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domenica 21 luglio 2024

I migliori 12 album Emo Prog di tutti i tempi


Dato che in giro tra blog e siti musicali è molto in voga creare liste e Top 10 su svariati argomenti (come sempre opinabili e la presente non è da meno) mi sono cimentato anch'io a compilarne una, soprattutto dopo che Loudwire si è interessato di recente alla fusione tra prog ed emo nell'articolo "The 10 Best Emo-Prog Bands of All Time" ed io stesso ho provato a fare un sunto sul tema nel numero di maggio di Prog Italia. In passato qui sul blog mi sono già occupato della materia, molto poco e molto meno di quello che vorrei in realtà, poiché tale tipologia di ibrido sembra non susciti interesse o curiosità nei fan italiani del prog moderno, ma pure nei frequentatori di altprogcore. Può essere che risulti un connubio troppo azzardato e indigesto o forse proprio non è un genere che incontra i gusti musicali del pubblico europeo, abituato a contenere i paletti del prog moderno nei confini di band come Opeth, Porcupine Tree, Leprous, Big Big Train, ecc. che con il tempo producono album sempre meno interessanti ma che comunque si muovono in una sicura comfort zone dalla quale è difficile staccarsi.

Al contrario, in questi altri orizzonti prettamente statunitensi si trovano idee, intuizioni e sperimentazioni se non altro inedite e più stimolanti, magari anche perché a crearle sono artisti che non hanno avuto legami esclusivamente con il prog e che neanche sanno di cosa si parli quando ci si riferisce alla frangia sinfonica del genere. Come l'articolo di Loudwire testimonia, credo che siamo arrivati ad un punto in cui non si può ignorare il nuovo connubio tra prog ed emo, tanto che nel 2024 sono stati pubblicati nel giro di poco tempo dei lavori importanti per la sua affermazione da parte di band appartenenti alla cosiddetta "quinta onda emo", riuscendo a rafforzare tale unione grazie a creatività e voglia di sperimentare indirizzate nella giusta direzione.

Ad essere precisi comunque questo sodalizio parte da lontano, ovvero da quando il post hardcore e il math rock ad inizio secolo hanno iniziato a comprendere tratti più ambiziosi, trame articolate e complesse sonorità molto allargate sul fronte dello stile. Poi c'è il versante più strettamente legato all'emo e alle sue "ondate" che, passo dopo passo, ha operato un progressivo avvicinamento a caratteri sfaccettati e innovativi che esulano da ciò che il mainstream ha fatto passare come idea estetica imperante nel momento in cui ci fu l'esplosione dell'emo pop (terza onda) all'inizio degli anni 2000 con gruppi come My Chemical Romance, Fall Out Boy, Panic! At the Disco e Paramore. A guardare bene quindi ne viene fuori uno scenario composito e diversificato del quale la "quinta onda emo" è solo una recente frazione che ha aiutato a solidificare tale connubio, sviluppando i canoni stilistici offerti dalle varie ondate - post rock, chiptune, jazz, bedroom pop, math rock - e servirsene per trasformarli in una nuova forma di Emo Prog. 

Qui di seguito ho cercato di compilare una esaustiva e rappresentativa lista di 12 album, in ordine rigorosamente cronologico, che spazia dagli albori di questo strano legame fino ad arrivare alla sua ultima e ancor più imprevedibile incarnazione.




1. Coheed & Cambria - In Keeping Secrets of Silent Heart:3 (2003)
I Coheed & Cambria vengono giustamente designati come pionieri nel coniugare post hardcore, emo e prog rock grazie all'album d'esordio The Second Stage Turbine Blade del 2002 (anche se un tentativo lo si poteva già riscontrare nel primo e unico disco dei Breaking Pangea con il brano Turning). Nonostante quel disco rappresenti un importante punto d'origine per la fusione dei generi, è con il suo successore In Keeping Secrets of Silent Earth:3 che la band di Claudio Sanchez raggiunge la piena forma prog, oltre che una maturità e varietà stilistica, mettendo in chiaro come un gruppo dalle origini emocore potesse puntare sulla perizia strumentale per sviluppare il proprio sound. Durante l'album si può oscillare dall'orecchiabilità contagiosa del singolo A Favor House Atlantic ai macchinosi e articolati riff in continua evoluzione di The Crowing, per arrivare infine alle conclusive simil-suite con flauti, synth e ricami chitarristici The Light & The Glass e 21:13, nelle quali i Co&Ca si avvicinano a tensioni e progressioni che giustificano i paragoni fatti più volte dalla stampa musicale con i Rush
 




2. The Velvet Teen - Elysium (2004) 
La critica non ha mai saputo in quale categoria esatta inquadrare i The Velvet Teen a causa della loro imprevedibilità stilistica. Il primo album Out of the Fierce Parade si attestava in una zona grigia tra indie rock ed emo influenzati dall'art pop aristocratico dei Radiohead. Il suo successore Elysium fu una spiazzante deviazione verso un'opera di baroque chamber rock che abbandonava per scelta le chitarre e le sostituiva con tastiere, piano e un'orchestra da camera con fiati e archi. I The Velvet Teen non erano esattamente emo, ma le loro sonate romantiche che si spingono oltre il limite condividevano la sensibilità con alcuni angoli della scena emo. Le tracce di Elysium sono un'apoteosi di crescendo emotivi sottolineati dalla vocalità melliflua ma altamente espressiva di Judah Nagler che prende il volo sulla crepuscolare amarezza di A Captive Audience e nel centro emotivo dell’album occupato dall’epico tour de force di tredici minuti di Chimera Obscurant che, dopo poche strofe accompagnate da accordi di piano con una ritmica jazz, si trasforma in un logorroico sfogo musicale. Un album che rispecchia l'introversione e la malinconia emo attraverso melodie notturne ma che celano potenza. Un vero capolavoro senza tempo e genere. 
 




3. The Receiving End of Sirens - Between the Heart and the Synapse (2005)
Nei primi anni in cui veniva a galla l'intreccio tra emo e post hardcore era piuttosto comune inserirvi delle band che fossero adiacenti ad entrambi i generi, dato che la categoria di appartenenza proveniva dalla stessa matrice punk. La linea che demarcava le peculiarità delle due categorie era sottolineata, da un lato, da una spiccata predisposizione per le melodie pop punk (l'emo) e, dall'altra, dalla forte componente aggressiva con ricorso a scream e harsh vocals (post hardcore). I The Receiving End of Sirens, forti di un arsenale di tre chitarre, tre voci principali che si alternano tra lead vocals e intrecci polifonici, mettono insieme il meglio dei due mondi e non solo, alzando l'asticella verso un'inedita visione da arena prog con grandiosi passaggi di interplay chitarristici, enfatiche e frastornanti parti vocali, architetture sonore sature sia nelle ritmiche che nei tappeti sonici elettrici. Le canzoni di Between the Heart and the Synapse sono monumenti al post hardcore più solenne e magniloquente. 
 




4. Gospel - The Moon is a Dead World (2005)
Lo status da culto ristretto di cui hanno goduto i Gospel non ha impedito a quella che per molti anni è stata la loro unica testimonianza discografica - The Moon is a Dead World - di acquisire con il tempo un'aura mitologica. Nati dalle ceneri del gruppo screamo Helen of Troy, i Gospel mantennero la traiettoria di questo sottogenere dell’emo che ne esasperava la parte caotica e sperimentale soprattutto dal punto di vista vocale, adottando costantemente un registro scream. Dall’altra parte i Gospel operarono un salto rilevante sul versante strumentale spostando la veemenza del post hardcore verso le complesse coordinate del progressive rock, lasciando una traccia importante per aver apportato nuovi parametri al genere. Come già sperimentato dai The Mars Volta, i Gospel si erano impegnati a rendere cerebrale il punk hardcore, ma con caratteristiche ancora più accese ed estreme. I synth, l’organo e le tastiere di Jon Pastir, fusi assieme alla chitarra di Adam Dooling e con la sezione ritmica guidata dalla batteria indomabile di Vincent Roseboom e dal basso massiccio di Sean Miller, formavano un requiem sinfonico incessante, contrappuntato dalla vocalità screamo di Dooling, per arrivare ad un punto di saturazione di ogni aspetto. 





5. The Dear Hunter - Act II: The Meaning of, and All Things Regarding Ms. Leading (2007)
Come per i Coheed & Cambria i The Dear Hunter vengono generalmente associati all'emo soprattutto in virtù dei loro primi due album. Il leader Casey Crescenzo se ne allontanerà progressivamente per abbracciare un prog più barocco e teatrale, ma agli albori dei The Dear Hunter era ancora fresco di fuoriuscita dai The Receiving End of Sirens, motivo per cui Act I e II beneficiano ancora di quell'influenza. Questo album in particolare è un magnum opus di 77 minuti che spazia tra il prog hardcore dei The Mars Volta al musical da operetta dei Queen, dal rock orchestrale al pop di Tin Pan Alley e che tramuta una molteplice parata di generi tra soul, blues, americana, rock opera e le trasfigura in chiave prog rock. E proprio in continuità con questo genere ne rispecchia una visione grandiosa e imponente, generando uno dei concept album più incisivi del prog moderno. 






6. The Brave Litlle Abacus - Masked Dancers: Concern in So Many Things You Forget Where You Are (2009)
I The Brave Litlle Abacus, dopo gli American Football e Sunny Day Real Estate, sono forse i più influenti e citati alfieri dell'emo, avendo anticipato quasi involontariamente tutte le caratteristiche che hanno preso forma e abitudine nel genere dopo la quarta onda emo. Come gli American Football anche il loro catalogo è stato scoperto quando la band già non esisteva più e la sua importanza a livello ereditario non ha fatto che crescere nel tempo per ciò che riguarda l'importanza della sperimentazione. E' incredibile notare come nei Brave Little Abacus si possano rintracciare già tutti i prodromi musicali ricorrenti nel post emo in forma primordiale: il ricorso al lo-fi del bedroom pop e al chiptune contrapposti a strutture complesse con richiami math rock, l’uso distintivo di una strumentazione allargata con piano, fiati e percussioni programmate che concorrono ad architettare un hardcore barocco. Per i Brave Little Abacus l’esplorazione di nuove possibilità non si esauriva solo all’uso di strumenti eterogenei, ma anche nel dilatare i tempi di un brano in modo da accrescere il pathos delle variazioni offerte e così facendo anche del crescendo emotivo, come nell’avvio di I See It Too con quel suo indolente e reiterato riff iniziale. La musica cambia traghettata da un singolo accordo ad arpeggi con shredding e tapping alla chitarra acustica, da una sezione di fiati all’integrazione di tastiere atmosferiche. I The Brave Little Abacus non erano interessati all’edificazione in senso lato, ma piuttosto al continuo mutamento e con con i dieci minuti di Born Again So Many Times You Forget You Are si inventano la prima suite “midwest prog” della storia. Gli intricati arabeschi chitarristici e ritmici di Underground che rimettono continuamente in discussione lo svolgimento del pezzo in modo repentino e assolutamente disordinato fanno sembrare la band una versione avant-garde dell’emo, mentre gli oltre sette minuti di Untitled sembrano una mini odissea sonora per quel suo dischiudere una varietà di temi impressionante. Quando i brani si accorciano non sono da meno e il risultato finale è più vicino al prog sperimentale di quanto si pensi, ma purtroppo i The Brave Little Abacus erano troppo sconosciuti per attribuirgli l’invenzione di un nuovo sottogenere. 
   




7. The Felix Culpa - Sever Your Roots (2010)
Con Sever Your Roots i The Felix Culpa consegnano alla storia il capolavoro prog emocore definitivo, ignorato e dimenticato da tutti. Ogni cosa che lo riguarda assume i contorni di un'opera grandiosa, nella sua ora di durata le quattordici tracce che fanno parte del disco hanno modo di mettere in campo un ventaglio di espressioni che passano dalle dilatazioni del post rock, dalla convulsa articolazione del math rock fino alla quiete delle ballad struggenti. Il tutto viene condotto con improvvise svolte tematiche, leitmotiv che ritornano e si nascondono nel camaleontico scorrere da un brano all'altro con una consistenza sonora omogenea che non spezza mai la tensione. I The Felix Culpa conducono la dinamica dell'album come fosse un concept unitario, anche se a livello lirico si pone su interpretazioni aperte. Non è una rock opera punk ma ne ha alcune caratteristiche grazie all'aggiunta di piano e archi che ne arricchiscono la proporzione bombastica e quasi barocca. La tensione dinamica dei crescendo è condotta in modo magistrale, mentre l'aggressività non viene mai espressa in forma di rabbia cieca e veemente, ma si impone con visceralità, elementi che vanno a concorrere ad aumentare quel senso di experimental post hardcore da camera di un lavoro in cui l'emotività esecutiva è palpabile ad ogni secondo. 
 





8. Emery - You Were Never Alone (2015)
Nel caso degli Emery la tentazione di includere ...In Shallow Seas We Sail era forte, ma la scelta nel preferirgli You Were Never Alone è giustificata dal fatto che possiede dei tratti più accostabili a parametri prog. Questo la dice lunga sulla discografia degli Emery composta di album per lo più di  qualità eccellente. Nonostante ciò, difficilmente troverete il nome degli Emery citato in qualche lista emo o post hardcore, dato che lo stigma di "christian band" sembra avergli precluso qualsiasi considerazione da parte della critica. Raramente mi è capitato di scoprire un catalogo impeccabile come quello degli Emery e You Were Never Alone raggiunge forse l'apice della loro proposta. La tecnica di accostare le più limpide melodie emo pop con l'ausilio di ineccepibili armonie vocali e farle cozzare contro repentine svolte abrasive metalcore non ha eguali in altre band e in questo album il gruppo si concede il massimo della libertà e sperimentazione nell'oscillare tra i due umori in modo tecnicamente complesso ma accessibile. Thrash e la coda finale di What's Stopping You stanno lì a testimoniarlo dato che non potrebbero essere più estreme nella propria dicotomia. Mentre le vertiginose e imprevedibili progressioni di Salvatore Wryhta e Go Wrong Young Man rivaleggiano con la competenza dinamica ed esecutiva degli Ocenasize.





9. Adjy - The Idyll Opus (I-VI) (2021)
Gli Adjy mostrano il lato folk e chamber rock del midwest emo e The Idyll Opus (I-VI), al di là di essere un concept album in due parti, si sviluppa come un concerto per sei suite, con tanto di leitmotiv abbinati ai protagonisti della storia, nelle quali la band si destreggia come fosse un piccolo ensemble di musica neo folk americana con ampio uso di percussioni, fiati e banjo, eredi degli Anathallo quanto innovatori di un linguaggio progressive folk che parte dalle tradizioni musicali dei monti Appalachi, luoghi dove il disco è stato concepito. L'irruenza emo punk è presente nella gioiosità delle melodie che esplodono con gli stessi crescendo del post rock e le dilatazioni temporali dei brani ne cambiano di continuo la prospettiva durante il loro dipanarsi. Come gli Adjy attingono a piene mani dal folk, dal country, dal bluegrass, servendosi di quel genere musicale chiamato appunto “americana” per stigmatizzare stilemi che appartengono a quella tradizione, allo stesso modo li trasformano in qualcosa di trascendentale, trasfigurandoli attraverso la chiave moderna del chamber rock, delle dinamiche del midwest emo e della maestosità del progressive rock, in una tela intricata e ricca di timbri sonori.
   




10. The World Is a Beautiful Place & I Am No Longer Afraid to Die - Illusory Walls (2021)
Pionieri nel fondere le dinamiche dilatate del post rock con l'estetica math rock del midwest emo negli album Whenever, If Ever e Harmlessness, nel loro quarto lavoro Illusory Walls i TWIABP cercano di approdare ad un più alto livello sperimentazione e ambizione, bastassero come prova solo i lunghi trip stellari di Infinite Josh e Fewer Afraid per darne prova. Ma la band in più aggiunge una rilettura inedita dei tapping math rock nel momento in cui li accosta a sintetizzatori che creano spazi sonori che trasmettono inquietudine e a vortici metal oscuri e apocalittici.

 



11. Glass Beach - Plastic Death (2024)
Con il primo album nel 2019 i Glass Beach hanno creato un nuovo paradigma di emo quando, per la prima volta, si sono azzardati ad introdurre l'uso di accordi derivati dal jazz, assurde timbriche di tastiere a metà strada tra le colonne sonore per cartoni animati e il musical di Broadway, condite da un'estetica da bedroom pop figlia della comunità online, luogo virtuale dove la quinta onda ha proliferato. Plastic Death è ancora più complesso e ambizioso di The First Glass Beach Album. Quello della band è un gioco all’accumulo, stando però attenti a dosare bene gli ingredienti della musica moderna che si ciba principalmente di elettronica e avanguardia. E se in ambito rock questi due elementi si ricollegano quasi inevitabilmente ai Radiohead, complice la vocalità opaca e strascicata simile a Thom Yorke del leader J McClendon, i Glass Beach mantengono uno stralunato approccio per dare la sensazione di un costante senso di “weirdness” all’interno della musica, come una versione futurista del dadaismo patafisico dei Soft Machine di Volume 2. Questo lo si nota tanto nell’eccentrico patchwork di acquerelli swing pop di motions, guitar song, rare animal e cul-de-sac, quanto nei puzzle camaleontici e cervellotici di slip under the door, the CIA e commatose

 



12. Topiary Creatures - The Metaphysical Tech Support Hotline (2024)
Come si fa ad inventare un sound riconoscibile e peculiare nel 2024, quando tutte le strade musicali sembrano essere state battute? The Metaphysical Tech Support Hotline ci riesce partendo da un'idea massimalista del punk, basata sull'accumulo non solo architettonico ma anche stilistico. Il terzo album dei Topiary Creatures è una summa delle varie forme che ha assunto l'emo nelle sue cinque ondate ed in più le rilegge a proprio modo. Il prog è trasfigurato da synth ipercinetici che sembrano provenire da soundtracks per video games, la potenza del power pop si scontra con squarci metal e le ballate acustiche si fregiano di intarsi chitarristici math rock e midwest emo. La produzione viene ammantata da un'aura bedroom pop solo all'apparenza, dato che per contrasto l'accumulo di strumenti e sfumature timbriche suggerisce un lavoro di architettura sonora mastodontico. The Metaphysical Tech Support Hotline si espande in tante direzioni contemporaneamente ma non suona come niente là fuori, è davvero difficile trovare un termine di paragone. Una delle cose che non mi spiego è perché i Topiary Creatures, appartenendo a buon diritto alla quinta onda emo, non siano riusciti a beneficiare di quell'hype online che ha origine in siti come RateYourMusic o social come Discord e Reddit che da qualche anno si sono rivelati di grande aiuto per far emergere dall'anonimato i nomi di Parannoul e Glass Beach. Di sicuro sono il nome più rilevante che il genere ha da offrire ultimamente.

mercoledì 20 settembre 2023

The Dear Hunter - Act I Live + Migrant Returned


Nel 2021 i The Dear Hunter suonarono due speciali live stream video in studio reperibili esclusivamente tramite il loro canale Pillar, dove eseguirono per intero gli album Act I: The Lake South, the River North e Act II: The Meaning of, and All Things Regarding Ms. Leading. Adesso la versione audio di Act I è stata pubblicata sia in versione digitale che in vinile, in futuro c'era anche il progetto di realizzare Act II ma al momento non si hanno notizie ufficiali. Oltre a questo, mentre il gruppo continua a lavorare a Sunya (il seguito di Antimai), il 6 ottobre verrà pubblicata in doppio vinile un'edizione speciale dell'album Migrant per celebrarne il decimo anniversario. 

Per l'occasione Casey Crescenzo è tornato in studio con il produttore Mike Watts, remixato le tracce in modo da dare loro un maggior istinto rock e rimodellato anche la scaletta dei brani, aggiungendo alla tracklist le sei bonus tracks che all'epoca erano state lasciate fuori e raccolte come b-sides nel mini box The Migration AnnexMigrant Returned invece che da Bring You Down come l'originale, è aperto da An Escape, pubblicato come singolo.

 

venerdì 1 luglio 2022

The Dear Hunter - Antimai (2022)


Al momento in cui è stato pubblicato l'EP The Indigo Child, leggendo un po' in giro, mi sono accorto che non ha mancato di generare qualche perplessità, confondendo chi non fosse del tutto a conoscenza del nuovo concept dei The Dear Hunter, tra chi pensava che quella fosse la veste definitiva del nuovo corso e chi ancora sperava che si trattasse di qualcosa legato agli Acts. Tutto questo succedeva un po' a causa della effettiva scarsa copertura mediatica di cui godono i The Dear Hunter, un po' per il carattere schivo e laconico del frontman e mastermind della band Casey Crescenzo, non sempre incline a scendere nei dettagli delle sue storie o progetti, a meno che non gli venga chiesto esplicitamente. In questo caso, in occasione dell'uscita di Antimai, è stato molto disponibile in un'intervista che gli ho fatto e che verrà pubblicata nel numero di questo mese di Prog Italia.

Tornando a The Indigo Child alla fine si è capito che andava esclusivamente considerato in funzione di colonna sonora dell'omonimo cortometraggio i quali, insieme, vogliono essere un preludio al mondo in cui è ambientato il nuovo racconto dei The Dear Hunter. Quindi dimenticate la ricostruzione storica degli Acts a cavallo tra fine '800 e inizio '900 e preparatevi ad immergervi in tutt'altro contesto: un mondo fantascientifico e alieno chiamato Antimai. Un'altra cosa da specificare è che al momento è troppo presto per parlare di "storia" poiché l'album Antimai non si occupa di sviluppare una trama o presentarci dei personaggi, ma è un gigantesco "world building" introduttivo, che ci descrive i vari settori / compartimenti / distretti o più semplicemente "anelli" nei quali Antimai è suddiviso. Ognuna delle otto tracce dell'album è dedicata ad un anello e il suo compito è di descriverci: come è organizzato socialmente e culturalmente, il tipo di cittadini che lo abitano, il loro modo di vivere e soprattutto farci conoscere la funzione religiosa che assume il culto dell'Indigo Child. A giudicare dai sottotitoli delle canzoni e dalla loro posizione in ordine decrescente nella tracklist è ovvio che ci troviamo di fronte ad un mondo suddiviso con un criterio molto simile a quello delle caste, ma ciò che fa la differenza sono i testi immaginifici di Crescenzo, basati su un background che nella sua testa è già completo nel dettaglio e per questo ancor più meritevole di essere esplorato. 

La fantascienza per Crescenzo non è altro che un mezzo per una critica religiosa/sociale ambientata in un mondo futuristico e al tempo stesso grottesco, che quasi ambirebbe ad un connubio tra la bizzarra distopia di Brazil di Terry Gilliam e la saga epica Fondazione di Isaac Asimov. Naturalmente, proprio come accaduto per gli Acts, tutto ciò sarà sviscerato in più capitoli negli album successivi e, dato il carattere sci-fi del racconto, non si può non pensare ad un parallelismo con i Coheed & Cambria. Ma a questo punto arrivano le sorprese perché i The Dear Hunter si reinventano anche musicalmente, rimanendo di base prog, ma immergendo il genere in un contesto funk, R&B e fusion, dando un importante spazio alla sezione fiati (sassofoni e trombe) che è come fosse parte integrante della band. 

Non so se sapete, ma Crescenzo negli ultimi anni ha dichiarato spesso di essere influenzato dagli Electric Light Orchestra, esprimendo il suo apprezzamento per il modo di comporre di Jeff Lynne. Ecco, Antimai non assomiglia proprio alle cose degli ELO, ma è come se quel gusto melodico pop barocco di Lynne che gli ha permesso di scrivere pezzi intramontabili si fosse associato al trascinante rock da big band dei Chicago, riletto con un'attitudine prog espressamente americana. Ma se di base le premesse sono queste, l'album in realtà vive immerso in una moltitudine di colori e timbri sonori che vanno a rispecchiare la sua natura episodica, dando ad ogni brano la propria identità. Antimai è tutto quello che ci si potrebbe aspettare dai The Dear Hunter e anche di più, mostrando ancora una volta l’eclettismo del gruppo nella maestria dell'arrangiamento che usufruisce di una gamma strumentale così ampia e densa da renderlo un corollario di studio per composizione musicale. In tale prospettiva si ricollega leggermente al concept da "esplorazione di generi" che fu The Color Spectrum.

Ring 8 - Poverty inizia come una sinfonia moderna per percussioni assortite, fiati e cori, tutti elementi che ritroveremo durante il percorso declinati nella più vivace e creativa soluzione che vi possa venire in mente. Il dipanarsi della canzone è un susseguirsi di dolci melodie in una versione pop prog dei primi Utopia di Todd Rundgren, rivisitata però in chiave moderna e futurista. Un po' lo stesso trattamento riservato a Ring 7 - Industry, tra groove di bassi synth, bassi elettrici e ritmica da discomusic anni 70, che ne fanno il pezzo più accessibile e ballabile di tutto il disco. Ring 6 - LoTown è il primo brano ad assumere le sembianze di un struttura prog, fatta di crescendo e deviazioni strofiche che conducono comunque ad un chorus che si ripete e dove l'elettronica dei synth è più presente. Ring 5 - Middle Class ritorna su quel vezzo di Crescenzo di adattare stili popolari americani (in questo caso il tex mex) ad un'estetica prog satura di polifonie vocali e armonie solari. Ma nei suoi oltre otto minuti Ring 5 si trasforma e si modifica, attraversando parentesi space pop con intermezzi rhythm and blues e gospel, in pratica un tripudio di versatilità della quale i The Dear Hunter più di una volta hanno dato prova. 

Ring 4 - Patrol riprende la cellula tematica del breve strumentale Disruptor Shpere presente nell'EP The Indigo Child e ci tira fuori un funk a metà strada tra slapstick boogie e funk orchestrale. Ring 3 - Luxury è una mini suite che può essere suddivisa in due movimenti: la prima parte batte un territorio inconsueto per la band, presentandosi con un aggressivo e tribale spoken word che porta ad un chorus in piena modalità funk. Questa sezione si spegne lentamente e, come una cesura, la seconda parte ci introduce a percussioni caraibiche e un'atmosfera esotica e ballabile da sunshine pop anni 60, che a livello di approccio è la perfetta antitesi di quanto ascoltato prima. A parte il massiccio uso di fiati, del quale si è già accennato, altro elemento chiave del "nuovo" sound dei The Dear Hunter da segnalare sono le percussioni idiofone, come marimba e xilofono, che costellano tutto l'album, ma prendono un ruolo preponderante su Ring 2 - Nature la quale amplifica nel modo più gioioso e strumentalmente vivace gli elementi stilistici della seconda parte di Ring 3. Che dire infine di Ring 1 - Tower? Pezzo pazzesco nel quale il gruppo riversa tutta la propria competenza esecutiva e istinto musicale. L'impostazione è come un incrocio soul funk anni 70 condito con break di fiati mozzafiato, polifonie vocali, contrappunti prog e intermezzi space sinfonici. Alla fine non stupitevi per la brusca interruzione che conclude l'album perché è un trucco voluto che si collegherà direttamente al prossimo capitolo già in lavorazione e che forse uscirà il prossimo anno.

Avevo delle riserve su quello che sarebbe potuto essere Antimai, ma ancora una volta i The Dear Hunter hanno superato ampiamente le mie aspettative con un disco spettacolare sotto ogni aspetto. Penso che basti questo come sunto per descrivere il mio pensiero su Antimai, ci sono voluti sei anni per arrivarci ma alla fine l'attesa è stata ripagata.

lunedì 2 maggio 2022

The Receiving End Of Sirens e l'armonia delle sfere

Between The Heart And The Synapse

A distanza di quindici anni dalla loro dissoluzione e con soli due album in carriera prodotti tra il 2005 e il 2007, è quasi naturale essersi dimenticati dei The Receiving End Of Sirens. In realtà il gruppo non ha mai raggiunto un successo clamoroso durante la sua esistenza e neanche è stato soggetto di una doverosa riscoperta tra i tanti vari revival che costellano la nostra epoca. Il che non faccia pensare ad una mediocre proposta musicale, anzi tutt’altro: i The Receiving End Of Sirens sono stati fautori di una complessa e ambiziosa fusione prog hardcore che in un certo senso ha anticipato i tempi. E forse la causa della loro relativa scarsa fama va ricercata proprio in questo ibrido spinto ai massimi livelli e destinato a schiacciarli sotto il peso della loro intraprendenza. Troppo prog per attrarre i fan del post hardcore e poco emocore per fare tendenza. È anche vero che i due album in questione generarono una divisione netta tra i consensi, anche se quelli positivi superarono quelli negativi. 

Partendo dall’inizio della storia e facendo una breve introduzione, i The Receiving End Of Sirens si formarono a Boston nel 2003 con un nucleo originario che comprendeva Brendan Brown (basso, voce), Alex Bars (chitarra, voce), Nate Patterson (chitarra, tastiere) e Andrew Cook (batteria), riuscendo a registrare alcuni demo. Nel 2004 si aggiunse alla formazione Casey Crescenzo (chitarra, tastiere, voce) con il quale registrarono nello stesso anno il primo omonimo EP, seguito dal primo full length Between The Heart And The Synapse, pubblicato il 26 aprile 2005. Quest’ultimo eleva con effetto immediato i The Receiving End Of Sirens a nuovi pionieri del prog hardcore. Sia i temi trattati che le musica proposta appaiono frutto di un lavoro ricercato e fuori dai soliti schemi del genere, privilegiando la sperimentazione multitematica piuttosto che la melodia pop punk di facile presa. I brani, compreso il singolo Planning a Prison Break, si dipanano a più riprese con variazioni e cambi che molto spesso guidano a continue reinvenzioni della trama. Il tessuto sonoro è ricco ed eterogeneo, mescolando spore di elettronica e beat programmati a riff da arena rock e fraseggi math rock. A tutto questo imponente impianto si somma un cantato a tre voci che può oscillare tra la polifonia o l’uso della chiamata/risposta, che aumenta in modo esponenziale l’accavallarsi delle parti.

Proprio questo flusso di idee in continuo mutamento non rende facile l’assimilazione dei 70 minuti dell’album che, se preso nella sua totalità, somiglia a un tour de force di experimental post hardcore, sottogenere del quale Between The Heart And The Synapse è sicuramente uno dei primi esempi. Se non ascoltato con la giusta attenzione, può rivelarsi dispersivo e caotico, e questa sua costante elusività nel rincorrere a parametri prog e free form all’epoca ha probabilmente ha complicato il rapporto col pubblico emo/hardcore. Ovviamente non mancano i chorus epici e risplendono quasi in ogni brano, da This Armistice a The War of All Against All, da The Evidence a Venona, ma sono incastonati in una materia così instabile e complessa da essere inghiottiti dalla grandiosità del tutto. I testi dell’album non sono da meno, con il ritratto di William Shakespeare a fare da nume tutelare in copertina, si spazia da allitterazioni, metafore, giochi di parole, Romeo e Giuletta, per una caccia al tesoro sui significati nascosti che possono ricondurre ad una storia unitaria dalle molteplici interpretazioni.

Dopo questo album Crescenzo fu licenziato dalla band in maniera abbastanza brusca e gelida. Ma lui stesso ammetterà in seguito di aver avuto una certa responsabilità sulla scelta e le cause. In pratica alla conclusione del tour di supporto all’album nel 2006, Crescenzo si ritrovò in un forte periodo di stress che aveva minato la sua salute e il suo stato mentale, allontanandolo dal resto del gruppo, in alcuni casi anche in modo conflittuale. Quindi la decisione da parte dei suoi compagni di rimuoverlo dalla line-up fu inevitabile e il suo posto venne preso da Brian Southall.


The Earth Sings Mi Fa Mi

Il secondo album The Earth Sings Mi Fa Mi, pubblicato il 7 agosto 2007, se possibile era ancora più ambizioso e non accettava compromessi nel rafforzare la componente prog e sperimentale, un fattore indirizzato soprattutto alla ricerca di un “wall of sound” ibrido che potesse contenere elementi di alternative rock così come quelli di elettronica e manipolazione sonora. Ovviamente tale scelta finì per rendere ancora più netta la linea di demarcazione tra detrattori ed estimatori. Anche il concept dell’album seguiva questa linea bipolare: partendo dalla teoria dell'astronomo Giovanni Keplero secondo la quale il moto dei pianeti intorno al Sole genera per ognuno di essi un’armonia specifica, il gruppo arriva a parlare della dissoluzione dei rapporti personali e famigliari. 

Catturati tra lo spazio e la Terra i The Receiving End Of Sirens ritornano di nuovo all’elusività dell’esordio, ma questa volta lo fanno con un lavoro più cervellotico, elaborato e sofisticato. Swallow People Whole è proprio un brano atipico per il genere, con bordoni elettronici di basso, ritmiche programmate pulsanti e tappeti di tastiere che fanno da preambolo ad un crescendo insinuante che rimane sempre sullo sfondo non esplodendo mai veramente. Con Disappear (Oubliette) e Smoke and Mirrors si ritorna brevemente sui binari post hardcore, ma The Crop and the Pest pone con grande lucidità tutte le potenzialità di questo nuovo ibrido di emo psichedelico scontrando synth e chitarre. The Salesman, The Husband, The Lover porta a compimento il modello di tale direzione in una serie di chorus ricorrenti sempre più ricchi (si sentono anche gli archi), intermezzi e breakdown, che testimoniano l’espansione strumentale. A tal proposito si nota come l’uso delle tre voci, di nuovo presente come tratto distintivo del gruppo, questa volta venga posto leggermente più basso nel mix, come offuscato e avvolto dall’ingente impasto degli strumenti.

A Realization of the Ear, che riprende e riporta in primo piano gli elementi di elettronica dell'introduttiva Swallow People Whole, è come se aprisse una seconda parte, seguita anche qui dalla vitale melodrammaticità post hardcore di Saturnus. Wanderers, con un attacco tribale nel quale si celano certe sfumature sonore che ricordano i Pink Floyd, va a consolidare quel tratto psichedelico tanto in sintonia con il cosmo, quasi a vagheggiare il lato space rock dei Cave In. D’altra parte Brown stesso aveva dichiarato all’epoca: “L'idea era che le canzoni fossero già là fuori nello spazio; era solo il nostro lavoro mettere insieme i pezzi”, forse parafrasando il concetto di Michelangelo nel rapporto tra scultura e marmo.

Alla fine le due anime che hanno pervaso tutto l’album si ritrovano nella lunga coda finale rappresentata da The Heir Of Empty Breath e Pale Blue Dot, a coronamento di un magnum opus nuovamente divisivo. Se Between The Heart And The Synapse aveva le potenzialità per spaccare in due il pubblico, di sicuro The Earth Sings Mi Fa Mi le ha amplificate e portate ad un nuovo livello. Un’opera ancora più ostica e personale nelle sue idiosincrasie e molto più difficile fare propria rispetto al predecessore. Fatto sta che The Earth Sings Mi Fa Mi rimane un esperimento unico nel suo genere, adattando elementi esteticamente distanti come elettronica, beat programmati e strutture prog ai voleri dell’emocore. 

Di lì a poco, nel marzo 2008, i The Receiving End Of Sirens si sciolgono, salvo poi riunirsi tra il 2010 e il 2012 solo per qualche concerto, ma senza produrre nuovo materiale. Il caso ha poi voluto che nel 2020 avessero annunciato un reunion tour con tutti i membri originali (anche Crescenzo), però il Covid si è messo di mezzo ed è tutto sfumato nel nulla. Per chi volesse approfondire, qualche anno fa è stato reso disponibile dalla loro etichetta Triple Crown Records un documentario dal titolo The Lost Tape.


sabato 19 marzo 2022

The Dear Hunter - Act I & Act II livestream

In attesa del nuovo imminente album Antimai come può passare il tempo un fan dei The Dear Hunter? Se non bastasse il riascolto compulsivo dei loro album, si possono gustare i due incredibili concerti che il gruppo realizzò esattamente un anno fa, in esclusiva per i loro abbonati al canale Pillar.

Impossibilitati a suonare dal vivo per via della pandemia, come molti altri colleghi, i The Dear Hunter organizzarono due speciali live stream in studio, dove eseguirono per intero ed in modo impeccabile gli album Act I: The Lake South, the River North e Act II: The Meaning of, and All Things Regarding Ms. Leading.

venerdì 22 ottobre 2021

The Dear Hunter - The Indigo Child (2021)


Da quel poco che ho letto in giro, anche tra i più appassionati sostenitori dei The Dear Hunter, regna una gran confusione di notizie riguardo al nuovo progetto appena iniziato da Casey Crescenzo e soci. Va comunque detto che una parte di ciò va imputata alla band, decidendo di mantenere un discreto riserbo sul progetto, prima della sua realizzazione. Quindi, prima di tutto, vediamo di mettere ordine al caos che da oggi, forse, con l'uscita di questo EP verrà chiarificato. The Indigo Child è l'introduzione al nuovo universo creato dalla mente di Crescenzo, un racconto fantascientifico che proseguirà per molti album a venire, sulla scia di quanto fatto dai Coheed and Cambria con la saga The Amory Wars e dagli stessi The Dear Hunter con gli Acts.

Le ambizioni di Casey Crescenzo, dopo l'accantonamento del progetto per Act VI, hanno trovato una via multimediale al fine di introdurci nella storia in modo multimediale, attraverso il cortometraggio The Indigo Child: Prologue: Cycle 8 e la sua relativa colonna sonora. Proprio così, il presente EP rappresenta solo un "prologo" a ciò che dovrà arrivare (il primo album della serie dal titolo Antimai è previsto per la prossima primavera) ed è infatti costituito per lo più da tracce strumentali che fanno da commento sonoro al cortometraggio e sono presenti solo due canzoni nel classico senso del termine (una delle quali cantata addirittura dalla compagna di Crescenzo).

Come già accennato in passato The Indigo Child rappresenta anche una nuova veste musicale per il gruppo, che sarà indirizzato su funk, RnB e sonorità anni '80 ed in questa piccola finestra che si è aperta ne appare solo un aspetto ancora in embrione. Gli strumentali sono pesantemente virati verso un sound design futuristico con ampio uso di synth e devono essere considerati in stretta relazione al materiale visivo che vanno a commentare, piuttosto che come strumentali la cui estetica si lega in modo imprescindibile al repertorio dei The Dear Hunter. Anche se rimangono un esperimento interessante, naturalmente l'attenzione è rivolta alle due title-track, anch'esse ammantate da suoni sintetici e che, per questo ed altro, riprendono la visione prog rock dei The Dear Hunter da un nuovo punto di vista. 

Dato che The Indigo Child è stato presentato come un progetto musicale al quale collaborano tutti i membri attivamente (la storia comunque rimane del solo Crescenzo), è legittimo pensare che la prima delle due tracce sia influenzata dallo stile electro-funk-prog di Gavin Castleton, che inoltre è anche l'ultimo/unico brano che lo vede coinvolto in quanto il tastierista purtroppo ha lasciato il gruppo lo scorso giugno. La seconda è in sostanza una lenta ballad che richiama le vecchie canzoni swing anni '60 in bilico tra pop hollywoodiano e sonorità armoniche West Coast. Quindi in pratica chi si aspettava un intero album di nuove canzoni rimarrà deluso...oppure no. Per avere un giudizio vero e proprio sull'aspetto stilistico che vestiranno i The Dear Hunter dovremo aspettare ancora qualche mese e intanto goderci il primo assaggio.

mercoledì 13 ottobre 2021

The Dear Hunter: l'arrivo di The Indigo Child


Abituati alla cadenza quasi annuale di pubblicazioni a nome The Dear Hunter è strano pensare che ormai sono passati quattro anni dall'ultimo sussulto dicografico della band di Casey Crescenzo. Ma oggi, alla luce del trailer che presenta il nuovo progetto del gruppo, possiamo intuire perché sia passato così tanto tempo. 

Per chi segue in modo attento i progressi dei lavori di Crescenzo e soci, il titolo The Indigo Child è ormai un elemento noto. In pratica si tratta del nuovo ciclo di concept album che si aprirà nella narrazione a grande respiro a cui ci ha abituato il musicista. Quindi si è chiuso il capitolo degli Acts con un punto interrogativo sulla possibile realizzazione della sesta parte, accantonata per il momento a causa di mancanza di fondi (Crescenzo non ha mai svelato precisamente il progetto multimediale a cui ambisce), e ora si apre una nuova epopea che cambia completamente scenario e contesto di racconto. La storia infatti si svolge in un'ambientazione fantascientifica e ovviamente proseguirà su più album, come è stato per gli Acts e avvicinandosi così facendo ai territori sci-fi dei Coheed and Cambria.

Innanzitutto Crescenzo sembra aver riversato le sue ambizioni, messe da parte per Act VI, su questa nuova opera, che sarà anticipata dal cortometraggio The Indigo Child: Prologue: Cycle 8, il quale verrà trasmesso in streaming il 22 ottobre sulla piattaforma DUST. Già dal trailer si può rimanere stupiti per la cura nei dettagli che è stata investita in tale progetto, ma si dovrà attendere il 22 per sapere se, oltre a questo, verrà svelato il primo singolo o qualche dettaglio in più riguardo all'album. Dal punto di vista musicale l'unica cosa data per certa è il cambio di direzione stilistica che, a quanto pare, virerà verso un pop funk psichedelico o, come qualcuno ha già detto, "space funk".

sabato 15 agosto 2020

Honorary Astronaut - EP001 (2020)


Dopo due album da solista in stile sinfonico, la mente dei The Dear Hunter Casey Crescenzo, si è inventato un altro progetto da portare avanti in solitaria e lo ha battezzato Honorary Astronaut. Questa volta Crescenzo abbandona l'orchestra e ritorna su binari prettamente alternative rock. Il primo singolo, tratto da un EP di cinque tracce che uscirà ad ottobre, prende il titolo di Final Dream Machine e stilisticamente sembra molto più disimpegnato rispetto ai The Dear Hunter. Riguardo a questi ultimi le news riportano che il gruppo sta ultimando la produzione del primo album che aprirà una nuova saga dal titolo The Indigo Child.

Ecco quanto ha da dire Crescenzo sul progetto Honorary Astronaut:

"Hi everyone. I made a thing that isn't The Dear Hunter. Don't fret, though. I can explain. While I have been diligently at work on the newest TDH project(s), it became clear earlier this year that we would need to rethink the schedule we had in place. While this offered additional time to craft and nurture these projects, it also meant more time to spend within a holding pattern, surrounded by unfinished art. This feeling is difficult for me to cope with, as I had grown accustomed to the consistency of releasing new music every 1-2 years. The gestation period for this current project was already uncharacteristically long, due to a number of reasons, but the addition of this indeterminate state off suspended animation wore on me, and I felt a stir-craziness that could only really be satiated by seeing something, no matter how small, through from inception to completion. Enter Honorary Astronaut. At first, I planned to unearth and rerecord a few previously unheard demos, but as I transitioned into studio mode, and found myself spending the bulk of my days on this music, I leaned towards making something new. The result is a 5 song ep, written (with the exception of one track from some years ago) and recorded in late spring. I don't know that it would do me good to try and describe it. Not for the sake of it being indescribable, but because- what would the point be? I can just show you. Today, I am sharing the song "Final Dream Machine" with you, via a lyric video created in collaboration with Erez Bader. We hope you enjoy it."

https://www.caveandcanarygoods.com/collections/honoraryastronaut

 
 

 

sabato 25 aprile 2020

Gavin Castleton - Here You Go. (2020)


Nel panorama indipendente americano Gavin Castleton è una delle figure più eclettiche e imprevedibili, artisticamente parlando, ma anche un nome noto a pochi. Ma visto il suo curriculum non potrebbe essere altrimenti, provenendo da una band come i Gruvis Malt (dei quali mi sono di recente occupato) che ha fatto della fusione di generi un manifesto programmatico. Castleton si è poi infilato in una prolifica carriera solista altrettanto frammentaria, incurante di qualsiasi logica di mercato, piena di EP e album che affrontano i più spregiudicati accostamenti di genere, dall'hip hop al rock, dal folk alla rock opera (e qui mi riferisco in particolare a quel capolavoro sottovalutato che è Home di cui ho parlato qui).

Castleton ha poi collaborato come musicista dal vivo con i Rare Futures e i The Dear Hunter fino a diventarne un membro effettivo. Era quasi scontato quindi che su Here You Go. comparisse come ospite Casey Crescenzo alla chitarra elettrica ed acustica nei brani Adaptation, Modeling e Acceptance. Here You Go. è il nuovo capitolo della discografia di Castelton, un lavoro nel quale viste le scelte minimali del passato, si è speso molto in termini di produzione e composizione, ritornando dopo molto tempo su canoni meno inclini all'hip hop e alla sperimentazione elettronica, mettendo in piena luce le sue doti di cantautore art rock, abilità che aveva già mostrato su Home e che qui ritrova la propria vena creativa in forma smagliante.

Castleton si muove in territori da cantautore come accennato, ma trattandosi della sua persona naturalmente non c'è nulla di scontato. Canzoni come Adaptation e Courage assomigliano a delle brevi suite per quel gusto dell'imprevedibile direzione che prenderanno i loro sviluppi, sempre tenendo come punto fermo la tradizione pop orchestrale e folk americana. Compersion è un perfetto bilanciamento di tali elementi con le sue intro e coda sinfoniche che lasciano spazio tra i propri confini ad un cadenzato ed elettronico RnB. Nell'art pop infuso di piano di Castleton si ritrovano molti indizi di black music, come lo stesso autore non ha mai nascosto nella sua carriera, naturalmente riproposti in modo del tutto personale, come nello stomp elettronico in odore di gospel Privacy o nel mini musical che chiude il disco Acceptance.

Dal punto di vista lirico e atmosferico l'intimità e il sentimento sono gli argomenti che prendono il sopravvento anche nella musica, raggiungendo l'apice interpretativo su Modeling, un brano dove non è difficile empatizzare con lui da quanto riesce a trasmettere emozioni nel crescendo del suo percorso. Castleton sembra come voler aprire il suo cuore all'ascoltatore, soprattutto quando si spoglia di tutti gli strumenti e si confronta solo con il suo piano in Foundation, Dipping e Timing. Con Here You Go. Castleton dà prova di nuovo di appartenere a quella schiera di autori talentuosi che il mondo della musica ignora bellamente, mentre lui intanto, incurante, continua a sfornare questi piccoli grandi gioielli.


mercoledì 25 marzo 2020

I Gruvis Malt 15 anni dopo: la miglior band che non avete mai ascoltato


La prima volta che ho sentito nominare il nome dei Gruvis Malt è stato da parte di Tom Monda, chitarra dei Thank You Scientist, il che una volta ascoltati il riferimento mi è risultato piuttosto pertinente. Sì, perché nei Gruvis Malt si ritrova la stessa trasversalità di generi che attraversa la musica dei Thank You Scientist. Purtroppo i Gruvis Malt, pur essendo una band dalle notevoli capacità, non è riuscita mai ad arrivare molto lontano dai confini statunitensi per popolarità, anzi diciamo pure dai confini dello stato del Rhode Island e territori limitrofi, la zona dove il gruppo prese forma a partire dal 1995.

La formazione comprendeva fin dall'inizio Gavin Castleton (voce, tastiere e attualmente membro dei The Dear Hunter) e Brendan Bell (voce, percussioni) che insieme ad altri musicisti iniziarono la band durante il periodo delle scuole superiori, per arrivare alla line-up con Erik Nilsson (sassofono), Scott McPhail (batteria), Justin Abene (basso) e Steve Geuting (chitarra), diventando un vero e proprio culto in quegli anni come competenti musicisti di avanguardia jazz. Il gruppo espanse i propri orizzonti musicali includendo funk, hip hop, rap ed in seguito anche progressive rock. Con gli EP Breakfast All Day, Fetus e quella che viene considerata una compilation del primo periodo Cromagnetic (1998), i Gruvis Malt sperimentano i primi demo e registrazioni ancora non proprio professionali.

Il vero album d'esordio viene considerato dal gruppo Sound Soldiers (1999), in parte registrato dal vivo, che è un concentrato di musica funky e hip hop con progressioni jazz nella miglior tradizione black, come una combinazione di jam band che suonano con la stessa emotività e competenza di Spin Doctors e Prince. L'ampio spettro strumentale è completato da una sezione di fiati - che al sax di Nilsson affianca il trombone di Ethan Ruzzano e la tromba di Eric Bloom - ed anche il DJ Mr. Rourke chiamato ad occuparsi di "suonare" i piatti del giradischi, per aggiungere quel tocco di crossover alla Incubus.



Ed è proprio il DJ Chris Kilmore degli Incubus ad essere ospitato in due brani del secondo album ...With the Spirit of a Traffic Jam... (2002). Da qui iniziano veramente ad affiorare in modo preponderante vibrazioni prog, certificando il termine "futurerock" coniato dagli stessi Gruvis Malt per descrivere il loro eclettico metodo di scrittura. Come appare fin dall'introduttiva Malaise le trame strutturali si infittiscono, il piano di Castlelton si cimenta più spesso in rapsodie e fughe progressive, la sezione ritmica si adopera per aumentare le difficoltà temporali, mentre le colorature policromatiche di chitarra, fiati e archi si pongono in una terra di mezzo tra armonia e dissonanza, regalando anche momenti di pura avanguardia praticamente assenti da Sound Soldiers.



Se c'è un punto della discografia dei Gruvis Malt da dove iniziare quello è sicuramente Simon. Capolavoro senza compromessi o mezzi termini, l'abum è la quadratura del cerchio che finalmente assume una forma compatta nel diluire un solido amalgama di progressive rock, jazz, funk e hip hop. Nel senso che adesso gli strumenti come sax e tastiere non si limitano a sostenere groove funk e R&B, ma si innestano nel contrappunto rock del tessuto sonoro. Quelle di Simon sono canzoni rock dove il gruppo aumenta in modo esponenziale i trucchi strumentali e la difficoltà di percorso.



Nonostante degli intensi tour per promuovere gli album i Gruvis Malt abbandonarono l'attività live nel 2004 e si dedicarono solo alla registrazione del loro ultimo lavoro in studio che fu Maximum Unicorn (2005), considerato dai fan il disco definitivo dei Gruvis Malt, che si andava ad aggiungere ad una discografia assolutamente eterogenea. Maximum Unicorn rappresenta il lato sperimentale di Simon, quello meno accessibile e più avant-garde. Nel concludere la loro storia i Gruvis Malt producono l'album più estremo di cui sono capaci, non che non siano usciti altre volte dalla loro comfort zone, ma Maximum Unicorn è un epitaffio di una potenza unica. Dei sei elementi che componevano i Gruvis Malt, Castleton, Brendan Bell e Justin Abene andarono a formare un'altra band ancora più assurda di nome Ebu Gogo.



giovedì 5 marzo 2020

Casey Crescenzo & Brian Adam McCune - The Fox and The Hunt (2020)


L'interesse per il volto classico e orchestrale mostrato su Amour and Attrition continua ad affascinare Casey Crescenzo il quale, nel recente box set dedicato alle ristampe in vinile dei cinque album (Act I-V) dei The Dear Hunter, ha aggiunto in esclusiva uno speciale volume in doppio LP di 57 minuti dal titolo The Fox and The Hunt, oltre che una custodia vuota con tanto di artwork per l'eventuale aggiunta del vinile di Act VI.

The Fox and The Hunt è adesso disponibile presso i maggiori canali streaming, ma non va cercato sotto il nome dei The Dear Hunter, ma bensì sotto quello di Casey Crescenzo, dato che il frontman lo ha realizzato in collaborazione con il conduttore e arrangiatore Brian Adam McCune e la Awesöme Orchestra, presente anche su Act IV e Act V, proponendo delle versioni rivisitate in chiave orchestrale dei temi principali degli Acts (in partica come della "arie") e altri inediti.

domenica 11 agosto 2019

Gavin Castleton - Home (2009)


Gavin Castleton è un nome che è sempre ruotato vicino alla scena del prog hardcore e Home, pubblicato dieci anni fa, è probabilmente il suo album più maturo e completo. Attivo come solista per molti anni, Castleton ha collaborato con i Rare Futures, suonando al loro fianco più di una volta, ed è di recente entrato ufficialmente nella formazione dei The Dear Hunter come tastierista, ma le sue capacità eclettiche di autore e performer erano già state ampiamente dimostrate nei Gruvis Malt, prima band in cui ha militato e della quale è stato tra i fondatori. Attivi dal 1995 al 2005, i Gruvis Malt furono un leggendario culto nei territori del Rhode Island e limitrofi, giovani talentuosi strumentisti pionieri di un sound che fondeva jazz, hip hop, prog, math rock e funk. Ed è proprio questo curriculum che alla fine mi ha convinto a scoprire Home, album che conoscevo per fama ma al quale finora non avevo dato interesse.

Partiamo con il dire che Home è un concept album, o meglio una rock opera sui generis che lo stesso Castleton ha ribattezzato "popera". La trama stessa è alquanto singolare, Castleton prende ispirazione dalla sua vita personale e racconta la fine della propria relazione con la fidanzata, ma decide di metterla in scena sullo sfondo di un'apocalisse zombie. La storia è narrata in prima persona mentre Castleton condivide, in più di un brano, le parti vocali con la bravissima Lauren Coleman che intepreta il ruolo della ex fidanzata, i cui interventi e duetti sono un valore aggiunto all'opera. Idea che mette in una prospettiva originale tutto il racconto. Castleton, oltre che capace musicista si rivela paroliere acuto e di spiccata sensibilità ed è ovvio che, proprio per la natura narrativa dell'opera, i testi svolgono un ruolo chiave al suo interno al pari della musica.

Si crea così un brillante mix che la maestria di Castleton come arrangiatore e strumentista permette di rileggere la materia da rock opera, facendola passare attraverso un trattamento inusuale per un musical. La capacità straordinaria di Castleton risiede nel riuscire a far fluire non solo mutamenti tematici, ma anche stilistici all'interno del medesimo brano. E' vero, si percepisce sottotraccia un che di teatrale che gli interventi orchestrali e gli ammiccamenti al pop del passato si assicurano di tramandare, tipo le modulazioni su Bugguts e il rock doo-wop di Coffeelocks, ma non c'è nulla che possa risultare immediato o cantabile. Il focus a cui punta Home non è l'immediatezza, la sua eccellenza è indirizzata sulla performance, sulla finezza degli arrangiamenti molto ricercati e complessi esecutivamente. Piccole finezze come il breakbeat motore ritmico di Warpaint, o l'andatura instabile nel sinuoso soul Sugar on the Sheets, sono solo la punta dell'iceberg di idee disseminate musicalmente su più livelli.

Sulla scia di Razia's Shadow dei Forgive Durden, se ne ricava un art pop (o prog pop) dove nulla è come appare, ad esempio The Human Torch non ha un refrain conforme alla ballata malinconica che incarna, ma decide piuttosto di allargare a tutto il brano il senso di compiutezza. Anche l'r&b di Unparallel Rabbits e Layers o il disco funk alla Prince di Stampete non corrispondono all'idea convenzionale di "genere" dove il chorus è il perno attorno al quale si muove tutto il brano. L'intensità viene dettata dallo sviluppo e dall'impianto strumentale all'interno della panoramica totale che abbraccia l'intera sua durata. Per questo un ascolto con le cuffie è consigliato, per approfondire le sfumature che possono sfuggire. Il fatto che ancora, dopo dieci anni, questa piccola gemma che è Home non abbia ricevuto un degno riconoscimento la dice lunga su quanto Castleton abbia preferito privilegiare la sostanza dell'arte piuttosto che la sua forma più ovvia.


martedì 19 marzo 2019

The Dear Hunter - il punto della situazione su Act VI


Dopo un periodo di relativo silenzio Casey Crescenzo qualche giorno fa, nel giro di poche ore, è tornato a parlare dell'attività dei The Dear Hunter e ha condiviso un paio di annunci che hanno aggiornato lo stato dei lavori per quanto riguarda la saga The Acts, il progetto principale dei The Dear Hunter al quale manca ancora il capitolo conclusivo e che si è protratto per cinque album a partire dal 2006. Il primo annuncio ha riguardato l'imminente pubblicazione di un box set solo in vinile contenente tutti e cinque gli album (Act I-V) con in più un doppio LP di 57 minuti dal titolo The Fox and The Hunt che propone delle versioni orchestrali dei temi principali degli Acts e altri inediti realizzato in collaborazione con il conduttore Brian Adam McCune e la Awesöme Orchestra.

In un secondo aggiornamento più approfondito Crescenzo appare in un video che inizia con lui mentre sta leggendo il finale in un voluminoso quaderno di quella che ha tutta l'aria di essere la sceneggiatura per un adattamento cinematografico degli Acts. Ad ogni modo ciò che lui ci dice è che all'interno del box set troveremo il titolo ufficiale di Act VI attraverso il quale i possessori potranno avere uno sconto per l'acquisto del supporto audio di Act VI se il progetto sarà mai realizzato. Perché qui sta il vero punto, SE: Crescenzo non ha intenzione di rivelare in che forma ha progettato di elaborare la conclusione della sua storia e il problema o l'ostacolo principale a questo punto è trovare i fondi necessari per produrre ciò che lui ha in mente, senza compromessi o "contentini", altrimenti non se ne farà nulla. Da questa premessa basilare si intende che Act VI potrebbe rimanere anche solo un sogno negli archivi di Crescenzo e non vedere mai la luce. Il box set rappresenta per ora il punto di una pausa indefinita che cala il sipario sugli Acts ed infatti Crescenzo ci informa inoltre che la band si sta dedicando già ad altri progetti futuri. 

Alcune mie speculazioni alla luce di questi indizi: dato che Crescenzo stesso ha ammesso che ha già una sceneggiatura completa pronta (che poi è quella che sta leggendo nel video) è probabile che Act VI sia un film che racchiude tutta la storia raccontata negli Acts, dal primo al quinto capitolo, e che il supporto acquistabile con uno sconto ai possessori del box set potrà essere la sua colonna sonora realizzata con musica totalmente nuova e magari in versione sinfonica, vista la passione e l'interesse per questo genere che Crescenzo ha mostrato ultimamente. Per ora sono solo ipotesi e forse lo resteranno per sempre.   The Flame is Gone, The Fire Remains.    


domenica 20 maggio 2018

Nuove uscite e anticipazioni


In questo fine settimana ci sono state alcune novità che sommerò in quest'unico post:

Mike Vennart ha da molto tempo annunciato il secondo album al quale, ancora una volta, prenderanno parte gli ex Oceansize Richard Ingram e Steve Durose. Ancora non c'è una data definitiva, ma nel frattempo è possibile ascoltare il nuovo singolo Donkey Kong.


 Tra i singoli che annunciano nuove eccitanti usciteci sono quelli di Skyharbor (il più volte annunciato Sunshine Dust è previsto per il 7 settembre) e di The Mercury Tree che si ripresentano con il pezzo Superposition of Silhouettes composto interamente in accordatura microtonale.





Forse sapete che i The Dear Hunter e i Between the Buried and Me hanno intrapreso insieme un tour statunitense. Le due band sono molto amiche e hanno deciso di celebrare la cosa con uno speciale 7" in edizione limitata dove ognuno coverizza un pezzo dell'altro: The Tank per i Between the Buried and Me e Rapid Calm per i The Dear Hunter.


Sempre in tema di singoli il trio giapponese di math pop Tricot ha appena pubblicato due nuovi brani inediti dal titolo postage e On the boom.



I Dream the Electric Sleep hanno invece recuperato un intero album inedito risalente al 2008 (quando la band era appena in embrione ed era solo un duo) dal titolo The Giants Newground. Questa uscita anticipa anche il nuovo lavoro previsto per il 2019 e prodotto nientemeno che da Michael Beinhorn.

venerdì 1 dicembre 2017

The Dear Hunter - All Is As All Should Be (2017)


La prolificità di Casey Crescenzo è veramente impressionante, soprattutto se si tiene conto della qualità delle sue uscite. L'improvviso annuncio, di punto in bianco, di una nuova produzione a firma The Dear Hunter è motivo di un'ulteriore sorpresa. Questa volta si tratta di un EP che spezza di nuovo la narrazione dell'epopea degli Act, come fece Migrant, spiazzando coloro (praticamente tutti credo) che si aspettavano una continuità con l'imminente conclusione del sesto capitolo del quale però è stato già annunciato che si tratterà di qualcosa di speciale, molto probabilmente di natura extra musicale. Nel comunicato che ha accompagnato All Is As All Should Be si scopre però qualcosa di altrettanto particolare e cioè che nella sua realizzazione sono stati coinvolti anche fan e amici della band, come una sorta di sessione di scrittura aperta ad una famiglia estesa. Per chi volesse saperne di più, la storia dietro le quinte della produzione è narrata qui, ma sinteticamente diciamo che i The Dear Hunter sono stati accolti durante il tour di Act V da sei persone differenti con le quali hanno realizzato altrettanti brani.

Lo stile della band rimane naturalmente intatto e invariato e la recensione di All Is As All Should Be potrebbe essere simile ad altre scritte in passato. Anche se qui non si parla della saga messa in piedi con gli Act (virtualmente conclusa), ma di una collezione di sei tracce dalla durata di meno di venticinque minuti, il risultato eccellente è più o meno il medesimo. Come una versione condensata di Migrant e The Color Spectrum, All Is As All Should Be fa in tempo ad esporre tutta la poetica e l'estetica musicale di Casey Crescenzo, ricordandoci quale sopraffino arrangiatore egli sia. In più, si diceva nonostante i collaboratori, si riconoscono i vari caratteri della sua scrittura che vanno dal folk al prog, dal musical al psichedelia pop degli anni ’60. Beyond the Pale e Shake Me (Awake), non a caso collegate tra loro, risplendono di una piena lucentezza acustica, orchestrale e polifonica, così come i primi due singoli Blame Paradise e The Right Wrong mostrano una carica che riporta agli episodi più marcatamente rock di Act IV e Act V. Witness Me è ancora più esplicita nel riassumere tali aspetti, accennando una natura da ballata acustica e poi aggiungendo una strumentazione più ampia che spazia dall'elettronica con accenni alla retrowave e ciò che sembra un omaggio al prog inglese nella coda finale. La perfetta conclusione della title-track, un requiem blues moderno, è il suggello ad un altro capitolo importante di questa band. Per evitare paragoni ingombranti che per qualcuno potrebbero risultare a sproposito, ribadiamolo chiaramente: Casey Crescanzo è l'autore più rilevante del prog contemporaneo e non chiamatelo "genio", ma "maestro".


 
http://thedearhunter.com/

giovedì 8 settembre 2016

The Dear Hunter - Act V: Hymns with the Devil in Confessional (2016)

 

A solo un anno di distanza da Act IV, Casey Crescenzo ha stupito tutti con l'annuncio, lo scorso giugno, dell'arrivo del quinto capitolo della sua saga. La ragione di tale rapidità consequenziale è presto detta, è stato infatti rivelato che i due Act IV e Act V sono stati registrati in contemporanea il che stupisce ancora di più se si pensa alla mole di lavoro convogliata in trenta brani per una durata complessiva di circa 145 minuti. Un fiume in piena d’ispirazione quindi. Il fatto poi che Crescenzo abbia dichiarato laconicamente che Act V sarà l'ultimo album “rock” della serie fa presumere che da parte sua ci sia stato il bisogno di concludere al più presto il lungo percorso degli "Acts" e dedicarsi a qualcosa di musicalmente differente. In fondo, l'impegno che si è assunto Crescenzo fin dall'inizio va avanti ormai, con qualche pausa, da dieci anni esatti e l'epilogo di Act VI (a questo punto più simile ad una postilla) si preannuncia una conclusione in grande stile. Nessuno sa ancora di cosa si tratta, ma sicuramente il progetto non si limiterà alla sfera musicale. Forse sarà un film che narrerà tutta la storia? O più probabilmente una completa graphic novel, di cui il primo atto è stato appena realizzato e associato al “mega bundle” del preordine di Act V (per chi lo avesse perso niente paura, sarà in vendita separatamente molto presto).

A livello narrativo avevamo lasciato il Ragazzo (The Boy) di ritorno dalla I Guerra Mondiale e, presentandosi con la nuova identità del suo fratellastro morto in battaglia, viene eletto sindaco nella città dalla quale in passato era scappato e ora divenuto una pedina nelle mani della sua nemesi, il pappone/prete (The Pimp/The Priest) che è l'unico a conoscenza del suo segreto, costringendolo con il ricatto a diventare suo socio in loschi affari. La trama che si sviluppa nell’ultimo capitolo è a dir poco avvincente, ricca di colpi di scena, metafore sul tradimento, il riscatto e la redenzione, lasciando spazio a interpretazioni personali, ed è forse la più complessa messa in scena congegnata finora da Crescenzo (senza stare a svelare il finale, troverete nel booklet anche una specie di parabola legata al brano The Most Cursed of Hands). Rimane da capire che cosa aggiungerà al racconto la postilla di Act VI, dato che Act V si conclude con le parole “A new beginning’s waiting patiently...”. Chi credeva che Act V sarebbe stato, in termini di stile, un album gemello di Act IV in parte rimarrà stupito poiché, proprio come la storia, la musica prende una piega ancor più articolata, esoterica e piena di toni chiaroscuri. Come per Act IV abbiamo di nuovo l’ausilio della Awesöme Orchestra che accompagna molti dei brani, immediatamente utilizzata al meglio nell’introduttiva Regress (che per il protagonista è presagio di ciò che lo aspetta). In più, Crescenzo si fa largo tra altre nuove commistioni stilistiche di raro gusto e da vero intenditore.

Il pensiero corre al Black EP di The Color Spectrum negli attacchi elettronici e sincopati di The Moon/Awake, un brano che si dipana in un vorticoso e imponente chorus orchestrale, un’idea di arrangiamento su grande scala che si approfondisce nello scorrere dell’album e nei segue (transizioni) che si frappongono tra un brano e l’altro, raggiungendo l’epitome sinfonica in Melpomene, come avveniva per Remebered contenuta su Act IV. Più volte ho rimarcato come la musica concepita da Crescenzo dovrebbe vivere anche di una dimensione visiva e sarebbe perfetta per un allestimento teatrale, trovando molti parallelismi con il mondo del cinema. Proseguendo, infatti, troviamo Cascade che si fregia di un soft jazz mutuato dalle colonne sonore di Riz Ortolani e dal chamber pop di Burt Bacharach, poi di seguito The Most Cursed of Hands/Who Am I, un hard country che sembra tirato fuori da un western moderno di Tarantino ed infine la più teatrale di tutte The Revival, un rockabilly da musical d’altri tempi. Alcune volte, in passato, Crescenzo ha utilizzato lo stratagemma di associare un tema ad un determinato personaggio e, ritrovandosi qui ad introdurne uno nuovo (il mellifluo Mr. Usher), ricorre parallelamente ad uno stile relativamente inedito per lui come lo swing jazz alla Tony Bennett su Mr.Usher (on His Own Way to Town). The Haves Have Naught ricorre addirittura, per la prima volta, ad un duetto per sottolineare il dialogo tra il Ragazzo (Crescenzo) e The Pimp/The Priest, interpretato per l'occasione dall’ospite Gavin Castleton. Mano a mano che il brano si dipana, il crescendo con l’alternarsi e il sovrapporsi delle parti vocali tra i due personaggi è semplicemente un capolavoro da lasciare senza fiato.

L’acustica Light, in coppia con la prima canzone ad essere resa nota, Gloria, rientrano in un canone più normalmente associato allo stile della band, ma infine si apre una discesa verso una spirale dark con il dittico The Flame (is Gone) e The Fire (Remains) che raccolgono l’eredita della multipartita Bitter Suite, rappresentandone quasi un rovescio speculare con tonalità minore e un forte senso di epica oppressione come nei momenti più bui di The Wall dei Pink Floyd. The March, come suggerisce il titolo, ha una ritmica spedita che musicalmente ricorda Smiling Swine (da Act II) il cui tema infatti riemerge brevemente tra le crepe orchestrali dopo un richiamo anche a The Old Haunt. Il clima elegiaco col quale si presenta Blood - organo da chiesa e ottoni - è strettamente collegato al melodrammatico finale con le riflessioni amare del protagonista destinato a raccogliere ciò che ha seminato. Il brano che chiude l’album in un sussurro ha il titolo emblematico e contrastante di A Beginning, un gemello meditabondo e più spirituale di Ouroboros, il pezzo che chiudeva Act IV. Entrambi fanno riferimento ad una negazione di una fine o di un inizio, proprio come il serpente che si morde la coda. Non c’è modo migliore per dichiarare che la storia è in sé conclusa, ma che sarà aperta ad un nuovo capitolo che la suggellerà per sempre. Sommando ogni tassello che compone questa pentalogia non riesco ad immaginare una band contemporanea che possa aver conseguito una tale vetta, neanche dopo anni di attività, e invece Casey Crescenzo ha scritto cinque capolavori di seguito appena all’inizio della sua carriera.

 Epilogo

I The Dear Hunter sono la prova vivente che il progressive rock non ha più senso di esistere se non nelle cerchie di retrogradi malinconici, o comunque è un termine che andrebbe abolito. Accanto ai Coheed and Cambria, si sono imbarcati nel concept più ambizioso del nuovo millennio nel corso del quale hanno sondato le possibilità più sfrenate di una musica ad ampio respiro che comprende al suo interno arrangiamenti sinfonici, orchestrali, jazz, baroque pop, musical e post hardcore. Una roba che a raccontarla farebbe andare in sollucchero il più duro e puro dei proggers, invece, nonostante ciò, i The Dear Hunter sono sempre stati ignorati, snobbati ed emarginati dalla comunità prog internazionale, attirando piuttosto l'attenzione della scena alternativa e indie americana. Dall’altra parte, se non scimmiotti gli anni '70 sei destinato all'oblio. Uno Steven Wilson da definire “genio" dà sempre più certezze che un Casey Crescenzo con le stesse, se non superiori, capacità. Una contraddizione che non lascia scampo all'appassionato medio di prog, relegandolo giustamente alla tanto demonizzata definizione di "dinosauro", al cui confronto i ragazzi che ascoltano alternative rock sono avanti anni luce.