giovedì 27 dicembre 2018

Thingy - Morbid Curiosity (2018)


Premessa
- 2015: Rob Crow, conosciuto principalmente per la sua attività con i Pinback insieme ad Armistead Burwell Smith IV dei Three Mile Pilot, annuncia di ritirarsi dalla scena musicale per dedicarsi alla famiglia.
- 2016: si scopre che in realtà Crow non aveva realmente intenzione di ritirarsi e, a scanso di ogni equivoco, dà alle stampe il primo brillante album del suo nuovo progetto Rob Crow's Gloomy Place.
- 2018: Crow viene scelto come Artist in Residence del 2018 dall'etichetta Joyful Noise Recordings con lo scopo di realizzare 300 minuti di musica durante l'arco dell'anno da raccogliere all'interno di un box set a edizione limitata.

Quello che forse alcuni non sanno è che il musicista di San Diego è stato attivo fin dagli anni '90 con innumerevoli progetti musicali, Crow ha colto quindi l'occasione per suddividere ognuna delle dieci registrazioni contenute nel box set in alcuni dei suoi molteplici progetti: Optiganally Yours, Goblin Cock, Byre, Third Act Problems, Other, Remote Action Sequence Project, Physics, Anal Trump, Snotnose, Rob Crow(solo), Pinback, riesumando dagli archivi la sigla Thingy.

Thingy è stata una delle molteplici incarnazioni musicali di Rob Crow ferma discograficamente all'anno 2000 con solo due pubblicazioni, almeno fino ad ora. Nell'album Morbid Curiosity, che è anche il più interessante all'interno del progetto, emerge una rinnovata ispirazione math rock, a varie riprese più o meno costantemente presente nell'estetica di Crow, ma in questo caso viene incanalata con una forza e frenesia talmente pronunciate che le diciannove tracce qui presenti sembrano unite l'una all'altra per tutta la durata, sfociando anche sui parametri del sintetico pop punk di Alex Litinski (A.M. Overcast) e di quello più emocore dei Braid. Morbid Curiosity appare quindi come un unico pezzo musicale da gustare senza sosta per tutta la sua durata, una suite da poco più di mezz'ora che prosegue spedita fino alla conclusione senza un attimo di cedimento.

domenica 23 dicembre 2018

Thrailkill - Everything That Is You (2018)


Dopo una serie di album a nome Mammoth il chitarrista Wes Thrailkill, per non creare fraintendimenti con altre band con lo stesso nome, ha deciso di ripartire...non da zero, ma prendendo come sigla il suo cognome e rinfrescando la formazione con il nuovo batterista Lang Zhao che completa il terzetto con il bassista Yas Nomura. Everything That Is You è il primo album del nuovo "corso", anche se le coordinate di progressive fusion strumentali rimangono per lo più invariate. Ciò in cui si rinnova il gruppo riguarda una maggiore attenzione per i dettagli, smussature che eliminano il minutaggio superfluo, facendo in modo di aggiungere fluidità allo scorrere delle composizioni, ed infine uno spostamento verso parametri jazz più pronunciati che incrementano la varietà armonica. I Thrailkill vanno così a incrementare in modo positivo quella scena progressive metal che si nutre di chitarrismo virtuoso portata avanti da Intervals, Exivious, Plini e della quale, possiamo oggi aggiungere, il grande Allan Holdsworth è stato un pioniere.

Il fatto di tenere una durata contenuta sia per quanto riguarda i pezzi individuali sia per l'album intero (non si arriva a 40 minuti) è stata una scelta saggia, poiché non si viene mai assaliti da quel pericoloso senso di ridondanza che spesso assale quando si ascolta un disco del genere. Gone è l'unico a concedersi dieci minuti i quali vengono utilizzati per far venire a patti djent, math rock e fusion metal. Tra i vari ospiti presenti all'interno dell'album ci sono anche due conoscenze di altprogcore: Richard Blumenthal degli Aviations che presta il suo pianoforte in Interquaalude e Coco Columbia che compare alla voce nella title-track in chiusura. Insomma, dopo molti anni sulla breccia Wes Thrailkill ha ancora molto da aggiungere a quanto già da lui prodotto.

mercoledì 19 dicembre 2018

ALTPROGCORE BEST OF 2018


Una volta c'erano radio e TV a conformare i gusti musicali, a trasmettere sempre la stessa musica e la curiosità dell'ascoltatore era spesso limitata a ciò che gli veniva passivamente offerto. Il web, attraverso la sua infinita proposta, avrebbe potuto fare la differenza, però anche questo mezzo necessita di uno sforzo da parte dell'utente per ricercare l'artista più elusivo che possa in qualche modo entrare nella sua orbita di gradimento. Mi ritrovo così ancora una volta a constatare come molte delle top 50 (già compilate come sempre ingiustificatamente a fine novembre) di siti musicali che si professano alternativi, contengano al loro interno sempre gli stessi nomi. È vero, è successo anche in passato, ma mai come quest'anno sono rimasto colpito con sconcerto da questo dato, poiché sono scelte uniformi che alla fine penalizzano la varietà.

Fortunatamente è uscita tanta buona musica nel 2018 e alcuni nomi li ritroverete anche qui, ma la maggior parte sono sempre dettati dal loro valore effettivo e non dall'hype del momento. Anche perché fin da quando esiste altprogcore la linea è stata di non limitare la lista annuale al solo genere progressive, come ci si aspetterebbe da un sito di settore, ma di ampliarla a qualsiasi uscita degna di nota, indipendentemente dal genere.

Tra le varie liste annuali compilate durante questi dieci anni di vita di altprogcore penso che la seguente sia la più personale, non a livello di gusto, ma per ciò che ha riguardato il legame che si è instaurato tra musica e le importanti esperienze vissute in questi dodici mesi. Detto ciò, visto anche la quantità di ascolti, ho deciso di ampliare la lista da top 40 a top 50, proprio come fanno quelli seri. Buon ascolto e buone scoperte, ci risentiamo inevitabilmente il prossimo anno per il doppio appuntamento con la classica lista del 2019 e quella inerente a tutto il decennio, per il quale si prevede un finale con il botto, visto che tre band storiche come Tool, Dredg e Karnivool pare faranno il loro atteso ritorno.



#50.Arc Iris
Icon of Ego
Terzo album degli Arc Iris, Icon of Ego è una perfetta sintesi di prog e pop che conduce a quell'ibrido art rock barocco carico di un bel po' di sfumature e accorgimenti al fine di rendere la musica più corposa e densa, da trattenere sia un legame con le tecnologie moderne sia nel preservare un alone vintage che richiama il passato.


#49.Bend Sinister
Foolish Games
Come confezionare del power pop rock di gran gusto senza apparire scontati.



#48.Thrice 
Palms
Palms forse non è il miglior album dei Thrice, qualche calo di ispirazione si riscontra, ma nei momenti in cui sono in forma difficile batterli in intensità e il loro post grunge diventa sempre una certezza.



#47.VAK
Budo
Quartetto francese composto da Vladimir Mejstelman (batteria), Joël Crouzet (basso), Alex Michaan (tastiere) Aurélie Saintecroix (voce) i VAK con Budo producono un lucidissimo compendio di zeuhl fusion racchiuso in tre lunghe suite che pulsano di umori conterburiani, RIO e jazz.




 #46.Sanguine Hum
Now We Have Power
La musica dei Sanguine Hum è una perfetta allegoria del concept su cui si basano i testi: ad un primo contatto sembra qualcosa di semplice e disimpegnato, invece il doveroso ascolto multiplo ne rivela tutta la sua complessa natura fatta di arrangiamenti stratificati e puntigliosi, che a partire dal pop e dall'art rock vi aggiungono spezie fusion e orchestrali, fino a comporre un mosaico post prog tra il canterburiano e lo zappiano, unendosi in un sound pacato e gentile che parla un linguaggio prog molto erudito. 



#45.Snail Mail 
Lush
Snail Mail è il nome scelto da Lindsey Jordan per il suo progetto, il quale dopo due EP arriva all'esordio con Lush. Giovanissima, forse un po' di ingenuità, ma il suo disco è un piccolo gioiello indie rock con canzoni malinconiche quanto una ballata midwest emo.




#44.Monobody
Raytracing
Ascoltando i Monobody, per quanto uno possa conoscere jazz, fusion, math rock e progressive rock, non si può che rimanere affascinati per come il quintetto di Chicago riesca così efficacemente ad unire in modo naturale le principali peculiarità che caratterizzano ognuno dei suddetti generi. Dalle sei tracce contenute in Raytracing emerge una volontà, se non di rinnovarsi, di aggiungere altri colori alla formula che aveva reso così affascinante l'omonimo esordio datato 2015.




#43.Author 
IIFOIIC
Il secondo album degli Author IIFOIIC o Is It Far Or It It Close è uno dei più interessanti lavori electro-art-pop dell'anno, sulla scia di apprezzate band come Mutemath e Rare Futures.



#42.Spirit Fingers
Spirit Fingers
Inizialmente chiamato Polyrhythmic, gli Spirit Fingers sono un quartetto di virtuosi jazzisti messo insieme dal pianista Greg Spero insieme al bassista Hadrien Feraud, al batterista Mike Mitchell e al chitarrista italiano Dario Chiazzolino. Spirit Fingers dovrebbe essere visto come un importante tassello del nuovo jazz contemporaneo: contiene tutto ciò che hanno offerto sinora nomi celebrati che lo affrontano su differenti prospettive come Tigran Hamasyan o GoGo Penguin e anche di più. 



#41.Dream the Electric Sleep
The Giants' Newground
Non propriamente un nuovo album, ma la prima registrazione della band rimasta nel cassetto. I DTES sanno scrivere un buon hard prog di stampo americano che ricorda talvolta i Rush e questo "lost album" aggiunge qualche piccola gemma al repertorio dellla band come We'll See, The Stage e Balck Ink.



#40.Cyclamen
 Amida 
Prima di Amida a caratterizzare i Cyclamen era un estremo thrash metal che adesso viene abbandonato completamente in favore di un math rock che si apposta al confine tra venature pop malinconiche e girandole soniche post rock. 



#39.Not a Good Sign
 Icebound 
Il terzo album in studio dei Not a Good Sign si immerge in spazi multiformi tipici del prog e lo fa con lucidità nel mantenere legami tanto con il presente quanto con il passato del genere, pur utilizzando timbriche strumentali ormai consolidate all’interno del progressive rock, queste si discostano da qualsiasi sterile paragone e creano una miscela esplosiva e personale.




#38.North Atlantic Oscillation
Grind Show
Con Grind Show Sam Haley lascia da parte le velleità pop, per così dire, e si concentra nello sviluppare gli aspetti più interessanti portati avanti dai NAO, producendo il lavoro meno immediato della loro carriera. Catalogati come post progressive, incentivati in questo anche dalla loro ex appartenenza alla scuderia Kscope, i NAO sono sempre stati a cavallo stilisticamente tra art rock ed electro pop, ma in questo nuovo lavoro Haley è riuscito a sviscerare al meglio la natura e lo scopo estetico della sua creatura. Le fondamenta sulle quali i brani sono costruiti rimangono quelli legati ad un'elettronica che prende le mosse dal minimalismo e dall'ambient, ma in questo caso l'assemblaggio che ne viene fuori, attraverso arrangiamenti più coraggiosi e sperimentali, supera le premesse degli album precedenti e si accosta alle moderne deviazioni di pop d'avanguardia alla Bon Iver e Radiohead.



#37.Field Music
 Open Here
I fratelli Peter e David Brewis si sono sempre dedicati al pop rock come degli artigiani indipendenti che lavorano con amore e dedizione per intagliare ricche sfumature barocche in melodie intelligenti sostenute da musiche che hanno toccato di volta in volta il post punk, l'art rock, la synthwave il chamber pop, il minimalismo e il funk. Open Here è l'album più variegato dei Field Music in quanto ad approccio musicale, provato da tentativi di aggiungere al proprio spettro stilistico qualche elemento in più come una sezione di fiati e un quartetto d'archi ad arricchire spessore e prospettiva alle quadrature barockeggianti del duo.




#36.Good Tiger
We Will All Be Gone 
We Will All Be Gone è il secondo album prodotto dai Good Tiger e presenta una direzione maggiormente definita, delle progressioni calibrate che permettono al gruppo di lavorare ottimamente su due fronti: quello melodico - tanto da permettere chorus piuttosto contagiosi e sembrare una versione più accessibile dei Circa Survive - e quello ricercato che mette in campo la qualità tecnica del quintetto.




#35.Emma Ruth Rundle
On Dark Horses
On Dark Horses è forse l'album migliore di Emma Ruth Rundle e trasmette un profondo impatto emotivo ricorrendo agli estetismi del blackgaze, tramite bordoni elettrici di chitarre sporche e polverose, mitigati però da ingenti dosi di psichedelia mutuata da un dreampop dall'aspetto gotico, partendo da radici blues/folk e proiettandosi in una zona sonora onirica e trascendentale.




#34.Kawri's Whisper
Belle Epoque
Nati nel 2011 a San Pietroburgo, i Kawri's Whisper firmano il loro primo album con Belle Epoque dopo aver pubblicato due EP e alcuni singoli in passato. I nomi ai quali si sono affiancati come supporto nelle decine di concerti tenuti nel proprio Paese - 65daysofstatic, Tangled Hair, Tera Melos, Tides From Nebula - credo possano indicare più che sufficientemente in quale categoria vada ad inserirsi il gruppo. Comunque sia, in questo esordio post rock intriso di math rock, i Kawri's Whisper sanno essere originali, non ripetendo a vuoto gli insegnamenti dei colleghi ed evitando con cura tutti i luoghi comuni del genere sui quali si può inciampare.




#33.Typhoon
Offerings
A cinque anni dall'apprezzato White Lighter l'ensemble post rock/orchestral indie dei Typhoon con Offerings produce quello che sembra il loro progetto più ambizioso: un concept album di 70 minuti che racconta la storia di un uomo che perde progressivamente la memoria aperto da una sorta di suite di venti minuti formata dalle prime quattro tracce. Ma dentro ci si trova molto altro.



#32.Von Citizen
 Sentience
Sentience è l'album d'esordio dei Von Citizen, quintetto proveniente dalla Cina che suona un insospettabile ottimo djent che si unisce alla fusion nello spirito di Plini, Sithu Aye e Intervals. Ma i Von Citizen hanno il pregio di sommare i vari ingredienti di prog metal, ambient e fusion, facendoli lavorare in una ricetta che esalta sia la melodia armonica degli accordi sia i virtuosismi chitarristici. In pratica su Sentience si rintraccia quella scintilla che era in grado di elevare gli indimenticati Exivious di Liminal a indiscussi maestri del metal fusion.




#31.Hidden Hospitals
LIARS 
Liars sposta la direzione sonora degli Hidden Hospitals in quanto il gruppo si è ridotto a trio, riducendo quindi l'apporto della chitarra in favore di synth, suoni e beat elettronici derivati quasi dalla glitch music. David Raymond sa ancora scrivere brani incisivi e brevi dal forte impatto, ma la sensazione è che ancora debba prendere coscienza dell possibilità offerte dalla nuova direzione.




#30.Delta Sleep
Ghost City
Se con l'esordio Twin Galaxies i Delta Sleep mostravano ancora delle lacune stilstiche, mancando di sostanza e convinzione quasi apparendo come un math rock spersonalizzato, generico con la conseguenza di lasciare un ricordo volatile, i brani all'interno di Ghost City mostrano una spiccata maturità, più forza e identità.




#29.PinioL
Bran Coucou
I due gruppi francesi di estrazione ultra sperimentale PoiL e ni si sono fusi insieme per dare vita ad un'unica entità chiamata PinioL e portare alla massima potenza le loro esperienze jazzcore, math rock e avant-garde in quello che è un debutto al fulmicotone. Insieme la band forma un settetto che raddoppia alcuni strumenti (abbiamo due batterie, due bassi, due chitarre e una tastiera) e grazie a tale espediente si destreggia in un'incredibile e irregolare selva ritmica che si dipana in prodigiose evoluzioni math fusion e irriverenti echi di zeuhl e art rock dadista. E mentre i King Crimson continuano a fare solo concerti c'è chi fa dischi giganteschi in loro vece.




#28.Skyharbor
Sunshine Dust
Un lavoro dalla storia lunga e travagliata che inevitabilmente si è riflessa sul prodotto finale non sempre all'altezza delle aspettative. Comunque tra alti e bassi al suo interno risaltano pezzi importanti come Blind SideSynthetic Hands, Menace e Out of Time.




#27.Vitamin Sun
For You, Out Of You
Giovane quartetto di Boston, i Vitamin Sun sono un ottimo esempio di come ormai venga percepito il progressive rock dalle nuove leve americane. Praticamente il passato dei gloriosi anni '70 è come se non fosse mai esistito e qui le influenze inedite che vanno a decorare intricate trame sono l'indie, il math rock, il midwest emo e un po' di jazz. Il nuovo album For You, Out of You, che arriva dopo un full length e due EP, offre delle chicche come Backwards Dog, Burgundy e Something Very Else.



#26.JYOCHO
美しい終末サイクル
Il chitarrista Daijiro Nakagawa ha già ampiamente dimostrato in pasato di essere tra i migliori autori di math rock, il primo album dei JYOCHO non fa che confermarlo.




#25.Night Verses
From the Gallery of Sleep
Dopo avere dato un po' di ossigeno alla scena post hardcore con l'osannato album del 2016 Into the Vanishing Light, i Night Verses hanno perso a fine 2017 il fondamentale apporto del vocalist Douglas Robinson che tanto aveva caratterizzato il loro sound. Un colpo che avrebbe messo in crisi chiunque altro, ma i tre membri rimasti Nick DePirro (chitarra), Reilly Herrera (basso) e Aric Improta (batteria) si sono rimboccati le maniche senza neanche pensarci e si reinventano un sound tra post metal bellico e psichedelia con partiture math rock che si insinuano tra l'estatica visione ancestrale dei Tool e Pink Floyd e l'aggressività post hardcore 2.0.




#24.Lucy Swann
Blue, Indigo, Violet and Death
Lucy Swann è una musicista inglese, ma norvegese d’adozione, che ho scoperto grazie ad un tweet di apprezzamento da parte di Jakko Jakszyk. Blue, Indigo, Violet and Death è il suo secondo album dalle qualità eclettiche e contraddittorie dai toni chiaroscuri, ma altrettanto ornati da sfumature differenti. Lucy ci guida in quella zona di confine tra avanguardia e new wave frequentata nel decennio ottantiano da David Sylvian e dai King Crimson e vi aggiunge quel gusto sonico di stupire l'ascoltatore con ambivalenti sentimenti di dolcezza e aggressività, ricollegandosi ai contrasti emotivi e idiosincratici dei Bent Knee, ma Lucy Swann ne rappresenta un differente aspetto e la sua personalità di cantautrice emerge con forza: un frammento prezioso del miglior modo di concepire e intendere l'art pop.




#23.Slow Crush
Aurora
Il giovanissimo gruppo che ha iniziato il suo cammino nel marzo del 2017 al debutto con Aurora firma una delle più convincenti e appassionate dichiarazioni d'amore per lo shoegaze nella sua vera essenza naturale, ovvero al suo apice compreso tra ultimi anni '80 e primissimi anni '90, quando a farla da padroni erano i My Bloody Valentine in primis, poi Swervedriver, Slowdive, Cocteau Twins e All About Eve.



#22.Arc Iris
Foggy Lullaby
Come rileggere un album storico come Blue di Joni Mitchell con grazia e buon gusto, gli Arc Iris non temono la sfida e si avventurano in una epopea prog pop che stravolge l'originale acustico e lo riarrangia con tastiere e sintetizzatori dallo spirito moderno.




#21.Visitors
Crest
Crest è un tour de force da gustare tutto d'un fiato con pezzi dalle dinamiche massicciamente complesse ed estreme e, oltre a questo, un lavoro perfettamente compiuto nell'interazione contrastante tra le interazioni vocali harsh e clean. I Visitors partono da tutto ciò che è stato lasciato all'eredità di questi anni in campo prog hardcore (che siano i The Mars Volta o i Sianvar) e lo sfruttano per andare ad inerpicarsi su territori personali, incentivando visioni psichedeliche, acide e post metal anziché involute digressioni math rock.




#20.Weedpecker
III
In un’epoca in cui la contaminazione disgrega ogni confine era inevitabile che anche lo stoner rock si aprisse nuovi spazi dove continuare il proprio trip e sembra aver trovato un luogo confortevole accanto al prog e alla psichedelia. Dopo gli Elder anche i Weedpecker trovano il modo di risollevare lo stoner rock grazie a contaminazioni lisergiche che lo rendono ancora più spaziale.




#19.Tides Of Man
Every Nothing
Secondo album senza un cantante, i Tides of Man si sono ormai trasformati in una matura macchina di suggestivo post rock e Every Nothing è il loro capolavoro.




#18.HAGO
HAGO
Supergruppo formato dalla sezione ritmica degli israeliani Anakdota Guy Bernfeld (basso) e Yogev Gabay (batteria) e dal chitarrista dei Distorted Harmony Yoel Genin. HAGO è una bellissima e ricca panoramica sul progressive metal fusion strumentale che, da un lato si espande e accoglie il crossover con altri stili esotici in continuità con quanto fatto in precedenza dai Thank You Scientist, mentre dall'altro impone delle ampie digressioni più sperimentali e jazz sulla scia di veri fuoriclasse coevi come Nova Collective e Stimpy Lockjaw.





#17.Omhouse
Eye to Eye
Se il pop fuori dagli schemi abituali di XTC e Field Music vi appassiona, nell'esordio degli Omhouse troverete molti spunti di ascolto per un intelligente uso di melodie e arrangiamenti inusuali.





#16.The Intersphere
The Grand Delusion
Con il quarto album The Grand Delusion i tedeschi The Intersphere consegnano un solidissimo attestato, un grande senso melodico e produttivo con in più il gusto per variazioni armoniche inconsuete. Ho conosciuto il gruppo con questo album ed andando a ritroso nella loro discografia ho scoperto quanto siano validi e sottovalutati i lavori precedenti. Nel loro mostrarsi accessibili e diretti, gli Intersphere agiscono però sulla scrittura da math rock alternativo a più livelli, cercando sempre la svolta armonica meno scontata. 




#15.Miles Paralysis
Miles Paralysis
Miles Paralysis è la collaborazione tra Jon Markson (Taking Meds) e Alex Litinski (AM Overcast) e mette a fuoco la loro prospettiva unica nell'affrontare il math rock attraverso composizioni come al solito brevi, ma incisive, che esaltano la sensibilità pop dei due, sempre attenti a preservare intricati percorsi strutturali estremamente orecchiabili.




#14.Hypophora
DOUSE
Douse è l'esordio degli Hypophora ed è un perfetto impasto di propulsioni funk, fusion e blues suonati con la potenza del post hardcore e del math rock rifiniti dalla passionale voce di Katie McConnell. Un mix esplosivo di rock viscerale e primordiale, ma suonato con il cervello. A parte sembrare una versione al femminile dei Black Peaks che incontrano i Mals Totem, gli Hypophora riescono ad infondere una prospettiva avventurosa e multitematica a pezzi pesanti come macigni.




#13.Matt Calvert
Typewritten
Matt Calvert, chitarrista dei Three Trapped Tigers, lascia da parte la strumentazione elettronica e impugna la chitarra acustica, mettendola al servizio di un piccolo ensemble da camera e dimostra che comporre math rock acustico dal sapore classico contemporaneo è possibile. Suggestivo e ispirato.




#12.Perfect Beings
Vier
Una specie di concept album contenente quattro suite che spaziano tra vari generi come jazz, classica, avant-garde senza mai ricadere nei cliché del neo prog sinfonico. Quindi un lavoro coraggioso che non teme di risultare completamente fuori moda ma che, a differenza del prog sempre fuori moda, sa ricongiungersi con un'idea moderna della musica.




#11.Vennart
To Cure A Blizzard Upon A Plastic Sea
Quando sei un ex Oceansize è difficile sbagliare un colpo e con il secondo album da solista Mike Vennart ci ricorda che cosa vuol dire fare del buon prog rock sperimentale.



#10.Azusa
Heavy Yoke
Il primo album del supergruppo creato da ex membri di Extol, The Dillinger Escape Plan e Sea+Air è un ininterrotto e frenetico assalto metallico colmo di sorprese, svolte e contrasti atmosferici, dove gli strumenti sono spinti al limite dello spasmo mathcore e la versatile voce di Eleni Zafiriadou si piega bene ai bisogni ora aggressivi (scream) ora melodici (clean).




#9.Foxing
Nearer My God
Nearer My God è un lavoro di immane densità. I Foxing ci mettono dentro di tutto: i Radiohead, i Brand New, Everything Everything, Bon Iver, ma mescolano le carte in modo che ogni brano possieda una parte del quadro generale. Più che art rock verrebbe da dire emocore barocco.




#8.Now, Now
Saved
Dopo un lungo periodo di pausa, i Now, Now abbandonano l'indie rock dell'esordio, cambiano stile e pubblicano il miglior album electropop dell'anno. Ogni canzone ha qualcosa che si fa ricordare, i chorus gradevolissimi e non scontati: MJ, Yours, Set It Free e Can't Help Myself sono praticamente perfette. Tutto sembra facilmente costruito, ma gli arrangiamenti denotano gusto e perizia.




#7.Blanko Basnet
Ocean Meets the Animal
I Blanko Basnet spaziano tra canzoni di folktronica e piccoli riff prog fatti di arpeggi sincopati, ma Ocean Meets the Animal contiene piccoli intarsi dal gusto minimale, psichedelico e malinconico che si sposano in un'atmosfera avvolgente. Un album che mi ha trasmesso molto e ho amato profondamente.




#6.Lines in the Sky
Beacon
Beacon è il terzo album dei Lines in the Sky e anche quello con cui ho scoperto la band. Ho passato l'estate ad ascoltare tutta la loro discografia e anche i due lavori precedenti Hilasterion e Parallel Travel sono impeccabili nel coniugare un'idea di prog metal molto accessibile e tecnica strumentale in linea con Rush e Enchant. I Lines in the Sky meritano assolutamente una vetrina che li faccia conoscere ad un più vasto pubblico e per ora rimangono il segreto meglio custodito del progressive rock.




#5.Aviations
The Light Years
Grande sfoggio di tecnica e melodia in un album che è djent, ma privo dei suoi elementi più estremi dato che gli Aviations sanno aggiungere anche disinvolti spazi fusion.




#4.Low
Double Negative
I Low registrano delle canzoni e poi le infettano con virus audio e frequenze disturbanti, trasfigurandole fino a renderle materia aliena irriconoscibile. Un trattato di arte contemporanea messo in musica, coraggioso e perfettamente compiuto.




#3.Kindo
Happy However After
La svolta dei The Reign of Kindo è un upgrade di funk, disco, ritmiche sudamericane e fusion, non perdendo di vista le svolte tematiche e altri trucchi del prog. Non saremo ai livelli del primo album, ma Happy However After reinventa il sound della band in modo clamoroso.




#2.Thumpermonkey
 Make Me Young, etc.
E ora...qualcosa di completamente diverso. I Thumpermonkey stupiscono non cambiando direzione, ma mostrandoci un lato differente della loro musica. Non più le abarsive atmosfere di Sleep Furiously, ma un album piano-centrico, quasi orchestrale. Le tensioni hardcore rimangono sottilmente velate e di nuovo la band ci mostra il suo modo persoanle di intendere il prog: i Thumpermonkey non vogliono paragoni. Non ci sono Steven Wilson, Opeth, Haken, Dream Theater che tengano, così dovrebbe suonare il progressive rock nel 2020.




#1.Hopesfall
Arbiter
Dopo undici anni di assenza Arbiter ci restituisce una band diversa, per gli Hopesfall anche parlare di maturazione è restrittivo in quanto non hanno seguito un percorso lineare a causa del loro stop forzato. Arbiter è quindi un salto quantico verso nuovi orizzonti e un'evoluzione all'ennesima potenza non solo del loro sound, ma anche del loro metodo compositivo, un album destinato a diventare una pietra d'angolo per tutto il post hardcore. Rimanendo fedele al genere, negli tempo trascorso il materiale degli Hopesfall ha avuto modo di fermentare come un buon vino, rendendo più adulto e ricercato il proprio stilema arricchito da un retrogusto composto da più sapori che hanno assorbito nel sound elementi stilistici esterni come space rock, stoner, prog, emo e molto altro ancora. Le stratificazioni che si accumulano, i riverberi e le distorsioni concorrono a creare un ricco paesaggio sonoro nel quale immergersi tanto che si può azzardare un parallelismo: Arbiter rappresenta per il post hardcore ciò che Superunknown ha rappresentato per il grunge.

domenica 16 dicembre 2018

Gli ultimi ascolti dell'anno


Il chitarrista indonesiano Dewa Budjana tinge la sua fusion etnica con colori progressivi nel suo nuovo album Mahandini che lo vede accompagnato da una band formata con Jordan Rudess (tastiere), Marco Minnemann (batteria) e Mohini Dey (basso), in più si aggiungono gli ospiti d'eccezione John Frusciante e Mike Stern.



Già con il precedente Reverie gli In-Dreamview si erano proposti con un incontro tra jazz, psichedelia e post rock e un uso suggestivo della strumentazione. Con l'omonimo portano avanti in modo coerente e maggiormente concreto la loro estetica.



I Mutemath sono stati una band sempre degna di attenzione anche se, personalmente, dopo il fulminante esordio del 2006 ho progressivamente perso interesse in loro. Negli ultimi anni il gruppo ha sofferto di defezioni continue, tanto che adesso con questo EP il frontman Paul Meany si è presentato come one man band ed ha tirato fuori una delle migliori produzione del gruppo.




John Baab è il chitarrista dei Kindo che questa estate è stato vittima di un incidente ciclistico per lui quasi fatale. Da questa esperienza è scaturito il suo primo album solista pieno di vibrazioni R&B e funk, ricordando il lavoro degli Eternity Forever.



Resurrecting Id è il progetto del sassofonista Christopher Herald che con Ephemera firma il suo secondo album. Alla chitarra e al basso è presente Jeremey Poparad proveniente dalla prog band Axon-Neuron.



Seconda parte di una trilogia iniziata con Chorus 30 From Blues For The Hitchhiking Dead, Inchoate With The Light Go I porta avanti tutte le ambizioni del progetto He Was Eaten By Owls capitanato da Kyle Owls: praticamente un'altra suite da 27 minuti di chamber music influenzata da emo e post rock con ampio uso di orchestra.

venerdì 14 dicembre 2018

Facing New York - Dogtown (2018)


Anticipato dal singolo che dà il titolo all'album, Dogtown riporta in pista i Facing New York dopo una lunga pausa di dieci anni. Originariamente composta da cinque elementi con Brandon Canchola, Eric Frederic, Omar Cuellar, Rene Carranza e Matthew Fazzi, questa line-up esordì nel 2004 con due ottimi EP di groove rock progressivo Swimming Not Treading e lo split omonimo condiviso con la band Amity. In seguito gli album Facing New York (2005) e Get Hot (2008) con in mezzo il singolo inedito The Messenger (2007) ampliavano il raggio d'azione attraverso una musica impostata molto sull'importanza della ritmica legata a funk, R&B e sperimentazione.

Con Dogtown scopriamo che ancora quel gusto per i groove è rimasto invariato, anzi forse viene addirittura accentuato, dato che la scrittura di molti brani è basata su riff basici reiterati le cui premesse si fondano sulle cadenze ritmiche piuttosto che sulla melodia. Come delle jam session improvvisate, tutto si sviluppa attorno a cellule concentriche di grandi riff di basso fuzz, chitarra bombardanti e percussioni tribali.

Il gruppo si era ridotto a trio con Canchola, Frederic e Cuellar già ai tempi di Get Hot (Fazzi andò poi a formare gli Happy Body Slow Brain / Rare Futures), e ora torna in questa formazione per un album che rappresenta più che altro un regalo fatto con il cuore ai fan più fedeli che ancora si ricordano di loro e che comunque aspettavano un segnale dai Facing New York in quanto non avevano mai dato notizia di uno scioglimento ufficiale. Ma nel frattempo le loro vite avevano preso altri impegni (ultimamente sono diventati padri tutti e tre), lasciando da parte il loro progetto sul quale chissà se torneranno in futuro. I Facing New York rimangono una band di culto per pochi intimi, ma quei pochi potranno godere sempre di buona musica.


mercoledì 12 dicembre 2018

Atlas : Empire - The Stratosphere Beneath Our Feet (2018)


Dopo sei anni di carriera e tre EP alle spalle, gli scozzesi Atlas : Empire riescono finalmente a pubblicare il loro album d'esordio. Il preludio a The Stratosphere Beneath Our Feet fu posto addirittura tre anni or sono con The Stratosphere Beneath Our Feet Part 1: For The Satellite, EP dal quale gli Atlas : Empire vanno a ripescare due dei quattro brani presenti (Hostess e It's All in the Reflexes) e li riportano con una nuova incisione un nuovo arrangiamento. La procedura che caratterizza il prog hardcore degli Atals : Empire è una buona dose di malinconia epica tipica del post rock strumentale contemporaneo sulla quale il trio aggiunge parti vocali, ma si ha quasi la sensazione che i pezzi funzionerebbero anche autonomamente, senza l'apporto della voce, prova ne è la lunga suggestiva cavalcata spaziale The Entire History of You e parte della conclusiva Cenotaphs.

Naturalmente la cosa non interferisce con il prodotto finale, ma anzi aggiunge un tocco di drammaticità e un senso di completezza che contribuisce a percepire più chiaramente le dinamiche delle trame. Ci sono momenti che sfiorano il metal atmosferico (Hostess, As Yet Unwritten), altri più propriamente il post hardcore (The Moment We Were Exploding), ma sempre posti in una prospettiva progressive che non risparmia percorsi maggiormente contorti e involuti (The Year of the Four Emperors, Our Hands Part the Waves). In definitiva The Stratosphere Beneath Our Feet non va ad aggiungere molte novità per quanto già esplorato nei precedenti EP dagli Atlas : Empire, ma la si può considerare una dichiarazione di intenti per il futuro.



martedì 11 dicembre 2018

The 1975 - A Brief Inquiry Into Online Relationships (2018)


Per chi è sopra i trenta forse il nome dei The 1975 dirà poco, ma con soli due album il quartetto di Manchester è già diventato popolare tra i giovanissimi, riuscendo in poco tempo a bruciare le tappe e raggiungere l’agognato traguardo del primo posto in classifica in USA e in UK. Con questo terzo album però i The 1975 hanno attirato l’attenzione anche al di fuori del loro pubblico abituale, innanzitutto perché gli unanimi consensi della critica ricevuti da A Brief Inquiry Into Online Relationships sono sfociati in parallelismi azzardati con Ok Computer, un equivoco sciolto come neve al sole una volta ascoltato. Il riferimento si addice in effetti più alla forma che alla sostanza, in quanto il gruppo ha cercato di produrre un’opera su misura per la generazione Y.

La cosa che più si avvicina alla filosofia del famoso disco dei Radiohead è The Man Who Married a Robot / Love Theme, di fatto una Fitter Happier aggiornata al 2018. Comunque, che A Brief Inquiry Into Online Relationships si ponga come un trattato di sociologia sui nostri tempi o meno, quello che interessa maggiormente ai The 1975 è condensare in quindici tracce i canoni del pop moderno e le sue relative variazioni, non esenti da richiami anni '80, per un target preferibilmente rintracciabile tra gli under 20. Infatti, se Ok Computer partiva da stilemi sonori universalmente atemporali come psichedelia, prog ed elettronica, il grande limite di A Brief Inquiry Into Online Relationships è di contenere un’estetica musicale "usa e getta" per adolescenti, che difficilmente coinvolgerà una tipologia di ascoltatore più adulto.

Nel suo accumulo di luoghi comuni pop ogni cosa è un'istantanea del “qui e ora”: ci sono i beat dell’hip hop (How To Draw / Petrichor), c’è l’autotune dei Bon Iver (I Like America & America Likes Me) e c’è persino l’R&B nobilitato dalla tromba di Roy Hargrove (Sincerity Is Scary). Non mancano momenti che sembrano fuori luogo, in positivo o in negativo, dalla simpatica Give Yourself a Try che pare una cover di Disorder (Joy Division) riletta in chiave glitch da Max Tundra, ai barlumi di pop soul che sfiorano il Marvin Gaye e il Prince più svenevoli (I Couldn't Be More In Love), fino all’approccio così stupidamente innocuo di TOOTIMETOOTIMETOOTIME che parrebbe quasi una parodia da boyband per far innamorare le ragazzine.

Ma che il frontman Matty Healy prenda però tutto maledettamente sul serio ce lo mostra in un unico ed esaltante episodio il quale da solo varrebbe, non diciamo l’acquisto, ma per lo meno l’ascolto: Love If We Made It, è un epico inno (ancor di più se contestualizzato con il potente video) che può tranquillamente divenire un manifesto della contemporaneità caotica che stiamo vivendo. Da una vaga rassomiglianza con le prime note di The Downtown Lights dei The Blue Nile, il gruppo ne amplifica il ritmo marziale su una base retrowave, mentre il rant passionale di Healy declama slogan come se scorresse una cronologia di Twitter con gli eventi salienti degli ultimi due anni, tra riferimenti a Trump e alle contraddizioni della modernità. Insomma, più che The 1975, sarebbe stato quasi meglio The 1985. E se non ci credete date un’occhiata al video tributo ai Talking Heads di It's Not Living (If It's Not With You). A Brief Inquiry Into Online Relationships non è di certo l'album epocale che è stato descritto, ma l'hype che ha generato è figlio stesso della cassa di risonanza social da cui oggi queste band traggono sostentamento.

domenica 9 dicembre 2018

The Intersphere - The Grand Delusion (2018)


In genere le crisi umane personali, a qualsiasi livello, portano paradossalmente un artista a dare il meglio nel suo campo. I tedeschi The Intersphere erano fermi dicograficamente a quattro anni fa con Relations in the Unseen proprio a causa di questi problemi. Con The Grand Delusion forse hanno cercato di esorcizzare il passato e rimettere a posto le loro vite con una sorta di concept album ispirato alle teorie sulla realtà dello psicologo Paul Watzlawick e del suo omonimo libro.

Il risultato è l'album più vario e potente che il gruppo abbia prodotto sinora. Non nascondo che l'interesse per i The Intersphere sia nato per il fatto che mi capitò di vederli più volte paragonati ai Dredg. In realtà ben poco dell'hard rock barocco dei The Intersphere è accostabile alla band di Los Gatos, ma posso capire che in quanto ad esecuzione di un alternative rock venato di momenti progressive, la questione facilita una certa affinità. Complice la voce di Christoph Hessler e l'apparato strumentale intento ad erigere mastodontici muri post hardcore, le somiglianze si avvicinano con più coerenza ad un mix tra Sucioperro e Shihad.

Ma vediamo perché The Grand Delusion è un album che va ascoltato attentamente, nonostante abbia ricevuto un'accoglienza tiepida. Innanzitutto, nel suo mostrarsi molto accessibile e diretto, può facilmente creare l'equivoco di essere messo da parte in seguito a qualche ascolto poco attento, al contrario si comprenderà il suo valore solo dopo alcuni ascolti che svelano molte doti nascoste. Ma ciò che risalta maggiormente in The Grand Delusion sono la produzione, gli arrangiamenti e la cura dei suoni. I riff giganteschi, gli intrecci delle chitarre, la profondità delle ritmiche convulse, non si perdono in una nube indefinita di rumore elettrico, ma ogni suono viene esaltato, contribuendo a creare un'onda che avvolge l'apparato uditivo per un'esperienza di ascolto che è un valore aggiunto.

Ogni brano, nel suo mantenere uno schema tematico abbastanza ortodosso, conserva comunque al suo interno piccoli particolari di inaspettate variazioni che contribuiscono nel non abbassare la guardia e mantenere desta l'attenzione. Man on the Moon è forse l'esempio più lampante: quello che all'apparenza parte come come un rock slow alla Queens of the Stone Age, si arricchisce ben presto di epiche svolte prog hardcore passaggi da chamber con tanto di fiati e archi. Anche la title-track nei suoi frenetici bombardamenti punk metal si dipana in progressioni melodiche con proporzioni anthemiche da arena rock. Una cornice generale che esalta grandi aperture pensate per aggiungere quella sensazione larger than life ad un alternative rock che altrimenti si perderebbe nella massa. Ed è forse quello che è sfuggito a molti di coloro che hanno sottovalutato la potenza (ma anche le potenzialità) di questo album.


sabato 8 dicembre 2018

JYOCHO - The Beautiful Cycle of Terminal (2018)


Dopo molti EP o mini album che dir si voglia, il progetto JYOCHO del chitarrista Daijiro Nakagawa raggiunge finalmente il traguardo del primo full length, un'impresa che purtroppo non gli era riuscita neanche con la sua magnifica band precedente Uchu Conbini. 美しい終末サイクル o The Beautiful Cycle of Terminal è un altro album pieno di grazia che mostra come un genere aprioristicamente considerato freddo e razionale come il math rock possa invece trasmettere emozioni. La personale missione dei JYOCHO è infatti piegare la tecnica strumentale ai voleri del cuore e della melodia, fino a sconfinare oltre, più precisamente attraversando quel confine che in Giappone spesso viene considerato come un evoluto J-Pop.

Dolci e malinconiche, le armonie create da Nakagawa e compagni passano attraverso gli ormai collaudati ultra virtuosi arpeggi acustici e tapping elettrici, ritmiche sempre elaborate e accompagnati da un cantato femminile soave e delicato. Il gruppo suona musica complessa, ma ciò che arriva all'ascoltatore è l'esatto contrario: un rilassante e malinconico affresco sognante, crepuscolare e camuffato benissimo in art pop. Anche per questo conseguimento i JYOCHO sono attualmente la miglior band di math rock sulla piazza e Daijiro Nakagawa un talento raro che fin dalla sua militanza negli Uchu Conbini non ha mai registrato un calo di ispirazione.




venerdì 7 dicembre 2018

ALTPROGCORE 2018 BEST EPs


Se in genere si tende a sottovalutare la classifica annuale degli EP è perché esiste quella ben più corposa degli album che tiene inesorabilmente banco. Comunque ogni anno, e anche questo non fa eccezione, si possono individuare sempre lavori molto interessanti prodotti da artisti esordienti, piuttosto che proposti da altri nomi ormai affermati, che li pongono in una luce ancora esente da compromessi. E' successo infatti in passato che autori di brillanti EP di esordio si sono poi rivelati un fuoco di paglia una volta messi sotto pressione per realizzare un full length. Naturalmente auguro a tutti gli esordienti di questa lista di continuare sulla loro strada, senza mai perdere di vista l'entusiasmo del novizio. Ecco un buon motivo per gustarsi anche gli EP migliori dell'anno, perché molto spesso si dà il massimo fin dall'inizio.


#20.ARCHABALD 
CARCOSA



#19.AMARIONETTE
AMVIRI


#18.GOOD GAME
GOOD LUCK HAVE FUN



#17.KERO KERO BONITO
TOTEP



 #16.VAVÁ
THE OTHER SIDE



#15.LENIO
WEIGHT ON A SCALE


#14.CHILDISH JAPES
SALAMANDER
 

#13.MOETAR
FINAL FOUR


#12.NOWE
NOWE


#11.INSTRUMENTAL (ADJ.)
REDUCTIO AD ABSURDUM




#10.LOUSER
INTERMEDIATE STATE



#9.BAROCHE
SIDES


#8.A.M. OVERCAST
THAT BEING SAID


#7.HAVEN STATE
STRATUS


#6.VENNART
COPELAND


#5.THE MERCURY TREE + CRYPTIC RUSE
CRYPTIC TREE


#4.BLACK NEON DISTRICT
STANDING WAVES


#3.SKETCHSHOW
PATCHWORK



#2.REDWOOD
LAY YOUR LOVE DOWN


#1.OH MALO
YOUNG ORCHARD, vol.1