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giovedì 28 gennaio 2021

MEER - Playing House (2021)

Dopo l'esordio da indipendenti avvenuto cinque anni fa, i norvegesi MEER presentano il secondo album entrando nella scuderia della Karisma Records, un'etichetta ormai divenuta un punto di riferimento per il progressive rock proveniente dalla Scandinavia. I MEER però si presentano come una band singolare che non rientra prettamente nei parametri del prog sinfonico, né tantomeno nella sua veste più massicciamente metal. 

I MEER sono un ensemble di otto elementi che raffina e modella la materia art pop fino a farla divenire una sofisticata visione orchestrale e progressiva. Anche per come è organizzata la formazione dei MEER è ovvio che il gruppo punta su una prospettiva di musica d'insieme da camera e polifonica, senza rinunciare allo slancio propulsivo del rock. Accanto al classico nucleo formato dalla chitarra di Eivind Strømstad, al basso di Morten Strypet e alla batteria di Mats Lillehau, troviamo le due voci (femminile e maschile) di Johanne Kippersund e Knut Kippersund che si dividono equamente le parti ed infine quella che potremmo ricondurre alla sezione di impianto classico con Åsa Ree al violino, Ingvild Nordstoga Eide alla viola e Ole Gjøstøl al piano.

In questo secondo album i MEER dispiegano la loro competenza nel coniugare art pop e prog orchestrale. In pratica è ciò che si prefigge il brano di apertura Picking Up the Pieces, la cui linea di partenza si fonda su melodie ben inserite nella sfera pop, ma che vengono allargate e arricchite da una più ampia cornice che comprende al suo interno altri piccoli tasselli di ouverture prog e chamber rock. In particolare l'alleanza tra piano ed archi trasmette quel senso di musica ad ampio respiro che si alterna a momenti più prettamente electro-rock, come su Beehive e Lay It Down, e permette ai MEER di spaziare tra una duplice varietà di arrangiamenti. 

Ma il piccolo ensemble non serve solo per ricreare l'ariosità della musica classica, You Were a Drum richiama il folk prog tradizionale degli Iona, Honey invece riconduce a suggestioni di synth rock, mentre il singolo Across the Ocean si attiene più prettamente ad atmosfere da ballad adulta. I MEER naturalmente non sono i primi a tentare tale connubio per mettere al servizio del pop rock una strumentazione di impianto classico, ma la band norvegese crea un ibrido in cui il contrappunto delle armonie e le progressioni di accordi lavorano in funzione ed in sinergia tra loro quasi a creare delle piccole-grandi sinfonie pop.

 

Bonus Track, la cover di Here I Go Again dei Whitesnake

domenica 17 gennaio 2016

MEER - MEER (2016)


Non è detto che dalla Scandinavia arrivi sempre ed esclusivamente musica malinconica. Quella dei norvegesi MEER, ad esempio, lascia ampi spazi a raggi di sole che filtrano attraverso i toni chiaroscuri di una musica per lo più acustica ed elegante, grazie alla sinergia di addirittura otto elementi che portano in dote inevitabilmente arrangiamenti fastosi. Credo che il modo migliore per presentare i MEER sia lasciare la parola a loro stessi quando si descrivono come un'orchestra alternative pop con influenze che vanno dalla musica classica al progressive rock con polifonie vocali e grandiosi arrangiamenti per archi.

Johanne Margrethe Kippersund Nesdal (voce), Knut Kippersund Nesdal (voce), Eivind Strømstad (chitarra), Åsa Ree (violino), Ingvild Nordstoga Eide (viola), Ole Gjøstøl (piano), Morten Strypet (basso) e Mats Lillehaug (batteria) erano fino all'anno scorso conosciuti con il nome di Ted Glen Extended con alle spalle un EP di cinque tracce pubblicato nel 2012, ottenendo ottimi consensi dalla stampa locale.

La prima canzone realizzata a nome MEER nel settembre del 2015, Night By Day, è stata anche quella che apre l'album pubblicato da pochi giorni. In questo brano si possono trovare le caratteristiche migliori del gruppo, a partire dalla perizia degli arrangiamenti e della gestione magistrale delle dinamiche: tappeti di violini che accompagnano chitarra e piano acustici, con voci maschili e femminili che si rincorrono, si sovrastano e si accarezzano, mentre la canzone cresce e si trasforma da ballata da camera a sinfonia orchestrale.

E' proprio in questi due ultimi caratteri stilistici che si sviluppa il resto dell'album. Per quanto possano partire con impostazioni da chamber pop acustico, pezzi come Solveig, I Surrender, Ghost, oppure soul pop come Shortcut to a Masterpiece, durante il loro sviluppo si dipanano assumendo contorni e prospettive da suite in grande scala, a prescindere dalla durata, usufruendo di trucchi strumentali mutuati dal progressive rock. Valentina in the Sky, specialmente nelle sue fantasie strumentali pilotate come fossero un pezzo classico, saprà affascinare anche chi non si è mai allontanato troppo da parametri neo prog. Dover Beach invece rappresenta il culmine di quel distacco tra malinconia e gioiosità di cui si parlava all'inizio, arrivando nel finale ad esplodere anche in un canto corale liberatorio. Personalmente ritengo il miglior pezzo dell'album Grains of Sand, inquadrato tra tradizione folk e modernità con un pulsare di basso elettronico fusion contrapposto ad un crescendo sincopato che esplode in tutta la sua potenza polifonica e sinfonica. Un capolavoro di arrangiamento, il che, se tutto l'album avesse seguito questa linea, sarebbe risultato di qualità sopraffina.

http://meerband.com