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martedì 22 aprile 2025

Michael Woodman - Hiss of Today (2025)


Messi in pausa i Thumpermonkey ormai da un po' di tempo, il chitarrista e frontman del gruppo Michael Woodman si è dedicato ad un quieta ma ispirata carriera solista, prima con l'EP Psithurism (2021) e ora con il suo vero e proprio primo album di debutto Hiss of Today. Con questo lavoro sembra quasi che Woodman si sia prefissato uno scopo artistico con i mezzi a disposizione, puntando su una solita minuziosa ricerca timbrica della chitarra attraverso intrecci arpeggiati, riverberi cosmici e lontani vortici sintetici.

Nella sua descrizione dell'album, in cui Woodman rivela un'ispirazione esoterica riferita al personaggio di William Robert Woodman fondatore dell'Hermetic Order of the Golden Dawn, racchiude sinteticamente ed efficacemente il senso estetico musicale con il termine hauntology, genere che trae i suoi principi dall'avanguardia e si applica volentieri a territori rock. In effetti i loop a spirale, i continui accavallamenti di eco in cui Woodman cerca di immergere la sua musica, creano un'aura persistente di sottofondo mistico, come se da un album barocco/casalingo se ne volesse ricavare un profondo rituale laico.

Questo è ciò che si deduce dall'introduttiva V.I.T.R.I.O.L/ No Moon, No Throne dove la batteria programmata e l'incontro tra il basso minaccioso e l'elegiaca atmosfera data dalla chitarra creano un corto circuito tra lo-fi e psichedelia. Le fa da contraltare il finale da corale innodico Telomeres che, con il suo organo spaziale al quale si aggiungono note allungate di chitarra memori della frippertronics, pare chiudere un cerchio magico musicale.

La sensazione di astrazione si acuisce nell'ipnotica Ignathox, che pare un'improvvisazione per solo voce e chitarra, un po' fingerstyle un po' space rock, anche se dietro c'è una formula ben studiata. Ci sono poi brani più concreti come The Button e il singolo Lychgate (con Kavus Torabi come ospite) dove risorge quel rock alternativo obliquo e non convenzionale dei Thumpermonkey, ma come sempre il "viaggio" della struttura che traghetta dal punto A al punto B conta come un valore aggiunto. E nel suo bilanciamento tra forma canzone e sperimentazione lo-fi Lapsed rappresenta un buon punto di incontro tra le due facce dell'album, sperimentale e cantautorale.

Sia con i Thumpermonkey che da solista la penna ispirata di Michael Woodman non perde quella originalità di autore a cui piace uscire volentieri dagli schemi preimpostati, sia dell'alternative rock che del prog, confermando di muoversi sempre in territori musicali insoliti e stimolanti.

domenica 6 aprile 2025

Introducing Touchdown Jesus


Qualche volta è meglio rimarcare in grassetto una band che potrebbe essere passata inosservata. Nella lista dei migliori EP del 2024 avevo incluso e segnalato l'esordio dei Touchdown Jesus You Must Not Know Who You Are To Them. Adesso, a distanza di circa un anno, il quartetto dell'Ohio ha pubblicato il secondo EP It’s All Feast Or Famine e penso valga la pena soffermarsi su di loro un po' di più. Anche se sono americani è stata attaccata ai Touchdown Jesus un'etichetta che li paragona all'ultima onda punk prog inglese che comprende Black Country, New Road, Squid e black midi. Grossolanamente e ad una prima impressione, i riferimenti potrebbero andare anche bene ma, tra tanti vari esempi emersi ultimamente come influenzati dalle band citate, i Touchdown Jesus sono abbastanza intelligenti nella loro direzione da sganciarsi audacemente nel somigliare agli originali in modo troppo accentuato o comunque poco ispirato.

Le loro spruzzate di jazz e punk hanno il sapore più del potere iconoclasta di Cardiacs e The Tubes che non della compostezza naif di Black Country, New Road o della algida e idiosincratica decostruzione melodica degli Squid. Ad ogni modo, i due EP dei Touchdown Jesus rendono un'idea abbastanza precisa dell'eclettismo della loro proposta, dosando in modo equilibrato avant prog e post punk, sfruttando la perizia tecnica del primo e ricorrendo alla ruvidezza caotica del secondo. In quest'ultimo lavoro appena uscito i Touchdown Jesus danno un'ulteriore sterzata in termini di complessità e accorgimenti tematici, elaborati insistendo su parametri math rock e ancora più prog dei gruppi presi come paragone.


domenica 1 dicembre 2024

Martin Grech - Phantasmagoria EP e altre novità


Dopo aver consegnato alla storia un capolavoro come Hush Mortal Core nel 2020, qualcosa si sta lentamente smuovendo nel mondo di Martin Grech. L'artista ha i suoi tempi, oltretutto nel lungo periodo di silenzio che ha seguito March of the Lonely (2007), è diventato molto severo e selettivo nei confronti della propria produzione, scartando e archiviando idee per interi album (prima di Hush Mortal Core ne sono stati abortiti addirittura due). 

Ora, tra i resoconti periodici pubblicati sulla sua pagina Patreon, Grech ha fatto sapere che un altro progetto dal titolo Phantasmagoria è stato definitivamente accantonato in favore di uno in corso di scrittura che verrà pubblicato in futuro. Nonostante ciò, il cantautore ha messo da parte svariati brani e demo intesi per far parte di Phantasmagoria e che ha la volontà comunque di rendere pubblici. La prima raccolta si è materializzata sotto forma di EP e contiene una piccola selezione delle tracce pensate per Phantasmagoria, tre cantate e due strumentali, che vanno in una direzione se vogliamo ancor più sperimentale rispetto a Hush Mortal Core. Trattandosi di un artista molto imprevedibile come Grech è meglio non sbilanciarsi riguardo a notizie su future pubblicazioni, ma a suo dire altro materiale inedito è in arrivo (e se non altro esiste, come ben sanno gli abbonati a Patreon).


Bonus Tracks:
Di seguito altri brani resi disponibili nel canale YouTube di Grech, l'inedito Phantasia, due brani live in studio tratti da Hush Mortal Core ed infine un'altra resa live in studio di The Greatest Show on Earth che nelle intenzioni di Grech dovrebbe far parte del nuovo album attualmente in lavorazione.

sabato 9 novembre 2024

Il massimalismo math rock e folk barocco di Pete Davis

Dato che tra queste pagine non ne ho mai parlato e anche in generale sul web viene troppo poco citato, vorrei porre l'attenzione su un musicista poliedrico come Pete Davis, il cui corpus artistico merita di essere scoperto. Inizialmente conoscevo Davis solo per il suo progetto math rock Invalids, ma in seguito ho scoperto che questo era solo una parte di una più composita discografia con varie sfaccettature. Davis nei primi anni 2000 si sposta tra New Jersey e Oregon collezionando un gran numero di demo che poi re-inciderà più professionalmente nell'intimità della propria casa. Tra le prime cose a cui Davis dedica attenzione ci sono dei brani post hardcore/prog punk che vanno a finire nel 2011 nell'unico omonimo album dei Surface Area, registrato con il batterista Jon Lervold e poi una più ampia collezione di canzoni dal carattere folk, un lato che il polistrumentista sviscererà in modo del tutto personale partendo dal primo album a suo nome Passing It Off as Art del 2003. Su questa costola solista Davis si destreggia in esperimenti bizzarri come Hapax Legomena (2023), nel quale la scommessa è comporre solo canzoni della durata di un minuto, oppure con stratificazioni a cappella e di molteplici strumenti che concorrono ad aumentare le proprie abilità di home recording come una sorta di virtuosismo aggiunto.

 

L'EP False Friends e la sua traccia di apertura Everyone Felt Each Other Felt Fine può servire da buona introduzione per comprendere come Davis giunga ad una visione finale armonica che ha sviluppato in completa solitudine. Questo folk barocco che ricopre un raggio dal minimale all'orchestrale raggiunge lo zenit nell'album The Pottsville Conglomerate (2011), un'opera mastodontica da quasi 100 minuti nella quale il musicista si occupa di tutti gli strumenti, particolare da non sottovalutare visto che si parla di brani che si allargano fino a 8-9 minuti con piglio orchestrale e multitematico. Per l'ambizione messa in campo basti dire che siamo dalle parti di Sufjan Stevens, The Dear Hunter e Adjy, ovvero quel territorio poco battuto in cui il folk tradizionale amricano incontra l'emo, il bedroom pop e il prog.

Negli Invalids invece Davis mette sul tavolo un math rock ipertrofico e frenetico, imbevuto di tapping e ritmiche indiavolate, come una versione sotto steroidi dei TTNG. Finora con gli Invalids Davis ha prodotto tre album, l'ultimo dei quali Permanence del 2022 è come una summa dei suoi vari progetti: un incontro massimalista di math rock, armonie vocali a quattro parti e una complessa rete ritmica che vanno a completare una collezione di tracce estremamente satura di sovraincisioni la cui intricata architettura le rende affascinanti e disorientanti. L'impatto è alquanto singolare, ma questo album degli Invalids riunisce una serie di qualità da farsi apprezzare nell'uso della polifonia stordente ad ampio raggio utilizzata sia a livello strumentale che vocale.

venerdì 13 settembre 2024

Sans Froid - Hello, Boil Brain (2024)


E' da ormai diversi anni che i Sans Froid sono insieme e si esibiscono nella scena underground britannica, avendo però prodotto nel giro di tutto questo tempo solo qualche singolo. Hello, Boil Brain è il loro vero e proprio debutto e può essere inserito facilmente in una categoria che taglia trasversalmente art rock, prog e math rock. Le evoluzioni vocali e pianistiche della front woman Aisling Rhiannon possono far venire alla mente le prime sperimentazioni dei Bent Knee, ma molto spesso il cervellotico ma accattivante impianto strumentale coadiuvato da Toby Green (batteria), Charlie Barnes (chitarra) and Ben Harris (basso), si inerpica in energiche e spigolose trame che ricordano gli A Formal Horse. Al di là dei paragoni si sarà capito che i Sans Froid offrono un songwriting avventuroso che non disdegna ammiccamenti al pop, anche se l'atmosfera generale trasmessa dalla musica è costantemente tesa e talvolta oscura.

sabato 3 agosto 2024

Introducing Winter Wayfarer


Winter Wayfarer è un progetto nato dalla volontà del polistrumentista Collin Hop e che ormai esiste almeno dal 2017, nel momento in cui è uscito il primo album Keep Close. In quel periodo Hop è l'unico referente della band e si fa aiutare da qualche amico per la strumentazione aggiuntiva, ma con il passare del tempo i Winter Wayfarer hanno assunto un profilo da gruppo vero e proprio.

Nel presentare stile e musica Hop fa esplicito riferimento al progressive rock e, a corredo del primo album, spiega: "Keep Close è il primo album completo dei Winter Wayfarer ed è l'inizio di una serie di concept album. Questo capitolo della storia si concentra sui primi anni di vita della protagonista, sul suo desiderio di comprendere il mondo che la circonda e sulle difficoltà intrinseche dei suoi genitori."

Se il concept vi suona familiare vuol dire che siete dei fan dei The Dear Hunter e in effetti anche la musica stessa dei Winter Wayfarer richiama le atmosfere degli Act di Casey Crescenzo, ma messe su un piano ancora più malinconico, in un misto da ballad per piano e chamber rock. Quanto detto è comunque valido per Keep Close, il quale rimane per ora il primo capitolo della saga, ma Hop e compagni tra il 2022 e il presente hanno pubblicato tre singoli che preannunciano un considerevole progresso indirizzato verso un eventuale secondo album. L'ultimo di questi in particolare "Marshal, You Have No Friends" si pone a metà strada tra il prog americano dei The Dear Hunter e le dinamiche del math rock orchestrale. Si prefigurano qui delle influenze più ampie altre a folk, ma anche un lontano sentore di post hardcore, jazz e classica.

venerdì 28 giugno 2024

Bilmuri - AMERICAN MOTOR SPORTS (2024)


I Bilmuri ricadono in quella categoria di ibridazione estrema di generi che con gli Sleep Token l'anno scorso si è presa tanti insulti quante approvazioni. Non a caso i Bilmuri sono stati scelti come supporter degli Sleep Token per il loro prossimo tour europeo, ma il paragone tra le due band va comunque contestualizzato dato che il gruppo di Johnny Franck, oltre a non prendersi troppo sul serio, lavora su un piano estetico e musicale che si distacca considerevolmente da quello di Vessel e compagni. Qui un meme che spiega meglio di tante parole.

Ormai da otto anni il progetto del chitarrista e frontman Johnny Franck ha collezionato una considerevole lista di pubblicazioni (talvolta anche un paio all'anno), per la loro durata molto più simili ad EP che a veri e propri album, nei quali è stata subito chiara la sua fusione di djent metal diluito in un pop zuccheroso che utilizza tanto i mezzi dell'IDM, hip hop e synthwave, come nei Superlove, quanto i breakdown post hardcore in stile Dance Gavin Dance (con i quali Franck ha anche collaborato), intromettendosi nel contesto con un'attitudine cafona e quasi gratuita, ma che rispecchia la natura estrosa e smargiassa dell'autore. Anche se quest'ultimo aspetto è venuto meno con il passare del tempo i Bilmuri non hanno comunque perso l'appeal post hardcore ed emo che li caratterizzava all'inizio.

Se vogliamo allargare il campo dei paragoni, i Bilmuri cadono in un regno di mezzo che ultimamente ha preso campo nella generazione dei "chitarristi da camera da letto", comprendente il virtuosismo fusion da TikTok dei Polyphia e quello che si serve di RnB, funk ed elettronica portato ai massimi espressivi in modi differenti da gente come Jakub ŻyteckiOwane e Eternity Forever. In più c'è una componente estetica anni '80 che parte fin dalle cover e dalla metodologia di promozione, nella quale Franck adotta una voluta grafica dozzinale che sembra un prodotto da computer vintage (tipo Commodore 64) come una sorta di memetica retro-futurista proveniente dal passato che frulla anime, loghi metal e colori saturi, in un equivalente corto circuito temporale in stile steampunk.

L'ultimo album AMERICAN MOTOR SPORTS (scritto proprio così, con caratteri in Caps Lock) è il culmine del percorso intrapreso finora da Franck e racchiude tutti gli elementi elencati sinora. Un pugno di canzoni che non sbaglia un colpo, le quali potrebbero suonare con la stessa efficacia dentro una grande arena - e dare del filo da torcere a Taylor Swift - e allo stesso modo coinvolgere all'interno dei club con la medesima potenza contagiosa. Per dire che nei live la squadra messa in piedi da Franck è una macchina ben oliata, un concentrato che sprigiona energia pura e un grande senso della performance, con menzione particolare alla sassofonista e vocalist Gabi Rose, eccellente in entrambi i ruoli.

Se amate il pop intelligente e non monodimensionale, il repertorio di Bilmuri può nascondere un gran potenziale di contagiosità, ma anche se non siete dei bacchettoni metal duri e puri che storcono il naso di fronte agli Sleep Token, potrete apprezzare il "bedroom AOR" di ALL GAS, il caramelloso metal RnB di STRAIGHT THROUGH YOU, oppure cadere nella trappola dell'impossibilità di togliersi dalla testa i chorus delle power ballad BLINDSIDED e 2016 CAVALIERS (Ohio). In questo album Franck mette a frutto il suo amore per il midwest e per la musica di fattura americana, con riferimenti compositivi neanche troppo velati al country pop (ecco perché il riferimento alla Swift), ma sempre ammantati da una forte aura metal. Fatto sta che per quanto la musica dei Bilmuri possa raggiungere un alto grado di aggressività rimane costantemente, sotto ogni punto di vista, solare, positiva e con testi da cuori innamorati o infranti in pieno stile emo. 

sabato 18 maggio 2024

Ugly - Twice Around The Sun (2024)


Qualche volta il tempo che passa senza darti la possibilità di esprimerti nel momento che vorresti può essere non un nemico ma un saggio alleato. E' stato così per gli Ugly, nati nel 2016 e che arrivano solo ora all'esordio con Twice Around The Sun, nominativamente un EP, ma che con i suoi 36 minuti e il ricco contenuto non sarebbe sbagliato considerare un vero e proprio album. Provenienti da Cambridge, gli Ugly appartengono all'ultima scena indie inglese a cui piace prendersi delle libertà verso spazi più ampi - tra cui non manca il progressive - che tra i nomi più noti comprende HMLTD, black midi, Squid e per finire Black Country, New Road con i quali gli Ugly hanno condiviso concerti e, fino al 2020, pure il batterista Charlie Wayne.

Comunque in questi otto anni il lavoro per Twice Around The Sun è passato attraverso numerosi "stop and go", tra il blocco forzato della pandemia, una pausa imprevista, un cambio completo di formazione che ha visto l'arrivo del nuovo batterista Theo Guttenplan, l'aggiunta di Jasmine Miller-Sauchella alla voce e alla tromba e Tom Lane alle tastiere, gli Ugly si sono evoluti da un progetto per chitarra del solo membro fondatore Sam Goater ad un ben più strutturato sestetto prog-indie-folk che si serve di elaboratissime polifonie vocali. Talmente elaborate che il pezzo di punta, nonché di apertura di Twice Around The Sun, The Wheel è un degno gioco di contrappunti alla Gentle Giant, prima a cappella e poi con l'intervento di tutto il gruppo. L'impostazione da folk inglese non lascia quasi mai il cammino dell'EP, ma la sua messa in scena appartiene ad una visione dai connotati che si legano a quell'intellettualismo chamber rock o pop barocco di North Sea Radio Orchestra, XTC e Field Music, dove il prog fa capolino più per convenzione di necessità che per adesione al genere.

Il comparto vocale non è l'unico dove il gruppo dà prova della sua abilità, ma anche per ciò che riguarda la strumentazione gli Ugly si impongono sia come ottimi esecutori sia come inventivi arrangiatori nelle soluzioni di interplay, tra cui risalta il basso dal gusto jazz di Harry Shapiro, e nel mantenere una peculiare atmosfera sospesa tra il modernismo e la tradizione. I cambi di direzione inaspettati di Shepherd's Carol sembrano fatti apposta per stupire, dato che vengono amplificati dalla somma delle parti che si vengono a creare ne connubio di progressioni armoniche e polifonie vocali. Quando il gruppo non è impegnato in tali tour de force incanala la propria abilità nella costruzione dalle fondamenta di un brano fino a farlo crescere in modo corale (Icy Windy Sky e Hands of Man). Proprio per questo non c'è mai nulla di predefinito durante il percorso di Twice Around The Sun, gli Ugly sono degli ingegnosi architetti sonori e il bello è che questo EP rivela un potenziale che potrebbe crescere ancora.


 

lunedì 8 aprile 2024

Annex Void - Will I Dream (2024)


Il quintetto di Detroit di recente formazione (2021) Annex Void, esordisce con l'EP Will I Dream nel quale esplora i confini stilistici del progressive metal. Utilizzando elementi atmosferici ambient, progressioni jazz eteree mutuate da Allan Holdsworth, complesse strutture ritmiche tipiche del djent primordiale dei Meshuggah e l'elettricità nebulosa dello shoegaze dei Loathe, gli Annex Void realizzano un biglietto da visita impressionante, quasi da rimpiangere che non sia un album intero per quanto sia valido il contenuto. 

L'amalgama portato in dote dagli Annex Void sembra essere la nuova frontiera del progressive metal, spingendo ai due estremi - soft/melodico vs. heaay/brutale - alla maniera di Cynic e The Contortionist, un connubio quindi che in passato abbiamo già avuto modo di ascoltare, ma forse mai contestualizzato così efficacemente. Come prima prova Will I Dream convince e consolida la trasversalità stilistica che ancora oggi può mantenere vivo e far progredire il genere.

sabato 6 aprile 2024

Amskray - Die Happy (2024)


Come sempre, se uno vuole ascoltare un tipo di prog fresco, innovativo e che abbia un sapore contemporaneo, deve rivolgersi necessariamente agli Stati Uniti. E' ormai da qui che arrivano le band che hanno davvero qualcosa da dire nell'ambito di questo genere. Gli Amskray, dal New Jersey, sono l'ennesima prova che se si vuole veramente cercare un nuovo orizzonte e nuovi sbocchi per il prog è bene mettersi il cuore in pace e accantonare in modo definitivo le influenze degli anni '70. 

Il loro album di debutto Die Happy pulsa di tutto ciò che dovrebbe ambire oggi il prog contemporaneo: brani non eccessivamente lunghi, ma che al loro interno si permettono di spaziare tra math rock, impulsi indie e jazz, post hardcore, emo e sperimentazioni esotiche, che guardano indistintamente a varcare i confini di ogni genere. In pratica se siete in cerca di un album dall'ispirazione brillante, vivace e che stimoli i vostri sensi prog più sensibili e sviluppati Die Happy sarà una bella cavalcata nei meandri più originali del genere.

sabato 2 marzo 2024

Professor Caffeine & the Insecurities - Professor Caffeine & the Insecurities (2024)


In una selva di sottogeneri prog dove molto spesso gli schemi e le formule si ripetono, è sempre più raro trovare una band con le caratteristiche dei Professor Caffeine & the Insecurities, che almeno tenta di percorrere strade alternative facendo della trasversalità il proprio manifesto programmatico. Loro sono un quintetto di "nerdastri" di Boston che si diletta nel proporre un mix di prog, math rock, fusion, midwest emo e solo raramente qualche incursione su toni più accesi che definire metal sarebbe un azzardo. Per fare paragoni, dal punto di vista strumentale propongono una soluzione molto simile alla virtuosa fusione di stili dei Monobody. Se invece si aggiunge l'insieme cangiante della melodiosità del cantato (a cura del bassista Dan Smith) e la natura imprevedibile delle progressioni armoniche, si ha l'impressione di una versione più leggera di Thank You Scientist e Coheed and Cambria.

La musica dei Professor Caffeine & the Insecurities nella sua complessità esecutiva si poggia comunque costantemente su riverberi pop e funk, che le donano un tocco di accessibilità, poi elaborati negli intermezzi dei brani attraverso l'ausilio di vivaci e intricati passaggi. Per questo l'impianto compositivo del quintetto possiede continui richiami a sapori jazz e timbriche elettroacustiche, dove Dope Shades si presenta come una perfetta sintesi di entrambi i mondi, armoniosità power pop immersa in un solare funk jazz.

A volte il lato pop viene messo maggiormente in risalto su pezzi come Spirit Bomb, Unreal Big Fish e Astronaut, che possiedono chiaramente un'elaborazione della struttura formale più diretta. Ma il quintetto non è mai avaro nel mostrare la propria abilità nell'arte del contrappunto e in ciò una particolare menzione va all'uso del piano acustico da parte di Derek Tanch, in sintonia con le chitarre di Anthony Puliafico e Jay Driscoll, che aggiunge all'impianto una peculiare timbrica da band fusion. A giovare di tale espediente sono le dinamiche che si innescano nei fraseggi di The Spintz e Make Like A Tree (And Leave), un po' come avviene negli Aviations, senza lesinare poi l'uso accoppiato con le tastiere e synth su That's A Chunky e nella strumentale Oat Roper per rendere il tutto più avventuroso. Appena ho ascoltato i Professor Caffeine & the Insecurities ho capito che era doveroso segnalarli perché è una di quelle band che rappresentano più di altre lo spirito e la filosofia perseguite fin dall'inizio da altprogcore, quindi è il primo must di quest'anno.


venerdì 16 febbraio 2024

Introducing Blue Eyed Giants


Nel sottobosco della scena alternative rock inglese continuano a celarsi band di lodevole caratura che purtroppo molto spesso rimangono sepolte tra tante altre proposte, rischiando di rimanere in una ristrettissima nicchia. Il quartetto di Brighton Blue Eyed Giants appartiene a queste e, pur essendo attivo da diversi anni, finora ha collezionato solo alcuni singoli durante la propria carriera. Gli ultimi cinque in ordine di tempo sono stati raccolti nel recente EP Murmurations e rappresentano come i Blue Eyed Giants abbiano mantenuto uno stile solido che incorpora il gusto per le solenni melodie alternate a possenti riff e ritmiche che sanno anche essere articolati. Quindi il mio consiglio, se il gruppo sarà di vostro gusto, è quello di non fermarsi a Murmurations, ma di proseguire a ritroso per scoprire altri brani meritevoli come No Brainer, Bittersweet o Restless

Per fare una breve fotografia di cosa aspettarsi dalla musica ad alto tasso di energia dei Blue Eyed Giants si può ricondurre il loro stile a quella bolla di rock alternativo più evoluto, al confine tra metal, post hardcore e prog, al cui interno si trovano nomi come Biffy Clyro, The Intersphere, Arcane Roots, Black Peaks, Quiet LionsDead Ground ed in mezzo ai quali il gruppo di Brighton va ad inserirsi senza problemi.

venerdì 8 dicembre 2023

Codeseven - Go Let It In (2023)


I Codeseven hanno rappresentato una delle realtà più anomale del post hardcore degli anni Zero. Praticamente cambiando direzione ad ogni album sono riusciti nell'intento di esplorare la parte più melodica e psichedelica del genere. Rimanendo dentro un limbo elusivo con un progresso stilistico spiazzante ed in continuo sviluppo, di volta in volta i Codeseven sono stati accostati ai compagni di avventura Hopesfall ed in seguito, con il secondo album The Rescue (2002), alla singolarità trasversale e fuori dagli schemi dei Dredg. La band, nonostante il suo riconosciuto apporto all'espansione espressiva del post hardcore, non è riuscita comunque a raggiungere la notorietà di culto dei due gruppi appena citati, a causa di un prematuro capolinea ed un ultimo album, Dancing Echoes/Dead Sounds (2004), che lasciava un senso di irrisolto per la sua natura indecisa nell'equilibrare la trasversalità di fusione tra art rock e hardcore melodico.

Dopo una pausa di quasi 20 anni, senza alcun preavviso e in una successione di eventi simile a quella degli Hopesfall, i Codeseven sono tornati in scena con la line-up originale che comprende Jeff Jenkins (voce), James Tuttle (chitarra, tastiere), Eric Weyer (chitarra), Jon Tuttle (basso) e Matt Tuttle (batteria) e un album ispiratissimo che, con tutta probabilità, è il migliore della loro carriera. Go Let It In riprende il discorso dove lo avevamo lasciato con Dancing Echoes/Dead Sounds, ma si fa forte di un gruppo ormai maturo e sicuro dei propri mezzi, trascinandoci di nuovo in una dimensione insolita per il post hardcore e quasi facendo risplendere di luce rinnovata l'ultimo incompreso lavoro del 2004. A dominare in tutte le tracce sono i suoni sintetici delle tastiere che sovrastano le trame chitarristiche, nel creare un'atmosfera sognante ed elettrica, a cavallo tra latente space rock ed energica new wave. 

I brani contenuti in Go Let It In vibrano come provenienti da una nebulosa impalpabile di spazi sonori che collidono, talvolta con industrial rock appena accennato (Rough Seas, A Hush... Then a Riot), altre con tracce di prog rock (Suspect) o sfiorano l'anthem da stadium rock (Hold Tight), ma che comunque ricompattano puntualmente con il melodic hardcore. In questo contesto, nel quale si affastellano riverberi da synth rock, anche i brani più carichi di magnetismo elettronico come Laissez-Faire e Starboard si ammantano di un alone onirico senza esclusione di chorus memorabili. I Codeseven sono riusciti ancora una volta a dar vita ad un album senza tempo con il potere di posizionarsi su più confini stilistici, atterrando in una zona franca che non si rivela mai pienamente aderente ad un genere (ad esempio l'allusione al gothic rock nei loop robotici di basso in Fixated ed in quelli ipnotici da synthwave di Mazes and Monsters). Un ritorno di tutto rispetto degno della loro reputazione.

sabato 2 dicembre 2023

IONS - Counterintuitive (2023)


Nella moderna giungla musicale dove, a quanto pare, è stato già detto tutto a livello di contaminazioni, cosa si può inventare una band o un artista per attribuirsi almeno un barlume di sostanza e personalità? Senza la pretesa di conseguire nell'impossibile impresa di abbattere chissà quale frontiera di innovazione, credo che comunque gli IONS con il loro secondo album Counterintuitive abbiano provato a dare una risposta. La via maestra è lavorare quanto più possibile sul sound e cercare di sposare timbri e colori che solitamente non siamo avvezzi ad ascoltare dentro lo stesso contesto. Abbinamenti i quali, più che chiamare inconsueti, azzarderei a definire assortiti in maniera insolitamente avvincente.

Nel loro primo omonimo album gli IONS avevano già mostrato di apprezzare lo stratagemma del "wall of sound" vicino alle consuetudini debordanti di Devin Townsend. Su Counterintuitive cambiano però traiettoria, acquisendo una propria consapevolezza estetica nel forgiare un quadro sonoro pieno, compatto e dinamico. In breve, il quintetto ceco è un'emanazione dell'ultima onda prog metal che fa uso abbondante di poliritmie e riff djent accompagnati da sintetizzatori e tastiere, ma sfruttati per potenziare e arricchire il pathos dei paesaggi sonori e non dal lato virtuoso e tecnico come ci si aspetterebbe da un gruppo prog metal. E' proprio nelle sfumature timbriche che Counterintuitive prende vita e riesce ad elevarsi sopra altre band affini, contando naturalmente su una scrittura di grande impatto valorizzata da questi elementi.

La musica degli IONS è altamente complessa ma non inaccessibile dal punto di vista melodico. Per il connubio a cui si accennava prima si potrebbe tentare un'accostamento con le trame synth-djent dei VOLA, ma dove la band danese nel tempo si è avvicinata sempre di più a caratteri formali alt pop, gli IONS mantengono un legame adiacente e solido con la frangia sperimentale del prog. Se quindi da una parte abbiamo brani che possono catturare la nostra attenzione ad un primo ascolto, come A Terrible Mistake e The Same As You, dall'altra troviamo le trame elaborate di Out of Sight, Slpit Character e Birds of Reminiscence, che comunque non ne intaccano la scorrevolezza. 

Tornando al carattere sonoro dato all'album l'uso spaziale e quasi alieno che viene fatto dei synth attribuisce un'aura al confine tra post rock, electrorock, sfiorando quasi una versione metal della new age. Un contrasto in termini di esecuzione, dato che gli IONS puntano molto sull'energia e la veemenza nella resa finale della loro formula, ma è proprio qui che risiede il fascino di Counterintuitive, un lavoro di assoluto valore che mi ha subito conquistato e sicuramente da ritenere tra le gemme nascoste di quest'anno che volge al termine. 


domenica 26 novembre 2023

Press To Enter - From Mirror To Road (2023)


Quando si ascoltano esordi come From Mirror To Road dei Press To Enter si ringrazia che ancora il progressive metal abbia da offrire qualcosa di non scontato. Il trucco è non adagiarsi sui soliti cliché che rendono immobili le caratteristiche di un genere, ma rivolgersi per forza di cose ad altri orizzonti stilistici e incorporarli nel proprio sound. I Press to Enter sono un trio proveniente dalla Danimarca formato dalla cantante Julie Jules Wiingreen, Simon Laulund (chitarra) e Lucas Szczyrbak (basso, drum programming). La prerogativa della band è quella di imporsi con massicci riff di derivazione djent e diluirli in grandi dosi di melodia, quasi sotto forma di accessibilità pop, poi tastiere anni '80 e groove che talvolta sconfinano in inflessioni funk.

Il tutto viene realizzato con un livello tecnico strumentale molto alto e non solo dal punto di vista di basso e chitarra, ma un plauso se lo guadagna sicuramente anche il gran lavoro riversato nel drum programming, dato che nell'album non compare un vero batterista ma viene tutto delegato a ritmiche pre-impostate con gran perizia. Ovviamente, trattandosi di tracce che fanno largo uso di poliritmie, accelerazioni e decelerazioni, il compito Szczyrbak e Laulund deve aver occupato una buona parte di energie. La resa è incredibilmente fluida e accurata nell'insieme. Le tastiere spaziali che si aggiungono all'amalgama donano quel tocco sospeso tra fusion e vintage, contribuendo ad incrementare la personalità sonora del trio. Volendo fare paragoni e rimanendo in ambito scandinavo, si potrebbe tirare in ballo un ibrido con le competenze pop r&b dei Dirty Loops e quelle electro prog dei VOLA. Ma come non citare anche gli Arch Echo, visto che il chitarrista Adam Bentley ha mixato e masterizzato l'album, mentre il tastierista Joey Izzo fa una comparsa come ospite nell'assolo di Painkiller.

La morale alla fine è che i Press to Enter sono un altro tra i molti esempi contemporanei di come ormai i confini tra generi, meglio se distanti, si siano sgretolati e di come il termine prog sia una costante ed in prima linea quando si parla di accogliere le contaminazioni più lontane e stravaganti. Nel caso dei Press to Enter scomoderei la definizione di djent synthwave, poiché l'aspetto tecnico non soffoca la scorrevolezza accessibile che rende i brani piacevoli anche per coloro che non sono dei nerd progressive fissati con la complessità.

venerdì 29 settembre 2023

Steven Wilson - The Harmony Codex (2023)


E' incredibile come ogni nuova pubblicazione del "genio" Steven Wilson, da quando la sua fanbase si è compattata in un manipolo di fanatici, venga annunciata alla stregua di un secondo avvento di nostro signore Gesù Cristo, oltre a paventare nuovi e rivoluzionari orizzonti musicali finora mai raggiunti. Con il senno di poi, i due controversi capitoli della sua discografia To The Bone e The Future Bites, a parte il clamore iniziale, si sono incartati sotto il peso della loro stessa ambizione, mostrando una versione di pop e art rock fredda, scostante e inconcludente, ovvero tutto il contrario di ciò che il pop dovrebbe essere. Riguardo a questo argomento il fanatismo di cui sopra mi pare abbia guidato ad aggredire chiunque si sia azzardato a criticare la nuova direzione di Wilson, liquidandolo come un ascoltatore dalla visione ristretta, incapace di accettare cambiamenti poiché vorrebbe solo che il suo idolo si concentrasse sul prog rock. Personalmente in passato mi è capitato di criticare più volte Wilson, non perché ha il sacrosanto diritto di ampliare e cambiare genere, ma perché non reputo la sua scrittura altrettanto efficace in questi ambiti. L'immagine che ne viene fuori è quella di un personaggio che vorrebbe essere moderno e adatto alle masse, ma allo stesso tempo intellettuale, sperimentale e artisticamente più elevato. E in tale campo avviene il corto circuito.

Questi due aspetti non si conciliano bene nell'universo wilsoniano e forse deve averlo capito anche lui visto che, prima con il ritorno dei Porcupine Tree e ora con The Harmony Codex, cerca di ripercorrere i propri passi. Il fatto stesso che il suo ultimo sforzo discografico venga celebrato in modo quasi unanime come un netto passo avanti rispetto alle due opere precedenti la dice lunga sulla considerazione di cui godono attualmente. Come annunciato The Harmony Codex è un album piuttosto eterogeneo nella sua forma, forse non caotico come Insurgentes, ma l'ambizione di mostrare le proprie capacità nell'uso dell'elettronica e della versatilità timbrica è la medesima, solo amplificata all'ennesima potenza. Ormai sappiamo tutti che Wilson è diventato un mago dello studio di registrazione e The Harmony Codex sonicamente è il suo capolavoro. Tanto che, anche qui, commette il solito errore: se prima la sfrenata voglia di deviare in territori pop aveva offuscato la qualità delle composizioni, adesso la cura maniacale riservata all'architettura sonora ha preso il sopravvento rispetto all'impegno della scrittura. Raramente nella discografia di Wilson si sono ascoltate delle canzoni piatte e scialbe come Economies of Scale, Rock Bottom e What Life Brings, tutti e tre singoli nei quali, a livello di idee armoniche, succede poco o niente, la dinamica delle svolte viene ridotta all'osso e che di certo non hanno aiutato ad intensificare l'hype per l'uscita dell'album. L'unico elemento che riesce a dare un po' di spessore ai brani risiede nel gran lavoro che enfatizza l'attenzione sui dettagli sonori. E' per questo che con The Harmony Codex Wilson si certifica come gran "valorizzatore" piuttosto che come un autore di spessore. Comunque non si discute che anche in questo modo è lecito trasmettere emozioni, ma nell'insieme è come se ci regalasse un bellissimo pacchetto a livello estetico, il cui contenuto però non è all'altezza dell'involucro e delle aspettative.

Tra i pezzi più lunghi invece spiccano Inclination e Impossible Tightrope, dei veri e propri puzzle memorabili dove si intuisce che Wilson si sia divertito a dare sfogo alla propria frenesia prog, nei quali l'abbondanza di ardite sovrapposizioni di elettronica trascendentale alla David Sylvian, psichedelia cosmica alla Ozric Tentacles (oltre ai soliti Pink Floyd) e qualche sprazzo art rock jazz alla No-Man (non a caso su Impossible Tightrope ritroviamo il vecchio compagno di Wilson Ben Coleman al violino) fanno capolino in una tavolozza composita di interconnessioni timbriche. Gli altri due brani dilatati dell'album sono ben differenti. La title-track, ad esempio, non avrebbe sfigurato in un'opera dei Bass Communion, plasmata com'è in un'estesa e reiterata serie di arpeggi "synthetizzati" che prende i principi del minimalismo e li applica alla fredda estetica del krautrock (facendo comunque a meno dei proverbiali beat). Anche Staircase si basa su pulsazioni percussive e dei pattern di sintetizzatore che avvolgono tutto in un clima oppressivo e dark, mantenendo questa impostazione per più della metà della sua durata (9:27) e spegnendosi lentamente in una coda di accordi di piano incrociato a tastiere e synth. Nulla di trascendentale o indimenticabile, ma un pezzo mediamente interessante che non coinvolge molto a livello emotivo. Come del resto pure le rimanenti Time is Running OutBeautiful Scarecrow e Actual Brutal Facts che assomigliano più ad esperimenti sonori per audiofili che a canzoni.

Penso che la maggior parte degli ascoltatori (me compreso) possa solo immaginare come suoni l'album nella sua veste sonora "immersiva" nel modo in cui lo ha originalmente inteso Wilson. Sicuramente la resa sarà spettacolare per apprezzare ancora di più ogni sfumatura dinamica, anche se credo che alla fine, tirando le somme, la morale rimanga invariata: The Harmony Codex è un'opera dove la forma soverchia prepotentemente la sostanza. L'ultima riflessione (o meglio, domanda retorica) che mi ha fatto sorgere The Harmony Codex sul coniugare in modo efficace sperimentazione sonora prog e accessibilità pop è: se questo è genio, cosa è Falling Satellites dei Frost*?

 

mercoledì 20 settembre 2023

The Dear Hunter - Act I Live + Migrant Returned


Nel 2021 i The Dear Hunter suonarono due speciali live stream video in studio reperibili esclusivamente tramite il loro canale Pillar, dove eseguirono per intero gli album Act I: The Lake South, the River North e Act II: The Meaning of, and All Things Regarding Ms. Leading. Adesso la versione audio di Act I è stata pubblicata sia in versione digitale che in vinile, in futuro c'era anche il progetto di realizzare Act II ma al momento non si hanno notizie ufficiali. Oltre a questo, mentre il gruppo continua a lavorare a Sunya (il seguito di Antimai), il 6 ottobre verrà pubblicata in doppio vinile un'edizione speciale dell'album Migrant per celebrarne il decimo anniversario. 

Per l'occasione Casey Crescenzo è tornato in studio con il produttore Mike Watts, remixato le tracce in modo da dare loro un maggior istinto rock e rimodellato anche la scaletta dei brani, aggiungendo alla tracklist le sei bonus tracks che all'epoca erano state lasciate fuori e raccolte come b-sides nel mini box The Migration AnnexMigrant Returned invece che da Bring You Down come l'originale, è aperto da An Escape, pubblicato come singolo.

 

mercoledì 6 settembre 2023

Altprogcore September discoveries


Il gruppo della Florida flipturn si è formato nel 2015 come giovanissimo trio guidato da Dillon Basse (voce e chitarra), Madeline Jarman (basso) e Tristan Duncan (chitarra). Negli anni la formazione si è espansa a quintetto e, dopo tre EP ed una gavetta fatta di concerti che hanno affinato la loro arte dal vivo con spettacoli che hanno alimentato il passaparola, i flipturn sono arrivati lo scorso anno al primo album Shadowglow (del quale è da poco uscita una versione espansa). Il disco è un gioiello indie rock con atmosfere delicate ed energiche, con suoni stratificati quasi da dream pop che ricordano leggermente l'approccio sognante e solare degli Oh Malô. Molto consigliati.



Forse la più bella promessa di questo 2023, la band danese Press to Enter formata da Simon Laulund, Lucas Szczyrbak e Julie Jules Wiingreen, pubblicherà il primo album Form Mirror to Road il 24 novembre. Anticipato da due brani come Evolvage e Sky High Places, che sintetizzano uno spettacolare crossover tra math rock, synthwave, djent, pop, fusion e metal, il lavoro può sicuramente riservare piacevoli sorprese.



Per gli amanti del prog metal addizionato a molta melodia ed elementi elettroacustici potrà interessare l'uscita del terzo album in studio degli Advent Horizon A Cell to Call Home il 6 ottobre. Reduci dal precedente Stagehound, che risale addirittura al 2015, il gruppo promette di riprendere quel connubio in bilico tra Rush, Tiles e Porcupine Tree che aveva reso Stagehound una buona prova e rafforzarlo.



Interessante e divertente mix tra funk, metal e prog quello degli australiani Osaka Punch. L'ultima loro fatica Mixed Ape è forse il lavoro che riesce ad equilibrare al meglio l'incontro di queste influenze, con in più un atteggiamento scanzonato che ricorda quello dei conterranei Twelve Foot Ninja.



Altra band australiana, ma che suona un misto di shoegaze e dream pop, sono i Wayside, ovvero il duo Thomas Davenport e Josh Ehmer. Dopo l'esordio del 2021 Shine Onto Me, ben recensito dalla stampa australiana, i Wayside si apprestano a pubblicare il secondo album anticipato dai singoli Parallax Error e Asymmetry.



I Fistfight With Wolves sono un collettivo di otto musicisti di San Diego fronteggiato dalle cantanti Anastasya Korol e Latifah Smith e suonano un interessante incontro tra jazz canterburiano, zeuhl e RIO. Il breve album The Sheep That Eats The Wolf di recente pubblicazione è forse la loro miglior prova.



La cantante e chitarrista Pollyanna Holland-Wing della band inglese math pop FES fa il suo esordio come solista con l'EP OUCH!. Il singolo The Beach è sicuramente stuzzicante.

mercoledì 30 agosto 2023

Aviations - Luminaria (2023)


L'ultima fatica discografica degli Aviations risale al 2018 con The Light Years. Durante quell'occasione la band, fondata nel 2011 dal batterista James Knoerl e dal chitarrista Sam Harchik, riuscì a consolidare una line-up, fino ad allora volubile, tra membri vecchi e nuovi con Adam Benjamin (voce) e Richard Blumenthal (piano), Eric Palmer (chitarra) e Werner Erkelens (basso). Proprio per sviscerare e testare il potenziale di questa formazione finalmente stabilizzata, gli Aviations avevano re-immaginato alcuni pezzi di The Light Years con l'EP Retrospect (2020), preliminarmente alla composizione del materiale per Luminaria, terzo album in studio in uscita l'1 settembre. Forse grazie all'euforia di questo raggiunto equilibrio tra le parti ne è venuto fuori un lavoro temporalmente straripante, compositivamente vertiginoso, strumentalmente denso e soprattutto ardito. Un tour de force dove gli Aviations hanno voluto dispiegare ogni aspetto delle loro doti - tecniche e passionali, virtuose ed emotive. Un antagonistico gioco delle parti, bilanciato tra armonie dal potere avvolgente e architetture strumentali articolate, tutto dispiegato tramite una tracklist fatta di brani temporalmente dilatati.

Finora gli Aviations, nonostante un indubbio talento artistico, sono stati una band poco considerata nell'ambiente prog metal, preferendo dibattere e risaltare le doti sempre del solito cerchio di nomi noti (i.e. Haken, Leprous, Opeth, Riverside, Porcupine Tree). Spero quindi che con Luminaria le cose possano cambiare e che ne faccia emergere l'innegabile valore come band la quale, visto i risultati, mette all'angolo molti dei colleghi, anche ben più osannati. Il fatto è che, tra i pregi degli Aviations, c'è quello di evitare con cura di incappare nelle pastoie del riproporre certi schemi abusati con cui si è evoluto il prog metal, ultimamente sfruttando anche la tentazione di ammiccare al passato dei seventies. Tutto ciò che propone il sestetto di Boston in Luminaria è invece legato al presente e alla fusione di linguaggi non molto sfruttati nel prog metal, tipo prendere in prestito malizie tipiche del math rock e un grande senso per le melodie emotive.

Ad esempio i tappeti strumentali di Cradle e Safehouse sui quali si appoggia il cantato di Benjamin sono nell'essenza un grande sfoggio di progressioni fusion e math rock, con tocchi di soavi tastiere insinuate tra le sottotrame nella prima, per aggiungere un senso quasi spirituale, e con un groove e un ritmo tra funk e r&b nella seconda, per dare più slancio e allo stesso tempo diluire l'impostazione djent. Quest'ultimo aspetto viene messo maggiormente in rilievo su Legend, il brano più aggressivo dell'album, unito a delle melodrammatiche evoluzioni pianistiche che si muovono su parametri da classicismo. Un'altra peculiarità degli Aviations la si trova nella propensione di Blumenthal nell'usare e dare risalto al piano acustico attraverso arpeggi e accordi, lasciando il ruolo delle tastiere a puro abbellimento e riempitivo di un sound già ricco di suo.

Nell'intervista che ho avuto con il gruppo realizzata per Prog Italia (in edicola dal 20 settembre), Harchik ha raccontato che qualcuno per descrivere la musica degli Aviations aveva tirato in ballo il termine "nostalgia-core", il che non è del tutto fuori luogo se si pensa a brani dal forte impatto malinconico come la ballad inquieta Pure, ma quell'alone di emotività atmosferica è ben descritta e rappresentata anche in pezzi dalla direzione più energica. Il vortice di sensazioni causato dall'impatto delle dilatate e multiformi Coma e Blink è lo specchio delle capacità della band nell'architettare un fluido e imprevedibile scorrere di idee armoniche complesse, sontuose, epiche ed avvolgenti. La gamma di variazioni si dipana con nonchalance dalla fusion elettroacustica al metal post hardcore, dal sinfonismo prog all'intimismo ambient. Basterebbero questi due capolavori di scrittura per definire la caratura di Luminaria, ma gli Aviations hanno ancora frecce al loro arco e inseriscono in scaletta La Jolla e Pinenut, quasi due variazioni sul tema sugli umori che percorrono l'album.

La maggior parte dei brani di Luminaria ha una struttura costantemente mutevole, che raramente presenta sezioni ricorrenti, in questo modo è come se gli Aviations avessero voluto convogliare all'interno dell'album il maggior numero di spunti e idee possibile. Ecco perché Luminaria ha l'audacia di un lavoro caleidoscopico, pieno zeppo di ispirazione e virtuosismo, ma non inteso in senso dello sfoggio solista, a brillare in questo caso è la sinergia messa in atto da tutta la band nel realizzare uno sforzo dinamico ed esecutivo in perpetuo movimento, costellato da complesse svolte improvvise e  mutevoli flussi che lentamente scorrono da un segmento all'altro senza soluzione di continuità. Fatte queste considerazioni, Luminaria è una tra le opere prog più intense e rilevanti dell'anno, dove il grande impegno produttivo profuso dalla band si palesa in tutta la sua potenza.
 

venerdì 4 agosto 2023

You Win Again Gravity - Into the Dancing Blue (2023)


A volte la globalità del web, a livello promozionale, può assumere la funzione di un’arma a doppio taglio. Se da un lato ha la capacità di esporti potenzialmente ad un pubblico planetario, dall’altra può fare in modo che la tua proposta, per quanto valida, si possa perdere nell'infinito mare della Rete, in modo che alla fine a spuntarla sono i soliti nomi che si accavallano in un eccesso di esposizione mediatica. C'è sempre, per fortuna, l'altro lato della medaglia dettato dalla casualità che può farti conoscere una band della quale non avevi mai sentito parlare, anche se attiva da più di dieci anni. Sto parlando dei You Win Again Gravity, un quintetto originario di Windsor la cui formula, che si fonda nel sintetizzare progressive rock, post hardcore e math rock in un unico brillante involucro, mi ha subito conquistato. 

Come fan dei The Contortionist e Oceansize ho trovato nei You Win Again Gravity il giusto equilibrio tra complessità tecnica e melodie dal forte impatto emotivo, ingredienti che la band sa alternare in modo naturale con transizioni fluide che passano da inflessioni metal a progressioni armoniche fusion. Insomma, mi ha sorpreso che l’attitudine professionale e la qualità della proposta di Jack Jennings (voce, chitarra, tastiere), James MacKenzie (batteria), Johnny Bastable (chitarra), Andy Janson (chitarra) e Andy Mould (basso) non abbia ancora fatto circolare a dovere il loro nome, nonostante negli anni si siano esibiti dal vivo in modo costante, anche in festival inglesi prestigiosi come il Tech-Fest e il Radar accanto a nomi come Haken e Sleep Token

Dal punto di vista discografico è anche vero che i You Win Again Gravity, dopo l'ottimo esordio Anonymity datato 2017, si erano praticamente messi in ibernazione e usciti dal proprio letargo solo con cadenza annuale, pubblicando i singoli che sono andati a confluire attualmente nella seconda opera Into the Dancing Blue. In tutti questi anni il quintetto ha lavorato pazientemente e con molta meticolosità nel realizzare un album che arricchisse la loro tavolozza, dando spazio ad ogni sfumatura e stratificando i livelli sonori con tessiture elettriche, sospensioni ambient e aerei arpeggi di piano acustico, stratagemma che aggiunge un senso di freschezza all’abituale impianto prog hardcore. Degli esempi della spaziosità offerta da tale espediente sono le tracce Paper Bodies, Shadowboxing e Recursive, nelle quali vengono dispiegati insoliti ed inaspettati salti armonici che permettono a Jennings di sfruttare al meglio le sue capacità vocali e alle chitarre di applicare fantasiosi tapping di stampo math rock.     

L’affascinante apertura con Aurelian, contraddistinta dall’uso del vocoder per armonizzare la voce di Jennings, determina immediatamente un’atmosfera ultraterrena, plasmando un brano che si dipana per sezioni e che svela la sua architettura attraverso sezioni in crescendo. E' come un impasto di colori che si amalgama lentamente, poi il disco prende slancio con la prorompente Curious Fake attraverso spericolati contrappunti chitarra/basso e un chorus immediatamente assimilabile. La seguente Paper Bodies ha più l'aspetto di una ballad nel suo delicato andamento pianistico ma tale aspetto, unito ad un ritornello che si anima con chitarre elettriche, lo trasforma in un momento solenne e melodrammatico. Una peculiarità della band è che, anche nei pezzi maggiormente melodici, non rinuncia a vocalità ruvide o scream tipici del post hardcore, ma sempre bilanciate da polifonie in sottofondo. Questa scelta contrastante, per paradosso, dona ancora più vigore e appagamento all'armonia generale.

I You Win Again Gravity non escludono una scrittura con strutture formali classiche, come testimoniato dai singoli Suppression o Lights To Leave Behind, però cercando sempre una sfida per inserire brevi ma articolati contrappunti musicali tra strumenti e deviazioni avventurose. L’alternanza strofa/ritornello viene sfruttata altre volte per testare la differenza sonica tra veemenza metal e sfumature fusion, come su Shadowboxing  e Character Arc, impresse da una strumentazione più diversificata rispetto al passato con l'utilizzo della chitarra baritono. Diciamo che la varietà sonica e timbrica è un po' la grande conquista dell'album, frutto di un maturo lavoro di ricerca e arrangiamento da parte del quintetto. Un approccio che ha portato notevoli risultati in fatto di cura nei dettagli, dato che ogni strumento risalta nella sua individualità, non c'è nulla che venga lasciato sullo sfondo, in modo da permettere all'ascoltatore di cogliere ogni tonalità dinamica. 

Into the Dancing Blue si chiude con il trittico Every Scar a Brush Stroke, The Dancing Blue e Cerulean le quali, sebbene divise tra loro, sembrano formare un coerente ed articolato flusso da epica suite dove la band esplora e spinge i molteplici aspetti del suo stile in modo molto più ambizioso rispetto alla title-track che chiudeva Anonymity. A margine di quanto scritto mi permetto una riflessione finale: il pubblico della musica si lamenta spesso - soprattutto nei momenti in cui si deve tirare le somme annuali delle migliori uscite - di mancanza di una reale varietà di proposte, che le novità non ci sono e che gli artisti di cui si parla sono sempre gli stessi. L'esperienza nella gestione di questo blog mi ha insegnato che, anche se si sventola loro di fronte qualcosa di nuovo, non c'è un reale interesse ad approfondire. E sì, sto parlando anche della sfera prog, dove la gente vuole solo condividere nomi consolidati come Haken, Leprous, Opeth, Porcupine Tree, ecc. Se si devia da questo percorso è veramente dura convincere qualcuno che esistono proposte valide anche al di là della solita cerchia. Gruppi come i You Win Again Gravity sono l'esempio e la prova di una qualità che viene lasciata ingiustamente nelle retrovie per troppo tempo. Detto ciò, sarebbe il momento di dare a questi ragazzi l'attenzione che si sono stra-meritati... io la mia parte l'ho fatta e ve li ho presentati, ora sta a voi non ignorarli.