Visualizzazione post con etichetta Field Music. Mostra tutti i post
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venerdì 11 gennaio 2019
You Tell Me - You Tell Me (2019)
Nell'ultimo e più riccamente orchestrato album dei Field Music compariva una formazione allargata ad archi e ottoni che comprendeva tra gli ospiti una ragazza scozzese di nome Sarah Hayes al flauto, unitasi al gruppo anche nelle esibizioni dal vivo. Oltre ad avere un album solista all'attivo, la Hayes fa anche parte della band Admiral Fallow e adesso Peter Brewis (la metà dei Field Music), l'ha voluta con lui in questo nuovo progetto dal curioso nome You Tell Me. Lo stesso Brewis sulla sua origine ha svelato che quando qualcuno gli ha chiesto come avrebbe chiamato il suo nuovo gruppo, lui ha risposto: "Dimmelo tu", innescando inevitabilmente uno spiritoso paradosso.
Quindi, se come sappiamo le radici musicali di Brewis risiedono nel pop barocco, quelle della Hayes riguardano maggiormente il folk e la musica tradizionale delle sue terre. In questo incontro ne è nato un disco sospeso tra i due mondi che si divide in art rock, minimalismo folk e qualche accenno di chamber rock (Foreign Parts). E' ovvio che il risultato sarà apprezzato da chi già ama i Field Music, soprattutto nelle parti balzellanti di Water Cooler e nei pattern reiterati di Invisible Ink. Ma You Tell Me sa aprirsi anche a delicate ballate per piano come Springburn e Clarion Call. Un altro interessante esperimento di pop intelligente da parte di Peter Brewis che qui sembra aver trovato la perfetta partner in sostegno alle sue idee.
venerdì 2 febbraio 2018
Field Music - Open Here (2018)
In una discografia pressoché perfetta come quella dei Field Music risulta piuttosto difficile trovare un album che spicchi tra gli altri. I fratelli Peter e David Brewis si sono sempre dedicati al pop rock come degli artigiani indipendenti che lavorano con amore e dedizione per intagliare ricche sfumature barocche in melodie intelligenti sostenute da musiche che hanno toccato di volta in volta il post punk, l'art rock, la synthwave il chamber pop, il minimalismo e il funk. Sempre molto concisi in termini di durata, i Field Music si sono allargati in una ricognizione a 360 gradi del loro caleidoscopico pop solo con il doppio (Measure) o con l'ultimo lavoro in ordine di tempo Commontime risalente a due anni fa. Ma se non avete fatto in tempo a reperire i loro passati lavori adesso potreste benissimo partire dall'attuale Open Here il quale, in termini di progressione artistica, regala dei risultati molto superiori a Commontime, nel quale il gruppo mostrava un po' di ripetività autoreferenziale nella formula.
In questo contesto, per dare uno slancio di freschezza, ai Field Music è bastato aggiungere una sezione di fiati con al flauto Sarah Hayes e Pete Fraser ai sax, e un quartetto d'archi (Ed Cross, Jo Montgomery, Chrissie Slater e Ele Leckie) che aggiungono spessore e prospettiva alle quadrature barockeggianti del duo. Strano poi pensare che una musica cosi spensierata, affilata e geometrica affronti delle tematiche politiche e di critica sociale il cui indirizzo, in questo caso, non poteva che essere la Brexit e l'immigrazione (come tra l'altro erano al centro dell'ultimo degli Everything Everything), contando il fatto che Sunderland, la città natale dei due fratelli, è stata tra le prime a votare a favore del provvedimento. E così abbiamo un'apertura perfetta con il prog discreto, contrappuntato da flauti, di Time in Joy, il funk dall'incedere tronfio di Share a Pillow e il pop da camera della title-track, di Daylight Saving e di Cameraman che ricordano i migliori XTC dell'era Nonsuch.
Che Open Here sia anche l'album più variegato dei Field Music in quanto ad approccio musicale è provato da tentativi di aggiungere al proprio spettro stilistico qualche elemento in più, come ad esempio accennare al classic rock FM americano in Checking on a Message e soprattutto con la traccia finale Find a Way to Keep Me che, per la prima volta, mostra velleità da mini suite prog orchestrale, quasi sfiorando gli ambiti bucolici dei Genesis. Però come detto prima non aspettatevi durate dilatate, tutt'altro, ogni dettaglio è in miniatura nel mondo dei Field Music, ben curato e rifinito, proprio come quei velieri di una volta costruiti dentro una bottiglia.
giovedì 4 febbraio 2016
Field Music - Commontime (2016)
L'impressione è che questa volta, per quanto possa essere strana come affermazione da attribuire ad una band come i Field Music, con Commontime i due abbiano realizzato il loro album più accessibile e immediato dai tempi di Tones of Town. Se Field Music (Measure) era una sfaccettata architettura di art rock multistratificato e Plumb una collezione di melodie orecchiabili in forma di suite, Commontime è un riepilogo di carriera che smussa le invenzioni e si distende su suoni già collaudati, anche se alle canzoni manca un po' di quella solarità propria del gruppo. Certo, le solite ritmiche cadenzate, le polifonie vocali e le melodie piacevoli trasmettono ancora quel senso di spensieratezza presente in ogni brano, però forse è lo strano ripetersi di groove funky abbinati a bordoni di basso che, alla lunga, rende il tutto meno "luminoso", come le leggere dissonanze che scaturiscono da But Not for You e I'm Glad e dalla sinfonia notturna in crescendo di Trouble at the Lights.
Tutto l'album si sviluppa sulla falsariga delle prime due canzoni, il che non vuol dire che sia tutto uguale, ma che si mantiene su una linea stilistica abbastanza uniforme, metaforizzato dal riff mono-nota di The Noisy Days Are Over e l'upbeat dance di Disappointed. Curando ogni dettaglio e levigando i pezzi con attenzione quasi maniacale, i Field Music si avvicinano questa volta all'austerità produttiva degli Steely Dan (Same Name) e alla maestria stravagante del "Wizard-True Star" Todd Rundgren (It's a Good Thing, They Want You to Remember), piuttosto che agli XTC, gruppo al quale i due vengono spesso e volentieri paragonati. I punti più godibili si raggiungono proprio in questi momenti che rispolverano per un attimo sprazzi di post pop retrò che se la giocano bene come Stay Awake, How Should I Know If You've Changed? e Indeed It Is. Commontime rimane comunque un album non del tutto messo a fuoco per un gruppo che quasi mai nei suoi lavori ha sbagliato la giusta dose di ricetta per un pop intelligente e maturo.
mercoledì 28 dicembre 2011
FIELD MUSIC - Plumb (2012)

I fratelli Peter e Davis Brewis ci informano che il loro nuovo album intitolato Plumb uscirà il 13 febbraio 2012, a due anni esatti di distanza dall'ottimo doppio CD Field Music (Measure).
Il pop dei Field Music sembra vivere fuori dal tempo. Innanzitutto perché c’è da stare attenti a chiamarlo pop nell’accezione più classica, data la sua caleidoscopica visione e la sua sistematica destrutturazione della forma canzone. Ma in quale altro modo si potrebbero catalogare delle piccole melodie pressoché perfette? Poi c’è la scelta della durata. In tempi come questi, dove in media un album dura 50 o 60 minuti, far uscire un’opera di appena 36 minuti risulta una decisione abbastanza controcorrente, coraggiosa e quasi antiquata. I fratelli Brewis ritornano quindi al formato contenuto dei primi due lavori dopo l’esuberanza mostrata nel doppio album Field Music (Measure).
Ma parliamo delle canzoni. Plumb non somiglia prettamente al prog rock, anche se si può azzardare che ne abbia adottato alcune soluzioni stilistiche. L’effetto è strano poiché le 15 tracce di cui è composto l’album, seppur vengano divise dalle altre, danno l’impressione di essere parte di un’unica suite. All’interno non vi si trovano veri e propri ritornelli o strofe e le trame sono in continuo movimento. Anche se ogni brano raramente supera i tre minuti di durata, i cambi tematici sono vertiginosi e nei suoi pochi minuti succede di tutto. Non a caso, infatti, credo sia stato scelto come singolo apripista (I Keep Thinking About) A New Thing che è la canzone più lineare del lotto.
Field Music - (I Keep Thinking About) A New Thing by memphisindustries
Ecco perché Plumb potrebbe essere paragonato a un nastro di Möbius: non importa da dove lo si inizi ad ascoltare, andrebbe bene anche nel bel mezzo di una canzone. La sua natura circolare fa in modo di non perderne il filo. Ma è innegabilmente pop - nuovo, rinfrescante, intelligente, raffinato pop - quello che sprizza fuori dal variegato mosaico sonoro di Plumb, le cui tessere si colorano di Beach Boys, Beatles e XTC. Lo si respira nelle polifonie vocali, negli arrangiamenti degli archi e nel suo modo così gentile di essere allo stesso tempo minimale e barocco.
L’album segna un passo avanti e una maturazione nella scrittura del duo. Esso è tanto diverso dall’indie pop di Field Music (Measure), quanto riprende alcuni caratteri percussivi e spigolosi dei progetti da “separati in casa” di The Week That Was e School of Language. Plumb fa della sua breve durata e della sintesi un punto di forza. Se le convenzioni odierne ci obbligano ad ascoltare lavori con un minutaggio eccessivo, i Field Music operano in controtendenza producendo un album che si ascolta tutto d’un fiato dove non si butta via niente.
Tracklist:
#1 Start The Day Right
#2 It's Okay To Change
#3 Sorry Again, Mate
#4 A New Town
#5 Choosing Sides
#6 A Prelude To Pilgrim Street
#7 Guillotine
#8 Who'll Pay The Bills?
#9 So Long Then
#10 Is This The Picture?
#11 From Hide And Seek To Heartache
#12 How Many More Times?
#13 Ce Soir
#14 Just Like Everyone Else
#15 (i Keep Thinking About) A New Thing
http://www.field-music.co.uk/
domenica 28 febbraio 2010
Field Music - Give It, Lose It, Take It (live)
I Field Music sono veramente tra le poche pop-band intelligenti che popolano la terra d'Albione. Se è vero che fanno un eccezionale pop, è altrettanto innegabile che nel loro retaggio è presente anche una componente prog. Un mix perfetto oserei dire. Dopo aver scoperto Field Music (Measure) sono andato a ritroso nella loro discografia e posso dire che anche Field Music e Tones of Town non deludono affatto. Ad esempio, Give It Lose It Take It non fa venire in mente le iperboliche melodie di The Yes Album?
martedì 23 febbraio 2010
Field Music - Field Music (Measure) (2010)
Ci sono due metodi per saper scrivere una canzone pop. Il primo, che è il più lungo ma anche il più scontato, è prendere il manualetto degli ultimi quaranta anni di musica pop britannica e studiarsi Beatles, David Bowie, Rolling Stones, Supertramp, Oasis, ecc. Il secondo è passare direttamente al riassunto e ascoltarsi gli XTC. Operazione altamente rischiosa per chi è abituato ad affidarsi esclusivamente a ciò che offrono le frequenze radiofoniche, dato che può portare a scoprire del pop più intelligente della media e per questo tendente ad alienare potenziali acquirenti.
I Field Muisc, nati nel 2004 per mano dei fratelli Peter e David Brewise con due gradevolissimi album alle spalle (più una raccolta di b-sides), sin dall'inizio della loro carriera hanno voluto seguire la seconda strada che finalmente li ha portati a questa terza prova in modo compiuto. Il lavoro è stato molto meditato, dato che i fratelli Brewis si erano concessi una pausa per dedicarsi a progetti paralleli (The Week That Was e School of Language), per poi tornare come un fiume in piena con questo doppio album. Sfido chiunque si senta orfano di Andy Patridge e Colin Moulding a non emozionarsi ascoltando la musica contenuta su Field Muisc (Measure). Come giustamente alcuni hanno osservato, ogni brano, nei suoi intarsi melodici, fa pensare a due o tre canzoni messe insieme e ognuno di essi, nella loro breve durata, disorienta continuamente. Le canzoni sono costruite su una sorta di anti-climax dove il ritornello non è quasi mai presente, come nella inaugurale In the Mirror, o comunque è ben camuffato.
Lo spirito di English Settlement e Skylarking percorre tutte le tracce, ma quelle che colpiscono immediatamente sono Effortlessly e Clear Water con la sua scombinata ritmica. Mentre su Measure affiora anche abbastanza chiaramente il pop orchestrale di Apple Venus vol.1. Una sottile linea continua comune porta verso Todd Rundgren sia in versione pop (Them That Do Nothing) che psichedelica (Lights Up), ma anche verso il prog rock degli Yes nei riff sbilenchi e nei cori di All You'd Ever Need to Say. L'unico rimprovero che si può fare ai Field Music è di essere troppo concisi nei loro gustosi ed imprevedibili gioielli pop. Neanche il tempo di assaggiarli e sono già finiti. Sarà forse proprio questo il fascino che li fa desiderare ancora e ancora, come un dolce squisito del quale non si può fare più a meno.
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