Visualizzazione post con etichetta Seven Impale. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Seven Impale. Mostra tutti i post

mercoledì 26 aprile 2023

Seven Impale - SUMMIT (2023)


Poche scene musicali come quella scandinava sono riuscite a trasportare la magia del prog anni ’70 ai giorni nostri, grazie ad un’adesione stilistica al limite del devozionale verso quei dettami “mellotronici”, evocando impressioni tanto vivide quanto nostalgiche, realizzate con rispettosa fedeltà quasi da non far rimpiangere i tempi andati. Se da questo punto di vista alcuni gruppi sono stati sin troppo scrupolosi nel ricreare tali atmosfere, sacrificando paradossalmente la propria originalità, altri hanno fatto tesoro di quella lezione e si sono proiettati nel presente con audacia. È il caso dei norvegesi Seven Impale, provenienti dalla suggestiva città costiera di Bergen, i quali puntano molto su caratteri massicci e tenebrosi, sapendo anche imporre nell’economia sonora ingenti dosi di jazz per bilanciare le scosse telluriche in modo da rendere i passaggi più pesanti alla stregua di un rock psichedelico con sporadiche digressioni metal dai sapori retro. 

Non è da sottovalutare il fatto che i Seven Impale siano un nucleo di ragazzi relativamente giovane, forgiati da varie esperienze e progetti musicali, che ha avuto modo di assorbire senza preconcetti elementi progressivi moderni meno ortodossi. E così, se anche per loro è innegabile un riferimento a qualche sonorità del passato, si riconoscono diverse peculiarità che li riconducono con i piedi ben piantati nel presente, escludendo facili ammiccamenti al progressive metal o all'art rock sinfonico. La scelta di andare a sondare strade meno battute – come le cupe asperità tipiche di Van der Graaf Generator e King Crimson che riaffiorano specialmente negli impasti tra chitarra, organo e sax – ha permesso ai Seven Impale di avvicinarsi a quell’estetica di heavy prog che si è evoluta sino a sposare groove di chitarra sincopati e complesse poliritmie provenienti dal math rock, definendo in questo modo una tipologia di metal più cerebrale. Per questo motivo il sestetto si cala benissimo nel panorama odierno del rock progressivo, grazie ad una proposta che cerca di essere lungimirante e originale, che da una parte sembra abbia assimilato con eclettismo l’evolversi della moderna scena avant-garde metal che comprende anche alcuni loro conterranei come Shining e Arcturus e dall'altra non nasconde il proprio legame con il proto hard prog degli anni ’70, rappresentato in particolare da gruppi come Black Widow e High Tide

Al di là di tentare paragoni, certamente con le coordinate dettate dal primo EP Beginning/Relieve (2013) e dall'album di esordio City of the Sun (2014) i Seven Impale non hanno mai puntano a tali vette estreme, ma si sono stabilizzati su perfette latitudini di progressive nordico dove, a scandire le atmosfere eteree e funeree allo stesso tempo, sono l'organo ribollente e il versatile sassofono. Stian Økland (voce e chitarra), i fratelli Fredrik (batteria) e Benjamin Mekki Widerøe (sassofono), Tormod Fosso (basso), Erlend Vottvik Olsen (chitarra) e Håkon Vinje (tastiere) provengono da studi musicali classici e jazz e, in questi sette anni che ci dividono da Contrappasso (il loro ultimo album risalente al 2016), hanno continuato la propria vita privata perfezionandosi, ad esempio Økland si è diplomato alla Grieg Academy e porta avanti parallelamente una carriera internazionale come cantante d’opera, mentre Vinje si è unito agli Enslaved nel 2017. 

Assistiti ancora una volta dal fido produttore Iver Sandøy (Enslaved, Krakòw) si svegliano dal lungo letargo discografico con il terzo lavoro SUMMIT. Ed è una sveglia vibrante e impetuosa, divisa in quattro lunghi ed articolati brani che riassumono la cupa violenza sperimentale di Contrappasso e la dirompente forza jazz psichedelica di City of the Sun. Il passo elegiaco e funereo di HUNTER, unito all'interpretazione vocale melodrammaticamente espressiva di Økland e inframezzato da ribollenti riff heavy di sassofono, non potrà lasciare indifferenti gli estimatori delle gotiche suite di Matthew Parmenter e dei suoi Discipline. La bella introduzione da jazz spaziale di HYDRA lascia posto ad un hard rock dal ritmo spedito, ma che diluisce la sua rocciosità in spezie psych prog create da synth e tastiere e, nel suo cammino di dieci minuti, queste fanno da sottostrato ai cambiamenti jazz stoner che si sviluppano tra solennità e caos apocalittico vandergraffiano.

E proprio l'ombra minacciosa del gruppo di Peter Hammill aleggia sulle frenetiche arie di IKAROS, dove anche l'uso della doppia voce aumenta la percezione psicotica del brano. Gli intermezzi strumentali con sax, chitarra e organo in continua oscillazione tra contrappunti e unisono si fanno aspri e abrasivi, fino al maestosamente opprimente finale. Come da manuale SISYPHUS chiude l'album in modo epico e avventuroso col minutaggio più esteso del lotto: nei suoi 13 minuti alterna furia e quiete con scatti improvvisi e con risultati antitetici: tanto sono melodiose e suggestive le sezioni pacate, quanto tendono a spiazzare con impasti sonori avant-garde e free jazz quelle tumultuose. SUMMIT continua nella tradizione dei suoi due predecessori, forse più centrato e ispirato rispetto a Contrappasso, ma nel complesso non arretra dalla linea di eccellenza tracciata dal gruppo.

martedì 2 settembre 2014

SEVEN IMPALE - City of the Sun (2014)


Da Bergen arrivano questi sei giovani norvegesi con un esordio dal titolo in pieno contrasto con la fama della loro città natale, essendo una delle più piovose al mondo. Ma non importa, perché i Seven Impale con City of the Sun sono destinati ad andare fuori dalle convenzioni e, per quello che ci riguarda, dalle regole commerciali. Intanto suonano prog, quello vero, con riferimenti ai grandi maestri del passato, ma con i piedi ben piantati nel presente, escludendo facili ammiccamenti al prog metal o all'art rock pseudo sinfonico. I Seven Impale, che avevano firmato l'ottimo EP Beginning/Relieve lo scorso anno, ci vanno giù pesante e si presentano con un biglietto da visita di sole cinque tracce, lunghe e tortuose, che si inoltrano nei coltissimi meandri del jazz rock e negli esoterici e lividi orizzonti progressivi dei Van der Graaf Generator.

Oh My Gravity! presenta subito le peculiarità dei Seven Impale che utilizzano chitarra, basso, sax e organo come un'unità compatta all'unisono, creando suoni rocciosi e levigati come una lastra di granito. L'impianto sonoro generale e il canto di Stian Økland, simile a quello di Matthew Parmenter, farebbero pensare anche ad un paragone con gli americani Discipline che si incontrano con il post jazz dei Jaga Jazzist. Le chitarre Erlend Vottvik Olsen e Økland si occupano di riff circolari e massicciamente crimsoniani, mentre Håkon Vinje usa le sue tastiere elettriche per aggiungere colori caldi e avvolgenti, oppure, all'occorrenza, gelidi come una lama.

Wind Shears si muove cauta da principio, lambendo dei territori più rilassati e fusion, alterandoli a bollori improvvisi di jazz metallico, mentre Extraction, se non fosse immerso nella solita aria elegiaca, sembrerebbe quasi un lamento blues. Eschaton Horo disegna gentili paesaggi con soffici accordi che si trasformano repentinamente in un caos magmatico di suoni elettrici. Il sassofono rauco e spigoloso di Benjamin Mekki Widerøe intesse i propri assoli e, quando non lo fa, detta la cadenza ritmica insieme alla batteria di Fredrik Mekki Widerøe e al basso di Tormod Fosso. In questi repentini salti di atmosfera la sezione ritmica è straordinaria nell'adeguarsi a swing leggeri o ad assalti tribali.

Le contrapposizioni tra le dinamiche piano / forte colpiscono all'improvviso, ma in questo clima altalenante che pervade ogni pezzo il crescendo è una costante che si espande in ogni caso, non importa a quale picco acustico sia arrivato in precedenza. Inoltre, le divagazioni strumentali sono ampie e potenti, strutturate per dare spazio all'improvvisazione. In chiusura arriva God Left Us for a Black Dressed Woman, un epico brano di 14 minuti che, tra suggestioni psichedeliche alla Motorpsycho e intricati percorsi hammilliani, ci scaraventa in un ipnotico viaggio in continua tensione fino alla liberazione del gran finale. Finalmente un gruppo che, tra le nuove leve del progressive rock, si afferma come una nuova speranza per il genere.

venerdì 22 novembre 2013

SEVEN IMPALE - Beginning / Relieve (2013)


Se questo EP di cinque tracce manterrà le promesse, il sestetto norvegese Seven Impale è destinato a diventare un altro imponente pilastro del progressive scandinavo. Provenienti dalla bellissima Bergen, i Seven Imapale hanno già un contratto con l'etichetta Karisma, la stessa degli Airbag per intenderci, e stanno ultimando il loro album d'esordio che probabilmente vedrà la luce nei primi mesi del prossimo anno.

Ad ogni modo, le prime coordinate dettate da Beginning / Relieve risultano già abbastanza chiare: un jazz rock psichedelico con sporadiche digressioni metal dai sapori molto retrò. Sebbene siano tutti e sei giovani ragazzi, i Seven Impale guardano agli anni '70, tirando fuori asprezze tipiche di Van der Graaf Generator e King Crimson, e utilizzando suoni vintage.

Il primo brevissimo brano Mind Riot funge da introduzione e trasuda spore di free jazz contaminate da oscurità crimsoniana. Il cuore dell'EP però è rappresentato dalle successive 4 tracce, tre delle quali abbondantemente sopra i sei minuti. Blind to All parte tiratissima, instaurando quella inquietudine tipica del progressive nordico. L'amalgama di riff tra chitarra, organo e il rauco sax riporta il tutto ai fasti dei grandi Van der Graaf, Generator, ma, chi avesse in mente il progressive più esoterico, può far riferimento anche all'album Pictures (datato 1977) degli svizzeri Island.

La title-track ci trasporta in atmosfere eteree e funeree allo stesso tempo. La voce del cantante si staglia molto delicatamente nell'impianto strumentale dark. Ma il brano cresce come un rituale pagano, portato sulle spalle della versatilità dell'ottimo sax di Benjamin Mekki Widerøe e dall'organo ribollente di Håkon Vinje. Measure 15 è una delicata ballata con tanto di violino e violoncello che, strumentalmente, si presenta come un esperimento con velleità cameristiche sulla scia dei King Crimson. Il pezzo di chiusura What Am I Sane For? è l'espressione migliore del gruppo, dipanandosi come una jam session crepuscolare che lascia ammaliati. Pensando che questo EP è solo un'anticipazione, direi che l'attesa per il full length è legittimamente alta.