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sabato 24 giugno 2023

Suns Of The Tundra - The Only Equation (2023)


The Only Equation, quinto album in studio dei Suns of the Tundra, arriva a ridosso del trentesimo anniversario della band, se si considera anche il primo periodo sotto il nome Peach, quando ancora tra le loro fila militava al basso Justin Chancellor, in seguito come sappiamo reclutato dai Tool. Il disco è il secondo che esce per l'etichetta Bad Elephant Music e segue a quattro anni di distanza Murmuration del 2019, album che segnava il ritorno a parametri più contenuti rispetto alla magnum opus Bones of Brave Ships (2014) che lo aveva preceduto. The Only Equation vuole invece riabbracciare quella epicità con dosi massicce di prog e alternative metal, ma anche aggiungendo divagazioni psichedeliche, applicando alle composizioni lo stesso approccio espressivo ed impressionista che aveva caratterizzato il concept di Bones of Brave Ships, narrazione in musica del documentario muto sulla spedizione antartica del 1914 di Ernest Shackleton.

Questa volta però non c'è una pellicola da commentare e la componente "cinematica" sta tutta racchiusa nell'immaginazione del gruppo, concedendosi lunghe digressioni sonore come nel susseguirsi di solenni riff hard rock della title-track o come nell'ipnotica convergenza tribale di The Rot, architettata in modalità di un trip acido sospeso tra le suggestioni del prog scandinavo e i ricami/elucubrazioni heavy dei Tool. Su Run Boy Run prosegue l'alternanza con passaggi massici e altri più quieti, questa volta però all'insegna delle atmosfere lisergiche indirizzate verso stoner e space rock. Il rinnovato spirito prog viene profuso poi nei circa 15 minuti di Reach for the Inbetween, suddivisa in tre parti, che è una vetrina di riff ancora più dilungati ed epici per dare sfogo alle trame strumentali. The Only Equation, in termini di wall of sound e quantità di distorsione, è forse l'album più potente e roccioso dei Suns of the Tundra, ma c'è sempre quella componente prog che fa in modo di renderli più interessanti rispetto a molti altri gruppi alt metal e li spinge verso orizzonti nei quali si può scorgere il retaggio di grunge, varie declinazioni di metal e psichedelia che convivono in un mix comunque personale.

domenica 17 luglio 2022

Notes from the Edge of the Week #5


  • Dopo una pausa discografica di 17 anni i Gospel sono da poco tornati in attività con il secondo album The Loser. Il quartetto però questa volta non sembra intenzionato a tornare in pausa molto velocemente dato che ha già tirato fuori un altra pubblicazione, premurandosi addirittura di andare a trovare un pezzo direttamente dai propri archivi e già noto ai fan più devoti poiché eseguito regolarmente dal vivo. Il brano in questione porta il titolo delle varie incarnazioni con cui negli anni è stato battezzato MVDM: The Magical Volumes Vol​.​1: The Magick Volume of Dark Madder or Magic Volume of Dark Matter or Just Magic Volume. Si tratta in pratica di una suite di oltre venti minuti risalente al periodo del primo album the moon is a dead world (2005) e sarebbe dovuta durare il doppio se, come dice la band, non li avesse prosciugati a livello creativo. Comunque nello specifico siamo di fronte ad una delle cose migliori partorite dai Gospel, dentro abbiamo di tutto, visto che la durata ha dato modo alla band di girovagare senza freni nei meandri di prog hardcore, psichedelia, space rock con un tocco di gotico mutuato dalle tastiere elegiache. Come attitudine siamo vicini all'epica logorroico-solenne dei troppo spesso dimenticati pionieri prog metal americani Naked Sun. Valeva la pena riportare alla luce questo reperto da antologia proprio perché mostra un lato ancor più elaborato e poliedrico dei Gospel che, dopo quasi venti anni in naftalina, non ha perso la sua carica deflagrante. 

  • La band finlandese prog jazz Jupu Group risorge dalle proprie ceneri con un secondo album che arriva a 47 anni dal primo Ahmoo. Il gruppo, fondato e guidato dal violinista Juhani "Jupu" Poutanen, quando nel 1975 viene pubblicato il primo album già si è disciolto in quanto Poutanen da Helsinki si deve trasferire a Rovaniemi per un ingaggio con l'orchestra locale. Nel 2020 Poutanen rifonda i Jupu Group con una schiera di nuovi giovani musicisti e lui a comporre e dirigere dietro le quinte. Il suo posto nella line-up viene rilevato da Lotta Ahlbeck e, con una formazione che conta chitarra, tastiere, batteria e basso, la band è pronta a riprendere le dinamiche prog jazz dei Jupu su Umpeen Kasvoivat Polut con un taglio ovviamente moderno. Pubblicato il maggio scorso dalla Svart Records (che nel 2018 aveva ristampato AhmooUmpeen Kasvoivat Polut è un brillante ritorno affidato ad una nuova generazione, che questa volta alterna efficaci brani strumentali, in bilico tra jazz elettrico e canterburiano, a altri cantati da Meerika Ahlqvist con una vena più acustica e folk ma preservando il prog.


  • Questa seconda prova dei Satyr è notevole nel mostrare il progresso fatto dal gruppo post hardcore. Capaci di spingersi in trame sempre più complesse, i Satyr accorciano le distanze tra math prog e mathcore che sono alla base di Totem. L'album è così un tour de force continuamente in bilico tra melodie potenti poggiate su frenetiche complessità strutturali e aggressività improvvisa che si sovrappone generando ancora più caos. Una dinamica che ricorda quella dei Dance Gavin Dance, ma con un piglio molto più tecnico e serioso. Un salto notevole rispetto al precedente Locus.   


  • Morlock è la creatura solista del batterista Andrew Prestidge (Zoltan, Suns of the Tundra, The Osiris Club) e si concentra su musica strumentale basata sulle possibilità atmosferiche generate dall'interazione di ritmi e tastiere, ispirata a colonne sonore, droni post rock e alla mitologia horror di Lovecraft. The Outcast è il secondo album, meno minimale del primo Ancient Paths e maggiormente indirizzato ad uno space prog che si confronta con l'evocare immagini cinematografiche. 


  • Elephants In Autumn Rage è il primo album dei Join The Din che segue l'omonimo EP del 2018, anno della loro formazione. La band si descrive come un collettivo internazionale di musicisti che cerca di fotografare l'umore della scena jazz britannica. Ovviamente il jazz non è l'influenza primaria di Elephants In Autumn Rage ma si nutre di tutte le contaminazioni che può offrire la scena prog moderna con una visione molto allargata. Quindi tra sassofoni, doppia batteria e percussioni varie si viaggia tra fusion orchestrale, afrobeat, psichedelia, EDM e world music. 

giovedì 2 settembre 2021

The Osiris Club - The Green Chapel (2021)

La biografia dei The Osisris Club, arrivati al terzo album con questo The Green Chapel, ci parla di un gruppo nato come progetto strumentale con l'intento di ricreare l'atmosfera degli horror anni '70 attraverso l'estetica dell'avant-metal. Ma fin dal primo album Blazing World del 2014 gli Osiris Club si sono trasformati in qualcosa di più profondo. Tenendo come punto fermo l'influenza vintage dell'horror folk inglese, la band formata da Sean Cooper (voce, basso), Simon Oakes (voce, synth), Chris Fullard (chitarra), Andrew Prestidge (batteria, synth, chitarra) e Hanna Petterson (sassofono), ha miscelato doom metal, post punk e avant-garde, cercandogli di dare una forma accessibile e sperimentalmente art pop, per quanto tale descrizione possa risultare fuori controllo.

L'apertura di Phantasm può rappresentare un pertinente esempio dell'attitudine degli Osiris Club: atmosfere apocalittiche che però si fondono con sontuosi e barocchi interventi di Mellotron e sintetizzatori, il cui compito sembra quello di aumentare la tensione minacciosa già instaurata da riff di chitarra metallici e geometrici. Ovviamente, dato che Prestidge e Oakes provengono dai Suns of the Tundra, non mancano ammiccamenti alla psichedelia cosmica e acida mutuata dall'hard rock, ma nella sfera degli Osiris Club tutto viene calato in un alone più sanguigno e ruvido. Le tematiche liriche rispecchiano le influenze già dichiarate: dal folklore medievale fino al sovrannaturale sconosciuto che trattiene in serbo forze oscure. L'intento musicale è quello di creare paesaggi sonori consoni con quanto viene raccontato.

Nelle due parti di The Inmost Light e sulla funkeggiante Count Magnus si confondono l'elegia prog esistenzialista dei Van der Graaf Generator con l'esoterico doom dei Black Sabbath e un tocco di proto prog alla High Tide. Il sax della Patterson, talvolta in concordanza con l'elettricità delle chitarre, è un elemento che viene utilizzato per invocare ancora più pathos e si ritaglia un ruolo di primo piano negli interventi sinistri di Diamonds In The Wishing Well. L'apice espressivo dell'album, neanche a dirlo, è la title-track: una suite divisa in quattro parti dove il gruppo approfitta per approfondire le tematiche e le sonorità presenti nel lavoro, da quelle più massicce (Winter's End) a quelle più delicate e acustiche (Blind Hare and The Pale Lady). Nel suo genere, considerando le innumerevoli varianti sul tema (doom, hard, prog), un disco molto stimolante e ispirato.


 

venerdì 15 novembre 2019

Suns Of The Tundra - Murmuration (2019)


Per chi si fosse perso l'articolo di pochi mesi fa sui Suns of the Tundra, un piccolo riassunto su chi sia questa sconosciuta band che torna a pubblicare un album a distanza di qualche anno dal loro capolavoro Bones of Brave Ships. I Suns Of The Tundra nacquero dalle ceneri dei Peach, la band inglese in cui ha militato Justin Chancellor prima di entrare nei Tool che pubblicò il solo Giving Birth to a Stone nel 1994. Dieci anni dopo il frontman Simon Oakes (voce e chitarra) diede vita appunto ai Suns Of The Tundra insieme a Andy Prestidge (batteria), Mark Moloney (chitarra) e Andy Marlow (basso), pubblicando tre album tra il 2004 e il 2015 che continuavano ad esplorare l'hard prog in chiave psichedelica e space rock.

Con Murmuration i Suns Of The Tundra entrano nella scuderia dell'etichetta Bad Elephant Music, abbandonano i sentieri più floydiani del precedente doppio album e si dedicano di nuovo a riff da stoner rock che di rado ripercorrono le sonorità dei Tool, come nella title-track, mentre alcuni groove heavy sembrano scaturiti da jam lisergiche tipiche dei Motorpsycho (Echo of an Angel e Sunflower). Murmuration segue quindi le sfumature hard n' heavy dei primi due album, proponendo solo a sprazzi la suggestiva psichedelia sulla quale poggiava le proprie fondamenta l'epico Bones of Brave Ships.


venerdì 23 agosto 2019

Suns of the Tundra - Bones of Brave Ships (2015)


Quando nel 1995 il bassista Paul D’Amour lasciò i Tool, a prendere il suo posto fu chiamato l'inglese Justin Chancellor che allora militava nei Peach, band che aveva fatto da spalla al quartetto americano in alcuni concerti nei primi anni '90. I Peach finirono la loro carriera di lì a poco, ma i due ex membri Simon Oakes e Rob Havis si riunirono nel 2000 dando vita ai Suns of the Tundra. Dopo un omonimo album nel 2004 e il secondo Tunguska nel 2006, il gruppo si mise al lavoro per produrre la terza opera che già dalle premesse si presentava ambiziosa. Praticamente Oakes rimase affascinato dal documentario del 1919 South che testimonia in immagini girate dal fotografo Frank Hurley la spedizione imperiale trans-antartica Endurance compiuta da Ernest Shackleton tra il 1914 e il 1917. L'idea di Oakes fu quella di dare una colonna sonora alle immagini della pellicola senza sonoro con le musiche originali composte dai Suns of the Tundra.

Nasce così Bones of Brave Ships, doppio album scritto tra il 2006 e il 2008, ma che ha visto la luce solo nel 2015, concepito per essere sincronizzato agli 81 minuti del suddetto documentario nella versione restaurata dal British Film Institute. L'ascolto di questa magnum opus tende ad essere avventuroso come l'odissea affrontata da Shackleton e dalla sua nave Endurance. Fondamentalmente i Suns of the Tundra abbracciano una gamma di stili che ben si adattano al commento sonoro, tra cui si alternano post rock, psichedelia e progressive rock, calibrandoli in uno scambio delle parti lento ed inesorabile come il moto ondoso, accumulando fragorosi scontri e tappeti lisergici.

Come i Van der Graaf Generator di H to He le musiche dei Suns of the Tundra si prestano a metafora di un parallelismo che accosta le insidie e le incognite degli abissi marini alle insondabili profondità spaziali. L'epopea di Bones of Brave Ships per affinità concettuale va ad arricchire quella mitologia equoreo-musicale che negli anni ha incluso i canti marinareschi degli High Tide, le navi fantasma dei The Fall of Troy e i naufraghi balenieri dei Motorpsycho. Naturalmente si incontrano accenni ai riff circolari dei Tool e anche sax hard rock di stampo vandergraafiano che arricchiscono la tensione, ma i Suns of the Tundraa, grazie al minutaggio abbondante, riescono a catalogare tutto lo scibile del post rock psichedelico contemporaneo addensato in un'opera corposa, imponente e ambiziosa come l'impresa di Shackleton.