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venerdì 7 agosto 2020
Good Tiger - Raised in a Doomsday Cult (2020)
Ormai il supergruppo dei Good Tiger, arrivato oggi al terzo album con Raised in a Doomsday Cult, non ha più bisogno di presentazioni. Dopo l'ottimo We Will All Be Gone, il quintetto dice l'addio ad uno dei suoi membri fondatori, il batterista Alex Rüdinger che si è trasferito nella band deathcore Whitechapel, e ha reclutato come ospite sostitutivo JP Bouvet dei Childish Japes, il quale ha suonato su tutte le tracce del nuovo album. La scelta per promuoverne l'uscita in questo anno funesto non è stata poi così lontana da simili iniziative (sullo stesso piano degli Sleep Token), cioè svelare una traccia a settimana fino al giorno della pubblicazione. In questo modo forse è stato più chiaro il lento e lieve mutamento stilistico del gruppo che ha abbinato la musica a video astratti e surreali che aggiungevano un senso di autonomia per ogni singolo, come a voler sottolineare la differenza sonora l'uno dall'altro.
Anche in questo terzo lavoro i Good Tiger riescono per certi versi a non ripetersi e, pur lasciando invariata e accessibile la loro formula di experimental post hardcore, ne esplorano il lato più progressivo e math rock. Raised in a Doomsday Cult rende possibile l'incontro tra aspetti antitetici come la volontà di sperimentare architetture complesse che vanno a diluirsi nelle linee pop rock evocate dalla voce di Elliot Coleman. Il concentrato messo in atto in questa sede dona una nuova luce alla furia pilotata dell'euforico esordio oltre che alle grandi aperture armoniche della seconda prova e allo stesso tempo preserva l'identità dei Good Tiger.
Le soluzioni melodiche immediate che si adattano alla tortuosità delle trame e la scelta dei suoni insoliti che richiamano l'ambient, il post rock e il math rock piuttosto che il metal sono come un suggerimento per confrontarsi e differenziarsi da altre band. Proprio per la metodologia con cui è stato presentato Raised in a Doomsday Cult appare abbastanza eterogeneo e per questo molto stimolante in quanto ogni brano ha qualcosa da offrire in termini di idee. Stimolante nella sua semplicità e gradevole nella sua complessità.
martedì 6 febbraio 2018
Good Tiger - We Will All Be Gone (2018)
Incredibile, Elliot Coleman è riuscito ad incidere due album di fila con la stessa band! In effetti, dopo la dissoluzione degli Sky Eats Airplane, sarebbe stato un peccato se il suo indubbio talento vocale fosse andato sprecato. Fatto sta che, dopo un gustosissimo EP del duo soul R&B Zelliack (messo in piedi con Zack Ordway) e uno con i TesseracT col quale è passato alla storia come il cantante che ha militato minor tempo nella line-up della band inglese, Coleman ha trovato il suo posto nel supergruppo Good Tiger insieme ad una serie di ex: Derya Nagle e Joaquin Ardiles alla chitarra (ex-The Safety Fire), Alex Rüdinger (ex-The Faceless) alla batteria e Morgan Sinclair al basso (ex-touring guitarist degli Architects).
We Will All Be Gone è il secondo album prodotto dai Good Tiger e c'è da dire che se vi piacevano i The Safety Fire non è detto che vi piacciano anche loro per quel carattere meno sperimentale e che privilegia l'aspetto melodico della componente metal. We Will All Be Gone lavora bene su quest'ultimo fronte, anche meglio del primo album A Head Full Of Moonlight, e mantiene quella carica aggressiva, pur non sconfinando in eccessi harsh. Ciò che di buono aggiunge We Will All Be Gone sono appunto delle progressioni calibrate che permettono al gruppo di lavorare ottimamente su due fronti: quello melodico - tanto da permettere chorus piuttosto contagiosi (come nei singoli Grip Shoes e Salt of the Earth) e sembrare una versione più accessibile dei Circa Survive - e quello ricercato che mette in campo la qualità tecnica del quintetto e affiora nelle strutture armoniche di Such a Kind of Stranger e di Blueshift.
Interessante l'uso dei riff da parte di Nagle e Ardiles che alternano idee classiche e basilari ad altre math rock completate dalle ritmiche costantemente in tensione. Verrebbe da chiudere la pratica dei Good Tiger come alternative pop prog hardcore, dato che We Will All Be Gone possiede tutte le connotazioni per un crossover che fa tesoro di ognuno di questi elementi e che, proprio per questo, potrebbe piacere anche a chi non è solito avvicinarsi a musiche derivate dal post hardcore.
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