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sabato 17 ottobre 2015
Un documentario su Terry Reid - L'uomo che disse no a Led Zeppelin e Deep Purple
Chiedi chi era Terry Reid. Uno sfortunato cantante dalla voce unica la cui carriera non è mai decollata e dove la principale traccia che viene ricordata di lui nella storia del rock resta il famigerato aneddoto di aver rifiutato le offerte di far parte dei Led Zeppelin e poi dei Deep Purple. Con nostra somma gioia apprendiamo che finalmente qualcuno si è ricordato di lui ed è attualmente in produzione un documentario sulla sua figura diretto da Richard Frias con interviste a Robert Plant, Eric Burdon, Graham Nash, Gilberto Gil, Kat Von D, Michael Kiwanuka, Al Schmitt, Rick Rosas, Spencer Davis, Doug Rodrigues e James Gadson Rumer. D'altra parte, se nel 1968 la grande Aretha Franklin ebbe a dire riguardo a Reid: “There are only three things happening in England: The Rolling Stones, The Beatles and Terry Reid.”, qualcosa vorrà pur valere.
A questo punto vi domanderete se l'artista in questione sia morto e se il documentario a lui dedicato, dal titolo Superlungs, sia un tributo postumo. No, il bello della storia è che Reid è ancora in vita, gode di ottima salute e continua ad esibirsi regolarmente dal vivo, anche se magari la voce non ha più più quella carica e potenza di un tempo. Chissà, forse, se avesse avuto la sfortuna di scomparire prematuramente come un Nick Drake, un Tim o un Jeff Buckley, oggi saremmo qui a scrivere una storia diversa di un grande cantante dal talento immenso e per lo meno con un seguito di culto. Ma anche se Reid fortunatamente è ancora con noi la sua produzione musicale è stata comunque molto esigua, non pubblicando un album in studio ormai dal lontano 1991.
Prima di ciò c'erano state le tre meteore degli anni '70 con Seed of Memory, Rogue Waves e soprattutto River che spicca su tutti, incastonato stilisticamente tra Astral Weeks di Van Morrison e Five Leaves Left di Nick Drake. A far conoscere ed apprezzare Terry Reid ad un pubblico leggermente più vasto ci pensò Rob Zombie (anche lui intervistato nel documentario) dieci anni fa con il film The Devil's Rejects (in Italia La Casa del Diavolo) dove nella colonna sonora comparivano tre canzoni tratte da Seed of Memory, riservando la meravigliosa title-track per i titoli di coda in modo che molti si domandassero di chi fosse quella canzone (esattamente quello che è successo all'autore del documentario tra l'altro).
Per saperne di più su Superlungs potete visitare il sito ufficiale: www.mysuperlungs.com.
Mentre per avere un'idea di chi è stato Terry Reid potete leggere una mia retrospettiva che ho scritto tempo fa:
http://altprogcore.blogspot.it/2014/04/terry-reid-una-retrospettiva-su-river.html
giovedì 10 aprile 2014
Terry Reid - una retrospettiva su "River"
Una volta staccatosi da Most,
nel 1970 Reid inizio a lavorare sulla propria visione musicale, cercando il
modo di adattarvi la sua straordinaria vocalità e reclutando nella propria band
David Lindley (alla chitarra slide e lap steel) - che all’epoca suonava con i
Kaleidoscope -, il bassista Lee Miles (Ike e Tina Turner) e, in un primo momento, Michael Giles (King Crimson) alla batteria, sostituito poi dal futuro
Yes Alan White. Reid era caparbiamente attaccato a coltivare
in maniera indipendente la sua carriera come solista, tanto da declinare in
poco tempo due offerte allettanti. La prima e più famosa fu quella fattagli da Jimmy
Page per diventare il cantante dei futuri Led Zeppelin e la seconda di
sostituire Rod Evans nei Deep Purple, posto al quale poi subentrò Ian Gillian.
Entrambi famigerati episodi che sono entrati nella storia del rock e che hanno
fatto conoscere il nome di Reid più per questi fatti che per la sua musica. Ma
già da questo si può intuire la caratura e la stima di cui il cantante godeva
nell’ambiente.
Intanto Reid stava
continuando a suonare dal vivo, partecipando anche al festival di Glastonbury
del 1971 - di una parte della performance esiste una testimonianza video oggi
facilmente reperibile su YouTube -, ma, pur avendo stipulato un contratto con
l’etichetta Atlantic, i problemi legali con Most non gli permettevano di
registrare alcunché. Per questo e altri motivi il lavoro per River fu più travagliato del previsto e
l’album vide la luce solamente nel 1973.
Le prime sessioni di River ebbero luogo in Inghilterra agli
Advision Studios di Londra con il produttore Eddie Offord (quello di Yes e
ELP). Tra prove, improvvisazioni e ricerca, tentando anche di catturare quella
magia che il gruppo sprigionava dal vivo, le sessioni diedero origine a
materiale sufficiente per tre album. Ma nessuno fu veramente soddisfatto dei
risultati, tantomeno Reid che decise di ripiegare in California, dove aveva già
vissuto, per cercare di completare l'album sempre sotto l'egida della Atlantic.
Frustrato ancora della situazione di stallo con Most, Reid chiese aiuto proprio
al presidente dell’etichetta, Ahmet Ertegun, che sbloccò la situazione legale e
affidò Reid nelle mani del produttore e ingegnere del suono Tom Dowd (che aveva
lavorato con Otis Redding e Allman
Brothers). A parte Alan White, gli altri musicisti avevano seguito Reid negli
USA e per completare le parti ritmiche furono chiamati Willie Bobo
(percussioni) e Conrad Isidore (batteria). E, anche se il nome di Alan White
non compare nei credits di River, a
detta di Reid alcune sue parti di percussioni sono finite nel mix finale dell’album.
Le registrazioni con Dowd finirono senza intoppi e in maniera soddisfacente,
segnando anche una certa eterogeneità musicale che mostrava la volontà di
rinnovo presente in Terry Reid. Il cambio geografico improvviso dall’Inghilterra
agli Stati Uniti, infatti, andò a ripercuotersi pure sull'equilibrio stilistico
di River, differenziando in modo
significativo le due facciate dell'LP. Il lato A contiene dei pezzi di stampo blues
americano, mentre il lato B è caratterizzato da tre lunghe composizioni
acustiche di folk non ortodosso, più simili a improvvisazioni che a
canzoni.
Dalle sessioni londinesi nell'album finirono solo due brani dall'impianto acustico, Dream e Milestones, che sondavano quei percorsi astratti e free form del Van Morrison di Astral Weeks o di Tim Buckley con in più il folk delicato di Nick Drake. Se Dream è innegabilmente prossima alla fragile sensibilità di quest’ultimo, Milestones è architettata come un flusso di coscienza che rispecchia gli esperimenti tra jazz e folk che Reid stava mettendo a punto. La title-track, che inaugura il lato B e completa il trittico, mette a frutto la ricerca su accordi jazz e ritmiche sudamericane, riassumendo così la musica in un suadente andamento da bossa nova. Dean, la canzone d'apertura di River e cavallo di battaglia dal vivo sin dal 1971, poneva le basi dello stile reidiano. Un groove funk bagnato nelle calde acque del blues che viene reiterato in modo da poter rendere libero Reid di improvvisare sul canovaccio imposto dalle liriche. In questo brano compare tutta la perizia del cantante nel controllo della modulazione vocale. Le tre canzoni che seguono, ovvero Avenue, Things to Try e Live Life, sono un concentrato di country blues, punteggiate dalla steel guitar di Lindley, alle quali però non sfugge un leggero ascendente da folk inglese alla stregua del terzo LP dei Led Zeppelin.
River fu ristampato in CD nel 2006 dall’etichetta Water Records in un’edizione limitata con le due ottime bonus tracks Anyway e Funny, saltate fuori probabilmente dalle ore e ore di registrazione negli studi londinesi. Quando l’album uscì nel 1973 l’Atlantic aveva ormai perso interesse nel progetto e non fece un’adeguata campagna promozionale. Ancora una volta per Terry Reid si palesava un destino da “loser” del rock, sorte che non lo abbandonò neanche nella lavorazione tormentata dei suoi album successivi Seed of Memory (1976) e Rogue Wave (1978).
Dalle sessioni londinesi nell'album finirono solo due brani dall'impianto acustico, Dream e Milestones, che sondavano quei percorsi astratti e free form del Van Morrison di Astral Weeks o di Tim Buckley con in più il folk delicato di Nick Drake. Se Dream è innegabilmente prossima alla fragile sensibilità di quest’ultimo, Milestones è architettata come un flusso di coscienza che rispecchia gli esperimenti tra jazz e folk che Reid stava mettendo a punto. La title-track, che inaugura il lato B e completa il trittico, mette a frutto la ricerca su accordi jazz e ritmiche sudamericane, riassumendo così la musica in un suadente andamento da bossa nova. Dean, la canzone d'apertura di River e cavallo di battaglia dal vivo sin dal 1971, poneva le basi dello stile reidiano. Un groove funk bagnato nelle calde acque del blues che viene reiterato in modo da poter rendere libero Reid di improvvisare sul canovaccio imposto dalle liriche. In questo brano compare tutta la perizia del cantante nel controllo della modulazione vocale. Le tre canzoni che seguono, ovvero Avenue, Things to Try e Live Life, sono un concentrato di country blues, punteggiate dalla steel guitar di Lindley, alle quali però non sfugge un leggero ascendente da folk inglese alla stregua del terzo LP dei Led Zeppelin.
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