Messi in pausa i Thumpermonkey ormai da un po' di tempo, il chitarrista e frontman del gruppo Michael Woodman si è dedicato ad un quieta ma ispirata carriera solista, prima con l'EP Psithurism (2021) e ora con il suo vero e proprio primo album di debutto Hiss of Today. Con questo lavoro sembra quasi che Woodman si sia prefissato uno scopo artistico con i mezzi a disposizione, puntando su una solita minuziosa ricerca timbrica della chitarra attraverso intrecci arpeggiati, riverberi cosmici e lontani vortici sintetici.
martedì 22 aprile 2025
Michael Woodman - Hiss of Today (2025)
Messi in pausa i Thumpermonkey ormai da un po' di tempo, il chitarrista e frontman del gruppo Michael Woodman si è dedicato ad un quieta ma ispirata carriera solista, prima con l'EP Psithurism (2021) e ora con il suo vero e proprio primo album di debutto Hiss of Today. Con questo lavoro sembra quasi che Woodman si sia prefissato uno scopo artistico con i mezzi a disposizione, puntando su una solita minuziosa ricerca timbrica della chitarra attraverso intrecci arpeggiati, riverberi cosmici e lontani vortici sintetici.
domenica 6 aprile 2025
Introducing Touchdown Jesus
Qualche volta è meglio rimarcare in grassetto una band che potrebbe essere passata inosservata. Nella lista dei migliori EP del 2024 avevo incluso e segnalato l'esordio dei Touchdown Jesus You Must Not Know Who You Are To Them. Adesso, a distanza di circa un anno, il quartetto dell'Ohio ha pubblicato il secondo EP It’s All Feast Or Famine e penso valga la pena soffermarsi su di loro un po' di più. Anche se sono americani è stata attaccata ai Touchdown Jesus un'etichetta che li paragona all'ultima onda punk prog inglese che comprende Black Country, New Road, Squid e black midi. Grossolanamente e ad una prima impressione, i riferimenti potrebbero andare anche bene ma, tra tanti vari esempi emersi ultimamente come influenzati dalle band citate, i Touchdown Jesus sono abbastanza intelligenti nella loro direzione da sganciarsi audacemente nel somigliare agli originali in modo troppo accentuato o comunque poco ispirato.
Le loro spruzzate di jazz e punk hanno il sapore più del potere iconoclasta di Cardiacs e The Tubes che non della compostezza naif di Black Country, New Road o della algida e idiosincratica decostruzione melodica degli Squid. Ad ogni modo, i due EP dei Touchdown Jesus rendono un'idea abbastanza precisa dell'eclettismo della loro proposta, dosando in modo equilibrato avant prog e post punk, sfruttando la perizia tecnica del primo e ricorrendo alla ruvidezza caotica del secondo. In quest'ultimo lavoro appena uscito i Touchdown Jesus danno un'ulteriore sterzata in termini di complessità e accorgimenti tematici, elaborati insistendo su parametri math rock e ancora più prog dei gruppi presi come paragone.
domenica 1 dicembre 2024
Martin Grech - Phantasmagoria EP e altre novità
Dopo aver consegnato alla storia un capolavoro come Hush Mortal Core nel 2020, qualcosa si sta lentamente smuovendo nel mondo di Martin Grech. L'artista ha i suoi tempi, oltretutto nel lungo periodo di silenzio che ha seguito March of the Lonely (2007), è diventato molto severo e selettivo nei confronti della propria produzione, scartando e archiviando idee per interi album (prima di Hush Mortal Core ne sono stati abortiti addirittura due).
sabato 9 novembre 2024
Il massimalismo math rock e folk barocco di Pete Davis
Dato che tra queste pagine non ne ho mai parlato e anche in generale sul web viene troppo poco citato, vorrei porre l'attenzione su un musicista poliedrico come Pete Davis, il cui corpus artistico merita di essere scoperto. Inizialmente conoscevo Davis solo per il suo progetto math rock Invalids, ma in seguito ho scoperto che questo era solo una parte di una più composita discografia con varie sfaccettature. Davis nei primi anni 2000 si sposta tra New Jersey e Oregon collezionando un gran numero di demo che poi re-inciderà più professionalmente nell'intimità della propria casa. Tra le prime cose a cui Davis dedica attenzione ci sono dei brani post hardcore/prog punk che vanno a finire nel 2011 nell'unico omonimo album dei Surface Area, registrato con il batterista Jon Lervold e poi una più ampia collezione di canzoni dal carattere folk, un lato che il polistrumentista sviscererà in modo del tutto personale partendo dal primo album a suo nome Passing It Off as Art del 2003. Su questa costola solista Davis si destreggia in esperimenti bizzarri come Hapax Legomena (2023), nel quale la scommessa è comporre solo canzoni della durata di un minuto, oppure con stratificazioni a cappella e di molteplici strumenti che concorrono ad aumentare le proprie abilità di home recording come una sorta di virtuosismo aggiunto.
L'EP False Friends e la sua traccia di apertura Everyone Felt Each Other Felt Fine può servire da buona introduzione per comprendere come Davis giunga ad una visione finale armonica che ha sviluppato in completa solitudine. Questo folk barocco che ricopre un raggio dal minimale all'orchestrale raggiunge lo zenit nell'album The Pottsville Conglomerate (2011), un'opera mastodontica da quasi 100 minuti nella quale il musicista si occupa di tutti gli strumenti, particolare da non sottovalutare visto che si parla di brani che si allargano fino a 8-9 minuti con piglio orchestrale e multitematico. Per l'ambizione messa in campo basti dire che siamo dalle parti di Sufjan Stevens, The Dear Hunter e Adjy, ovvero quel territorio poco battuto in cui il folk tradizionale amricano incontra l'emo, il bedroom pop e il prog.
Negli Invalids invece Davis mette sul tavolo un math rock ipertrofico e frenetico, imbevuto di tapping e ritmiche indiavolate, come una versione sotto steroidi dei TTNG. Finora con gli Invalids Davis ha prodotto tre album, l'ultimo dei quali Permanence del 2022 è come una summa dei suoi vari progetti: un incontro massimalista di math rock, armonie vocali a quattro parti e una complessa rete ritmica che vanno a completare una collezione di tracce estremamente satura di sovraincisioni la cui intricata architettura le rende affascinanti e disorientanti. L'impatto è alquanto singolare, ma questo album degli Invalids riunisce una serie di qualità da farsi apprezzare nell'uso della polifonia stordente ad ampio raggio utilizzata sia a livello strumentale che vocale.
venerdì 13 settembre 2024
Sans Froid - Hello, Boil Brain (2024)
sabato 3 agosto 2024
Introducing Winter Wayfarer
Winter Wayfarer è un progetto nato dalla volontà del polistrumentista Collin Hop e che ormai esiste almeno dal 2017, nel momento in cui è uscito il primo album Keep Close. In quel periodo Hop è l'unico referente della band e si fa aiutare da qualche amico per la strumentazione aggiuntiva, ma con il passare del tempo i Winter Wayfarer hanno assunto un profilo da gruppo vero e proprio.
Nel presentare stile e musica Hop fa esplicito riferimento al progressive rock e, a corredo del primo album, spiega: "Keep Close è il primo album completo dei Winter Wayfarer ed è l'inizio di una serie di concept album. Questo capitolo della storia si concentra sui primi anni di vita della protagonista, sul suo desiderio di comprendere il mondo che la circonda e sulle difficoltà intrinseche dei suoi genitori."
Se il concept vi suona familiare vuol dire che siete dei fan dei The Dear Hunter e in effetti anche la musica stessa dei Winter Wayfarer richiama le atmosfere degli Act di Casey Crescenzo, ma messe su un piano ancora più malinconico, in un misto da ballad per piano e chamber rock. Quanto detto è comunque valido per Keep Close, il quale rimane per ora il primo capitolo della saga, ma Hop e compagni tra il 2022 e il presente hanno pubblicato tre singoli che preannunciano un considerevole progresso indirizzato verso un eventuale secondo album. L'ultimo di questi in particolare "Marshal, You Have No Friends" si pone a metà strada tra il prog americano dei The Dear Hunter e le dinamiche del math rock orchestrale. Si prefigurano qui delle influenze più ampie altre a folk, ma anche un lontano sentore di post hardcore, jazz e classica.
venerdì 28 giugno 2024
Bilmuri - AMERICAN MOTOR SPORTS (2024)
I Bilmuri ricadono in quella categoria di ibridazione estrema di generi che con gli Sleep Token l'anno scorso si è presa tanti insulti quante approvazioni. Non a caso i Bilmuri sono stati scelti come supporter degli Sleep Token per il loro prossimo tour europeo, ma il paragone tra le due band va comunque contestualizzato dato che il gruppo di Johnny Franck, oltre a non prendersi troppo sul serio, lavora su un piano estetico e musicale che si distacca considerevolmente da quello di Vessel e compagni. Qui un meme che spiega meglio di tante parole.
sabato 18 maggio 2024
Ugly - Twice Around The Sun (2024)
Qualche volta il tempo che passa senza darti la possibilità di esprimerti nel momento che vorresti può essere non un nemico ma un saggio alleato. E' stato così per gli Ugly, nati nel 2016 e che arrivano solo ora all'esordio con Twice Around The Sun, nominativamente un EP, ma che con i suoi 36 minuti e il ricco contenuto non sarebbe sbagliato considerare un vero e proprio album. Provenienti da Cambridge, gli Ugly appartengono all'ultima scena indie inglese a cui piace prendersi delle libertà verso spazi più ampi - tra cui non manca il progressive - che tra i nomi più noti comprende HMLTD, black midi, Squid e per finire Black Country, New Road con i quali gli Ugly hanno condiviso concerti e, fino al 2020, pure il batterista Charlie Wayne.
lunedì 8 aprile 2024
Annex Void - Will I Dream (2024)
Il quintetto di Detroit di recente formazione (2021) Annex Void, esordisce con l'EP Will I Dream nel quale esplora i confini stilistici del progressive metal. Utilizzando elementi atmosferici ambient, progressioni jazz eteree mutuate da Allan Holdsworth, complesse strutture ritmiche tipiche del djent primordiale dei Meshuggah e l'elettricità nebulosa dello shoegaze dei Loathe, gli Annex Void realizzano un biglietto da visita impressionante, quasi da rimpiangere che non sia un album intero per quanto sia valido il contenuto.
sabato 6 aprile 2024
Amskray - Die Happy (2024)
Come sempre, se uno vuole ascoltare un tipo di prog fresco, innovativo e che abbia un sapore contemporaneo, deve rivolgersi necessariamente agli Stati Uniti. E' ormai da qui che arrivano le band che hanno davvero qualcosa da dire nell'ambito di questo genere. Gli Amskray, dal New Jersey, sono l'ennesima prova che se si vuole veramente cercare un nuovo orizzonte e nuovi sbocchi per il prog è bene mettersi il cuore in pace e accantonare in modo definitivo le influenze degli anni '70.
sabato 2 marzo 2024
Professor Caffeine & the Insecurities - Professor Caffeine & the Insecurities (2024)
In una selva di sottogeneri prog dove molto spesso gli schemi e le formule si ripetono, è sempre più raro trovare una band con le caratteristiche dei Professor Caffeine & the Insecurities, che almeno tenta di percorrere strade alternative facendo della trasversalità il proprio manifesto programmatico. Loro sono un quintetto di "nerdastri" di Boston che si diletta nel proporre un mix di prog, math rock, fusion, midwest emo e solo raramente qualche incursione su toni più accesi che definire metal sarebbe un azzardo. Per fare paragoni, dal punto di vista strumentale propongono una soluzione molto simile alla virtuosa fusione di stili dei Monobody. Se invece si aggiunge l'insieme cangiante della melodiosità del cantato (a cura del bassista Dan Smith) e la natura imprevedibile delle progressioni armoniche, si ha l'impressione di una versione più leggera di Thank You Scientist e Coheed and Cambria.
venerdì 16 febbraio 2024
Introducing Blue Eyed Giants
Nel sottobosco della scena alternative rock inglese continuano a celarsi band di lodevole caratura che purtroppo molto spesso rimangono sepolte tra tante altre proposte, rischiando di rimanere in una ristrettissima nicchia. Il quartetto di Brighton Blue Eyed Giants appartiene a queste e, pur essendo attivo da diversi anni, finora ha collezionato solo alcuni singoli durante la propria carriera. Gli ultimi cinque in ordine di tempo sono stati raccolti nel recente EP Murmurations e rappresentano come i Blue Eyed Giants abbiano mantenuto uno stile solido che incorpora il gusto per le solenni melodie alternate a possenti riff e ritmiche che sanno anche essere articolati. Quindi il mio consiglio, se il gruppo sarà di vostro gusto, è quello di non fermarsi a Murmurations, ma di proseguire a ritroso per scoprire altri brani meritevoli come No Brainer, Bittersweet o Restless.
Per fare una breve fotografia di cosa aspettarsi dalla musica ad alto tasso di energia dei Blue Eyed Giants si può ricondurre il loro stile a quella bolla di rock alternativo più evoluto, al confine tra metal, post hardcore e prog, al cui interno si trovano nomi come Biffy Clyro, The Intersphere, Arcane Roots, Black Peaks, Quiet Lions, Dead Ground ed in mezzo ai quali il gruppo di Brighton va ad inserirsi senza problemi.
venerdì 8 dicembre 2023
Codeseven - Go Let It In (2023)
I Codeseven hanno rappresentato una delle realtà più anomale del post hardcore degli anni Zero. Praticamente cambiando direzione ad ogni album sono riusciti nell'intento di esplorare la parte più melodica e psichedelica del genere. Rimanendo dentro un limbo elusivo con un progresso stilistico spiazzante ed in continuo sviluppo, di volta in volta i Codeseven sono stati accostati ai compagni di avventura Hopesfall ed in seguito, con il secondo album The Rescue (2002), alla singolarità trasversale e fuori dagli schemi dei Dredg. La band, nonostante il suo riconosciuto apporto all'espansione espressiva del post hardcore, non è riuscita comunque a raggiungere la notorietà di culto dei due gruppi appena citati, a causa di un prematuro capolinea ed un ultimo album, Dancing Echoes/Dead Sounds (2004), che lasciava un senso di irrisolto per la sua natura indecisa nell'equilibrare la trasversalità di fusione tra art rock e hardcore melodico.Dopo una pausa di quasi 20 anni, senza alcun preavviso e in una successione di eventi simile a quella degli Hopesfall, i Codeseven sono tornati in scena con la line-up originale che comprende Jeff Jenkins (voce), James Tuttle (chitarra, tastiere), Eric Weyer (chitarra), Jon Tuttle (basso) e Matt Tuttle (batteria) e un album ispiratissimo che, con tutta probabilità, è il migliore della loro carriera. Go Let It In riprende il discorso dove lo avevamo lasciato con Dancing Echoes/Dead Sounds, ma si fa forte di un gruppo ormai maturo e sicuro dei propri mezzi, trascinandoci di nuovo in una dimensione insolita per il post hardcore e quasi facendo risplendere di luce rinnovata l'ultimo incompreso lavoro del 2004. A dominare in tutte le tracce sono i suoni sintetici delle tastiere che sovrastano le trame chitarristiche, nel creare un'atmosfera sognante ed elettrica, a cavallo tra latente space rock ed energica new wave.
sabato 2 dicembre 2023
IONS - Counterintuitive (2023)
Nella moderna giungla musicale dove, a quanto pare, è stato già detto tutto a livello di contaminazioni, cosa si può inventare una band o un artista per attribuirsi almeno un barlume di sostanza e personalità? Senza la pretesa di conseguire nell'impossibile impresa di abbattere chissà quale frontiera di innovazione, credo che comunque gli IONS con il loro secondo album Counterintuitive abbiano provato a dare una risposta. La via maestra è lavorare quanto più possibile sul sound e cercare di sposare timbri e colori che solitamente non siamo avvezzi ad ascoltare dentro lo stesso contesto. Abbinamenti i quali, più che chiamare inconsueti, azzarderei a definire assortiti in maniera insolitamente avvincente.
Nel loro primo omonimo album gli IONS avevano già mostrato di apprezzare lo stratagemma del "wall of sound" vicino alle consuetudini debordanti di Devin Townsend. Su Counterintuitive cambiano però traiettoria, acquisendo una propria consapevolezza estetica nel forgiare un quadro sonoro pieno, compatto e dinamico. In breve, il quintetto ceco è un'emanazione dell'ultima onda prog metal che fa uso abbondante di poliritmie e riff djent accompagnati da sintetizzatori e tastiere, ma sfruttati per potenziare e arricchire il pathos dei paesaggi sonori e non dal lato virtuoso e tecnico come ci si aspetterebbe da un gruppo prog metal. E' proprio nelle sfumature timbriche che Counterintuitive prende vita e riesce ad elevarsi sopra altre band affini, contando naturalmente su una scrittura di grande impatto valorizzata da questi elementi.
La musica degli IONS è altamente complessa ma non inaccessibile dal punto di vista melodico. Per il connubio a cui si accennava prima si potrebbe tentare un'accostamento con le trame synth-djent dei VOLA, ma dove la band danese nel tempo si è avvicinata sempre di più a caratteri formali alt pop, gli IONS mantengono un legame adiacente e solido con la frangia sperimentale del prog. Se quindi da una parte abbiamo brani che possono catturare la nostra attenzione ad un primo ascolto, come A Terrible Mistake e The Same As You, dall'altra troviamo le trame elaborate di Out of Sight, Slpit Character e Birds of Reminiscence, che comunque non ne intaccano la scorrevolezza.
Tornando al carattere sonoro dato all'album l'uso spaziale e quasi alieno che viene fatto dei synth attribuisce un'aura al confine tra post rock, electrorock, sfiorando quasi una versione metal della new age. Un contrasto in termini di esecuzione, dato che gli IONS puntano molto sull'energia e la veemenza nella resa finale della loro formula, ma è proprio qui che risiede il fascino di Counterintuitive, un lavoro di assoluto valore che mi ha subito conquistato e sicuramente da ritenere tra le gemme nascoste di quest'anno che volge al termine.
domenica 26 novembre 2023
Press To Enter - From Mirror To Road (2023)
Quando si ascoltano esordi come From Mirror To Road dei Press To Enter si ringrazia che ancora il progressive metal abbia da offrire qualcosa di non scontato. Il trucco è non adagiarsi sui soliti cliché che rendono immobili le caratteristiche di un genere, ma rivolgersi per forza di cose ad altri orizzonti stilistici e incorporarli nel proprio sound. I Press to Enter sono un trio proveniente dalla Danimarca formato dalla cantante Julie Jules Wiingreen, Simon Laulund (chitarra) e Lucas Szczyrbak (basso, drum programming). La prerogativa della band è quella di imporsi con massicci riff di derivazione djent e diluirli in grandi dosi di melodia, quasi sotto forma di accessibilità pop, poi tastiere anni '80 e groove che talvolta sconfinano in inflessioni funk.
Il tutto viene realizzato con un livello tecnico strumentale molto alto e non solo dal punto di vista di basso e chitarra, ma un plauso se lo guadagna sicuramente anche il gran lavoro riversato nel drum programming, dato che nell'album non compare un vero batterista ma viene tutto delegato a ritmiche pre-impostate con gran perizia. Ovviamente, trattandosi di tracce che fanno largo uso di poliritmie, accelerazioni e decelerazioni, il compito Szczyrbak e Laulund deve aver occupato una buona parte di energie. La resa è incredibilmente fluida e accurata nell'insieme. Le tastiere spaziali che si aggiungono all'amalgama donano quel tocco sospeso tra fusion e vintage, contribuendo ad incrementare la personalità sonora del trio. Volendo fare paragoni e rimanendo in ambito scandinavo, si potrebbe tirare in ballo un ibrido con le competenze pop r&b dei Dirty Loops e quelle electro prog dei VOLA. Ma come non citare anche gli Arch Echo, visto che il chitarrista Adam Bentley ha mixato e masterizzato l'album, mentre il tastierista Joey Izzo fa una comparsa come ospite nell'assolo di Painkiller.
La morale alla fine è che i Press to Enter sono un altro tra i molti esempi contemporanei di come ormai i confini tra generi, meglio se distanti, si siano sgretolati e di come il termine prog sia una costante ed in prima linea quando si parla di accogliere le contaminazioni più lontane e stravaganti. Nel caso dei Press to Enter scomoderei la definizione di djent synthwave, poiché l'aspetto tecnico non soffoca la scorrevolezza accessibile che rende i brani piacevoli anche per coloro che non sono dei nerd progressive fissati con la complessità.
venerdì 29 settembre 2023
Steven Wilson - The Harmony Codex (2023)
E' incredibile come ogni nuova pubblicazione del "genio" Steven Wilson, da quando la sua fanbase si è compattata in un manipolo di fanatici, venga annunciata alla stregua di un secondo avvento di nostro signore Gesù Cristo, oltre a paventare nuovi e rivoluzionari orizzonti musicali finora mai raggiunti. Con il senno di poi, i due controversi capitoli della sua discografia To The Bone e The Future Bites, a parte il clamore iniziale, si sono incartati sotto il peso della loro stessa ambizione, mostrando una versione di pop e art rock fredda, scostante e inconcludente, ovvero tutto il contrario di ciò che il pop dovrebbe essere. Riguardo a questo argomento il fanatismo di cui sopra mi pare abbia guidato ad aggredire chiunque si sia azzardato a criticare la nuova direzione di Wilson, liquidandolo come un ascoltatore dalla visione ristretta, incapace di accettare cambiamenti poiché vorrebbe solo che il suo idolo si concentrasse sul prog rock. Personalmente in passato mi è capitato di criticare più volte Wilson, non perché ha il sacrosanto diritto di ampliare e cambiare genere, ma perché non reputo la sua scrittura altrettanto efficace in questi ambiti. L'immagine che ne viene fuori è quella di un personaggio che vorrebbe essere moderno e adatto alle masse, ma allo stesso tempo intellettuale, sperimentale e artisticamente più elevato. E in tale campo avviene il corto circuito.
Questi due aspetti non si conciliano bene nell'universo wilsoniano e forse deve averlo capito anche lui visto che, prima con il ritorno dei Porcupine Tree e ora con The Harmony Codex, cerca di ripercorrere i propri passi. Il fatto stesso che il suo ultimo sforzo discografico venga celebrato in modo quasi unanime come un netto passo avanti rispetto alle due opere precedenti la dice lunga sulla considerazione di cui godono attualmente. Come annunciato The Harmony Codex è un album piuttosto eterogeneo nella sua forma, forse non caotico come Insurgentes, ma l'ambizione di mostrare le proprie capacità nell'uso dell'elettronica e della versatilità timbrica è la medesima, solo amplificata all'ennesima potenza. Ormai sappiamo tutti che Wilson è diventato un mago dello studio di registrazione e The Harmony Codex sonicamente è il suo capolavoro. Tanto che, anche qui, commette il solito errore: se prima la sfrenata voglia di deviare in territori pop aveva offuscato la qualità delle composizioni, adesso la cura maniacale riservata all'architettura sonora ha preso il sopravvento rispetto all'impegno della scrittura. Raramente nella discografia di Wilson si sono ascoltate delle canzoni piatte e scialbe come Economies of Scale, Rock Bottom e What Life Brings, tutti e tre singoli nei quali, a livello di idee armoniche, succede poco o niente, la dinamica delle svolte viene ridotta all'osso e che di certo non hanno aiutato ad intensificare l'hype per l'uscita dell'album. L'unico elemento che riesce a dare un po' di spessore ai brani risiede nel gran lavoro che enfatizza l'attenzione sui dettagli sonori. E' per questo che con The Harmony Codex Wilson si certifica come gran "valorizzatore" piuttosto che come un autore di spessore. Comunque non si discute che anche in questo modo è lecito trasmettere emozioni, ma nell'insieme è come se ci regalasse un bellissimo pacchetto a livello estetico, il cui contenuto però non è all'altezza dell'involucro e delle aspettative.
Tra i pezzi più lunghi invece spiccano Inclination e Impossible Tightrope, dei veri e propri puzzle memorabili dove si intuisce che Wilson si sia divertito a dare sfogo alla propria frenesia prog, nei quali l'abbondanza di ardite sovrapposizioni di elettronica trascendentale alla David Sylvian, psichedelia cosmica alla Ozric Tentacles (oltre ai soliti Pink Floyd) e qualche sprazzo art rock jazz alla No-Man (non a caso su Impossible Tightrope ritroviamo il vecchio compagno di Wilson Ben Coleman al violino) fanno capolino in una tavolozza composita di interconnessioni timbriche. Gli altri due brani dilatati dell'album sono ben differenti. La title-track, ad esempio, non avrebbe sfigurato in un'opera dei Bass Communion, plasmata com'è in un'estesa e reiterata serie di arpeggi "synthetizzati" che prende i principi del minimalismo e li applica alla fredda estetica del krautrock (facendo comunque a meno dei proverbiali beat). Anche Staircase si basa su pulsazioni percussive e dei pattern di sintetizzatore che avvolgono tutto in un clima oppressivo e dark, mantenendo questa impostazione per più della metà della sua durata (9:27) e spegnendosi lentamente in una coda di accordi di piano incrociato a tastiere e synth. Nulla di trascendentale o indimenticabile, ma un pezzo mediamente interessante che non coinvolge molto a livello emotivo. Come del resto pure le rimanenti Time is Running Out, Beautiful Scarecrow e Actual Brutal Facts che assomigliano più ad esperimenti sonori per audiofili che a canzoni.
Penso che la maggior parte degli ascoltatori (me compreso) possa solo immaginare come suoni l'album nella sua veste sonora "immersiva" nel modo in cui lo ha originalmente inteso Wilson. Sicuramente la resa sarà spettacolare per apprezzare ancora di più ogni sfumatura dinamica, anche se credo che alla fine, tirando le somme, la morale rimanga invariata: The Harmony Codex è un'opera dove la forma soverchia prepotentemente la sostanza. L'ultima riflessione (o meglio, domanda retorica) che mi ha fatto sorgere The Harmony Codex sul coniugare in modo efficace sperimentazione sonora prog e accessibilità pop è: se questo è genio, cosa è Falling Satellites dei Frost*?
mercoledì 20 settembre 2023
The Dear Hunter - Act I Live + Migrant Returned
Nel 2021 i The Dear Hunter suonarono due speciali live stream video in studio reperibili esclusivamente tramite il loro canale Pillar, dove eseguirono per intero gli album Act I: The Lake South, the River North e Act II: The Meaning of, and All Things Regarding Ms. Leading. Adesso la versione audio di Act I è stata pubblicata sia in versione digitale che in vinile, in futuro c'era anche il progetto di realizzare Act II ma al momento non si hanno notizie ufficiali. Oltre a questo, mentre il gruppo continua a lavorare a Sunya (il seguito di Antimai), il 6 ottobre verrà pubblicata in doppio vinile un'edizione speciale dell'album Migrant per celebrarne il decimo anniversario.
mercoledì 6 settembre 2023
Altprogcore September discoveries
mercoledì 30 agosto 2023
Aviations - Luminaria (2023)
L'ultima fatica discografica degli Aviations risale al 2018 con The Light Years. Durante quell'occasione la band, fondata nel 2011 dal batterista James Knoerl e dal chitarrista Sam Harchik, riuscì a consolidare una line-up, fino ad allora volubile, tra membri vecchi e nuovi con Adam Benjamin (voce) e Richard Blumenthal (piano), Eric Palmer (chitarra) e Werner Erkelens (basso). Proprio per sviscerare e testare il potenziale di questa formazione finalmente stabilizzata, gli Aviations avevano re-immaginato alcuni pezzi di The Light Years con l'EP Retrospect (2020), preliminarmente alla composizione del materiale per Luminaria, terzo album in studio in uscita l'1 settembre. Forse grazie all'euforia di questo raggiunto equilibrio tra le parti ne è venuto fuori un lavoro temporalmente straripante, compositivamente vertiginoso, strumentalmente denso e soprattutto ardito. Un tour de force dove gli Aviations hanno voluto dispiegare ogni aspetto delle loro doti - tecniche e passionali, virtuose ed emotive. Un antagonistico gioco delle parti, bilanciato tra armonie dal potere avvolgente e architetture strumentali articolate, tutto dispiegato tramite una tracklist fatta di brani temporalmente dilatati.
venerdì 4 agosto 2023
You Win Again Gravity - Into the Dancing Blue (2023)
A volte la globalità del web, a livello promozionale, può assumere la funzione di un’arma a doppio taglio. Se da un lato ha la capacità di esporti potenzialmente ad un pubblico planetario, dall’altra può fare in modo che la tua proposta, per quanto valida, si possa perdere nell'infinito mare della Rete, in modo che alla fine a spuntarla sono i soliti nomi che si accavallano in un eccesso di esposizione mediatica. C'è sempre, per fortuna, l'altro lato della medaglia dettato dalla casualità che può farti conoscere una band della quale non avevi mai sentito parlare, anche se attiva da più di dieci anni. Sto parlando dei You Win Again Gravity, un quintetto originario di Windsor la cui formula, che si fonda nel sintetizzare progressive rock, post hardcore e math rock in un unico brillante involucro, mi ha subito conquistato.