Le prime volte che ho sentito il nome del chitarrista e cantante inglese Martin Grech è stato associato a collaborazioni con le band Gunship e Tesseract, ma non immaginavo che da solista avesse anche una discografia così interessante. Fin dal suo esordio acclamato dalla critica
Open Heart Zoo (2002), lo stile musicale di Grech è stato paragonato a grandi nomi come quello di Jeff Buckley e dei Radiohead, pur affrontando l'art rock con maggior eclettismo ed un senso di esplorazione al margine, in territori estetici diametralmente opposti: dal metal al folk psichedelico.
Hush Mortal Core è il quarto album in studio di Grech ed arriva dopo ben tredici anni dall'ultimo lavoro in studio
March of the Lonely (2007). Proprio per questo, come artista indipendente, Grech non ha voluto aspettare un altro anno per trovare il supporto di un'etichetta discografica, ricerca resa ancor più difficoltosa dall'aggravarsi della pandemia, e ha deciso di realizzare
Hush Mortal Core digitalmente, in anteprima a marzo tramite la sua pagina Patreon, ed oggi attraverso i classici canali streaming. Il disco era pronto addirittura dal 2018, ma la lunga attesa è comunque stata ripagata, poiché l'album scandaglia nella maniera più soddisfacente ogni aspetto della musica di Grech, trovandosi scaraventati in un eterogeneo vortice di post rock, progressive rock, metal, folk e avant-garde. La collaborazione con i Tesseract ha permesso inoltre a Grech di coinvolgere come ospiti Acle Kahney alla chitarra e Jay Postones alla
batteria, cementando un'affinità così solida con il gruppo che il brano
Ecstasy Astral Melancholia e il djent new age di
Mothflower paiono ripercorrere i sentieri più irregolari di
Polaris.
Il carattere sperimentale, evanescente e libero di Grech è in questo più simile a Buckley padre, Tim, ricercando le stesse ambizioni formali e aleatore di
Starsailor e
Lorca, logicamente in tutt'altro contesto e ambito, anche se le immagini ultraterrene di
Nymphs in Heliacal Rising e della title-track si legano indissolubilmente a quell'universo free form, con un ritorno alla ballata acustica quasi ordinaria di
Sadness is a Story of Beauty Only a Dancer Can Tell. Ed è così che si rimane sopraffatti ed impreparati di fronte alla capacità e alla sensibilità dimostrata da Grech nel manipolare con sapienza e a suo piacere ogni forma stilistica, piegandola alla propria visione originale. Si ha la netta sensazione che Grech quando compone lo fa in modo non convenzionale, con la finalità di creare qualcosa di unico, ed è così che appare ognuna delle undici tracce di
Hush Mortal Core: unica.
Maelstrom Spark ci prepara ad un album dalle atmosfere eteree, ambient e post rock, ma l'immediatamente successiva
Aural Awol scopre la versatilità di Grech nel passare dai più delicati ambiti acustici al metal d'avanguardia oppressivo e potente. La sezione centrale dell'album che include il trittico
Enigmas,
Psychobabble e
Into the Sun fa sfoggio di queste capacità su un percorso strutturale maggiormente conforme ai canoni da "forma canzone", ma non per questo rinuncia a strappi improvvisi e repentini passaggi dinamici. Il melodramma che avvolge l'ultima traccia
The Death of All Logic è forse la cosa più vicina al progressive rock tout court (o meglio al post prog) di tutto l'album, che
Hush Mortal Core arriva più volte a sfiorare nel suo percorso senza mai abbracciarlo veramente, anche perché è bello considerare il suo eclettismo slegato da ogni genere. Senza alcun dubbio un capolavoro dei nostri tempi incerti, che rimarrà tra le cose più belle e preziose di questo anno da dimenticare.