In questi quattro anni intercorsi tra Grappling e If / When i The Tea Club sono riusciti a cambiare ancora una volta la line-up con l'ingresso di Joseph Dorsey alle tastiere e Daniel Monda (fratello di Tom dei Thank You Scientist) alla batteria. Rimangono costanti i fondatori e fratelli McGowan, Daniel e Patrick, e Jamie Wolff al basso. If / When, ci fanno sapere, è il prodotto diretto o inconsciamente indiretto dei molti cambiamenti ed eventi accaduti nelle loro vite personali, che siano stati tristi o felici. Naturalmente ciò ha portato ad un ennesimo cambiamento di rotta stilistico, riuscendo a conseguire, al quinto album in studio, il lodevole traguardo di non essersi mai ripetuti a livello musicale, pur rimanendo senza dubbio incasellati nella sfera del prog rock. Dirò di più, non ricordo un gruppo prog contemporaneo che sia riuscito ad esprimersi con un'estetica sonora così mutevole ad ogni lavoro.
If / When si può così riassumere in due parti. La prima mette virtualmente da parte i connotati prog più accentuati e procede verso scelte quasi cantautorali, instaurando fin da subito un'aria bucolica con la breve e placida introduzione di The Way You Call. Mentre il rock diretto e sanguigno di Say Yes interrompe di botto e temporanemante l'atmosfera della delicata prefazione, If I Mean When, Sinking Ship e Came at a Loss abbracciano di nuovo i territori da ballata acustica con tutti i connotati del caso, che spaziano verso inflessioni da West Coast alla Crosby, Stills & Nash, America e agli immancabili Beatles. L'unico pezzo che si distacca in modo sostanziale da questa prospettiva è Rivermen: un sinistro crescendo che sfocia in un ossessivo shoegaze di chitarre elettriche affilate e voci tormentate. Un buco nero in mezzo a tanta luce.
La seconda parte è invece occupata interamente da Creature, una suite che sfiora i ventotto minuti che i The Tea Club lasciano come ultima traccia quasi a suggello per riversare le reali velleità di questo album. Si passa quindi attraverso vari stadi e umori, fortunatamente senza farsi venire la voglia di pagare tributo ai vecchi classici e quello che stupisce di più sono gli intermezzi sperimentali di tastiere, a volte folli e frenetici a volte da tratti avant-garde. Nel prog le suite sono sempre servite agli autori per liberarsi delle inibizioni compositive e per testare ciò che un brano di durata contenuta non potrebbe darti la possibilità. Per i The Tea Club questo postulato sembra adattarsi più che mai poiché, nonostante nei loro album precedenti hanno ampiamente dimostrato di non aver paura di osare fuori dagli schemi del neoprog, Creature è di sicuro l'opera più ambiziosa testata dai fratelli McGowan. Solo per questo If / When vale l'ascolto.
Quando tre anni fa fu pubblicato Quickly Quickly Quickly, i The Tea Club si aspettavano di realizzare il suo seguito a breve, ma non avevano messo in conto che gli imprevedibili cambiamenti di line-up avrebbero posticipato i lavori così a lungo. Nel nuovo capitolo abbiamo quindi come sempre i fratelli Dan e Patrick Mcgowan a tenere salde le redini dei The Tea Club, ma attorno a loro sono arrivati tre nuovi musicisti per dare vita al quarto album Grappling. Forse, il fatto che i tempi si siano dilatati non è stato un male per i The Tea Club, permettendogli di pubblicare l'album più complesso e ponderato della loro carriera. Grappling non concede nulla alla facilità di ascolto, nonostante la voce di Dan McGowan sia maturata molto nella sua elasticità e disegni delle belle melodie, al contrario la musica è un vortice senza punti fermi che mai come ora può disorientare, ma allo stesso tempo non è stata mai così legata al prog sinfonico.
E' incredibile come, ad esempio, The Magnet e Remeber Where You Were (con un intro che sembra preso di peso da The Wake degli IQ) assomiglino alle manifestazioni più elaborate dei Genesis, ma riescano entrambe a mantenere un'identità da rock alternativo moderno. Negli interplay solisti tra chitarre e tastiere non spicca mai un tema chiaro e ben definito, ma gli strumenti si sovrappongono in un corto circuito sonoro. Dr. Abraham è un pezzo così strano ed inusuale per loro, nel quale si ritrovano le sperimentazioni del Canterbury sound senza compromessi di Matching Mole o le invenzioni più audaci di Robert Wyatt. Confrontato con ciò che ci siamo lasciati appena alle spalle The Fox in a Hole sembra quasi un pezzo rilassato con la sua introduzione da folk bucolico, ma che proseguendo nasconde insidie progressive ad ogni angolo. Wasp in a Wig si tinge di quel prog rock americano che ci hanno insegnato ad amare gli Echolyn, con molti crescendo e ottimi spunti strumentali giocati tra le tastiere e le chitarre. Ancora una volta il punto di riferimento della conclusiva The White Book sembra essere i Genesis, soprattutto al lavoro di tastiere di Reinhardt McGeddon, però qui si solcano territori talmente aleatori che spesso, sei suoi saliscendi dinamici, ci si dimentica dei riferimenti.
I The Tea Club, quindi, cambiano ancora direzione, dando alle stampe un album dai toni d'avanguardia con brani con cui non sarà facile confrontarsi ma che, in definitiva, se cercate un prog sinfonico che non rispecchi i canoni di ciò che avete conosciuto sinora, Grappling vi stupirà per il suo coraggio e il suo azzardare in una scena che troppo spesso si rinchiude in confortevoli parametri ormai omologati.
Quickly Quickly Quickly segna la terza prova in studio dei The Tea Club, band del New Jersey guidata dai fratelli Dan e Patrick McGowan. Questo è il primo lavoro con il nuovo batterista Joe Rizzolo e il bassista Charles Batdorf che qui ha preso le veci di Becky Osenenko, passata alle tastiere. Purtroppo la band ha sofferto sempre una certa instabilità di line-up e già da questa estate Batdorf e Osenenko non fanno più parte della squadra.
Comunque torniamo a Quickly Quickly Quickly. Per capire appieno l'estetica musicale dei The Tea Club credo sia utile anche andarsi a rileggere quanto avevo scritto su Rabbit e General Winter's Secret Museum, poiché questa terza opera prosegue quelle linee guida, addentrandosi ancora di più se vogliamo nelle complesse possibilità di quella musica. Se infatti i lavori precedenti potevano godere, se non totalmente, almeno in parte, di una immediatezza più rassicurante, in questo caso nulla è lasciato alla facilità di ascolto. Non si pensi a qualcosa di astruso e impenetrabile, tutt'altro, ma le copiose costruzioni dei Tea Club nascondono strutture in moto continuo e stratificazioni che richiedono diversi ascolti per essere assimilate.
Quante volte vi siete chiesti come potrebbe essere il progressive rock moderno? Per alcuni deve ricalcare i soliti stilemi degli anni '70 altrimenti non lo è. Ebbene, quello dei Tea Club non è quello che si può catalogare come progressive sinfonico o neo-prog, non trovate traccia di Genesis o Yes, eppure questi quattro brani multiformi trasudano progressive ad ogni nota. Non vi è nulla di barocco o pretenzioso, ma piuttosto una rivisitazione del rock alternativo e sperimentale, tenendo lontano facili paragoni con i nomi più gettonati degli ultimi tempi come Porcupine Tree o Mars Volta. I Tea Club sono riusciti, cioè, nella non facile impresa di crearsi un'identità ben definita nell'affollato mondo del prog rock moderno che troppi epigoni ci ha già regalato.
Ciò è dato da delle composizioni che dimenticano le basilari regole formali: non ci sono ritornelli o strofe, né sono presenti movimenti o parti in queste lunghe tracce ma solo un frastagliato percorso in costante mutamento. L'apertura è a suo modo coraggiosa, affidata ai cangianti 18 minuti di Firebears che ci avvolge immediatamente come un vortice, soprattutto grazie all'inventivo drumming di Rizzolo, con gli strumenti in continuo spasmo frenetico. A metà strada si placa in una serenata psichedelica guidata dal piano che, dopo la sua esposizione, riparte come un motore in una terza parte che riprende l'incedere iniziale.
I tre brani succesivi tengono fede alla descrizione che la band ha posto come suggello nel proprio sito web in una acuta sintesi: "Pastoral Progressive Rock". The Eternal German Infant prende elementi dalla sensibilità pop rock dei fratelli McGowan e la passa in un frullatore schizofrenico di accordi in perenne cambiamento e linee melodiche mutuate da Jeff Buckley. Nonostante ciò The Eternal German Infant non è un brano di facile assimilazione, molto cervellotico. Così come la successiva Mister Freeze, acustica e misteriosa, una litania con basso prominente e chitarra, sulla quale si affacciano minacciosi riverberi psichedelici. I Shall Consume Everything è un misto delle atmosfere espresse sinora: un clima sognante dato da arpeggi spaziali e calde armonie vocali. Il clima si instaura lentamente fino ad un crescendo dal sapore ambivalente tra il solenne e il disturbante. La crescita artistica dei Tea Club va di pari passo alla complessità con la quale mettono in note le loro storie dark e surreali, un percorso che sembra simile a quello degli Oceansize: rischioso, impopolare, destinato ad un elitario gruppo di ascoltatori, ma tanto appagante una volta che si è giunti in fondo alla sostanza.
LINE-UP:
Dan McGowan – lead vocals (2,3,4), backing vocals, acoustic and electric guitar
Patrick McGowan – electric guitar, lead vocals (1), backing vocals, bass (2)
Becky Osenenko – keyboards
Charles Batdorf – bass (1,3,4), guitar (2)
Joe Rizzolo – drums
Additional instruments by R McGeddon
Dopo due ottimi album, la band del New Jersey The Tea Club pubblicherà il terzo lavoro in studio il 15 novembre. Il titolo è Quickly Quickly Quickly e fino al 23 ottobre può essere pre-ordinato tramite il sito del gruppo. http://theteaclub.net
Tracklisting:
1). Firebears
2). The Eternal German Infant
3). Mister Freeze
4). I Shall Consume Everything
(Total Running Time – 42:35)
Chi ancora non conoscesse la band si può ascoltare in streaming i primi due album:
I Tea Club tornano in pista - a distanza di due anni da General Winter's Secret Museum - con un secondo album che sancisce una chiara e netta maturazione delle idee espresse nell'esordio. Già in quest'ultimo si erano imposti grazie ad un alto livello qualitativo, ma Rabbit alza la posta verso inediti territori progressivi, involandosi in una concezione di strutture musicali oltremodo complesse.
Tutto è racchiuso tra le due incredibili tracce che simbolizzano una crescita notevole: Simon Magus e Astro. Per ascoltare la musica dei Tea Club si deve partire con il presupposto di immergervisi completamente, perché è atmosferica, perché è complessa, variegata e anche intellettuale. Le sensazioni che vengono toccate più spesso sono antitetiche, malinconia e impeto, portate avanti da un altro contrasto, quello che fonde il progressive rock con la durezza dell'alternative. Questo connubio avviene attraverso rocciosi suoni di chitarra abbinati a ritmiche complesse e involute dove Out of the Oceans e He is Like a Spider sono un trattato più eloquente di qualsiasi parola. Nuclear Density Gauge, tra un inizio sommesso e psichedelico e un finale tumultuoso, si gioca tutto alternando e amalgamando questi due ingredienti.
I fratelli Patrick e Dan McGowan non hanno paura di scardinare i luoghi comuni del prog sinfonico e porre invece l'accento sulle sferraglianti chitarre elettriche e sui potenti colpi di batteria di Kyle Minnick, per lasciare un ruolo di rifinitura (ma non secondario) alle gustose tastiere dell'ospite Tom Brislin, che ha suonato con gli Yes e inoltre ha una sua band chiamata Spiraling. L'atmosfera va a dipanarsi così in composizioni oscure e misteriose, ma di una densità di contenuti mai così efficace. In pratica dentro un brano dei Tea Club si dischiude un mondo eterogeneo ma compatto, che, nella sua ricchezza compositiva, può fare la felicità di ogni fan del progressive o dell'alternative: polifonie vocali, intermezzi tastieristici e intelligenti riff e arpeggi di chitarra.
Anche se qualche volta la direzione può risultare oppressiva e di non facile assimilazione, come nella quasi gotica Diamondized o in The Night I Killed Steve Shelley, la peculiarità dei Tea Club è quella di non rendere mai il contenuto banale e sviluppare i brani con continue sorprese e variazioni. Anche nel contesto più rilassato e meditativo delle ballad Royal Oil Can (davvero splendida!) e Tumbleweed non si perde quella sensazione che i Tea Club siano riusciti a coniare un linguaggio progressivo personale e che di sicuro fa di Rabbit una delle opere più riuscite di quest'anno.
Tra le tante nuove proposte musicali offerte dagli Stati Uniti, a Boston in particolare si è andata a creare una scena underground di tutto rispetto. Una scena così florida tanto che alcune band hanno formato tra di loro una comunità solidale, partendo dalle stesse coordinate musicali, ma perseguendo strade e diramazioni differenti.
Le più interessanti tra queste citano non a caso tra le loro maggiori influenze gli At the Drive-In e i Fugazi, cioè i gruppi che a loro tempo hanno gettato le fondamenta del post hardcore e dell'emocore (che non ha nulla a che vedere con la parodia da circo contemporanea), palesando così il loro retaggio.
Per fortuna le band odierne ci aggiungono molto del loro come i già citati su questo blog Vending Machetes. Questi ultimi, assieme ai Supervolcano, hanno trasportato il post hardcore in lidi inediti, attingendo da generi come il jazz e il funk, ingredienti sinora ignorati da tale stile. Come se alla cifra progressiva si aggiungesse anche un tocco di Rage Against the Machine.
I Vending Machetes e i Supervolcano (che hanno in comune il batterista Jesse Weiss e il bassista/chitarrista Mike Thomas) affrontano con destrezza partiture camaleontiche piene zeppe di ritmiche incalzanti, dissonanze armoniche e imprevedibili richiami alla black music e al progressive rock. I primi hanno prodotto solo un EP reso disponibile in download proprio pochi giorni fa (di cui abbiamo già dato testimonianza), i secondi l'anno scorso se ne sono usciti con un fulminante esordio omonimo e a luglio hanno pubblicato l'EP Insides Out. Due prove assolutamente imperdibili, caldamente consigliate (si trovano facilmente su iTunes).
Altre due band già comparse ultimamente su questo blog sono i The Dirty Dishes e gli Art Decade. I Dirty Dishes, che hanno esordito con l'EP In the Clouds, sono quelli che più si allontanano dai sentieri avventurosi fin qui descritti, ma non per questo meno meritevoli. Il loro è piuttosto uno shoegaze (che il titolo dell'EP sia un tributo agli All About Eve?) molto variopinto e non privo di sorprese che ricorda vagamente gli irlandesi Scheer.
Gli Art Decade (con due EP all'attivo: Innocence/Experience e Royalty) applicano al post hardcore (molto melodico in verità) un tocco di glam progressivo e ploifonie tanto che The Queen e Infant Joy possono apparire come un incrocio tra i Queen e i Coheed and Cambria.
Infine ci sono i KID:NAP:KIN che, con le loro contorsioni musicali e vocali (meritodell'incredibile talento di Daniel Ellis), danno corpo, nei loro due EP (Touring the Riot Scene e Hush Now), ad un'assillante tour de force in linea con i furiosi attacchi di Mars Volta e At the Drive-In, ma i KID:NAP:KIN ci aggiungono anche calorosi groove. E' notizia recente però della decisione di sciogliere la band a temp indefinito. Davvero un peccato.
Al di fuori di questa cerchia c'è un'altra band propriamente progressiva della quale ho già parlato, i Tea Club il quale secondo album dal titolo Rabbit è previsto per il 9 ottobre.
Vending Machetes - Same EP Supervolcano - SuperVolcano Supervolcano - Insides Out EP The Dirty Dishes - In The Clouds EP Art Decade - Royalty EP KID:NAP:KIN - Hush Now EP The Tea Club - General Winter's Secret Museum
Anche se questo album è dell'anno scorso faccio un'eccezione e lo segnalo ugualmente con molto piacere dato che ho scoperto di recente i The Tea Club, e la loro musica mi sembra molto intonata con gli altri gruppi compresi in questo blog.
General Winter's Secret Music è un lavoro che ha raccolto una serie di recensioni molto positive ed è l'album d'esordio (dopo alcuni EP) di questo trio del New Jersey. Il gruppo comprende Patrick McGowan (voce, basso e chitarra), Dan McGowan (voce e chitarra) e Kyle Minnick (batteria). La loro musica è semplicemente descrivibile come un incontro tra alternative e progressive, talmente abile nel mescolare le caratteristiche dell'uno e dell'altro genere che sarebbe da prendere come esempio. Possibilmente da fare ascoltare a chi crede che ancora i due generi appartengano ad universi completamente differenti.
Nelle varie recensioni a cui si accennava prima uno dei nomi che spunta più spesso come paragone è quello degli Echolyn, anche se i The Tea Club non sono altrettanto tecnici e non utilizzano molte polifonie vocali. Il paragone va cercato nell'elemento avventuroso del concepire la musica: cambi tematici, pezzi potenti di grande impatto ritmico e strutture intricate. Ad esempio un brano come Purple Chunkz frulla gli arpeggi psichedelici dei Dredg e le svolte melodiche improvvise degli Echolyn. Werewolves macina i riff dei King Crimson in una marcia rock e prosegue in una cullante variazione psichedelica molto floydiana. Anche Ice Clock e The Clincher sono un mirabile esempio che mostra come il vecchio emocore (quello dei Sunny Day Real Estate per intenderci) possa tranquillamente venire a patti con la complessità del prog degli Echolyn. E la malinconica depressione di Castle Builder fa accenno tristezza irrequita della filosofia emo, così come Will o' the Wisp è una perfetta espressione di un'ispirazione che comprime nello stesso spazio sonoro Pink Floyd, King Crimson, Genesis e rock alternativo moderno. Davvero promettenti.