domenica 31 marzo 2019

Moon Tooth - Crux (2019)


Avvertenza: qualsiasi genere ascoltiate con piacere o disprezziate con disgusto non ha importanza, perché il nuovo album dei Moon Tooth Crux non ha un genere: non è metal, non è prog, non è alternative rock, ma è solo un grande, ciccione, gigantesco flusso di energia scagliato a velocità luce nelle orecchie dalle casse dei vostri auricolari. Difficile, anche se non del tutto imprevedibile, aspettarsi un assalto di tale portata dopo tre anni di distanza da un lavoro già saturo come Chromaparagon. La differenza è che questa volta Crux, dall'inizio alla fine, non presenta un attimo di pausa né uno di cedimento, cantato e suonato con una potenza inaudita, come se questa fosse l'ultima prova in studio del gruppo prima dell'apocalisse.

A partire da Trust i Moon Tooth ci sparano in faccia tonnellate di distorsioni (a cura della chitarra di Nick Lee), tamburi che ruotano e battono intensificati dai bassi (grazie alla sezione ritmica composta da Ray Marté e Vincent Romanelli) con la stessa pesantezza di solidi macigni ai quali si aggiunge la voce passionale e selvaggia di John Carbone. Quindi, come dicevamo, la cosa più plausibile da fare è non associare Crux a canoni ben definiti che lo possano incasellare in preciso movimento, il fatto di essere così diretto, affilato e monolitico ne fa prima di tutto un'evoluzione di puro rock n' roll per il XXI secolo. Poi, se si somma anche il suo districarsi tra venature venature blues, stoner e hard rock, abbiamo un quadro completo della versatilità di questo siluro lanciato alla massima potenza tra le sponde del prog metal.

Se siete in dubbio sulla destrezza dinamica del gruppo ascoltatevi subito la title-track che partendo con un incipit da ballad va ad intensificarsi fino a degenerare in un doom thrash violento come un tifone. Oppure i differenti registri assunti da Motionless in Sky tra un chorus che sfiora l'AOR, intermezzi math rock, l'infusa drammaticità del southern rock e un lancinante assolo finale di Lee. E ancora Musketeers che è un po' la summa di tutta la potenza di fuoco di cui è capace la band. Mai come in questo caso si potrebbe adattare il terribile termine "bombastico" ad un album, perché oltre a godere di una produzione che risalta l'incredibile energia trasmessa in ogni brano, Crux è anche una lezione di tecnica al servizio dell'intensità, così viscerale e primitiva che è impossibile non rimanerne contagiati.


sabato 30 marzo 2019

SEIMS - 3.1 (2019)


Con il titolo di 3.1 è chiaro come questo nuovo EP di sole tre tracce sia riferito al precedente lavoro dei SEIMS, progetto del polistrumentista australiano Simeon Bartholomew, pubblicato nel 2017 e del quale vuole essere una specie di appendice. Il concept si basa ancora sui colori che questa volta si concentra sulla luminosità e la trasparenza che la luce dona loro. Quindi focalizzato sulle tonalità chiare anche se a fare da raccordo c'è Absolute Black che rappresenta una continuazione di Imperfect Black, brano di chiusura di 3, allo stesso tempo però pone le basi per distaccarsi e differenziarsi dall'altro EP attraverso un ampio muro di suono creato con l'ausilio di fiati e archi. Anche gli altri due brani Translucence e Clarity, entrambi rigorosamente in tempi dispari, continuano su questa impronta, impegnati ad edificare un suono compatto e multistratificato. Una peculiarità che fa di questo EP un'opera più orchestrale da chamber math rock.




venerdì 29 marzo 2019

Introducing Falseta


Tra i tanti album che vengono pubblicati oggi ce n'è uno che quasi sicuramente rimarrà sepolto tra le molte novità offerte in ambito prog, metal e alternative, ed è Radiance dei Falseta. Terza fatica in studio di questo quintetto della Florida, dopo un omonimo EP del 2012 e l'album di debutto Thought Process (2016), vengono alla mia attenzione solo ora. Quindi, invece di presentare solamente Radiance, è doveroso e utile segnalare tutta la loro discografia anche perché vale la pena soffermarsi su tutti e tre i lavori, ognuno a proprio modo molto convincente e rinfrescante.

Formati dal batterista Romulo Bernal e dal chitarrista Vishnu Saiz, ai quali si sono in seguito uniti il cantante Marcus Fernandes, Kitova McCarthy (chitarra) e Trevor Talbot (basso), i Falseta si pongono in un crocevia tra alternative rock, prog metal e qualche sporadico accenno al djent. Un po' come i Time King, anche loro fanno un uso molto intenso delle melodie e ad alcuni accenni ritmici groove dal retrogusto funk metal. Il percorso di maturazione che li ha portati a Radiance parte da un EP dai contorni talvolta acerbi, ma che già svela tutte le ambizioni nella volontà di mostrarsi competenti nel genere nel quale rientrano.

Thought Process è di conseguenza un esordio di tutto rispetto che, utilizzando una buona chimica tra le parti, dosa in uguale misura complessità e accessibilità. Il nuovo e ultimo Radiance mette invece l'accento su quest'ultimo aspetto, ammorbidendo leggermente i momenti che in Thought Process rendevano le composizioni più avventurose in favore di progressioni armoniche che favoriscono le molteplici possibilità melodiche dei chorus. Un discografia da aggiungere senza indugi nella sua interezza alla vostra playlist.







www.falsetamusic.com

giovedì 28 marzo 2019

East of the Wall - NP-Complete (2019)


Nel progressive metal quando si parla di tecnicismo e competenza strumentale c'è solo l'imbarazzo della scelta, come per dire che è difficile e anche inutile conclamare chi abbia più capacità in tal senso a discapito di altri. Gli East of the Wall sono una specie di eccezione alla regola poiché rendono il compito di individuare questa eccellenza molto meno arduo. Alla loro formula non manca nulla: melodia vs. aggressività, varietà tematiche vs. distensioni strutturali e una capacità tecnica da fare invidia a molti loro colleghi.

Mettiamola così: ascoltando i precedenti album della band, in particolare Redaction Artifacts e The Apologist, mi sono convinto che gli East of the Wall si pongano una spanna sopra a nomi ben più chiacchierati in ambito prog metal per quanto riguarda la preparazione e il creare strutture musicali tecnicamente complesse e nonostante ciò ampiamente godibili, tanto che sono rimasto sorpreso per la relativa poca fama di cui ancora gode questa band del New Jersey attiva ormai da quasi quindici anni. La differenza è essenzialmente questa: se nella maggior parte delle band prog metal ci si focalizza in modo episodico alla prominenza di uno strumento rispetto ad un altro, negli East of the Wall si percepisce un'unità strumentale dove ogni elemento coopera con l'altro e nessuno viene subordinato. Tutta l'architettura è una ragnatela di costante virtuosismo.

Il quinto album in studio NP-Complete non è da meno, anzi intensifica e fa sfoggio di queste qualità in modo ispirato, sebbene l'abbandono di Ray Suhey abbia lasciato il gruppo con "solo" due chitarre, e finalmente potrebbe essere l'album per rendere più popolare il nome degli East of the Wall. NP-Complete infatti, pur rimanendo fedele a dettami post metal, depotenzia gli interventi harsh vocals di Matt Lupo e lascia ampio spazio alla voce di Greg Kuter, impegnata a tratteggiare melodie epiche e malinconiche, talvolta quasi dolce nel suo tono posto così in contrasto con il contesto, un po' come era accaduto per la sorprendente cover di Nick Drake River Man.

Questo stratagemma fa in modo di accennare spunti psichedelici con Tell Them I'm SorrySomn 6 The Almost People che erano estranei e assenti nei lavori precedenti, maggiormente impegnati a trasmettere potenza massiccia. L'album segna anche un altro primato per la band con Fast-Bang Pooper Doop che è la cosa più vicina ad un singolo che gli East of the Wall abbiano mai prodotto. Nuovi aspetti stilistici che se sommati rendono il gruppo più accessibile a chi, come il sottoscritto, non ama particolarmente gli aspetti vocali estremi, anche se sono riuscito ad apprezzare gli album precedenti in virtù della straordinaria capacità tecnica dei membri. Ecco, NP-Complete mantiene intatto l'avventuroso approccio alla composizione (Clapping on the Ones and Threes, N of 1) e lo rafforza nella melodia del cantato. Un ritorno in grande stile dopo sei anni di attesa.











mercoledì 27 marzo 2019

Introducing black midi


Con l'ascesa inesorabile black midi sembra di essere tornati agli anni '90. Senza nessuna pubblicazione ufficiale e senza l'ausilio di social network, questi quattro giovanissimi iniziano circa un anno fa a mettere a ferro e fuoco i club live londinesi, fino a che il passaparola delle loro esibizioni si espande a macchia d'olio e compaiono i primi attestati di stima anche tra i colleghi (vedi Jeremy Pritchard degli Everything Everything e Mike Vennart) e vale anche una collaborazione con l'ex CAN Damo Suzuki. Insomma si riparte dalla gavetta come si faceva una volta: rifiutando il fondamentale apporto di Internet per avere visibilità, i black midi hanno dimostrato che ancora oggi se davvero la tua musica è potente e hai del talento nel proporla puoi emergere ugualmente dalla massa.



Da qui è stato tutto un susseguirsi di complimenti e hype cresciuti fino a raggiungere l'apice con questo nuovo singolo Crow's Perch, uscito ieri e di cui adesso tutte, ma proprio tutte, le testate web più cool ne stanno parlando. The Quietus nella sua sintesi della recensione di un concerto dà la definizione migliore dei black midi: "Sometimes they sound like a math rock band, sometimes they sound like punks, sometimes they’re post-punk, psychedelic, noise, prog, rock, indie or blues. But they are none of the above, something indefinable and new."



Gli altri singoli pubblicati finora - BmBmBm e Speedway - sono altrettanto estremi nel loro proporre un misto degenerato ideale tra post punk e krautrock, tale da non offrire compromessi sonori. Le caratteristiche che ad un primo impatto colpiscono sono lo spettacolare e frenetico drumming di Morgan Simpson e il cantato idiosincratico di Geordie Greep che pare un'evoluzione psicopatica delle declamazioni degli Slint. Ma anche il basso di Cameron Picton e la chitarra di Matt Kelvin aggiungono i propri peculiari assalti sonici come fossero guidati senza controllo tra spasmi di furia improvvisa e tensioni latenti. Naturalmente adesso i black midi hanno una pagina Facebook, forse creata a furor di popolo, e anche un contratto con la Rough Trade. Attendiamo il primo album.

venerdì 22 marzo 2019

Stephen Taranto - Permanence (2019)


La band australiana The Helix Nebula realizzò il primo e unico EP Meridian nel 2014 che ancora oggi rimane uno dei best sellers indipendenti tra le miriadi di proposte fusion, prog metal e djent offerte da Bandcamp. Adesso il chitarrista di quel gruppo, Stephen Taranto, realizza il suo EP di debutto Permanence ed il risultato è proprio ciò che si potrebbe aspettare chi è già familiare con gli Helix Nebula. Contando poi che al basso e alla produzione c'è il socio Simon Grove, sempre della famiglia Instrumental (adj.), Plini, Intervals e Helix Nebula, si può intuire che non si cade stilisticamente molto lontano da quelle coordinate.

Taranto comunque spinge le possibilità del virtuosismo e della contaminazione prog all'interno del djent fusion verso un livello più avventuroso. In questo caso si eccede in intrecci e svolte tematiche, sorprendendo con pezzi inusualmente anche più estesi del solito come Pixel Heart: Celestial e Quantum Leap e dove le tastiere non si limitano a fare da sottofondo o fungere da mero abbellimento, ma danno un carattere e creano un mood progressivo che si fonde bene immerso nelle frenetiche partiture fusion. A partire dal singolo Pixel Heart: Verdant, Taranto riesce a stipare dentro ad un EP di mezz'ora una ricca moltitudine di idee strumentali e passaggi con una tale veemenza da rimanere senza fiato.



martedì 19 marzo 2019

The Dear Hunter - il punto della situazione su Act VI


Dopo un periodo di relativo silenzio Casey Crescenzo qualche giorno fa, nel giro di poche ore, è tornato a parlare dell'attività dei The Dear Hunter e ha condiviso un paio di annunci che hanno aggiornato lo stato dei lavori per quanto riguarda la saga The Acts, il progetto principale dei The Dear Hunter al quale manca ancora il capitolo conclusivo e che si è protratto per cinque album a partire dal 2006. Il primo annuncio ha riguardato l'imminente pubblicazione di un box set solo in vinile contenente tutti e cinque gli album (Act I-V) con in più un doppio LP di 57 minuti dal titolo The Fox and The Hunt che propone delle versioni orchestrali dei temi principali degli Acts e altri inediti realizzato in collaborazione con il conduttore Brian Adam McCune e la Awesöme Orchestra.

In un secondo aggiornamento più approfondito Crescenzo appare in un video che inizia con lui mentre sta leggendo il finale in un voluminoso quaderno di quella che ha tutta l'aria di essere la sceneggiatura per un adattamento cinematografico degli Acts. Ad ogni modo ciò che lui ci dice è che all'interno del box set troveremo il titolo ufficiale di Act VI attraverso il quale i possessori potranno avere uno sconto per l'acquisto del supporto audio di Act VI se il progetto sarà mai realizzato. Perché qui sta il vero punto, SE: Crescenzo non ha intenzione di rivelare in che forma ha progettato di elaborare la conclusione della sua storia e il problema o l'ostacolo principale a questo punto è trovare i fondi necessari per produrre ciò che lui ha in mente, senza compromessi o "contentini", altrimenti non se ne farà nulla. Da questa premessa basilare si intende che Act VI potrebbe rimanere anche solo un sogno negli archivi di Crescenzo e non vedere mai la luce. Il box set rappresenta per ora il punto di una pausa indefinita che cala il sipario sugli Acts ed infatti Crescenzo ci informa inoltre che la band si sta dedicando già ad altri progetti futuri. 

Alcune mie speculazioni alla luce di questi indizi: dato che Crescenzo stesso ha ammesso che ha già una sceneggiatura completa pronta (che poi è quella che sta leggendo nel video) è probabile che Act VI sia un film che racchiude tutta la storia raccontata negli Acts, dal primo al quinto capitolo, e che il supporto acquistabile con uno sconto ai possessori del box set potrà essere la sua colonna sonora realizzata con musica totalmente nuova e magari in versione sinfonica, vista la passione e l'interesse per questo genere che Crescenzo ha mostrato ultimamente. Per ora sono solo ipotesi e forse lo resteranno per sempre.   The Flame is Gone, The Fire Remains.    


domenica 17 marzo 2019

Umpfel - As the Waters Cover the Sea (2019)


Al di là dei gusti personali non si può negare che la Scandinavia sia avara di talenti in ambito progressivo, sia che si parli del ricreare il sound sinfonico degli anni '70, sia che riguardi nuove tendenze che si allargano senza confini al metal, al djent e alla fusion. I norvegesi Umpfel, originari di Kristiansand, fanno parte di quest'ultima categoria. Nati nel 2011 come progetto in studio del duo Andreas Sjøen (batteria, tastiere, voce) e Anund Vikingstad (basso, chitarra), nel 2015 hanno realizzato l'album di debutto Cactus, a tratti eccentrico e ansioso di dimostrare l'eclettismo dei suoi autori. Poi si è aggiunto alla formazione il bassista Håkon Sakseide con il quale si sono messi al lavoro per la loro seconda prova As the Waters Cover the Sea che verrà pubblicata il 12 aprile.

L'album è un ambizioso contenitore eterogeneo che si espande in varie direzioni all'interno del perimetro progressive metal. Il legame con la tradizione che questo genere ha consolidato nei paesi nordici viene sviscerato dagli Umpfel attingendo dai migliori esponenti che negli anni si sono avvicendati in quelle latitudini, sia attraverso le elaborate architetture dei Pain of Salvation sia sfruttando le massicce poliritmie djent dei Meshuggah. Il fatto però è che nella personale visione della band ogni influsso si unisce in una prospettiva particolare. Più che impegnarsi in varietà tematiche e cambi strategici gli Umpfel si concentrano nella cura di atmosfere e arrangiamenti che molto spesso ruotano attorno a idee formali reiterate, le quali vengono utilizzate per edificare declinazioni sonore esteticamente distanti, che possono andare dal prog sinfonico alla fusion.

Burning Water si sviluppa attorno ad un abrasivo riff sempre in equilibrio tra tribalismi djent e aperture melodiche prog che conducono ad una ispiratissima parte solista di chitarra in coda al pezzo. Sphere of War è un campionario di groove sincopati che mette in risalto l'abilità del gruppo nell'amalgamare i toni bassi della chitarra elettrica con tastiere futuristiche. Dal lato metal gli Umpfel completano il quadro senza timore di eccedere anche in momenti growl come accade in Shofar, mentre la deriva ambient/psichedelica del djent portata a regime da Tesseract e Skyharbor è preservata su Trascend con Tymon Kruidenier (Exivious, Cynic, Our Ocean) alla chitarra. Peddler of Words, che ospita il chitarrista Morten Georg Gismervik, è invece uno dei brani più avventurosi dell'album con il suo patchwork di progressioni jazz, intermezzi prog e polifonie vocali che appaiono e scompaiono come per arricchire la tensione delineata dagli accordi di piano.

Oltre a questo As the Waters Cover the Sea non si fa mancare nulla e trova lo spazio per offrire uno sguardo al contemporaneo aspetto della prog fusion strumentale, che in questo momento ha il chitarrista Plini come esponente di maggior rilievo. Se la title-track, con Jakub Żytecki (Disperse) come ospite alla chitarra, e Glass Score ne sono un esempio del tutto personale nelle quali non si eccede in virtuosismi e si concentrano piuttosto a calarsi in un movimento compositivo d'insieme dal retrogusto classico/sinfonico, Omnia è un energico propellente di funk AOR. La voglia di sperimentare territori più affini al prog emerge nelle atmosferiche What Else e Rosetta, quest'ultima con Ole A. Børud degli Extol nel ruolo di chitarra solista, colme di suggestive tastiere, ma soprattutto si palesa su Tree, uno dei brani di punta dell'album, scelto anche come singolo. Lo sfoggio di interazioni strumentali, polifoniche e melodiche di Tree riassume bene la versatilità degli Umpfel e As the Waters Cover the Sea si rivela così un album che può soddisfare diversi palati oltre che imporsi come miglior pubblicazione prog metal del 2019, almeno finora.






mercoledì 13 marzo 2019

Firefly Burning - Breathe Shallow (2019)


Per chi frequenta Altprogcore i Firefly Burning sono ormai una vecchia conoscenza fin dal loro primo album Lightships (2011). Con una formazione singolare e completamente acustica che favorisce la commistione tra strumenti classici, etnici e folk, il gruppo è riuscito a conseguire un affascinante amalgama di chamber pop che nel secondo album Skeleton Hill (2015) ha quasi sconfinato nell'avanguardia da ensemble sperimentale, sempre però mantenendo costante il legame con la forma canzone.

In questo terzo sforzo discografico il quintetto londinese torna a servirsi della prestigiosa produzione di Tim Friese-Greene (Talk Talk), rimane fedele alla sfida di avventurarsi in composizioni classico-bucoliche, ma si rende più accessibile rispetto al secondo lavoro, mostrando le possibilità soniche del loro sound grazie ad un calcolato uso della dinamica che li porta dall'intimismo minimale, accompagnato dalla voce in primo piano di Bea Hankey, al crescendo colmo di polifonie e armonie elettroacustiche prodotte da Jack Ross (chitarra, percussioni, voce), James Redwood (violino/mandolino, voce), Sam Glazer (violoncello, voce) e John Barber (piano, bass synth, gendér barung, voce). Let Me Fall e Lost sono due di quei pezzi che prendono corpo lentamente, come Forgotten che usa gli espedienti stilistici del math rock per creare contrappunti minimali.

Come breve prologo l'ostinato di archi di It Won't Be Long ci riporta alle atmosfere da da camera e posiziona i Firefly Burning oscillanti tra soundtrack e ballata. Un atteggiamento maggiormente disteso, che ritorna nei delicati intrecci di Follow, rispetto alla nostalgia trasmessa da alcuni episodi. La novità di Breathe Shallow si può rintracciare nell'utilizzo del synth bass che aggiunge densità e spessore a brani come la title-track e Call to Me, ma soprattutto molto presente su Take Me There, dove un beat costante abbinato all'equivalente di un drone oscuro accompagna i Firefly Burning in territori inusuali anche per loro. Evitando le trappole della propria proposta, che per altri potrebbe rivelarsi limitante, i Firefly Burning sono riusciti ancora una volta a non ripetersi e produrre un album stimolante, fuori dalle mode contemporanee e poetico.





www.fireflyburning.co.uk

mercoledì 6 marzo 2019

Grice - One Thousand Birds (2019)


Il musicista inglese Grice Peters con One Thousand Birds, in uscita il 22 marzo, arriva al suo terzo lavoro dopo le ottime prove di Propeller (2012) e Alexandrine (2015). Abituato a circondarsi di musicisti di rilievo, Grice ha chiamato questa volta a collaborare come ospiti Richard Barbieri (Japan, Porcupine Tree, Rain Tree Crow) e Steve Bingham (no-man) con l'aggiunta di Andrew Fred Ehresmann (tastiere), Al Swainger (basso, flicorno), Eliza Carew (violoncello), Marco Maggiore (batteria) e Luca Calabrese (tromba), registrando il tutto tra l'Inghilterra e l'Italia.

Dai primi tre singoli resi noti finora (Hardest to Reach, Steam e She Burns) One Thousand Birds, che viene pubblicato dall'etichetta Hungersleep Records gestita dallo stesso Grice, pare un perfetto successore delle opere precedenti, senza perdere l'atmosfera dell'art rock che si tinge di pop sofisticato. Stilisticamente ancora molto vicino alla vena cantautorale post prog di Tim Bowness, Steven Wilson ed in parte del compianto Mark Hollis, One Thousand Birds mette in risalto una strumentazione elettroacustica che si cala in ambientazioni talvolta moderate e suggestive come Hardest to Reach, talvolta incisive e avventurose come lo strumentale She Burns con una prova ritmica di gran spessore da parte di Maggiore. Se ancora dovete scoprire Grice, nell'attesa da qui al 22 marzo, congiuntamente ai tre singoli tratti da One Thousand Birds, Propeller e Alexandrine sono ascolti consigliati.




www.gricemusic.co.uk

venerdì 1 marzo 2019

Altprogcore March discoveries


I Wheel provengono dalla Finlandia e questo mese accompagneranno i Soen nel loro tour europeo. Il primo album dei Wheel, pubblicato il 22 febbraio, si intitola Moving Backwards ed indovinate un po' a chi assomigliano...proprio ad un mix di Tool, Karnivool e i compagni di avventura Soen. Se non vivete altro che per le progressioni e i tribalismi ritmici di The Grudge e Ticks and Leeches questo album farà la vostra felicità.



Greg Chambers ha iniziato il suo progetto Superfluous Motor nel 2012 e per l'ultima fatica da lui prodotta (è proprio il caso di dire) si è inventato tre album pubblicati quasi in contemporanea nel mese di dicembre, ognuno dedicato ad uno specifico genere musicale. Trifecta è una trilogia in piena regola che comunque, anche se divisi, interseca i generi di prog, fusion e funk.




Oscurissima band canadese titolare di questo album live, credo unico pubblicato da loro, registrato nel 2007, Narrows è un saggio di post rock lambito da influssi math rock sulla scia dei mitici Faraquet.



Sempre sulla scia dell'album di Anton Eger presentato qualche giorno fa, il secondo EP dei sungazer Shawn Crowder (batteria) e Adam Neely (basso) è un bell'esperimento di elettronica intelligente che si piega ai voleri del math rock, della synthwave e della fusion. Molto stimolante.



The Dowling Poole è un duo di art pop attivo dal 2014 formato dai polistrumentisti Willie Dowling e Jon Poole, i quali hanno realizzato due album e molti EP. Optimum Delirium è il loro ultimo singolo che segna una forte evoluzione e una maggior maturità di scrittura che li avvicina alla raffinatezza degli XTC e ad alcune deviazioni prog di ultima generazione.