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domenica 21 luglio 2024

I migliori 12 album Emo Prog di tutti i tempi


Dato che in giro tra blog e siti musicali è molto in voga creare liste e Top 10 su svariati argomenti (come sempre opinabili e la presente non è da meno) mi sono cimentato anch'io a compilarne una, soprattutto dopo che Loudwire si è interessato di recente alla fusione tra prog ed emo nell'articolo "The 10 Best Emo-Prog Bands of All Time" ed io stesso ho provato a fare un sunto sul tema nel numero di maggio di Prog Italia. In passato qui sul blog mi sono già occupato della materia, molto poco e molto meno di quello che vorrei in realtà, poiché tale tipologia di ibrido sembra non susciti interesse o curiosità nei fan italiani del prog moderno, ma pure nei frequentatori di altprogcore. Può essere che risulti un connubio troppo azzardato e indigesto o forse proprio non è un genere che incontra i gusti musicali del pubblico europeo, abituato a contenere i paletti del prog moderno nei confini di band come Opeth, Porcupine Tree, Leprous, Big Big Train, ecc. che con il tempo producono album sempre meno interessanti ma che comunque si muovono in una sicura comfort zone dalla quale è difficile staccarsi.

Al contrario, in questi altri orizzonti prettamente statunitensi si trovano idee, intuizioni e sperimentazioni se non altro inedite e più stimolanti, magari anche perché a crearle sono artisti che non hanno avuto legami esclusivamente con il prog e che neanche sanno di cosa si parli quando ci si riferisce alla frangia sinfonica del genere. Come l'articolo di Loudwire testimonia, credo che siamo arrivati ad un punto in cui non si può ignorare il nuovo connubio tra prog ed emo, tanto che nel 2024 sono stati pubblicati nel giro di poco tempo dei lavori importanti per la sua affermazione da parte di band appartenenti alla cosiddetta "quinta onda emo", riuscendo a rafforzare tale unione grazie a creatività e voglia di sperimentare indirizzate nella giusta direzione.

Ad essere precisi comunque questo sodalizio parte da lontano, ovvero da quando il post hardcore e il math rock ad inizio secolo hanno iniziato a comprendere tratti più ambiziosi, trame articolate e complesse sonorità molto allargate sul fronte dello stile. Poi c'è il versante più strettamente legato all'emo e alle sue "ondate" che, passo dopo passo, ha operato un progressivo avvicinamento a caratteri sfaccettati e innovativi che esulano da ciò che il mainstream ha fatto passare come idea estetica imperante nel momento in cui ci fu l'esplosione dell'emo pop (terza onda) all'inizio degli anni 2000 con gruppi come My Chemical Romance, Fall Out Boy, Panic! At the Disco e Paramore. A guardare bene quindi ne viene fuori uno scenario composito e diversificato del quale la "quinta onda emo" è solo una recente frazione che ha aiutato a solidificare tale connubio, sviluppando i canoni stilistici offerti dalle varie ondate - post rock, chiptune, jazz, bedroom pop, math rock - e servirsene per trasformarli in una nuova forma di Emo Prog. 

Qui di seguito ho cercato di compilare una esaustiva e rappresentativa lista di 12 album, in ordine rigorosamente cronologico, che spazia dagli albori di questo strano legame fino ad arrivare alla sua ultima e ancor più imprevedibile incarnazione.




1. Coheed & Cambria - In Keeping Secrets of Silent Heart:3 (2003)
I Coheed & Cambria vengono giustamente designati come pionieri nel coniugare post hardcore, emo e prog rock grazie all'album d'esordio The Second Stage Turbine Blade del 2002 (anche se un tentativo lo si poteva già riscontrare nel primo e unico disco dei Breaking Pangea con il brano Turning). Nonostante quel disco rappresenti un importante punto d'origine per la fusione dei generi, è con il suo successore In Keeping Secrets of Silent Earth:3 che la band di Claudio Sanchez raggiunge la piena forma prog, oltre che una maturità e varietà stilistica, mettendo in chiaro come un gruppo dalle origini emocore potesse puntare sulla perizia strumentale per sviluppare il proprio sound. Durante l'album si può oscillare dall'orecchiabilità contagiosa del singolo A Favor House Atlantic ai macchinosi e articolati riff in continua evoluzione di The Crowing, per arrivare infine alle conclusive simil-suite con flauti, synth e ricami chitarristici The Light & The Glass e 21:13, nelle quali i Co&Ca si avvicinano a tensioni e progressioni che giustificano i paragoni fatti più volte dalla stampa musicale con i Rush
 




2. The Velvet Teen - Elysium (2004) 
La critica non ha mai saputo in quale categoria esatta inquadrare i The Velvet Teen a causa della loro imprevedibilità stilistica. Il primo album Out of the Fierce Parade si attestava in una zona grigia tra indie rock ed emo influenzati dall'art pop aristocratico dei Radiohead. Il suo successore Elysium fu una spiazzante deviazione verso un'opera di baroque chamber rock che abbandonava per scelta le chitarre e le sostituiva con tastiere, piano e un'orchestra da camera con fiati e archi. I The Velvet Teen non erano esattamente emo, ma le loro sonate romantiche che si spingono oltre il limite condividevano la sensibilità con alcuni angoli della scena emo. Le tracce di Elysium sono un'apoteosi di crescendo emotivi sottolineati dalla vocalità melliflua ma altamente espressiva di Judah Nagler che prende il volo sulla crepuscolare amarezza di A Captive Audience e nel centro emotivo dell’album occupato dall’epico tour de force di tredici minuti di Chimera Obscurant che, dopo poche strofe accompagnate da accordi di piano con una ritmica jazz, si trasforma in un logorroico sfogo musicale. Un album che rispecchia l'introversione e la malinconia emo attraverso melodie notturne ma che celano potenza. Un vero capolavoro senza tempo e genere. 
 




3. The Receiving End of Sirens - Between the Heart and the Synapse (2005)
Nei primi anni in cui veniva a galla l'intreccio tra emo e post hardcore era piuttosto comune inserirvi delle band che fossero adiacenti ad entrambi i generi, dato che la categoria di appartenenza proveniva dalla stessa matrice punk. La linea che demarcava le peculiarità delle due categorie era sottolineata, da un lato, da una spiccata predisposizione per le melodie pop punk (l'emo) e, dall'altra, dalla forte componente aggressiva con ricorso a scream e harsh vocals (post hardcore). I The Receiving End of Sirens, forti di un arsenale di tre chitarre, tre voci principali che si alternano tra lead vocals e intrecci polifonici, mettono insieme il meglio dei due mondi e non solo, alzando l'asticella verso un'inedita visione da arena prog con grandiosi passaggi di interplay chitarristici, enfatiche e frastornanti parti vocali, architetture sonore sature sia nelle ritmiche che nei tappeti sonici elettrici. Le canzoni di Between the Heart and the Synapse sono monumenti al post hardcore più solenne e magniloquente. 
 




4. Gospel - The Moon is a Dead World (2005)
Lo status da culto ristretto di cui hanno goduto i Gospel non ha impedito a quella che per molti anni è stata la loro unica testimonianza discografica - The Moon is a Dead World - di acquisire con il tempo un'aura mitologica. Nati dalle ceneri del gruppo screamo Helen of Troy, i Gospel mantennero la traiettoria di questo sottogenere dell’emo che ne esasperava la parte caotica e sperimentale soprattutto dal punto di vista vocale, adottando costantemente un registro scream. Dall’altra parte i Gospel operarono un salto rilevante sul versante strumentale spostando la veemenza del post hardcore verso le complesse coordinate del progressive rock, lasciando una traccia importante per aver apportato nuovi parametri al genere. Come già sperimentato dai The Mars Volta, i Gospel si erano impegnati a rendere cerebrale il punk hardcore, ma con caratteristiche ancora più accese ed estreme. I synth, l’organo e le tastiere di Jon Pastir, fusi assieme alla chitarra di Adam Dooling e con la sezione ritmica guidata dalla batteria indomabile di Vincent Roseboom e dal basso massiccio di Sean Miller, formavano un requiem sinfonico incessante, contrappuntato dalla vocalità screamo di Dooling, per arrivare ad un punto di saturazione di ogni aspetto. 





5. The Dear Hunter - Act II: The Meaning of, and All Things Regarding Ms. Leading (2007)
Come per i Coheed & Cambria i The Dear Hunter vengono generalmente associati all'emo soprattutto in virtù dei loro primi due album. Il leader Casey Crescenzo se ne allontanerà progressivamente per abbracciare un prog più barocco e teatrale, ma agli albori dei The Dear Hunter era ancora fresco di fuoriuscita dai The Receiving End of Sirens, motivo per cui Act I e II beneficiano ancora di quell'influenza. Questo album in particolare è un magnum opus di 77 minuti che spazia tra il prog hardcore dei The Mars Volta al musical da operetta dei Queen, dal rock orchestrale al pop di Tin Pan Alley e che tramuta una molteplice parata di generi tra soul, blues, americana, rock opera e le trasfigura in chiave prog rock. E proprio in continuità con questo genere ne rispecchia una visione grandiosa e imponente, generando uno dei concept album più incisivi del prog moderno. 






6. The Brave Litlle Abacus - Masked Dancers: Concern in So Many Things You Forget Where You Are (2009)
I The Brave Litlle Abacus, dopo gli American Football e Sunny Day Real Estate, sono forse i più influenti e citati alfieri dell'emo, avendo anticipato quasi involontariamente tutte le caratteristiche che hanno preso forma e abitudine nel genere dopo la quarta onda emo. Come gli American Football anche il loro catalogo è stato scoperto quando la band già non esisteva più e la sua importanza a livello ereditario non ha fatto che crescere nel tempo per ciò che riguarda l'importanza della sperimentazione. E' incredibile notare come nei Brave Little Abacus si possano rintracciare già tutti i prodromi musicali ricorrenti nel post emo in forma primordiale: il ricorso al lo-fi del bedroom pop e al chiptune contrapposti a strutture complesse con richiami math rock, l’uso distintivo di una strumentazione allargata con piano, fiati e percussioni programmate che concorrono ad architettare un hardcore barocco. Per i Brave Little Abacus l’esplorazione di nuove possibilità non si esauriva solo all’uso di strumenti eterogenei, ma anche nel dilatare i tempi di un brano in modo da accrescere il pathos delle variazioni offerte e così facendo anche del crescendo emotivo, come nell’avvio di I See It Too con quel suo indolente e reiterato riff iniziale. La musica cambia traghettata da un singolo accordo ad arpeggi con shredding e tapping alla chitarra acustica, da una sezione di fiati all’integrazione di tastiere atmosferiche. I The Brave Little Abacus non erano interessati all’edificazione in senso lato, ma piuttosto al continuo mutamento e con con i dieci minuti di Born Again So Many Times You Forget You Are si inventano la prima suite “midwest prog” della storia. Gli intricati arabeschi chitarristici e ritmici di Underground che rimettono continuamente in discussione lo svolgimento del pezzo in modo repentino e assolutamente disordinato fanno sembrare la band una versione avant-garde dell’emo, mentre gli oltre sette minuti di Untitled sembrano una mini odissea sonora per quel suo dischiudere una varietà di temi impressionante. Quando i brani si accorciano non sono da meno e il risultato finale è più vicino al prog sperimentale di quanto si pensi, ma purtroppo i The Brave Little Abacus erano troppo sconosciuti per attribuirgli l’invenzione di un nuovo sottogenere. 
   




7. The Felix Culpa - Sever Your Roots (2010)
Con Sever Your Roots i The Felix Culpa consegnano alla storia il capolavoro prog emocore definitivo, ignorato e dimenticato da tutti. Ogni cosa che lo riguarda assume i contorni di un'opera grandiosa, nella sua ora di durata le quattordici tracce che fanno parte del disco hanno modo di mettere in campo un ventaglio di espressioni che passano dalle dilatazioni del post rock, dalla convulsa articolazione del math rock fino alla quiete delle ballad struggenti. Il tutto viene condotto con improvvise svolte tematiche, leitmotiv che ritornano e si nascondono nel camaleontico scorrere da un brano all'altro con una consistenza sonora omogenea che non spezza mai la tensione. I The Felix Culpa conducono la dinamica dell'album come fosse un concept unitario, anche se a livello lirico si pone su interpretazioni aperte. Non è una rock opera punk ma ne ha alcune caratteristiche grazie all'aggiunta di piano e archi che ne arricchiscono la proporzione bombastica e quasi barocca. La tensione dinamica dei crescendo è condotta in modo magistrale, mentre l'aggressività non viene mai espressa in forma di rabbia cieca e veemente, ma si impone con visceralità, elementi che vanno a concorrere ad aumentare quel senso di experimental post hardcore da camera di un lavoro in cui l'emotività esecutiva è palpabile ad ogni secondo. 
 





8. Emery - You Were Never Alone (2015)
Nel caso degli Emery la tentazione di includere ...In Shallow Seas We Sail era forte, ma la scelta nel preferirgli You Were Never Alone è giustificata dal fatto che possiede dei tratti più accostabili a parametri prog. Questo la dice lunga sulla discografia degli Emery composta di album per lo più di  qualità eccellente. Nonostante ciò, difficilmente troverete il nome degli Emery citato in qualche lista emo o post hardcore, dato che lo stigma di "christian band" sembra avergli precluso qualsiasi considerazione da parte della critica. Raramente mi è capitato di scoprire un catalogo impeccabile come quello degli Emery e You Were Never Alone raggiunge forse l'apice della loro proposta. La tecnica di accostare le più limpide melodie emo pop con l'ausilio di ineccepibili armonie vocali e farle cozzare contro repentine svolte abrasive metalcore non ha eguali in altre band e in questo album il gruppo si concede il massimo della libertà e sperimentazione nell'oscillare tra i due umori in modo tecnicamente complesso ma accessibile. Thrash e la coda finale di What's Stopping You stanno lì a testimoniarlo dato che non potrebbero essere più estreme nella propria dicotomia. Mentre le vertiginose e imprevedibili progressioni di Salvatore Wryhta e Go Wrong Young Man rivaleggiano con la competenza dinamica ed esecutiva degli Ocenasize.





9. Adjy - The Idyll Opus (I-VI) (2021)
Gli Adjy mostrano il lato folk e chamber rock del midwest emo e The Idyll Opus (I-VI), al di là di essere un concept album in due parti, si sviluppa come un concerto per sei suite, con tanto di leitmotiv abbinati ai protagonisti della storia, nelle quali la band si destreggia come fosse un piccolo ensemble di musica neo folk americana con ampio uso di percussioni, fiati e banjo, eredi degli Anathallo quanto innovatori di un linguaggio progressive folk che parte dalle tradizioni musicali dei monti Appalachi, luoghi dove il disco è stato concepito. L'irruenza emo punk è presente nella gioiosità delle melodie che esplodono con gli stessi crescendo del post rock e le dilatazioni temporali dei brani ne cambiano di continuo la prospettiva durante il loro dipanarsi. Come gli Adjy attingono a piene mani dal folk, dal country, dal bluegrass, servendosi di quel genere musicale chiamato appunto “americana” per stigmatizzare stilemi che appartengono a quella tradizione, allo stesso modo li trasformano in qualcosa di trascendentale, trasfigurandoli attraverso la chiave moderna del chamber rock, delle dinamiche del midwest emo e della maestosità del progressive rock, in una tela intricata e ricca di timbri sonori.
   




10. The World Is a Beautiful Place & I Am No Longer Afraid to Die - Illusory Walls (2021)
Pionieri nel fondere le dinamiche dilatate del post rock con l'estetica math rock del midwest emo negli album Whenever, If Ever e Harmlessness, nel loro quarto lavoro Illusory Walls i TWIABP cercano di approdare ad un più alto livello sperimentazione e ambizione, bastassero come prova solo i lunghi trip stellari di Infinite Josh e Fewer Afraid per darne prova. Ma la band in più aggiunge una rilettura inedita dei tapping math rock nel momento in cui li accosta a sintetizzatori che creano spazi sonori che trasmettono inquietudine e a vortici metal oscuri e apocalittici.

 



11. Glass Beach - Plastic Death (2024)
Con il primo album nel 2019 i Glass Beach hanno creato un nuovo paradigma di emo quando, per la prima volta, si sono azzardati ad introdurre l'uso di accordi derivati dal jazz, assurde timbriche di tastiere a metà strada tra le colonne sonore per cartoni animati e il musical di Broadway, condite da un'estetica da bedroom pop figlia della comunità online, luogo virtuale dove la quinta onda ha proliferato. Plastic Death è ancora più complesso e ambizioso di The First Glass Beach Album. Quello della band è un gioco all’accumulo, stando però attenti a dosare bene gli ingredienti della musica moderna che si ciba principalmente di elettronica e avanguardia. E se in ambito rock questi due elementi si ricollegano quasi inevitabilmente ai Radiohead, complice la vocalità opaca e strascicata simile a Thom Yorke del leader J McClendon, i Glass Beach mantengono uno stralunato approccio per dare la sensazione di un costante senso di “weirdness” all’interno della musica, come una versione futurista del dadaismo patafisico dei Soft Machine di Volume 2. Questo lo si nota tanto nell’eccentrico patchwork di acquerelli swing pop di motions, guitar song, rare animal e cul-de-sac, quanto nei puzzle camaleontici e cervellotici di slip under the door, the CIA e commatose

 



12. Topiary Creatures - The Metaphysical Tech Support Hotline (2024)
Come si fa ad inventare un sound riconoscibile e peculiare nel 2024, quando tutte le strade musicali sembrano essere state battute? The Metaphysical Tech Support Hotline ci riesce partendo da un'idea massimalista del punk, basata sull'accumulo non solo architettonico ma anche stilistico. Il terzo album dei Topiary Creatures è una summa delle varie forme che ha assunto l'emo nelle sue cinque ondate ed in più le rilegge a proprio modo. Il prog è trasfigurato da synth ipercinetici che sembrano provenire da soundtracks per video games, la potenza del power pop si scontra con squarci metal e le ballate acustiche si fregiano di intarsi chitarristici math rock e midwest emo. La produzione viene ammantata da un'aura bedroom pop solo all'apparenza, dato che per contrasto l'accumulo di strumenti e sfumature timbriche suggerisce un lavoro di architettura sonora mastodontico. The Metaphysical Tech Support Hotline si espande in tante direzioni contemporaneamente ma non suona come niente là fuori, è davvero difficile trovare un termine di paragone. Una delle cose che non mi spiego è perché i Topiary Creatures, appartenendo a buon diritto alla quinta onda emo, non siano riusciti a beneficiare di quell'hype online che ha origine in siti come RateYourMusic o social come Discord e Reddit che da qualche anno si sono rivelati di grande aiuto per far emergere dall'anonimato i nomi di Parannoul e Glass Beach. Di sicuro sono il nome più rilevante che il genere ha da offrire ultimamente.

giovedì 21 gennaio 2016

I migliori album che non avete mai ascoltato: The Felix Culpa - Sever Your Roots (2010)


Credo che nessun'altra band post hardcore o emocore abbia avuto il coraggio di mettersi in gioco con arditi sconfinamenti nel progressive rock come i The Felix Culpa fecero con questo album. Sever Your Roots per me rappresenta quanto di più vicino ad una pietra miliare per l'evoluzione del post hardcore e sicuramente l'album più importante del genere degli anni '10. Sono trascorsi sei anni dalla sua realizzazione ufficiale ed è un peccato che ancora non abbia avuto un seguito (e chissà se mai lo avrà) a causa delle varie peripezie che i The Felix Culpa hanno passato.

La gestazione che portò a quest’opera fu lunga e tormentata, ma in cambio di tale sforzo i The Felix Culpa ottennero un grande riconoscimento dalla critica. Reduci da un primo album uscito nel 2004 e un EP nel 2005, il gruppo riuscì a pubblicare il suo secondo sforzo discografico soltanto nel gennaio 2010, rischiando anche di non realizzarlo affatto, poiché durante il completamento di Sever Your Roots gli eventi personali dei membri - tra matrimoni, lutti improvvisi e trasferimenti - portarono la band sull’orlo della dissoluzione. Ma tennero duro e alla fine questo lavoro fu il frutto di quegli anni tribolati.

Nel frattempo i The Felix Culpa avevano accumulato un repertorio di circa trenta brani inediti e, dall'originale trio Marky Hladish (voce e chitarra), Joel Coan (batteria) e Tristan Hammond (basso), era stato introdotto nella band un quarto elemento nella persona di Dustin Currier, che si occupava della seconda chitarra e di alcune parti di tastiera. Sever Your Roots, completamente autoprodotto e distribuito dal gruppo stesso, finì per contenere quattordici tracce. In seguito, quando nel febbraio 2011 la No Sleep Records mise sotto contratto i The Felix Culpa ristampando l’album, fu presa la decisione di allegarvi un CD aggiuntivo intitolato Bury the Axe, compilato da tre brani registrati per l’occasione, ma appartenenti alle stesse sessioni di Sever Your Roots che, forse per ragioni di spazio, erano state lasciate nel cassetto.

I The Felix Culpa con questo monumentale lavoro rimasero fondamentalmente legati al post hardcore, ma lo arricchirono con una mole tale di complessità e varietà tematiche da poter rientrare facilmente nei dettami del progressive rock. Sever Your Roots era e rimane quello che, nella sua integrità artistica, si può definire un capolavoro incompreso. I brani si dipanavano in lunghe trame dominate da dinamiche sfaccettate, troncando ipotetici chorus sul nascere e lasciando che la lenta edificazione portasse fino alla catarsi finale. Piccole cellule tematiche introdotte da un brano potevano essere sviluppate nella traccia successiva (ad esempio nel dittico Escape to the Mountain, Less Thou Be Consumed e The First One to the Scene of an Accident Always Gets Blood on Their Hands), proprio come accadeva in un concept album. Anche grazie a questa omogeneità musicale, Sever Your Roots era un’opera da godere nella sua totalità, dall’inizio alla fine.


The Felix Culpa - "Our Holy Ghosts" from Nick Cavalier on Vimeo.

Che le cose non avrebbero reso l'ascolto facile era messo in chiaro sin dal principio con la calma strisciante di New Home Life, un pacato e lungo cerimoniale d’inaugurazione che tratteneva a stento deflagrazioni improvvise che non apparivano mai. Su Our Holy Ghosts e The Constant la sezione ritmica si mostrava una delle più potenti e incisive in circolazione: i colpi vibrati da Coan, la cui potenza era sottolineata dal fragore distorto del basso di Hammond, erano precisi e pesanti come macigni. L’introduzione dei brani era spesso sussurrata e in stile lo-fi, per poi sfogarsi successivamente in vortici emozionali come accadeva su Mutiny. Il massimo del pathos veniva raggiunto nel trittico It’s Raining at Indian Wells, What You Call Thought Control, I Call Thought Control e An Instrument, posto quasi alla fine come per liberare la tensione accumulata, arrivando alla commovente chiosa di Apologies.

I testi si concedevano ad interpretazioni abbastanza libere e si perdevano in simbolismi metaforici e deliqui religiosi (con riferimenti anche alla Genesi) su colpa e redenzione, spiritualità e pentimento, amore e morte, delineando un unitario e profondo concept sui rapporti personali. Da più parti risuonarono paragoni con altri gruppi come Brand New e Thrice, ma ciò che avevano raggiunto i The Felix Culpa con soli due album andava ben al di là del post hardcore più lineare e ad effetto di queste band. Tra le tante recensioni positive che seguirono l’uscita di Sever Your Roots, la più efficace definizione fu data probabilmente dalla rivista mensile Illinois Entertainer: “Un album che raggiunge facilmente l’obiettivo del gruppo di plasmare una testimonianza più significativa. È anche un album piuttosto impegnativo, complesso e impenetrabile al primo ascolto, anche perché questa fatica di più di un’ora è completamente coesa e connessa, con ogni canzone che viene collegata all’altra per tutta la durata dell’album. È il tipo di album che osa, ma che non si aspetta che tu venga a patti con lui. Eppure ad ogni ascolto successivo, non solo Sever Your Roots prende forma, ma il proprio flusso e riflusso comincia a manifestarsi, svelando un’esperienza emotivamente tumultuosa e catartica”.

L’ottima accoglienza della stampa riservata a Sever Your Roots non fu seguita, purtroppo, da quella del pubblico e non bastò a fermare il destino inevitabile della band. Tutta la frustrazione, che era aleggiata durante la lavorazione dell’album, emergeva chiaramente nel testo di Because This is How We Speak. Il brano metteva in chiaro che ogni istante di vita del gruppo era percepito come se potesse essere l’ultimo e, sia ben chiaro, non era dovuto alla tensione tra i membri, ma all'evolversi troppo impegnativo delle loro vite personali. Il presentimento si realizzò compiutamente solo più tardi: i The Felix Culpa decisero di separarsi, rimanendo ottimi amici e celebrando l’addio con un ultimo concerto al Metro di Chicago il 9 dicembre 2011 (celebrato anche nel documentario To We, The Nearly Departed). Quella data, però, non rappresentò il definitivo epitaffio del gruppo che si ricostituì in modo inaspettato nel 2014, inaugurando il ritorno sulle scene con uno “split EP” condiviso con i Foreign Tongues e uscito nell’agosto di quell’anno. A tutt'oggi i The Felix Culpa rimangono insieme, ma ancora non è dato sapere se pubblicheranno qualcosa di nuovo.

giovedì 28 agosto 2014

Audiotree Sessions: The Felix Culpa, RX Bandits, From Indian Lakes, Scale the Summit

Le ultime tre sessioni live in studio della serie Audiotree hanno ospitato alcuni gruppi di cui ci siamo occupati in queste pagine: The Felix Culpa, RX Bandits e Scale the Summit (questi ultimi solo menzionati di sfuggita a dire il vero). Per l'occasione ho aggiunto anche quella dei From Indian Lakes, dei quali ho parlato pochi giorni fa, che risale all'anno scorso.

 

mercoledì 13 agosto 2014

The Felix Culpa / Foreign Tongues - Split (2014)


Questo split EP di 4 brani rappresenta il ritorno ufficiale sulle scene dei The Felix Culpa. La band si era sciolta poco dopo l'uscita del loro secondo album in studio Sever Your Roots che rimane uno dei tesori nascosti più pregiati del progressive hardcore americano. Quest'anno i Felix Culpa si sono riuniti, annunciando nuovo materiale e un tour che parte ad ottobre. Le due canzoni qui presenti (condivise con altre due dei Foreign Tongues) spero siano il preludio ad un nuovo impeccabile lavoro. Karma City e Bloodletting Lines rappresentano la parte più snella e diretta del gruppo, sempre con quell'approccio dark e poderoso che li contraddistingue. Per esperienza vi dico che i Felix Culpa sono una di quelle band a cui va dato tempo e, dopo aver metabolizzato le loro atmosfere cupe e sonorità quasi gelide nella loro spietatezza, ti entrano nel sangue. Anche per questo Sever Your Roots è un ascolto consigliatissimo.



http://thefelixculpa.com/