domenica 29 settembre 2019

Parliament Owls - A Span Is All That We Can Boast (2019)


Era da qualche tempo che all'interno del cosiddetto experimental post hardcore non veniva pubblicato un album con la giusta potenza e personalità da poter lasciare il segno accanto a band che di solito si citano in questi casi tipo Eidola, Dance Gavin Dance, The Fall of Troy e The Mars Volta. Il quintetto canadese Parliament Owls c'è riuscito con il sorprendente A Span Is All That We Can Boast, battendo i territori dello swancore sotto-sottogenere pretestuoso che si è venuto a creare negli ultimi anni. Nati come quartetto strumentale di math rock con l'EP omonimo edito nel 2017, Hayden Crocker (basso), Joey Martel (chitarra, synths,piano), Jesse Schafer (chitarra) e Marcus Sisk (batteria) hanno aggiunto alla formazione la voce del dotatissimo Devlin Flynn con il quale si sono trovati a produrre dieci nuove portentose tracce raccolte e messe in fila in questo loro esordio come fosse un "best of".

Se i nomi dei gruppi sopra citati, associati alle possibilità sonore che possono offrire i Parliament Owls, accendono in voi una certa eccitazione, aspettate...perché non è finita. Infatti il gruppo ha così tante frecce in dotazione al proprio arco che è un piacere scoprire tutte le sorprese riservate da A Span Is All That We Can Boast. Arrivati con l'ascolto al singolo Matterhorn si pensa di aver già capito cosa la band ha in riserbo per noi, invece a partire da Cloudseeder e procedendo oltre l'album si libra in decollo ancora più in alto verso vette complessamente prog, in atmosfere già frequentate da Agent Fresco, Good Tiger e Leprous. In fondo quello a cui la formula dei Parliament Owls pare ambire è quella di inglobare una moltitudine di identità per raggiungerne una propria.

I Parliament Owls, oltre ad essere provvisti di una tecnica strumentale sopra alla media, possiedono un talento per la scrittura a più livelli non solo formale, ma anche stilistica. Il vagare tra math rock, post hardcore e progressive rock crea talvolta improvvise deviazioni estreme in direzione deathcore, per ritornare in modo repentino alle più epiche delle melodie metal. A Span Is All That We Can Boast
è arrangiato con un gusto talmente competente per ogni sfumatura toccata da creare una distanza di umore e atmosfera che sembra di ascoltare un assemblaggio di tante band messe insieme. Ascolto dopo ascolto il disco ha una crescita continua tanto da pensare che un nuovo classico sia appena nato.



venerdì 27 settembre 2019

Car Bomb - Mordial (2019)


Per i Car Bomb l'ultimo album in studio Meta aveva segnato un profondissimo solco nell'eccellenza del mathcore. Oltre che riscuotere consensi pressoché unanimi è diventato istantaneamente un classico moderno del genere. Nella costante crescita artistica del quartetto di Long Island Meta si era piazzato molti livelli sopra ai suoi predecessori, stabilendo un punto standard difficile da superare. Con Mordial i Car Bomb ci dicono invece che tutto quello che avevamo ascoltato era solo un preambolo, un corposo e gustosissimo antipasto per una portata ancor più devastante e cervellotica. Ora, anche se è ingiusto fare paragoni tra due opere talmente eccelse, ammetto che il mio gusto personale continua (per ora) a preferire Meta, ma è innegabile da un punto di vista oggettivamente critico quanto sia superiore la portata di Mordial che, facendosi strada con un'irruenza di uno schiacciasassi, espande in ogni direzione concepibile gli elementi e le possibilità presentate nel lavoro precedente.

Mordial è un'esplosione di mathcore cerebrale ed imprevedibile, talmente imprevedibile che rimette in discussione anche l'aspetto formale inteso come tale. Nei Car Bomb infatti non sono più presenti quelli che noi individuiamo come cambi tematici, ma vengono sostituiti da continui ed estenuanti tour de force ritmici che si frantumano in molteplici riff, creano frammenti episodici all'interno dello stesso brano, annullando il concetto stesso di struttura, anche in base ad improvvise frenate o accelerazioni. La similitudine più calzante con l'aspetto matematico del loro stile verrebbe da individuarla nelle espressioni: qui non ci sono i classici A+B+C+A+D+E che si rincorrono scambiandosi i posti, ma i Car Bomb scavano più a fondo, si mettono ad aprire parentesi tonde, quadre e graffe e dentro ci infilano le loro operazioni strumentali, dissezionate e moltiplicate su più fronti e livelli, e il cui risulatato finale va a confluire nel brano completo.

Se poi vogliamo si può parlare di come l'apparato sonoro venga portato a livelli estremi non solo dal punto di vista di impatto uditivo, ma anche da quello del contrasto stilistico tra le parti, grazie ad innesti che lo vanno ad arricchire sotto vari aspetti. Per dire, questa volta sono distinguibili nel caos apocalittico sporadiche parti di piano e chitarre acustiche e addirittura fanno capolino dei vocalizzi di voce femminile in Xoxoy che non è altri che quella di Courtney Swain dei Bent Knee. Tutti elementi che su Mordial hanno subito un'intensificazione rispetto a Meta: la potenza è più potente, la melodia è più melodica. Eppure, nonostante queste collisioni, suona tutto talmente così compatto e monolitico che l'unione dei contrasti acquista un senso compiuto. Perciò non si pensi a nichilismo e distruzione, la precisione chirurgica con la quale i Car Bomb si distinguono nel dare identità propria ad ogni singola traccia sarà una goduria per la parte razionale e intellettuale del vostro cervello.



domenica 22 settembre 2019

Body Hound - No Moon (2019)


Era dal 2014 che i Body Hound non si facevano sentire, da quando si presentarono con l'EP Rhombus Now. Dopo cinque anni di lavoro sono riusciti a mettere insieme l'album d'esordio No Moon, registrato e prodotto da Tom Peters degli Alpha Male Tea Party. Tornando ai tempi dell'EP ricordo che i Body Hound, formati dagli ex Rolo Tomassi Joe Nicholson (chitarra) e Joseph Thorpe (basso), con l'aggiunta di Calvin Rhodes (chitarra) degli Antares e Ryan Bright (batteria), si introducevano con la curiosa definizione come "gli Yes suonati dai Meshuggah", anche se è doveroso aggiungere senza la voce di Jon Anderson (nel senso che suonano musica strumentale) e senza essere estremi come i secondi.

Ad ogni modo, al di là dell'attraente descrizione, a caratterizzare ciò che suonano i Body Hound rimangono le geometrie rompicapo di un math rock metal ad alto tasso tecnico, che per potenza dinamica e carica esplosiva si rapporta in modo adiacente a quello dei danesi Town Portal. No Moon bilancia brani di media durata ad altri più estesi che sono dei veri e propri tour de force dove, accanto a quelle che sembrano delinearsi come suite progressive rock con tutte le loro suggestive deviazioni tematiche (Black Palace e On Time and Water), si accostano cervellotici e abrasivi impulsi di puro math rock (Spectrum, Second Bend), oppure sublimazioni di entrambe le sponde (Calm Surges, The Ceaseless Round). Proprio in virtù di queste diramazioni che si incontrano e si dividono, ascoltare No Moon significa iniziare un'esperienza di totale immersione in ciò che è l'essenza del math rock progressivo di oggi, ovvero quella deviazione che trova punti di contatto in due generi all'apparenza distinti per farli fondere l'uno nell'altro.


giovedì 19 settembre 2019

The Beft live at ArcTanGent 2019


Quest'anno al festival ArcTanGent si è tenuto un momento storico, almeno per ciò che riguarda la storia del math rock. In ricordo del chitarrista Dan Wild-Beesley dei Cleft, scomparso prematuramente il 10 ottobre ottobre 2018, il batterista John Simm ha organizzato un mini concerto aiutato dagli Alpha Male Tea Party e Mike Vennart che poi si è concluso con la partecipazione di molti altri ospiti. Il tutto è stato ripreso per i posteri e con nostro gran piacere per chi, come molti di noi, non ha potuto essere presente all'evento. Ecco quanto dichiarato da Mike Vennart:

Cleft were a fucking force of nature. An absolute maelstrom of ideas centered around one cosmic goal the RIFF. Dan had riffs for days, and performing as part of The Beft only served to underline his talent for composing medical grade riffs. 

“I was delighted to be invited to perform with Alpha Male Tea Party and John Simm for this special tribute to Dan. We started at the end we agreed that a moment of silence wasn’t Dan’s style, and what we should do instead is a moment of noise. A solid, glorious wall of D major, performed by as many of Dan’s friends as could fit on the stage. Working backwards from that, I composed a piece with the AMTP lads, especially for the occasion, which I’m very proud of. 

“We also played Cleft’s Trap Door and a ten-minute medley of Dan’s riffs. This was one of the most challenging things I’ve ever had to do, but so, so rewarding and an absolute dream to perform. The climax of the show, the Golden D, had the entire audience in bits, which in turn made us play louder and with even more love. It felt like a bomb going off. But a very lovely one. 

“I’ll forever be grateful for the opportunity to pay tribute to Dan, and just for the fact that our paths even crossed. He was an inspiring and inspired player and only now am I realising how good we could’ve worked together. The Beft show was one of my all-time favourite shows at a very special festival. Hail Dan, and hail ATG for making it happen.”


domenica 15 settembre 2019

Perché "Clairvoyant" è l'album più rilevante del decennio


Eleggere un album a simbolo di un decennio significa implicitamente fare un bilancio di tale periodo. Gli anni dieci, per ciò che riguarda la parte più interessante e originale dell’evoluzione del progressive rock, sono stati da un lato la continuazione di quanto tramandato al prog hardcore dai The Mars Volta e Coheed and Cambria, i fondatori di questa corrente agli inizi del nuovo secolo, dall’altro una fonte straripante di art rock e avant-garde che ha generato esperimenti ibridi musicali piuttosto notevoli. Su entrambi i fronti sono stati pubblicati album di alto livello, ma il problema che scatta nell’individuare un’opera che abbia i requisiti per primeggiare sopra altre, comunque validissime, proposte è attribuirgli quel grado di eccellenza in più, giustificandolo. Ecco perché non si dovrebbe parlare solo di qualità, ma anche di quanto un artista o una band abbia saputo spingersi oltre e allo stesso tempo aver creato o conseguito una nuova prospettiva.

Sotto questo aspetto, tornando ai generi prima menzionati, possiamo nominare delle band come Thank You Scientist, The Knells o Bent Knee e addirittura Astronoid, che si sono distinti per aver plasmato un sound riconoscibile generato dall’ibridazione di generi tra loro distanti, la dissoluzione dei confini tra stili è un po' la cifra di questo decennio. Ognuno nei rispettivi ambiti ha conseguito qualcosa di eccellente in termini di qualità, ma se vogliamo scavare più a fondo al loro percorso, ad esso non può essere attribuita una forza tale da aver anche traghettato il genere in un nuovo territorio. Prova ne è che lo stilema adottato è rimasto circoscritto alla band in sé. La singolarità va premiata indubbiamente, ma nella visione più ampia, quando in molti imboccano la medesima estetica sonora e solo uno riesce a cogliere l’essenza di quel linguaggio, si staglia la reale singola eccezione di merito.

Se c’è quindi un termine simbolo per il decennio in via di conclusione questo è: ibrido. Gli anni ’10 sono stati all’insegna dell’ibridazione che ad oggi, non inventando più nulla di nuovo in musica, pare l’unica soluzione per aggiungere freschezza a proposte altrimenti già sentite. Chi ancora si rivolge al purismo non ha interesse nel cercare nuovi stimoli nella musica, ma preferisce cullarsi nei sicuri confini del prevedibile e dell'ordinario. Piccola puntualizzazione: non vorrei confondere "contaminazione" e "ibrido", tra cui vedo una certa differenza. La prima è più abusata e viene utilizzata saltuariamente quando lo richiede il contesto, l'ibrido, come sua conseguenza, è un aspetto costante e primario che si è installato in modo permanente nel sound di una band. Prima si è partiti con l’unire la progenie del punk – il post hardcore – con il progressive rock, e nel presente si è arrivati a capire che nessuna contaminazione è più un tabù: il math rock ha trovato un suo completamento molto naturale nel jazz e la fusion strumentale ha inglobato elementi di djent metal. Ma se tutte queste “sottocontaminazioni” si sono un po’ incartate in loro stesse, l'evoluzione più rilevante l'ha compiuta il djent fatto e finito.

Tra i pionieri di questo filone si segnalano gli statunitensi Periphery e gli inglesi TesseracT, che nel tempo sono divenuti i nomi più conosciuti e rappresentativi, anche se sono stati i secondi a impegnarsi in una seria rivisitazione del genere prog metal, facendolo evolvere verso una nuova concezione insieme a Skyharbor e Disperse. La prerogativa del djent così inteso sembra essere quella di spingere il progressive metal a latitudini sempre pesanti, ma attenuate però da un costante sottostrato new age. Il trucco consiste nel giustapporre estetiche musicali all’apparenza contrastanti, come la calma meditativa dell’ambient e la tecnica aggressiva e virtuosa del metal. Nei tre capitoli chiave utili per capirne l’essenza – Living Mirrors dei Disperse (2013), Guiding Light degli Skyharbor (2014) e Polaris dei TesseracT (2015) – si assiste a una versione psichedelica e ascetica del prog metal, non esente da intermezzi fusion, molteplici cambi formali, poliritmie al limite del macchinoso e ogni sorta di virtuosismo.

Ed è a questo punto che si staglia l'opera che mette la freccia e supera tutti a destra, puntando a distaccarsi nella distanza con la scelta di esaltare in modalità overdrive, ma alla rovescia, i canoni appena descritti. I The Contortionist si erano già accostati ai dettami del nuovo volto del djent con Language (2014), facendo storcere il naso (eufemismo) ai fan più ortodossi per il suo cambio repentino rispetto ai primi due lavori, impostati su un deathcore molto tecnico, sottolineato dall’arrivo del nuovo cantante Michael Lessard. Sul fronte opposto c'è stato però chi ha riconosciuto ai The Contortionist il coraggio di cambiare, incassando plausi per la visione senza compromessi di un progressive metal che fin dalle sue tematiche, liriche e musicali, si presentava come uno strumento spirituale per allontanarsi dall’immaginario metal che mette in primo piano l’aggressività.

Per questo Clairvoyant è apparso come un’ulteriore svolta contraria, un'inversione opposta a quell’estetica brutale e proprio per tale ragione ha creato così tanti giudizi contrastanti e divisivi. La questione non riguarda solo l’avversità dei fan che rimpiangono i The Contortionist prima maniera, ma anche il contenuto di Clairvoyant che possiede una fascinazione così peculiare e soggettiva ugualmente ostica per chi non è a loro avvezzo. In questo contesto è anche un album difficile da inquadrare poiché non segue in pieno i dettami degli stili a cui dovrebbe far riferimento anzi, li smonta uno ad uno: non fa sfoggio di virtuosismi progressive rock e fusion, non si serve della potenza motrice del metal, né propriamente della dinamica elegiaca del post rock. Se proprio vogliamo imporre un'etichetta, la più adatta a descriverlo sarebbe quella di "atmospheric metal" dato che rende l'idea dell'ossimoro stilistico a cui la band ambisce. Un prog metal drenato da ogni elemento principale, fino a risultare il suo perfetto contrario.

Il percorso estetico è risaltato dalla direzione musicale intrapresa: c'è da parte dei The Contortionist la scelta audace di non ostentare l'abilità dei solisti, in favore della costruzione sistematica di atmosfere  ultraterrene e nebulose plasmate della somma delle parti. In tale contesto le tastiere, di cui in genere fanno a meno i gruppi djent, assumono una presenza discreta ma rilevante per completare un sound impregnato di suggestioni oniriche. Tornando al concetto di "ibrido", per fare un esempio, siamo in grado di sezionare e riconoscere nei pezzi dei Thank You Scientist cosa è funk, cosa è fusion o cosa è etnico. In Clayrvoiant gli stili si muovono in una simbiosi che camuffa qualsiasi velleità di ricondurli ad un chiaro genere di appartenenza. Tutto l'album vive in una zona di penombra monocromatica (parafrasando il titolo della prima e ultima traccia) che fluttua in un universo sonoro a sé stante, in piena sintonia con la composizione fotografica color cenere della cover. Ed è per questo che non è facile apprezzare Clairvoyant, ma se si riesce a penetrare la spessa coltre di tenebra, la visione che ci accoglie è totalmente appagante.

Per approfondire qui trovate anche la mia recensione.


venerdì 13 settembre 2019

Frost* - i primi due singoli tratti dall'EP "Others"


Questa estate i Frost* hanno annunciato l'uscita di nuovo materiale dai tempi di Falling Satellites (2016), che sarà contenuto in un EP dal titolo Others. Se ancora una data di uscita non è stata ufficializzata, il gruppo di Jem Godfrey ha appena reso disponibile i primi due nuovi brani tratti da Others, Fathom e Exhibit A, quest'ultima soprattutto è un interessante esperimento che spinge in modo spregiudicato lo stile prog bombastico dei Frost* a latitudini simil techno con uso abbondatissimo di elettronica e una ritmica martellante. Sembra quasi un proseguimento di Towerblock, della quale potete ammirare una spettacolare resa dal vivo nel video qui sotto. A tale proposito ricordo che il batterista Craig Blundell ha di recente dato l'addio alla band a causa di altri impegni e il suo sostituto non è ancora stato ufficializzato.





sabato 7 settembre 2019

Altprogcore September discoveries


Si inizia con una scoperta che non è una scoperta, il primo album da solista di Richard Henshall, chitarra degli Haken, è molto meglio di ciò che hanno fatto ultimamente lui e i suoi compagni. Henshall si dà al djent con la declinazione fusion che ha già testato con i Nova Collective, il che rende The Cocoon un ascolto interessante per chi pretende qualcosa di più dal solito prog metal. Tra gli ospiti Jessica Kion, Chris Baum, Ben Levin dei Bent Knee, Jordan Rudess, Ross Jennings e David Maxim Micic. Disponibile anche in versione solo strumentale.



Ho scoperto questo unico album dei Dimphonic datato 2016 grazie al video di uno dei suoi membri nel quale coverizza Stinkfist dei Tool risuonando tutte le parti in modo fedelissimo. Nur5e riporta naturalmente qualche influsso Tool, ma è un bel concentrato di new grunge e di ottimi groove heavy rock in bilico tra i RATM e i Deftones.



Clément Belio è la versione francese di un Plini che incontra un Jacob Collier, nel senso che il ragazzo è un prodigio che dal 2013 suona e produce la sua musica tutto da solo e il suo stile è un amalgama di prog, fusion, musica etnica e djent. Patience è il secondo album realizzato da Belio, che esce a cinque anni di distanza dal suo debutto, affinandone l'eclettismo e la maturità compositiva.



I Future Machines suonano un convulso e aggressivo math rock nell'omonimo EP di debutto con un tocco di psichedelia e noise. Per i fan degli Alpha Male Tea Party, ma ancora più schizzati.



La proposta dei The Case Of Us è un art rock che cerca in ogni modo di essere originale e più personale possibile, portato avanti con la stessa caparbietà dei Bent Knee per cercare di distinguersi. Lo sforzo è da apprezzare, ma ancora c'è la sensazione che manchi una spinta, quel qualcosa in più che renda il tutto maturo.

venerdì 6 settembre 2019

Charlie Cawood - Blurring Into Motion (2019)


Il ritorno da solista Charlie Cawood dopo l'esordio The Divine Abstract non può che far piacere. Polistrumentista inglese che milita in band progressive rock tra lo sperimentale e l'art rock come Knifeworld, Mediaeval Baebes e ultimamente nei Lost Crown, quando si dedica alla propria visione musicale Cawood abbandona la sfera del rock e compone i propri pezzi come fosse un autore classico. L'album Blurring Into Motion è di nuovo uno sguardo su quel mondo fatto di strumenti da camera e contornato da un ensemble di esecutori suddivisi tra sezione di fiati e sezione di archi. La seconda opera di Cawood è ancora più orchestrale, bucolica e solare del precedente lavoro il quale, dalla sua pregevolissima prospettiva, possedeva anche un misticismo esoterico, valore aggiunto a tutto il suo percorso d'ascolto.

Blurring Into Motion tenta una prospettiva differente e si avvicina più all'estetica della classica moderna e al minimalismo, piuttosto che alla world music sperimentale, questa volta con la novità di aggiungere la voce soave di Marjana Semkina degli iamthemorning nelle due tracce Falling Into Blue e Flicker Out Of Being di cui lei è anche co-autrice. Per questo Blurring Into Motion risulta maggiormente accessibile rispetto al suo predecessore, aprendosi a melodie e armonie acustiche e orchestrazioni corali ad ampio respiro, pur facendo a meno dell'ausilio di un gran numero di strumentisti. I pezzi si sviluppano principalmente da temi folk tracciati dagli arpeggi della chitarra acustica per proseguire sui contrappunti di matrice classica, come fossero una versione orchestrale di temi tradizionali e antichi. Un ascolto rilassante per riaccendere positività e immaginazione.


giovedì 5 settembre 2019

Sky Window - .Space (2019)


Era dal 2017 che attendevo di ascoltare l'album d'esordio degli Sky Window, cioè da quando segnalai tra queste pagine i Terra Collective e indagando su uno dei loro membri, Jordan Gheen, appresi che era attivo in altri progetti musicali tra cui gli Sky Window appunto e i The Night Above Us. Ed ecco che ora, finalmente, nel giro di un mese gli Sky Window hanno realizzato l'album .Space e un EP più minimale che vede il gruppo ristretto a tre elementi, .Liftoff. Oltre a Gheen alle tastiere e alla tromba, il gruppo comprende Mike Luzecky al basso, Matt Young alla batteria, Brad Kang e Horace Bray alle chitarre, Spenser Liszt al sassofono, flauto e clarinetto.

Dalla formazione si capirà forse in quale territorio musicale operano gli Sky Window che è quello della musica strumentale che fonde il progressive rock con il jazz, ma Gheen e compagni immergono tutte le composizioni in un'aura psichedelica dai contorni new age e ambient. Pare quasi di essere tornati alla prima metà degli anni '90 accanto ai Porcupine Tree ansiosi di sperimentare nuove soluzioni con l'allora popolare trip hop, o con gli Ozric Tentacles che si libravano nella world music sulle ali dello space rock. Molti dei brani, già riportati in modo eccellente nei video su YouTube Live at Miami House, giocano quindi su un ampio spettro di stili che formano una nebulosa lisergica di muzak futurista.

Il bello di .Space è che, pur diviso in 14 tracce, potrebbe essere interpretato come un'unica lunga suite fluida nella quale perdersi in un suggestivo viaggio psichedelico. La musica degli Sky Windows è infatti pensata per stimolare non solo l'udito, ma anche il senso visuale in una specie di sinestesia che prende forma compiuta negli spettacoli dal vivo inclusivi di proiezioni, pratica con la quale il gruppo è attivo da diversi anni e completa il loro concetto di arte musicale. Alla fine .Space non è altro che un mezzo per arrivare alle atmosfere sognanti che gli Sky Window vogliono trasmettere: un suggestivo affresco di fusion psichedelica, un'originale e avventurosa esplorazione che riesce a toccare vari linguaggi della musica strumentale anche molto distanti tra loro, dall'avanguardia al funk jazz progressivo, uniti con grande naturalità, intuito formale e bilanciamento. Sicuramente da annoverare tra le uscite più interessanti del 2019.