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venerdì 3 marzo 2023

Haken - Fauna (2023)


Ascoltando il nuovo album degli Haken mi è venuto da sorridere ripensando alla vecchia polemica sostenuta dai puristi del prog, che praticamente ha da sempre strenuamente negato e dileggiato l'esistenza di una diramazione metal all'interno del genere. Una tipologia di cancel culture ante litteram che è andata di pari passo con la ben più famigerata e dibattuta opinione divisiva tra "prog come attitudine o prog come canone stilistico dai tratti omologati".

Ora, posso arrivare a comprendere certe posizioni oltranziste quando si parla dei Dream Theater, dei Tool, dei Fates Warning e molti altri pionieri di certi stilemi, dove l'estetica è prevalentemente legata ad un linguaggio metal, però voglio dire, cosa pensate stiano facendo gli Haken in pezzi imponenti (esecutivamente parlando) come Nightingale o Elephants Never Forget se non cercare di abbracciare certi schemi e tipologie tipiche del progressive rock per incorporarle in modo indolore in un contesto di progressive metal? Ecco, forse in questo sono stati i più vicini e aderenti ai dettami del prog classico se guardiamo alla sfera del prog metal classico. Però adesso non vorrei perdermi in cavilli filologici riguardanti il purismo di ogni sottogenere, perché c'è il rischio di impazzire.

Passando agli Haken confesso che ultimamente, del loro multiverso, avevo apprezzato più le varie uscite soliste di Charlie GriffithsRichard Henshall e i Nova Collective - progetto con il primo tastierista Pete Jones che su Fauna ritorna nella band addirittura dopo 15 anni per subentrare a Diego Tajeida - che il gruppo madre, però diciamo subito che con Fauna gli Haken tornano ai livelli di complessità e sperimentazione di The Mountain e alla voglia di divertirsi con esuberanza tra i crossover arditi di Affinity. Leggendo in giro non credo di dire nulla di nuovo al riguardo, a riprova che l'opinione generale su Fauna è innegabilmente legata ad un contenuto che lo pone qualitativamente molto in alto nella discografia della band e di sicuro potrà rappresentare una pirotecnica ed esaltante introduzione per i neofiti. Ma andiamo con ordine, perché anch'esso si porta dietro qualche inciampo.

Taurus è un pezzo mediamente dimenticabile, come un compito passato senza impegnarsi molto, dato che sei lo studente primo della classe, sballottato tra impressioni djent alla Tool e un ritornello prog che si apre alla melodia, ma senza troppa efficacia. In continuità con tale impostazione, per la sua genuina risolutezza nell'intento di dare una personalità accessibile alla band, molto meglio riuscita la contenuta Lovebite. L'altro singolo che rimane un ibrido poco riuscito è stato The Alphabet of Me. Si capisce a cosa voglia ambire la band, ovvero incorporare elementi di electro math pop all'interno della loro tavolozza sonora per tentare di proporre una parvenza di evoluzione, ma il risultato non è del tutto convincente. Quindi si parla di un album non immune da passi falsi o comunque episodi più deboli di altri.

Come si diceva, invece, Nightingale è un ottimo surrogato di prog metal che si svincola dai cliché pacchiani e cafoni del passato, grazie a quell'affastellarsi di sapori fusion, leggeri richiami a timbriche metal che vengono amalgamante in un insieme di contrappunti chitarristici e tastieristici che operano con la stessa metodologia dei grandi pezzi prog degli anni '70, ma in questo caso con piglio altamente moderno. L'altro pezzo forte dell'album, Elephants Never Forget, è la vetrina utilizzata dagli Haken nel mettere in gioco le proprie influenze filtrate attraverso la loro sensibilità. Un po' di teatralità alla Queen e qualche stravaganza alla Gentle Giant innestate nel solito calderone metal gonfiato fino a toccare i forse eccessivi undici minuti.

Sempiternal Beings si muove idealmente sulle stesse coordinate di Nightingale, anche se in modo più freddo e severo attraverso riff spietati e un chorus dalle velleità solenni e magniloquenti, ma alla fine mancano le colorazioni timbriche e i movimenti strutturali di Nightingale, per un brano che rimane monolitico nonostante i suoi cambi. Beneath the White Rainbow è invece una via di mezzo, rigore e calde progressioni si scontrano nella lodevole costruzione di un crescendo drammatico e virtuosistico fatto di ritmiche dispari per aumentare la tensione, che porta alla frenetica coda finale nella quale l'aggiunta della voce filtrata di Ross Jennings appare sinceramente non necessaria, togliendo pathos alla sezione strumentale.

A tal proposito, tra i fattori che indeboliscono lo spessore delle composizioni aleggia un po' ovunque l'aspetto vocale. Senza mettere in discussioni le doti di Jennings, in questo capitolo viene a crearsi un contrasto qualitativo tra le parti strumentali e quelle vocali. Tanto le composizioni attraversano una variegata e dinamica tipologia di struttura formale, quanto l'interpretazione di Jennings risulta monocorde e poco incline all'espressività, quasi a non mostrare empatia con il materiale su cui egli canta. In particolare, proprio per la forza e l'ispirazione di alcuni brani, si ha come la sensazione che avrebbero avuto le potenzialità per far risaltare ancora di più le doti di Jennings, il quale invece appare carente nell'ideare linee melodiche più incisive e personali.

Non voglio attribuire tutta la responsabilità a Jennings, ma Fauna in conclusione lo leggo come un disco dalla "eccellenza contenuta". Ciò sta a significare l'indubbio valore del lavoro compositivo del gruppo, ma che a lungo andare, passato un impatto iniziale di entusiasmo, i pezzi svelano un lato troppo macchinoso e distaccato, che non coinvolge fino in fondo. 

domenica 10 aprile 2016

HAKEN - Affinity (2016)


Qualche volta è davvero difficile prevedere il futuro, poiché la realtà appare ben più misera di tutte quelle belle varianti che ci potremmo immaginare nella nostra mente. Ad esempio, prendete il cinema o il revival di molte serie TV di culto: penso che nessuno poteva prevedere che la progressiva atrofizzazione delle idee a cui siamo arrivati ci avrebbe riproposto una tale quantità di sequel, prequel, inutili remake e rebooth che però sono solo la pallida espressione (per non dire di peggio) dei bellissimi film che conoscevamo rimasti nell'immaginario collettivo e nella cultura pop. Di contro, nessuno di questi prodotti moderni rimarrà nella storia da quanto sono superficiali, ma fotografano un vero e non immaginario futuro del XXI secolo equivalente ad un vacuo mashup degli anni '80 riproposto con effetti speciali ipertrofici e sceneggiature molto più stupide e infantili (grazie Disney!).

Anche in musica c'è un progressivo ritorno al fascino e all'estetica retrò di quegli anni, ma le cose vanno decisamente meglio. Basti pensare alla riscoperta del synthpop e delle sue peculiarità spartane, declinato in qualsivoglia modo: dalle band che lo rileggono in chiave contemporanea come CHVRCHES, School of Seven Bells, GEMS; oppure più strettamente aderente allo stile iconico e sonoro dell'epoca come il carinissimo omonimo album dei GUNSHIP (uscito lo scorso anno), i recenti ospiti degli Snarky Puppy su Family Dinner vol.2, i Knower, la colonna sonora (e di conseguenza il film) del fantastico "futuro-passato" di Turbo Kid; ed infine le variazioni più estreme attuate dal delirante genere chiptune o 8-bit music di cui Bandcamp è invaso.

Ora vi starete chiedendo cosa c'entra tutto ciò con il progressive rock, niente in effetti, però mi sembrava una digressione necessaria e pertinente per introdurre la scelta di come gli Haken hanno presentato il loro quarto album in studio, Affinity. Se date un'occhiata al loro sito web e ancora di più alla simpatica presentazione e al video teaser dell'album, vi renderete conto di come la band inglese abbia adottato anch'essa questo effetto nostalgia, facendoci tornare alla mente (per chi se li ricorda) i tempi gloriosi dei mangianastri e del Commodore 64. Con tale espediente, la curiosità per un'eventuale cambio di direzione musicale è aumentata, legittimando il dubbio se gli Haken avessero virato verso un neo prog anni '80 o magari intrapreso la via di un crossover synthprog alla maniera dei VOLA. 

Niente di tutto ciò. La band è rimasta saldamente ancorata al suo stile, però il fatto che al songwriting questa volta abbia partecipato tutta la band con maggiore collaborazione, condividendo democraticamente idee musicali, si sente eccome. L'operazione degli Haken è semmai più intelligente e adotta sporadicamente peculiarità sonore degli eighties, come la drum machine, il registro pacchiano delle tastiere e imitazioni della computer music, per trasportarle nel loro progressive rock. Prendete 1985, già esplicativa fin dal titolo, dove abbiamo passaggi solisti degni delle soundtrack tastieristiche di Vince DiCola (ricordate Rocky IV?), brevi intersezioni djent e una più marcata vena sinfonica del solito. Diciamo che questa è un po' la prerogativa di altri brani temporalmente contenuti come Lapse, Earthrise e The Endless Knot, i quali, sottotraccia, riescono a strizzare l'occhio a quei vezzi musicali (non solo in ambito prog) tipici di trenta anni fa, rimanendo allo stesso tempo ben saldi al sound prog metal del presente. Cioè, a differenza di The Mountain, vengono abbandonati senza rimpianti quei rimandi a Gentle Giant, AOR e al continuo sfoggio di virtuosismo nel quale il gruppo si smarriva e si recuperano le intuizioni migliori di brani come Atlas Stone.



Affinity appare molto più vario e ispirato nella scelta normalissima di riprendersi il giusto spazio connesso tra prog sinfonico e prog metal, sapendo quando trattenersi e quando spingere sull'acceleratore. Il brano di punta The Architect da oltre quindici minuti, ad esempio, torna alle ouverture dei primi Spock's Beard, mettendoci dentro le digressioni dei Dream Theater e un insolito intermezzo tra l'ambient e il minimale che sale gradualmente alle vette che solo i Pain of Salvation erano capaci di sfoggiare. E' a questo punto che fa la sua comparsa la voce "harsh" di Einar Solberg dei Leprous, che per un attimo riporta gli Haken in quel regno di metal estremo familiare alla band norvegese.

Red Giant probabilmente è la traccia più atipica per chi è abituato alle grandi aperture sinfoniche degli Haken. Tutta ritmi e pulsazioni concentrati tra l'elettronica dark e le visioni future di Vangelis, punta a spiazzare: laddove il gruppo fa della sua forza le melodie, qui è tutta un'edificazione atmosferica che gioca per sottrazione. L'ultima traccia Bound By Gravity è invece tutto l'opposto: un'ariosa e calma suite-ballad di nove minuti e mezzo il cui unico difetto è quello di non presentare grandi variazioni al suo interno. Affinity rimane comunque un lavoro che offre molteplici aspetti, anche nuovi, degli Haken e da questo punto di vista va lodato il mettersi alla prova della band. Devo confessare di non essere mai stato un loro grande fan e, proprio da questa posizione privilegiata di non faziosità, mi sbilancerei affermando che Affinity può essere tranquillamente considerato il miglior lavoro della band fino ad oggi.


martedì 27 agosto 2013

HAKEN - The Mountain (2013)


I miei sentimenti verso gli Haken sono sempre stati ambivalenti, nel senso che nelle loro grandiose suite trovo sia pregi che difetti del genere symphonic progressive metal. Suonate e prodotte benissimo, sia chiaro, ma talvolta ci sono dei passaggi stilistici troppo barocchi e pomposi.

Il 2 settembre uscirà il terzo album in studio The Mountain, il primo su etichetta InsideOut e il gruppo ha rilasciato in anteprima i brani Atlas Stone e Pareidolia. The Mountain ha il pregio di smorzare i toni pomposi dei due album precedenti e presenta un progressive rock molto più meticoloso nei passaggi strumentali, ma non altrettanto dal punto di vista compositivo. In pratica i pezzi migliori risultano essere quelli da una durata contenuta, come In Memoriam, Because It's There e la stessa Atlas Stone. In quest'ultima la direzione seguita è quella verso una riduzione di parti metal in favore di grandiosi passaggi armonici di piano e tastiere in pieno stile AOR, intermezzi fusion con contrappunti vocali e le solite parti sinfoniche, stavolta però sapientemente dosate.

Di contro, dove falliscono questa volta gli Haken sono nelle lunghe tirate che funzionano solo nelle parti strumentali, orchestrate con veri virtuosismi e interazioni tra i vari elementi del gruppo.
Come influenza dei grandi gruppi progressive del passato gli Haken decidono di pescare dal retaggio lasciato dai Gentle Giant. Molte sonorità e contrappunti vocali sono un palese tributo, fin troppo chiaro su Cockroach King, alla band dei fratelli Shulman. Ma tutto ciò non salva dalla monotonia la piatta lungaggine di Somebody o lo sfoggio di muscoli fine a se stesso di Pareidolia.



Il brano più lungo dell'album, Falling Back To Earth con i suoi quasi 12 minuti, macina riff prog metal e aperture sinfoniche in un connubio che potrebbe sembrare qualcosa di mezzo tra Pain of Salvation e Porcupine Tree. Qui si trova un po' la summa delle contraddizioni di questo lavoro che la buona volontà del gruppo vorrebbe portare a distaccarsi dal passato. Parte dell'ambizione eclettica ha lasciato il posto ad un progressive rock più di maniera, con metà delle idee ripetute fino alla noia (quando va male) e l'altra metà spese nel mostrare il loro valore come musicisti (quando va bene).