario collage dei 12 minuti finali di The Singularity - Cosmits II, artefatti ai limiti del midi file. Oppure quando la voce del cantante Casprin Haruna viene modificata e fatta sfumare per sembrare uno strumento elettronico, credo attraverso l'utilizzo di autotune.

A parte ciò, Anthropocene è un lavoro che regala momenti memorabili come CosmonautThe Singularuty - Terrans I, i tour de force di DNA e Perpetual Groove. Rientrando nei territori djent, anche i Being, come i DispersE, cercano di infondere alla musica un carattere spaziale e mistico. Entrambi hanno il pregio di traghettare il prog metal metaforicamente verso visioni ampiamente epiche, partendo da sensibilità simili ma differenti. Se quella dei DispersE è un'estensione della meditazione trascendentale legata alla vita terrena, quella dei Being è come un telescopio puntato negli angoli remoti dell'universo.

    

sabato 21 dicembre 2013

As Tall As Lions - A Farewell Documentary

L'ultimo insperato regalo dei disciolti As Tall As Lions arriverà proprio a Natale, quando sarà reso disponibile, sul sito ufficiale, il documentario di addio realizzato dalla band. In allegato a ciò sarà possibile scaricare anche un brano inedito dal titolo To the Sound presente in questo trailer.

 
As Tall As Lions - A Farewell Documentary - Official Trailer from Transcend Motion Pictures on Vimeo.

  http://www.AsTallAsLions.com/

domenica 15 dicembre 2013

ALTPROGCORE - BEST OF 2013

Avrei voluto aspettare qualche altro giorno per pubblicare questa lista, ma la effettiva penuria di uscite mi ha fatto cambiare idea, come dire che, arrivati a questo punto, non uscirà niente che può competere per le selezioni di fine anno. Mi spiego meglio: quest'anno mi è capitato di notare che almeno, diciamo, da agosto non sia stato pubblicato nulla di eclatante. Qualche sussulto a settembre c'è stato (infatti qualcosa nella lista è compreso), ma, oltre a ciò, poco o nulla. L'unica produzione effettivamente di spessore uscita negli ultimi due mesi la trovate in seconda posizione. Quindi, la seconda metà di questo 2013, è stata abbastanza demoralizzante come vi sarete accorti anche dalla carenza di post, non dovuta tanto al poco tempo, ma piuttosto alla scarsità di pubblicazioni valide. All'inizio dell'anno molti gruppi avevano annunciato album imminenti che sono, evidentemente, slittati al 2014.

Non so se ciò sia dovuto alle sempre più ingenti spese a cui devono far fronte le band, o se i musicisti sono diventati dei campioni di meticolosità, ma i tempi di realizzazione di un album sono sempre più dilatati. I vari social network - come Facebook, Twitter e Instagram -, che ci tengono costantemente aggiornati sui processi di registrazione e ci aiutano a farci un'idea sui loro progressi, mi fanno pensare che tutte queste tecnologie, paradossalmente, hanno penalizzato la produzione di un CD, rallentandone i tempi di lavorazione. Sono lontani i tempi in cui, ad esempio, gli Yes facevano uscire nello stesso anno "cosucce da niente" come The Yes Album e Fragile.
Concludendo, in questa pagina trovate la Top 18 di Altprogcore e, come l'anno scorso, per una lista più esaustiva vi rimando alla mia pagina RYM.



18. Being
Anthropocene

Un disco che è stato in gestazione per 10 anni, un concept album di circa 71 minuti con muri di suono che fondono metal e djent con l'elettronica (anche se l'intermezzo su Escape è alquanto fastidioso) come vuole l'ultima tendenza del genere. I famigerati growl sono dosati con sapienza e non si scade mai in aggressività eccessive. Qualche volta l'album soffre per un eccessivo uso di espedienti da studio, palese nel confusionario collage dei 12 minuti finali di The Singularity - Cosmits II, artefatti ai limiti del midi file. A parte ciò, Anthropocene è un lavoro che regala momenti memorabili come CosmonautThe Singularuty - Terrans I, i tour de force di DNA e Perpetual Groove.



17. Everything Everything
ARC

Per il loro secondo album gli EE hanno scelto una via meno ambiziosa e barocca rispetto alla caleidoscopica euforia dell'esordio Man Alive. Ne esce fuori un electro rock di maggiore presa e più intelligente della media. Ma se Man Alive non presentava sbavature, ARC, accanto a grandi numeri come Cough Cough, Duet e Choice Mountain, ha al suo interno qualche ingranaggio più debole come i brani più pacati The House is Dust e The Peaks. ARC nasconde meno insidie per l'ascoltatore medio e i brani, benché complessi e superiori alla media del genere, si digeriscono più in fretta del solito, magari anche troppo. Questo è un po' il limite di ARC che comunque rimane una gran prova. 




16. Volcano Choir
Repave

Passato lo stato di grazia conseguito con Bon Iver, Bon Iver, Justin Vernon si unisce per la seconda volta con i Collections of Colonies of Bees sotto la sigla Volcano Choir. Repave trattiene nei suoi solchi un po' di quella magia boniveriana, la fascinazione per una musica paesaggistica e suggestiva, l'epica dei crescendo e dei grandi spazi sonori, quasi orchestrali. L'album si apre con una sequenza mozzafiato di quattro tracce, una meglio dell'altra. Le altre quattro sono più sfilacciate tra balzi di ispirazione e didascalici riempitivi. Nonostante questo divario d'ispirazione, che divide virtualmente Rapave in due parti, la poetica sonora (perché è di questo che si tratta) rimane omogenea.




15. Karnivool
Asymmetry

Asymmetry è il manifesto di una band che non ha paura di progredire sperimentando e i Karnivool si sono presi i loro rischi, anche a costo di divenire ancora più cervellotici e impopolari. Bisogna riconoscere una gran dose di coraggio al gruppo australiano dato che questa terza prova in studio è stata destinata a non contentare tutti. Le composizioni sembrano scaturite più da improvvisazioni, piuttosto che da un processo di scrittura portato avanti con metodo. I risultati hanno dato vita ad un album con alti e bassi dove i brani non sempre brillano per lucidità, ma quando lo fanno ti colpiscono come una wrecking ball. Ad ogni modo qui è la mente prevale sul cuore e Asymmetry rimane un esperimento affascinante con alcuni limiti.




14. Steven Wilson
The Raven That Refused to Sing (and Other Stories)

Con il personaggio Wilson ho un rapporto conflittuale e ambivalente. The Raven riporta molti dei tratti stilistici di Grace for Drowning e li approfondisce. Qui si scava a piene mani negli anni '70, mentre GFD aveva anche dei tocchi di modernismo. The Raven è un album prog vecchio stile - un gran stile - suonato da dei musicisti d'alta classe, che comunque non sempre regge le vette di scrittura del suo predecessore. Insieme ai Big Big Train, Wilson rimane la migliore espressione del progressive rock inglese e in questa pausa da solista ha sicuramente superato i risultati dei Porcupine Tree degli anni 2000. D'altro canto devo aggiungere che, se in studio crea degli ottimi album, dal vivo mi fa saltare i nervi per quel suo atteggiarsi a rock star (e a Pistoia Blues ne abbiamo avuto un assaggio). Non che non lo debba fare, per carità, ma si vede lontano un miglio che, da vecchio volpone, Wilson si è cucito addosso un personaggio artefatto che non gli appartiene, soprattutto a causa del suo ego smisurato. In fondo lui oggi fa ciò che ha sempre fatto da vent'anni a questa parte: rileggere il progressive rock degli anni '70, con la differenza che ora la stampa gli dà del genio e lui ci crede. Con questo voglio solo dire che il personaggio Wilson andrebbe ridimensionato: nessuno toglie che sia la stella che ha rilanciato il progressive rock in tempi di magra, o che non sappia creare degli album memorabili, ma ci sono anche altri musicisti che valgono quanto lui. Alla fine The Raven presenta punti deboli, come le pur apprezzate Drive Home e la title-track che trovo molto melense e noiose, rilevando che è un album che riascolto con fatica.



13. Sound of Contact
Dimensionaut

Simon Collins (figlio di Phil) e il tastierista-produttore Dave Kerzner (che in passato ha collaborato con Kevin Gilbert) hanno prodotto uno dei più gustosi e raffinati album di progressive rock dell'anno. Più che agli anni '70, Dimensionaut guarda al passato prossimo influenzato da quei toni melodici e orecchiabili che hanno fatto grande il prog americano degli anni '90 (vedi Spock's Beard e Transatlantic).



12. Chvrches
The Bones of What You Believe

Non mi sento di equiparare questo album ad altri prodotti della scena electro pop. Questo degli scozzesi Chvrches è di molto superiore. Tra le motivazioni c'è forse che Iain Cook e Martin Doherty provengono entrambi da band di rock alternativo, così come la cantante Lauren Mayberry. I tre sanno come si compone e arrangia una canzone e applicano la loro esperienza al pop rendendolo più accattivante che mai. Cook aveva già sperimentato l'influenza dell'elettronica negli ultimi lavori degli Aereogramme e qui sembra dare sfogo a ciò che aveva lasciato insoluto. D'altronde, se rallentiamo i battiti di We Sink e ce la immaginiamo acustica, non verrebbe fuori una perfetta ballata in stile Aereogramme? Questo per dire che l'ossatura compositiva dei Chvrches rimane quella di una altrock band. Oltre a questo ci sono melodie che ti si insinuano dentro come un lavaggio del cervello e canzoni perfette come Gun e By the Throat. Magari per alcuni sarà un giocattolo che si romperà dopo qualche ascolto, per me invece dimostra un'insolita resistenza agli urti. 




11. Paramore
Paramore

Ok, Ok, questo merita una spiegazione/giustificazione. Non avrei mai preso in considerazione i Paramore se non fosse stato per i tipi del sito web musicale DecoyMusic che ritengo molto preparati e stimabili. La recensione di Paramore su DecoyMusic ha toccato il rating di 4.5 su 5 e così ho voluto controllare questo insolito voto più per curiosità che altro. Ho scoperto subito dopo, inoltre, che altre testate hanno decretato l'album il migliore della carriera del gruppo.
Ancora dubbioso e senza grandi aspettative mi sono invece ritrovato ad ascoltare Paramore due, tre, quattro volte, trovando quasi tutte le canzoni davvero irresistibili. Ovvio, niente di trascendentale, ma, considerato tutto, è già tanto non trovarsi di fronte al solito pop spazzatura, anzi, qui la materia si eleva ad una scrittura al di sopra della media (Part II nella sua semplicità è grandiosa).
Il punto vincente dell'album è la sua varietà (pur contenendo 17 tracce) che attraversa una certa estetica del power pop rock anni '90 e '80. Si va dal bubblegum punk di Fast in My Car e Now, alle similitudini con Cyndi Lauper su Still Into You e Grow Up, il tutto con una verve funk che fa somigliare i Paramore ad una versione con le palle dei No Doubt.
Hayley Williams è davvero una brava cantante e credo che qui abbia affrontato la sua prova migliore. Come fa notare il titolo questo vuole essere un nuovo inizio per la band e spero che il cambio di direzione si protragga in futuro. Spogliatevi dei vostri pregiudizi e date una possibilità a Paramore. Già battezzato come il guilty pleasure di quest'anno.




10. The Reign of Kindo
Play with Fire

Per essere una giovane band i The Reign of Kindo dimostrano una maturità fuori dal comune, oltretutto, come se questo non bastasse ,sfornano un lavoro degno di una major suonato, prodotto e arrangiato in maniera impeccabile, pur essendo sostenuti "solo" da un'etichetta indipendente. Dall'altro lato l'impasto tra jazz e pop rock di Play with Fire mostra le prime crepe che rischiano di portare il quintetto di Buffalo verso una deriva melenso-romantica (si vedano Romancing a Stranger e Sunshine). Ma quando ti capita un lavoro così non puoi che perdonare questi piccoli peccati veniali.




9. Coheed and Cambria 
The Afterman: Descension

La seconda parte di The Afterman mantiene lo stile e le promesse della prima, percorrendo lo stesso immaginario heavy prog e completando in maniera egregia quello che potrebbe essere a tutti gli effetti un epico doppio album. I Coheed And Cambria non si esprimevano a tali livelli creativi dai tempi del secondo lavoro In Keeping Secrets of Silent Earth: 3, pur alleggerendo le complessità formali in favore di un rock più diretto. In pratica le due parti di The Afterman li hanno riscattati da una parabola artistica che stava inesorabilmente crollando. Uno scatto d'orgoglio insperato e benvenuto.





8. Big Big Train
English Electric (Part Two)

Questa seconda parte a me ha convinto molto più della prima. Basterebbe già un brano capolavoro come East Coast Racer per superarla che è una delle migliori suite sentite negli ultimi tempi. Il resto è di nuovo una collezione di brani neo progressive ad alto tasso melodico, suonati e prodotti in maniera più che professionale. Come molti complessi di questo genere si sentono echi di influenze genesisiane, ma Spawton, Poole e Langdon si destreggiano talmente bene che infondo molta personalità al suono del gruppo. I Big Big Train si confermano così come la miglior band neo prog contemporanea.




7. HRVRD
From the Bird's Cage

Oltre ad un leggero cambio di nome gli Harvard rinnovano anche il loro stile con coraggio e intelligenza. Più psichedelia e meno post-hardcore può essere la sintesi della formula che ha portato gli HRVRD ad una seconda opera fatta di groove ipnotici e impasti elettrici dai toni caldi e spaziali. From the Bird's Cage va assaporato lentamente ascolto dopo ascolto, in un processo di assimilazione che a me ha ricordato molto quello intrapreso con El Cielo dei Dredg. Inizialmente si rimane quasi indifferenti mentre la musica scorre, fino a che, una volta assimilata, ti entra dentro con la sensazione di aver trovato un nuovo classico. Un disco perfetto da assaporare nella quiete di assolati e silenziosi pomeriggi estivi. Speriamo che la band non faccia passare altri 4 anni per il terzo lavoro in studio.






6. Owen
L'Ami du Peuple

Mike Kinsella, nel suo nuovo album solista, finalmente aggiunge un po' di pepe alle sue canzoni, con arrangiamenti meno minimali del solito, anche se la componente di ballad acustica malinconica è sempre ben presente. Gli American Football non sono mai stati così lontani e così vicini. Altrimenti L'Ami du Peuple, tematicamente, rimane saldo ai valori della Weltanschauung kinselliana: cinismo a volontà, note autobiografiche, spaccati di vita da provincia americana. Vi si descrivono amori finiti, ma che ancora riaffiorano, rimpianti e ricordi di una vita che abbiamo vissuto e che ci ha portato forzatamente a tutt’altro (How long have I been sleepin’?/ I’m a dad and my dad’s dead). Tutto questo raccontato con disincantato realismo.




5. The Dear Hunter
Migrant

Dopo tre album all'insegna di un barocco alternative prog e una serie di EP eclettici e stilisticamente vari, Casey Crescenzo ha dato alle stampe il suo lavoro più accessibile e pop. Quella di Migrant è una collezione di melodie senza tempo, che può piacere in egual misura al teenager medio come ai suoi genitori. Crescenzo guarda al passato della musica popolare americana e ne ricava canzoni intergenerazionali che vanno dal soul al folk, dal chamber pop alla West Coast degli anni Sessanta.




4. Stellar Young
Everything at Once
 
Questo giovane quintetto di Albany (NY) si presenta all'esordio con un album pop rock alternativo di grande sensibilità melodica e di innegabile abilità nell'arrangiamento.
Gli Stellar Young si sono palesati in un primo momento nel 2011 con il nome The City Never Sleeps, dando alle stampe l'EP Madison. Ora si presentano con un nuovo nome e con l'album d'esordio dal titolo Everything at Once che, devo ammettere, ho iniziato ad ascoltare con leggerezza e, lentamente, mi ha conquistato. Gli Stellar Young partono da premesse appartenenti al moderno alternative rock americano e le immergono in melodie pop molto gustose, sofisticate e sognanti tra le quali la parte del leone la fanno brani come Playing with Guns, We Own Nothing e Alright. Ma, in effetti, non c'è una canzone debole in questo esordio, già maturo e ricco di promesse per il futuro.
Il quintetto di Albany si può accostare ad una versione molto più soft dei Circa Survive o HRVRD che si incontra con la delicatezza dei This Day and Age (la band che poi ha generato i The Reign of Kindo), riprendendo lo stesso gusto per dolci armonie presenti in quel piccolo gioiello che fu The Bell and The Hammer.



 


3. Exivious
Liminal

Era dai tempi di Erotic Cakes di Guthire Govan che non apprezzavo così tanto un album strumentale di genere fusion. Gli olandesi Exivious - i cui 2/4 hanno collaborato con i Cynic e si sente - ci inseriscono un po' di tutto tra jazz, metal, djent e ambient, superando ampiamente i risultati dell'omonimo esordio del 2009. In questo mi sembra un proseguimento del discorso aperto dai DispersE con il loro sontuoso Living Mirrors. Liminal è anche un raro caso in cui tecnicismo non è sinonimo di freddezza, ma uno studio di dinamiche armoniche che sa emozionare.





2. DispersE
Living Mirrors
 
Con il loro secondo album, questi quattro giovani di Cracovia hanno creato una miscela pressoché perfetta di progressive metal, djent, ambient e fusion. Ma oltre a ciò, Living Mirrors riesce ad equilibrare benissimo momenti melodici, tecnicismi e poliritmie da capogiro. Dietro a tutto c'è il giovanissimo talento di Jakub Żytecki, davvero enfant prodige della chitarra che dimostra non solo di saper suonare, ma anche di comporre con gusto. Pezzi come Enigma of Abode, Touching the Golden Cloud, AUM e Message from Atlantis aprono nuovi squarci verso un prog metal mistico votato tanto alla meditazione zen quanto ai furori rock.






1. The Knells
The Knells

Un chitarrista classico può ridefinire il rock moderno d'avanguardia? A quanto pare il compositore Andrew Mckenna Lee c'è riuscito, regalandoci l'album più originale del 2013. Quello dei The Knells è una perfetta sublimazione tra musica classica e rock, nella miglior tradizione dell'avanguardia del Rock In Opposition. Questo è un album che è entrato in ritardo nella classifica, ma ho capito quasi immediatamente che si meritava il podio. L'ho conosciuto grazie ad una segnalazione del giornalista musicale Sid Smith e, dal primo momento che l'ho ascoltato, ho sentito l'esigenza di riprodurlo regolarmente tutti i giorni. The Knells è un ibrido tra musica clsssica e rock, una sintesi perfetta di quello che potremmo definire avant-garde progressive rock. Azzarderei a dire che era dai tempi dei Mars Volta che non ascoltavo un album con un suond così unico e personale. Davvero notevole!

venerdì 13 dicembre 2013

Intervista con i Murder by Death


Murder by death....fiamminga bloccata sul ponte del Bassanello con il tram di fianco!
Murder by death.... la fuga di Natale per fumare sulla tomba di Antenore!
Murder by death... and the fucking cold here!
Murder by death... e l'impossibilità di stare sobrio dopo che se n'era andata!
Murder by death... folk in onore del whisky!

Pochi gruppi indie folk sono riusciti ad emozionarmi come i Murder By death. Un folk condito da cinque artisti in camicia da boscaiolo che utilizzano più e diversi strumenti (violini, tastiere, mandoli, corna..) e che raccontano storie in ogni loro album (concept album). Una voce calda e corposa, violenta come il miglior whisky dopo una nottata passata a bere e a dimenticare, una voce che non lascia indifferente ma che si lascia ascoltare e deliziare.
I loro primi due album: Who Will Survive, and What Will Be Left of Them?, In Bocca al Lupo sono, a mio avviso, le loro opere migliori, magari, da ascoltare in macchina bevendo un caldo whisky che scalda e brucia la gola.


Come sono nati  i Murder by Death?

Grazie ad un paio di amici con i quali mi divertivo a suonare. Il nome richiama invece quel film oscuro, Murder by death, che tanto ci divertiva. Pensammo che la nostra musica fosse oscura come il film e così decidemmo di prendere in prestito il nome.
 

Com'è stato suonare con Gerard Way dei Chemical Romance e Geoff Rickly dei Thursday?

Wow... fu tanto tempo fa. Sono dei bravissimi ragazzi e noi fummo contenti che due band così famose apprezzassero la nostra piccola band.


Come descrivi la tua musica?

Non è semplice. Ogni canzone ha una sua personalità. Siamo stati definiti in ogni modo, ma se qualcuno me lo chiede, rispondo sempre che si tratta di una band oscura che proviene dall'America e poi cerchiamo di parlare di qualcos'altro.

 

Qual è l'umore del vostro ascoltatore usuale?

 Minaccioso, sterile, ansioso.


Quant'è difficile avere nuove storie, emozioni o nuovi messaggi da trasmettere ai vostri ascoltatori?

Credo che più suoni e scrivi, più sia difficile avere qualcosa di nuovo da dire. Così cerco di non scrivere finché non ho davvero qualcosa di utile ed interessante da dire.

A chi vi ispirate?

Personalmente, sono cresciuto ascoltando moltissimi stili diversi e questa band ne è il risultato. Mi piace ogni genere: dal soul ai Cure, The Pogues, David Bowie.


Cos'è cambiato dai primi album ad ora?

Abbiamo sempre cercato di fare qualcosa di diverso per ogni album. Alla fine diventa noioso fare sempre la stessa cosa.


Dove trovi l'ispirazione per le tue storie fantastiche e così oscure?
Chi lo sa? Libri, film, immaginazione.

 
 
Come nascono i titoli delle vostre opere?

Facciamo semplicemente ciò che ci piace. Assoldiamo nostri cari amici che sono artisti o se vediamo qualcuno che ha creato qualcosa che ci piace, gli chiediamo di lavorare con lui.


Quant'è importante il whisky per il vostro gruppo?

É il nostro drink ufficiale e regionale ed è di uso comune in quest'area. Ci piace molto bere del buon bourbon.


State lavorando a qualcosa di nuovo?

Sì, assolutamente... stiamo iniziando a scrivere le nuovi canzoni.


http://www.murderbydeath.com/

Intervista e traduzione a cura di
Francesco Notarangelo

 

martedì 10 dicembre 2013

Tubelord - Pop Songs For Rock Kids (2013)


I Tubelord sono un altro di quei gruppi che hanno avuto, purtroppo, un'esistenza troppo breve. Apprezzai molto il loro primo album Our First American Friends, ma, dopo un secondo lavoro leggermente meno ispirato, la band si è sciolta lo scorso anno. Ecco ora arrivare Pop Songs For Rock Kids, una classica raccolta postuma che colleziona i primi singoli della band con alcuni brani non inclusi negli album e versioni alternative di altri già conosciuti. Pop Songs For Rock Kids esce per l'etichetta Big Scary Monters in una splendida versione in vinile glitterato in edizione limitata di 300 copie, un ottimo regalino per Natale.

domenica 8 dicembre 2013

Tangled Hair - MilkTime Sessions

Peccato che i Tangled Hair abbiano all'attivo solo due EP. Queste sessioni live provano che avrebbero ancora qualcosa da dire.

 



http://asktangledhair.tumblr.com/

giovedì 5 dicembre 2013

Best EPs of 2013

Come ogni anno la classifica degli album full length è anticipata da quella, altrettanto interessante, degli EP. Quest'anno, poi, oserei dire quasi più interessante visto che, a livello di novità, ci sono cose molto intriganti che mi hanno incuriosito più degli album "normali". A tale proposito voglio subito sottolineare che l'EP nella vetta di questa lista appartiene ad una band - gli FS - che è stata, per quello che mi riguarda, la miglior scoperta dell'anno, quindi mi preme aggiungere che se non avesse da competere con album completi, sicuramente sarebbe la cosa migliore sentita quest'anno.
(Per i gruppi presenti su Bandcamp ho aggiunto direttamente lo streaming dell'EP così lo si può ascoltare immediatamente su questa pagina.)



10. Amplifier
Sunriders
 



9. Their/They're/There
Their/They're/There
 




8. Infantephant
Cyclelicoptippopacalypse





7. Bed of Stars
I Fell In Love In The City


 
6. The Dear Hunter
The Migrations Annex
 
  


5. L'Anarchiste
The Traveller
 


 

4. Ghost Parade
Foundation




3. Seven Impale
Beginning/Relieve





2. City of Ghosts
The Calm in the Current
 

 

1. FS
Cheers and Fears from the Past Year

mercoledì 4 dicembre 2013

Intervista con Eric Howden (Raised by Swans)


La fine di un amore, l'inizio del“generale inverno” dopo un autunno passato a sorseggiare birra ricordandosi di ciò che si è fatto ed in attesa di ciò che sarà.
Non è più il 2005 (per fortuna) e neppure il 2009.. molta musica è tutta troppo uguale, più nessuno mi aspetta alla sua porta e questa città sembra più una strada che un dedalo di vie in cui perdersi!
Raised by Swans..progetto solista di Eric Howden. Una musica che ti coccola, ti protegge e, a volte, t'intristisce. Melodie soffici, una voce delicata e struggente le cui parole possono ferirti come lame nel cuore. Con due album all'attivo (Codes and Secret Longing, No Ghostless Place) e in attesa del terzo album, Raised by Swans è musica che mi piace consigliare ed ascoltare in questo periodo dell'anno: invernale e con poche speranze all'orizzonte. Buon ascolto!


Ciao Eric.... parlaci un po' dei Raised by Swans.
 
Prima di tutto, non l'ho mai rivelato prima, ma è importante dirlo.. Raised by Swans non è mai stato un gruppo, ma un progetto solitario. Questo passo non è mai stato molto chiaro in passato ed è sempre stato un mio errore: la verità è sempre stata offuscata da tentativi fin troppo modesti! La modestia è certamente una dote preferibile all'arroganza, almeno per me, ma in alcuni casi può essere ingannevole e poco collaborativa al punto di risultare dannosa per sé stessi e gli altri. In questi giorni, ma specialmente negli ultimi mesi in cui sto lavorando al nuovo album, sono molto concentrato ad indagare più sulla verità che su qualcos'altro.

Non posso non essere fiero dei continui sforzi, delle continue note, parole, suoni o momenti di silenzio che sto sopportando durante le fasi di scrittura e registrazione. Inoltre, è molto importante che ognuno che leggerà questo con l'intenzione di suonare, non sia spaventato all'idea di rimanere solo. Dopo questo preambolo è giusto che vi parli dei Raised By Swans.
Il progetto Raised by Swans nacque nel 1997 quando suonavo il basso in un modesto gruppo canadese anni fa...ero davvero molto giovane! Passammo, davvero, dei gran bei momenti, ma in quel gruppo avevo perso l'ispirazione nel creare musica e questo fatto divenne quasi ossessivo. Iniziai, quindi, a scrivere canzoni in maniera più ispirata e concentrata di quanto mai avessi fatto prima...tutto ciò avveniva in una appartamentino mansardato con il pavimento sfondato e con delle coperte appese ai vetri; tutto era inumano, ma era così selvaggiamente vivo!

Ricordo che mi sedevo nel cuore della notte con le cuffie e ascoltavo i pezzi fino a non cadere addormentato per la stanchezza. Era come se tornassi a vivere e tornassi a fare ciò per cui ero nato...era una sensazione unica che tendo ancora a proteggere! Lasciai, quindi, il mio vecchio gruppo e decisi di diventare Raised By Swans. Questo fu l'inizio anche se il nome non era ancora stato scelto definitivamente. Tutto ciò che sapevo e realizzano era che finalmente avevo trovato la mia libertà, il mio modo di scrivere e sentire la musica ed era ciò che volevo trasmettere alle persone. Prima ancora d'iniziare, avevo già scritto un intero album usando una batteria finta, una chitarra, un basso e una tastiera molto economica- devo ancora possedere una vecchia cassetta su quanto fatto- .. rimaneva quindi cercare solo le giuste persone che volevano suonare le mie canzoni dal vivo.

I ragazzi che ora suonano con me, sono la miglior line-up che qualcuno potrebbe mai avere o desiderare poiché non smettono mai d'incoraggiarmi e sono felici di suonare dal vivo con me. Siamo anche molto amici oltre che compagni di band nonostante loro non dipendano in alcun modo creativo da Raised by Swans; hanno i loro progetti, le loro famiglie, il loro lavoro. Per me, invece, è solo questo importante: fare e suonare. Sono davvero onorato di essere circondato da musicisti così in gamba, ma quando si tratta di creare e registrare, c'è sempre stato solo e soltanto Andy pronto a catturare ogni singola nota in maniera così brillante. Non potrei immaginare di registrare qualcosa senza di lui...il controllo è davvero importante quando si tratta di un'opera d'arte, almeno mi piace crederlo! Questo, quindi, è tutto... iniziò in un piccolo appartamento nel cuore della notte e da allora niente è cambiato. Scrivo e lavoro ancora nello stesso modo. Il nome stesso è nato durante un sogno che sembrava racchiudere questo periodo di transizione.





Ecco allora parliamo del nome Raised By Swans.
 
Da sempre sono stato perseguitato da incubi raccapriccianti. Molti anni fa, in mezzo alla violenza e l'orrore, ho avuto, finalmente, un sogno confortante: stavo steso su una radura di una bosco, circondato da imponenti cigni alti all'incirca venti metri. Erano in cerchio intorno a me e mi studiavano con gli occhi socchiusi. Respiravamo tutti all'unisono e non c'erano altri suoni. Mi sentivo sicuro e protetto dal dolore, non insensibile e sconnesso, ma solo calmo ed accettato. Prima di svegliarmi, due di loro mi alzarono molto gentilmente e volammo in cielo. Era un momento fin troppo piacevole: il mio stomaco era come sulle montagne russe. Scrissi, quindi, Raised by Swans su un piccolo pezzo di carta appena mi svegliai, poiché non volevo dimenticarmi – nella mia sonnolenza non volevo perdere il doppio significato di “sollevato”: sollevato da terra, ma anche circondato dall'affetto, curato e nutrito. Quando lo rividi capii tutto: era il nome della musica che stavo scrivendo.
 

Come nascono le tue canzoni?
 
E' un processo davvero molto lungo e complicato. Tutte le canzoni partono da una sensazione inevitabile, una fitta nelle mie budella che non posso ignorare, insieme con poche parole o un piccolo frammento di melodia. Da allora salvo ogni dettaglio nella mia testa ed è come se tutto a poco a poco si formi nel mio cervello, parole e musica. Sono abituato ad usare una grande varietà di strumenti multi-track ed uso da anni sempre lo stesso strumento per la batteria. Una volta finite e completate le canzoni, insegno ai ragazzi le parti e cerco di far raggiungere loro il suono desiderato. Le parole invece vengono annotate di volta in volta in differenti taccuini di diverse taglie e colori.

Ogni volta una canzone narra e racconta tutti i luoghi, sensazioni ed esperienze passate e presenti. È davvero troppo difficile e personale da spiegare. Il prossimo album è iniziato quando ho deciso di andare da solo a scrivere in una casa colonica nel Nord dell' Islanda nell'inverno del 2011. In un qualche modo l'Islanda ha salvato la mia vita. Era il 2010. Sapevo già allora che dovevo dedicare un po' di tempo alla scrittura. Era il luogo ideale per farlo, poiché non è esperienza da tutti i giorni vivere in una casa colonica circondata da vallate innevate, da diciassette ore di buio e i cui unici suoni sono greggi di pecore. É stata un'esperienza davvero intensa e non mi sentivo per niente solo, poiché tutte le luci, colori e suoni della città erano dentro il mio cuore.

 
Quali gruppi ascolti e ascoltavi?
 
La lista è davvero infinita: troppi artisti e musicisti mi hanno influenzato. Ma sono una persona che trova l'ispirazione al di fuori della musica.

 
Quanto incidono su di te il clima/l'atmosfera canadese?
 
Il primo luogo dove mi sentii libero dall'angoscia, dalla pressione della gente e dover poter vivere alla ricerca della verità è stato il Nord Ontario. Qui esploravo su una piccola barca le catene di laghi e facevo lunghe escursioni, anche di notte. Ero davvero molto giovane e questi sentimenti sono cosi profondi che da allora li proteggo. Ci sono, comunque, molte altre cose di cui sono fiero di aver fatto conoscenza in Canada. L'ultima, ad esempio, è stata scalare Gros Morne in Newfoundland e riuscire ad esplorare tutta la costa occidentale di quella provincia. Fu davvero incredibile. E, certamente, ho attraversato molte volte, da costa a costa, il paese; non c'è niente di meglio che guidare lungo il Canada per capire quanto sia vasto e selvaggio il suo panorama. In conclusione posso affermare che il Canada è parte della mia vita e questa influenza la mia musica anche se non so spiegarti come riesco ad esprimerla.



 


Come nacque la collaborazione con il regista Douglas Coupland in Everything’s Gone Green?

Fu molto tempo fa. Fu speciale perché era il primo film nel qualche la mia musica compariva. David Hayman, il music supervisor, voleva la canzone Violet Light nel film, ma solo come intermezzo, semplicemente perché gli piaceva la canzone. Ad un certo punto da quello che ho saputo, la canzone divenne parte della scena, ma nessuno mi aveva chiesto il permesso. Appresa la notizia, ovviamente accettai. David è una brava persona ed io ero davvero felice di avere una mia canzone in un film.


Durante i live, l'atmosfera delle tue canzoni cambia?
 
Può sembrare davvero strano, ma le mie canzoni non mi sembrano soft, neppure quelle più tranquille. So che non ha senso. A volte, la gente mi dice che usa la mia musica per addormentarsi e questa cosa davvero mi fa sorridere. Onestamente preferirei che la gente ascoltasse la mia musica a tutto volume nelle cuffie o mentre guida in una notte piovosa oppure mi piace pensare che sia la musica stessa che fa vibrare i pavimenti delle case. Anche se le canzoni sono diverse, la loro missione è quella di cullarti e proteggerti fino in fondo. E le parti più dure dovrebbero causare terremoti! Dal vivo, suonando con i ragazzi, cerchiamo di enfatizzare le dinamiche molto di più, alzare i beat. Da solo, invece, mi piace svolgere le canzoni in maniera più intimistica: le stravolgo rendendo versioni più scheletriche, più soffici e lente per mostrare la loro vera anima.

 
Come hai scelto i titoli del tuoi album?
 
Sempre all'ultimo momento. Di solito vengono fuori all'improvviso nella mia testa quando mi concentro per trovare il titolo adatto e quasi ci ho rinunciato. Per esempio per i primi due album, i titoli sono venuti una volta che le canzoni erano state completate e registrate. Una volta trovati, so che sono perfetti. È questo il mio trucco! Entrambe le volte, però, sono stato spaventato di non riuscire a dare un nome ad un album.

 
Mai pensato di stravolgere il genere musicale percorrendo nuove strade?
 
Sinceramente non so e non m'interessa che genere sto facendo. L'unico motivo per cui mi sento a mio agio con la parola indie rock (anche se non sono appassionato della parola “rock”) è perché è stata capace di descrivere l'universo dei Raised By Swans in passato. Ma è molto più importante definirla indipendent music. É tutta questione di libertà per me anche se indie rock è un bel termine.
Per quanto riguarda i cambiamenti, tutti possono farli se vogliono. Quindi spero e premuso che le mie canzoni continueranno a cambiare magari affrontando strade di cui non ne sono ancora a conoscenza. Tutto ciò che m'importa è sapere che sto facendo una buona musica, niente di più. Il cambiamento è sempre il benvenuto, ma bisogna stare attenti poiché questo può stravolgere il tuo sentire e il tutto può risultare quindi costruito a tavolo e di certo non è questo il mio scopo!
 
 
Intervista e traduzione a cura di