domenica 27 novembre 2016

Yourcodenameis:Milo - They Came From the Sun (2007)


Ogni tanto, per comprendere lo sviluppo di una band che ci piace, è giusto andare a ritroso nel suo albero genealogico, soprattutto se i suoi membri provengono da altre esperienze musicali. Quando questa estate mi stavo documentando sui Young Lagionnaire per recensire Zero Worship, ho scoperto che il frontman Paul Mullen è ormai sulla scena musicale da molti anni e che, tra i vari progetti, la prima band importante in cui ha militato è quella dei Yourcodenameis:Milo. Quando è spuntato questo nome mi è suonato subito familiare e, infatti, le tracce lasciate dal gruppo riguardano altri due membri, il bassista Ross Harley e il chitarrista Adam Hiles, che in seguito hanno ripiegato nei Tomahawks for Targets e nei Mammal Club rispettivamente, due band di cui mi sono già occupato in passato. E' ovvio che a questo punto una verifica sui Yourcodenameis:milo era d'obbligo.

La band nasce nel 2002 e va in un'ibernazione indefinita (che dura tutt'ora) nel 2007. Durante questo periodo il quintetto registra l'EP All Roads to Fault (2004) e gli album Ignoto (2005), Print is Dead vol.1 (2006), e They Came From the Sun. Generalmente i Yourcodenameis:milo vengono consegnati alla definizione di post hardcore, il che è abbastanza precisa come descrizione preliminare se facciamo riferimento a All Roads to Fault e a Ignoto. Lasciando da parte l'esperimento di Print is Dead vol.1, che i Yourcodenameis:Milo realizzarono come una serie di collaborazioni con altri artisti (Field Music, Reuben, Bloc Party, The Futureheads, The Automatic, ecc.), è con They Came From the Sun che il gruppo segna un notevole passo avanti con la volontà di applicare al post hardcore d'origine soluzioni insolite e maggiormente elaborate. Ed è proprio in questo album che quella definizione inizia a stare stretta alla band, allargandosi al reame di territori sperimentali e quasi progressivi. La sequenza delle quattro tracce che apre They Came From the Sun è memorabile in questo: Pacific Theatre, All That Was Missing, Understand e I'm Impressed sono dei capolavori di sintesi tra post hardcore futurista, elettronica post pop e svolte repentine con incursioni in ritmiche sincopate.



Diciamo che le chitarre stridenti, i synth che pulsano motivi minimali, qualche polifonia vocale giusto accennata e i continui cambi di tempo che passano da regolari a irregolari, posizionano i Yourcodenameis:Milo in quella florida scena del sottosuolo musicale inglese di dieci anni fa che comprendeva cose gigantesche come gli Oceansize, i Biffy Clyro prima maniera, gli Aereogramme, i Reuben, i Million Dead (e molti altri) ai quali interessava per prima cosa testare le possibilità del post hardcore, portandolo in territori inesplorati grazie al crossover con altri generi. Le cose più vicine ai gruppi appena citati che i Yourcodenameis:Milo ci presentano sono To the Cars, che riprende l'epica dei crescendo post rock con la stessa intensità stilistica degli Oceansize e Screaming Groung, sorretta da un minaccioso muro di chitarre elettriche che si sprigiona con la rabbia hardcore dei Biffy Clyro.

Nel caso dei Yourcodenameis:Milo la destrutturazione avveniva attraverso elementi eterogenei tra loro. Poteva essere il post punk della marziale e livida Evening e della contorta frenesia di Take to the Floor, quanto lo spiccato uso dell'elettronica che lentamente diventa la protagonista nell'incedere dell'album: essa si accende come una fievole luce nella lenta ballad Sixfive, pulsa nelle trame gelide di Translate che anticipano il post prog minimale dei North Atlantic Oscillation e sopraffà About Leaving con l'indietronica ricavata nell'abbondanza di sintetizzatori. E' davvero un peccato che dopo questo album i Yourcodenameis:Milo si siano fermati, anche se Mullen ha dichiarato che non esclude un futuro ritorno, e come abbiamo visto la maturazione da loro conseguita è stata indirizzata e ramificata in altri progetti.






martedì 22 novembre 2016

iNFiNiEN - Light at the Endless Tunnel (2016)


Non c'è che dire, agli  iNFiNiEN non mancano di sicuro intraprendenza e coraggio, dote rara in una giovane band. Ancora più sorprendente quando si scopre che il gruppo fa musica da ben dieci anni, anche se Light at the Endless Tunnel è solo il loro secondo album pubblicato in questo lasso di tempo (più un EP nel 2006 appunto). Il principio operativo degli  iNFiNiEN ricorda come filosofia quello dei Farmhouse Odyssey, altro gruppo appartenente al sottobosco prog statunitense, usciti anche loro con il secondo album all'inizio dell'anno. In pratica si tratta di brani nati come un flusso di jam session tra i quattro musicisti, ma che assumono un senso compiuto attraverso la voce della tastierista Chrissie Loftus, abbracciando una notevole varietà stilistica compresa tra jazz, fusion, psichedelia, avant-garde e progressive rock. Il fatto è che in ogni traccia si nascondono tante piccole influenze che portano a sviluppi tematici imprevisti, comunque legati dal denominatore comune di valorizzare l'interplay strumentale tra la Loftus, Jordan Berger (basso), Tom Cullen (batteria) e Matt Hollenberg (chitarra).

Nell'anno in cui Esperanza Spalding ha fatto molto parlare di sé grazie alla pubblicazione del suo album migliore, è proprio il caso di citare la moderna rilettura fusion della bassista, che non ha lesinato ingenti dosi di pop e rock, per descrivere la musica degli  iNFiNiEN, solo che questi ultimi cercano di andare ancora più a fondo. Se l'apertura di Brand New e poi ancora Oasis fanno proprio pensare alla libere vibrazioni jazz e soul di cui sopra, si aggiungono alla ricettavari sapori come l'avant-garde dei Bent Knee, il crossover prog dalle complesse melodie dei The Tea Club e molta improvvisazione. Andando avanti nell'ascolto si manifestano alcune eccentricità nella lunga title-track "electro-etno-prog", in Off the Tracks, una specie di raga crimsoniano, e nel suadente ritmo iberico di Love for Yourself che riserva un bel finale alla Steely Dan. I brevi interventi nel reame del prog con la strumentale Worth the Waith e l'orchestrale (con archi e fiati) If I Were a Song si piegano verso una dimensione acustica della band anch'essa molto convincente. Comunque il meglio gli iNFiNiEN lo riservano nel finale, con la trascinate samba prog-pop di If You Were a Song - che nell'intermezzo si lancia nelle gioiose jam psych tipiche dei Phish - e poi nella festa percussiva latino-americana di Existence. Insomma un album gustoso e caleidoscopico capace di far percepire a chi ascolta la spirale vertiginosa della copertina, rappresentata dalla struttura a doppia elica del DNA.



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Protest the Hero - Pacific Myth (2015-2016)


Se cercate indietro su altprogcore non troverete nulla al riguardo dei Protest the Hero, questo non perché li abbia fino ad ora ignorati discograficamente, ma devo confessare che non sono mai stato un loro grande fan. Ho trovato qualche buona idea su Voilition, un album che con il senno di poi, se vogliamo, rappresenta una tappa in progressione verso degli standard sempre più compositi. Nonostante ciò, c'è sempre stato un altro motivo di fondo prettamente stilistico (che magari non vi troverà d'accordo) per tale esclusione ed è che ho sempre trovato forzata o poco pertinente la classificazione del gruppo all'interno dell'etichetta "progressive metal". E' vero che la loro formula è altamente basata su sfoggio di tecnica, ma sinceramente percepisco le produzioni dei Protest the Hero più conformi ad uno schema speed o thrash metal con molti richiami agli anni '80 propri di Watchtower e Anthrax.

Perché quindi adesso arriva questa eccezione? Semplicemente perché l'EP Pacific Myth, alla fine, fa veleggiare i Protest the Hero verso lidi di math-metal-prog mai approcciati così chiaramente e compiutamente da loro e che magari sarebbe bello in futuro vederli complicarsi e articolarsi ancora di più. Ora, penso che molti saranno già familiari con il materiale di Pacific Myth, ma personalmente per ascoltarlo ho preferito aspettare che fosse realizzato ufficialmente nella sua interezza (con l'aggiunta delle versioni strumentali delle sei tracce) lo scorso 18 novembre. In realtà l'avventura Pacific Myth è iniziata più di un anno fa, ad ottobre 2015, quando i Prothest the Hero decisero di realizzare un brano a cadenza mensile su Bandcamp concesso in download a chi avesse sottoscritto un abbonamento. L'esperimento si è quindi concluso a marzo, ma solo ora l'EP è stato messo a disposizione anche per coloro che non avevano versato la quota di abbonamento.

Su Pacific Myth ancora fanno capolino i residui di certi vezzi eighties nelle cadenze frenetiche di Tidal e la sempre notevolissima voce di Rody Walker interpreta Cataract come se stesse da un momento all'altro mutare i Protest the Hero in una band hair metal, ma stavolta si aggiungono nelle trame dei particolari simili al mathcore dei The Fall of Troy che fino ad ora non erano mai stati così marcati. Poi brani come Ragged Tooth e Cold Water abbracciano quel math hardcore progressivo imbevuto di tapping chitarristico, melodie sepolte sotto tonnellate di distorsione e poliritmie di ultima generazione alla Hail the Sun, A Lot Like Birds e Sianvar, rimanendo fedeli alla linea metal del gruppo. E' un po' quello che accade anche su Harbinger che rappresenta un esempio di quello stile che accomuna i Protest the Hero ai Fair to Midland, perennemente in bilico tra due generi, nel quale si riconoscono richiami al prog, ma con aggressive cadenze melodiche che restano comunque discendenti dell'heavy metal. Un'ulteriore prova dell'avvicinamento a territori progressivi arriva infine dalla firma delle multiple deviazioni tematiche di Caravan, che ora detiene la palma di brano più esteso nella carriera dei Protest the Hero. Pacific Myth è un EP che tutto sommato si fregia di collezionare il materiale più avanzato scritto dalla band canadese, risultando allo stesso tempo coerente con la loro ricerca di complessità.


martedì 15 novembre 2016

Gates live @ Audiotree


I nuovi paladini emo/shoegaze/postrock Gates hanno appena pubblicato la loro seconda performance dal vivo presso gli studi Audiotree registrata il 26 ottobre, nella quale hanno suonato una selezione di cinque tracce tratte dall'ultimo album Parallel Lives pubblicato pochi mesi fa e dal precedente Bloom and Breathe.





www.gatesnj.com

venerdì 11 novembre 2016

öOoOoOoOoOo - Samen (2016)

Ecco uno di quegli album che scavano nella contemporaneità eclettica dell'avant-garde metal, anche se chiamarlo così non rende certo l'idea del calderone di idee che questo lavoro mette sul piatto. Diciamo che per descrivere la band francese l'utilizzo del termine avant-garde metal è solo per convenienza, dato che di per sé è molto inclusivo come genere. Il progetto Chenille, che sulla carta prende il nome impronunciabile e astratto di öOoOoOoOoOo, è il parto di un duo di autori formato dalla cantante Asphödel (vero nome Aurélie Raidron) della band Pin-Up Went Down (di cui i Chenille riprendono alcune caratteristiche) e il polistrumentista Baptiste Bertrand, coadiuvati dal batterista Aymeric Thomas (Pryapisme).

E' innegabile che il loro debutto Samen sia una ambiziosa dichiarazione d'intenti che vuole mischiare tra loro i generi più disparati all'interno di ognuna delle 12 tracce e la cosa affascinante di quest'opera è che possiamo trovare nel giro di pochi minuti delle soluzioni che possono piacerci tantissimo e altre che non corrispondono esattamente ai nostri gusti. Ma il pregio di Samen è quello di far scomparire qualsiasi perplessità grazie alla sua intrinseca vena multiforme ed eterogenea. Proprio per queste loro peculiarità, i Chenille sono stati paragonati ad act come Mr. Bungle e Diablo Swing Orchestra, ma devo dire che da una parte mi sembrano piuttosto forzati come esempi. Se da una parte è vero che i Chenille, come i Mr. Bungle, si divertono a guastare le aspettative - completando un quadro di mosaico tra i generi metal, pop, opera, death -, trattengono comunque sempre un piglio più accessibile del gruppo di Mike Patton. E dall'altra, fortunatamente, non fanno uso di quell'orrendo swing rockabilly tipico dei Diablo che rende tutto così farsesco.

Samen è un lavoro con il quale non puoi fermarti all'ascolto di una sola traccia, ma deve essere goduto nella sua interezza, perché non solo il clima e il tenore stilistico mutano nel singolo brano, ma ci sono differenze anche tra l'uno e l'altro, come passare, ad esempio, dal pop dance mutato in synphonic metal di Rules of the Show, all'avant-prog di No Guts = No Masters, da una versione electro-dance dei The Gathering di Chairleg Thesis, all'R&B industriale di Fumigène. Davvero impressionante il lavoro vocale di Asphödel che passa con disinvoltura dai suoni più improbabili ottenuti con la voce a notevoli vette acute, da un'intepretazione pacata fino a caotiche polifonie. Un album che mi ha preso poco a poco e che alla fine mi ha conquistato.



http://www.facebook.com/ooochenilleooo/


giovedì 10 novembre 2016

Kevin Gilbert - Il Libro

Lo scorso gennaio ho avuto il piacere e l'onore di scrivere una retrospettiva su Kevin Gilbert pubblicata su PROG Italia. Da quell'articolo è partita l'idea di scrivere qualcosa di più esteso al fine di celebrare il cinquantesimo anniversario dalla nascita di Gilbert che cade proprio questo 20 novembre. Ebbene, da questa idea è nato un piccolo libro per raccontare la sua vita musicale e artistica con le poche informazioni che ci/mi è dato conoscere. Premetto che, trattandosi di un personaggio semisconosciuto, l'operazione è stata pensata come un puro atto di divulgazione e di amore (come giustamente ha sottolineato Roberto Paravani nella sua recensione che potete leggere sulle pagine di OPEN) per cercare di far conoscere a più persone possibile l'opera di questo straordinario artista. Da oggi lo potete ordinare direttamente a questo link con uno sconto del 15% che durerà fino a Natale (un'offerta che per l'occasione ho esteso anche a tutti i miei altri libri acquistabili nello stesso sito). Tra qualche giorno o settimana sarà disponibile anche su Amazon.it e se volete ho alcune copie a disposizione anche nello store di altprogcore.

Ricostruire la carriera di un personaggio come Kevin Gilbert non è certo semplice. Definito dai colleghi "genio musicale" per le sue doti innate di polistrumentista e produttore, Gilbert ha anche lavorato con nomi di primo piano come Madonna, Sheryl Crow e Michael Jackson, ma molti aspetti del suo lascito artistico rimangono tutt'oggi sconosciuti al grande pubblico. Partendo da ciò che è già noto, da appunti, interviste e aneddoti comparsi su riviste e sul web, questo saggio cerca di organizzare una linea coerente del percorso musicale di Gilbert, arricchendolo con un'analisi delle sue opere e con una discografia commentata.

lunedì 7 novembre 2016

Anakdota - Overloading (2016)


Questo è uno degli album che in generale ho più lungamente atteso, dato che gli Anakdota sono attivi ormai da diversi anni e finora non erano riusciti a pubblicare nulla di ufficiale all'infuori di un paio di singoli (Late e Girl Next Door qui inclusi) usciti anche come video tre o quattro anni fa e che promettevano molto bene. Come i Project RnL, con i quali condividono il cantante Ray Livnat, gli Anakdota sono israeliani e anche il genere di prog che suonano, poco barocco e molto avventuroso, si avvicina a quello piuttosto articolato dei loro compagni. Il regista dietro a cui si muovono le ardite e fresche composizioni degli Anakdota è senza dubbio Erez Aviram, produttore e compositore in primis, il cui piano è l'assoluto protagonista delle otto tracce incluse nel loro esordio Overloading.

La particolare costituzione del gruppo a livello strumentale, che vede l'uso quasi esclusivo di pianoforte, basso e batteria, comporta un inevitabile confronto con gli Emerson, Lake and Palmer che viene confermato dallo stile pianistico virtuoso di Aviram. La maggior parte dell'album gode quindi di arrangiamenti semi acustici che ricorrono solo occasionalmente all'ausilio di sintetizzatori e ancor meno di chitarre, ma non fanno rimpiangere comunque l'assenza, sviluppandosi molto spesso in tirate solistiche da trio jazz sostenute in modo egregio dalla sezione ritmica formata da Guy Bernfeld (basso) e Yogev Gabay (batteria).

Sebbene le voci principali siano due - la già citata maschile di Livnat e quella femminile di Ayala Fossfeld presente su Mourning, Staying Up Late e End of the Show -  si dividono i compiti e le interazioni polifoniche sono ridotte al minimo o comunque non rivestono un ruolo prominente, eppure l'interplay contrappuntistico fa affiorare influssi classici, fusion e art rock che si snodano in territori vicini anche a Gentle Giant e Echolyn che delle armonie vocali hanno fatto un marchio di fabbrica. Gli Anakdota, nonostante questi riferimenti a band dalle caratteristiche piuttosto complesse, riescono a mantenere un mood accessibile e scanzonato anche grazie alle incursioni verso passaggi da musical e ai testi ironici interpretati talvolta con piglio teatrale da Livnat.



http://anakdotaband.bandcamp.com/
http://www.facebook.com/Anakdota.il

venerdì 4 novembre 2016

Vennart - Target: '15 (DVD/CD)


Mike Vennart e il suo gruppo (composto per 3/5 da ex  Oceansize) nel 2015 si sono avventurati in un unico tour inglese che ha seguito la pubblicazione di The Demon Joke, il suo primo album da solista. In una data al festival ArcTanGent Vennart e Gambler hanno approfittato di esibirsi anche come British Theatre, suonando in anteprima del materiale dall'allora ancora inedito Mastery. Ebbene, tutto questo ben di dio è stato fortunatamente registrato per i posteri e verrà pubblicato a gennaio in una combo Dvd/Cd da non perdere. Di seguito l'annuncio ufficiale e il link al pre-ordine:

Target: ’15 is a live document of our collective shenanigans in 2015. Centred around that year’s Arctangent Festival, not to mention the albums The Demon Joke and Mastery, this live DVD/CD features THREE full sets (2 x Vennart, 1 x British Theatre) plus footage from 2 other shows. It’s a document of every single song we played in 2015 across footage of FIVE concerts. Produced and directed by Ryan Pearce, with audio mixed by the one and only Steve Durose. All artwork by Jon Lee Martin.

http://shop.vennart.com/category/vennart



TARGET: ’15 3 hours + DVD of live concert collection of every song performed in 2015, across footage of five different shows. Produced and directed by Ryan Pearce (except *) Plus CD of entire Arctangent show.

LONDON BUSH HALL
255
Doubt
Infatuate
Don’t Forget The Joker
Music For A Nurse
Duke Fame Retaliate
Build Us A Rocket Then…
Operate
Amends
Only Twin
Big Ship (feat. Kavus Torabi)

EXTRAS: LIVE AT ARCTANGENT FESTIVAL
255
Doubt
Infatuate
Don’t Forget The Joker
Music For A Nurse
Duke Fame
Retaliate
A Weight In The Hollow
Build Us A Rocket Then…
Operate

BRITISH THEATRE LIVE AT ARCTANGENT FESTIVAL
Gold Bruise
Dinosaur
Blue Horror
The Cull
Cross The Swords
Favour
The Brave
Mastery
Plus: - The Frame/Part Cardiac (live at Manchester Soup Kitchen) - Savant* (live at Manchester Deaf Institute)

martedì 1 novembre 2016

Altprogcore November discoveries


Tra passaggi di synth e chitarra che ripescano l'esoterismo degli Ozric Tentacles e i groove ritmici in perfetto linguaggio rock funk quello che viene proposto dal quartetto newyorkese TAUK, attivo sin dal 2013, è un bel blend di ciò che può essere descritto come fusion psichedelica a metà strada tra jam band come Umphrey's McGee e le pirotecniche gesta degli Snarky Puppy.



I Redwood sono cinque ragazzi inglesi, ma il loro sound è dannatamente statunitense. Tra suggestioni dreamgaze e riverberi ambient quello dell'EP Blood Moon è un post rock che si arricchisce di incastri chitarristici provenienti dal math rock.



Gli spagnoli Jardin de la Croix sono insieme da quasi dieci anni, Circadia è il loro quarto album ed è una delle cose migliori sentite quest'anno in ambito post/math rock: energico, armonico, caleidoscopico e molto ispirato.



Su una scia simile ai TAUK, i norvegesi Pymlico nel loro quarto album Meeting Point trovano un sound più compatto e corposo che, partendo dalle premesse di un prog sinfonico strumentale, se ne allontana spesso e volentieri in favore di sonorità fusion e AOR.




Come una versione math rock dei Radiohead, i giapponesi downy fondono le asperita dei The Season Standard con l'alternative rock sperimentale di 22 e Mew. Arrivati al loro sesto album come il titolo minimale suggerisce, i downy sono attivi sin dal 2000 e tra loro cinque c'è anche chi è impegnato in progetti paralleli musicali, di arte visiva e musica per film. Infatti ci tengono a sottolineare che una parte integrante del gruppo sono le esibizioni live dove la musica convive con proiezioni astratte.



Con un'attitudine più ruvida e diretta in stile post punk, i Signals of Bedlam prendono spunto dal rock alternativo dei primi Tool e dei Rishloo. A parte qualche incursione in frammenti sperimentali, i brani di Escaping Velocity rimangono piuttosto conformi nella struttura come si conviene ad un rock alternativo che include influenze progressive nella concezione della scrittura.



I Lucid Fly sono un trio americano guidato dalla voce femminile di Nikki Layne e sono stati già invitati da Mike Portnoy nel 2014 al Progressive Nation at Sea. Il loro primo album, Building Castles in Air, è in uscita l'11 di novembre e finora è stato rilasciato come singolo promozionale l'ottimo Visions of Grandeur. Nella presentazione e in qualche recensione il loro sound è stato paragonato al prog metal alternativo di A Perfect Circle, Karnivool, Dead Letter Circus e Whitin Temptetion. Se volete ascoltare qualcos'altro dei Lucid Sky prima della pubblicazione di Building Castles in Air potete trovare qualche brano in più nella loro pagina Bandcamp: http://lucidfly.bandcamp.com