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giovedì 22 maggio 2014

ANATHEMA - Distant Satellites (2014)


Non c’è nulla da fare, gli Anathema sono degli inguaribili romantici. Ce lo ricordano oggi con Distant Satellites, decimo album in studio che si assume la non semplice investitura di succedere al pressoché perfetto Weather Systems di due anni fa. Come avevano già annunciato, gli Anathema proseguono il felice sodalizio con il produttore norvegese Christer-André Cederberg che si è occupato anche del mixaggio, lasciando comunque quattro dei dieci brani alle cure di Steven Wilson.

I fratelli Cavanagh si dimostrano manipolatori di melodie rock con un carico tale di pathos da spezzare il cuore. Se Weather Systems era un agglomerato di emozioni di varia natura, Distant Satellites fa prevalere un uniforme romanticismo. Non pensate però a un’opera sdolcinata. L’album si apre sui passi tracciati da Weather Systems. Lo stratagemma stilistico adottato nelle due parti di The Lost Song è il medesimo di Untouchable: batteria incalzante di John Douglas, accordi reiterati di piano (al posto della chitarra acustica) e crescendo melodrammatico per la prima parte, atmosfera da ballad intensa, con la sempre brava Lee Douglas alla voce, per la seconda. I due brani seguenti, Dusk (Dark Is Descending) e Ariel, giocando ancora una volta sulla carica e i contrasti dei crescendo, sono forse i migliori dell’album.

Proseguendo, ci si accorge come in questa occasione gli Anathema, mentre portano avanti l’estetica post progressive che li ha caratterizzati da due dischi a questa parte, guardino anche alla loro storia passata, sommandovi la calma apparente di A Fine Day to Exit e A Natural Disaster. La seconda parte dell’album palesa ancora di più questo principio con la tormenta elegia pianistica Anathema che sfoga la tensione accumulata in un lirico assolo elettrico finale. You’re Not Alone e la title-track assomigliano molto ad esperimenti per testare nuove possibilità. Un po’ fuori fuoco, cercano di abbinare l’ambient con percussioni elettroniche al limite del trip-hop. Take Shelter chiude l’album in modo pacato, con piano elettrico, archi e di nuovo batteria programmata, ma con la sensazione di qualcosa lasciato in sospeso. Distant Satellites forse non sarà il miglior album degli Anathema, puntando su atmosfere un po' troppo omogenee e perdendo leggermente spessore sul finale, ma è comunque il suggello definitivo che unisce la forza passionale presente e passata del gruppo.

Tracklist:
1.The Lost Song, Part 1
2.The Lost Song, Part 2
3.Dusk (Dark Is Descending)
4.Ariel
5.The Lost Song, Part 3
6.Anathema
7.You're Not Alone
8.Firelight
9.Distant Satellites
10.Take Shelter


martedì 13 marzo 2012

ANATHEMA - Weather Systems (2012)


Dopo neo prog, progressive metal e nu prog, negli ultimi tempi ricorre un "nuovo" sottogenere che in molti hanno autorevolmente certificato come "post progressive". Di sicuro questo ennesimo filone farà la felicità di chi non vuole assolutamente sentir parlare di etichette o catalogazioni. Ma soprattutto di quei fan intransigenti del prog rock che notoriamente accolgono una nuova contaminazione con lo stesso calore di un mastino che ringhia verso uno sconosciuto di fronte al cancello di casa del suo padrone (si veda l'avversione nei confronti del prog metal).

Ma chi siamo noi per andare contro i voleri delle etichette (in senso di label) o della stampa? Anche loro non hanno vita facile nel dover presentare un prodotto a chi non ne ha mai sentito parlare. In certi casi, quindi, non disdegno l'uso di classificazioni, anche se ci sarebbe da discutere, ma l'ultima cosa che sono è un purista. Non biasimo queste scelte che ad alcuni possono apparire semplicistiche e superficiali, poiché si deve capire che, per dare un'idea immediata, anche vaga, del tipo di musica prodotta da una band che non si conosce direttamente, è più facile ricorrere a due parole piuttosto che a una descrizione dettagliata.

L'etichetta Kscope si è imposta sul mercato musicale proprio come leader nella proposta di tali gruppi, tra i quali citiamo Pineapple Thief, Gazpacho, North Atlantic Oscillation e gli Anathema appunto. Volendo, comunque, un fondo di pertinenza all'utilizzo del prefisso "post" è contestualizzabile in quanto queste band (alle quali aggiungerei Pure Reason Revolution, Mew, Oceansize e Dredg) uniscono indie rock, ambient, progressive, elettronica e le rivestono di un'estetica affine alla corrente musicale colta del minimalismo. In tal senso si tratta di cellule tematiche reiterate per quasi tutto il brano, con piccole aggiunte o variazioni, meglio se sviluppate attraverso dei crescendo emozionali. Il più delle volte il continuum sonoro è edificato da bordoni (o droni) stratificati di chitarre distorte, che però non hanno nulla a che vedere con l'aggressività del metal, ma creano piuttosto un'atmosfera lisergica (i campioni del genere direi che sono i North Atlantic Oscillation).



Questo per quanto riguarda la parte generale, ma ora veniamo agli Anathema per i quali si possono tenere a mente le premesse esposte sopra. Il precedente lavoro We're Here Because We're Here mi aveva convinto a metà, letteralmente dato che nella seconda parte perdeva il filo del discorso. Il salto di qualità fatto con Weather Systems è invece alquanto notevole. Anch'esso virtualmente divisibile in due parti, risulta però più compatto e diretto con mano sicura. Il primo gruppo di canzoni ha una struttura pressoché simile, dove un'introduzione acustica (di chitarra o piano) ha il compito di esporre il tema portante al quale vengono aggiunti via via gli altri strumenti fino a un magniloquente finale.

Untouchable part 1


Dal punto di vista musicale le protagoniste di Weather Systems sono le dinamiche dei crescendo che marchiano quasi tutti i brani, raggiungendo l'apice su Sunlight, dove fin da subito si insinua l'aspettativa per l'apoteosi conclusiva. Accanto alla consolidata voce di Vincent Cavanagh, colpisce il maggiore spazio concesso alle parti femminili di Lee Douglas che ben si addicono alle atmosfere spesso eteree e malinconiche delle epic ballads degli Anathema. La Douglas brilla nella solenne Lightining Song, dove si possono cogliere delle somiglianze con gli olandesi The Gathering, oppure emoziona quando interpreta con sentito trasporto il controcanto in Untouchable part 2.

La seconda parte dell'album è costituita da brani più lunghi (proprio come accadeva su We're Here Because We're Here), orchestrali e ariosi ed è aperta dalla spiazzante elettronica di The Storm Before the Calm, un po' troppo simile agli ultimi Pure Reason Revolution, che culmina in un finale quasi sinfonico. Ed è quest'ultimo il carattere musicale che domina la melodrammatica The Lost Child, il requiem in chiave rock The Beginning and the End e la celestiale commozione di Internal Landscape, dove vengono toccate delle vette di cristallina purezza melodica. In definitiva è la melodia in ogni sua declinazione epica a farla da padrone, ma tutto l'album è veramente ben fatto e credo che già dai primi ascolti riesca ad appassionare anche gli animi meno post progressivi.

Anathema - The Beginning and the End by Kscope

Tracklist:
1."Untouchable, Part 1" - 6:14
2."Untouchable, Part 2" - 5:33
3."The Gathering of the Clouds" - 3:27
4."Lightning Song" - 5:25
5."Sunlight" - 4:55
6."The Storm Before the Calm" - 9:24
7."The Beginning and the End" - 4:53
8."The Lost Child" - 7:02
9."Internal Landscapes" - 8:52

http://www.anathema.ws/

venerdì 21 maggio 2010

ANATHEMA - We're Here Because We're Here (2010)


Probabilmente tutti conosciamo i trascorsi degli Anathema e sappiamo che nel corso degli anni, il gruppo inglese, dal doom metal di partenza ha di molto ammorbidito la sua proposta musicale. E così We're Here Because We're Here continua questa fase, iniziata ormai dieci anni fa con Judgement, andando più a fondo con ballad malinconiche, sperimentali e psichedeliche allo stesso tempo, conservando sempre un pizzico di metal, sempre non invasivo.

La prima parte dell'album è davvero ben fatta e coinvolgente, dedicata a brani riflessivi che non rinunciano ad un sottile tocco di impetuosità elettrica. Thin Air, Summernight Horizon, Dreaming Light, Everything e Angels Walk Among Us sono tutte impostate su crescendo emotivi, belle melodie, nelle quali talvolta spiccano gli archi ad aggiungere più pathos. Presence può essere visto come un intermezzo che divide l'album a metà ed è nella seconda parte che We're Here Because We're Here perde un po' di mordente. Gli Anathema si gettano su composizioni più velleitarie e lunghe adottando la stessa formula, ma dando più spazio alla psichedelia. Nei loro otto minuti A Simple Mistake e Universal allungano più del dovuto delle idee alle quali ne sarebbero bastati quattro per essere compiute. Si salva parzialmente lo strumentale conclusivo Hindsight che, pur partendo con un arpeggio non originalissimo, ha una buona coda lisergica in odore di Pink Floyd.

Il difetto principale della seconda parte è che assomiglia un po' troppo ai Riverside e agli ultimi Porcupine Tree e Get Off, Get Out ne è un palese esempio. A tal proposito c'è da aggiungere che Steven Wilson ha mixato l'album, ma a questa informazione ci schiaffiamo un bel chissenefrega gigante dato che ormai il signor Wilson è coinvolto in ogni produzione prog-psych-metal recente e la sua presenza più che una sorpresa è divenuta una stancante consuetudine. Sarà mica colpa sua che tutti i gruppi con i quali finisce con il collaborare finiscono col somigliare ai Porcupine Tree? Stai a vedere che il ragazzo è anche un mago della pubblicità occulta!


www.myspace.com/weareanathema