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domenica 4 giugno 2023

Notes from the Edge of the Week #7


  • Il secondo album dei Superlove follow:noise è un notevole salto in avanti rispetto al primo Colours, del quale focalizza e capitalizza le idee nell'assemblare l'essenza di elementi djent, electro pop e dance, tagliarne il superfluo e farli funzionare in un montaggio sorprendentemente conciso, coeso e brillante. Pur essendo solo un trio, la produzione risalta il suono bombastico e potente, valorizzando chorus da arena rock che ti si stampano in testa. Il modo in cui i Superlove oscillano nella dicotomia dei brani dà come una sensazione di personalità schizofrenica che si traduce in un "divertiamoci-a-fare-un-po'-i-cazzoni" durante la strofa e un "ok-ora-facciamo-sul-serio" durante il ritornello. Loro lo chiamano noise pop e anche hyper pop, ma è chiaro che la bilancia pende sulla seconda scelta. Dall'esperienza avuta con l'esplosione degli Sleep Token ho notato che non tutti sono inclini ad accettare accostamenti estremi di generi così diversificati quindi, se anche voi avete qualche dubbio o perplessità, prima di scartare a priori, provate subito il singolo Something Good oppure Change Your Mind e se non vi convincono allora lasciate perdere.


  • Non bazzicando assiduamente le parti dell'heavy metal conoscevo gli Avenged Sevenfold solo di nome. A convincermi ad ascoltare il loro nuovo album Life is But a Dream... è stato un commento nel gruppo dei The Dear Hunter che lo ha descritto come diverso da qualsiasi cosa fatta da loro, abbastanza strano e "proggy" e, continuando a leggerne in giro, si percepisce anche da parte dei fan di vecchia data la sorpresa e lo spaesamento causati da questa uscita, sia in senso positivo che in quello negativo. In effetti Life is But a Dream... non lascia certo indifferenti: gli Avenged Sevenfold si sono spinti al massimo delle proprie possibilità mettendo sul piatto un lavoro coraggioso e ardito, non tanto per la commistione tra generi ma per il fatto di sezionarli e decontestualizzarli in una cornice comune che all'apparenza li rigetterebbe. E gli Avenged Sevenfold lo fanno con le cose più improbabili, le rendono comunque credibili, passando dal caos del thrash metal a motivetti per canzoncine da anni '50 (Game Over), dal growl più infernale al musical colorato con una fantastica coda di piano fusion (Mattel). Ci sono frammenti robotici e industriali, altri estremamente melodici o talmente melensi da sfiorare la parodia. Messi nel contesto a parti invertite sembrano fuori posto o, se volete, una folle sintesi tra Voivod e Faith No More (Beautiful Morning è il riferimento più palese), eppure funziona e diverte, anche se talvolta il mood diventa un po' troppo cupo. Poi c'è la trilogia G, (O)rdinary e (D)eath che è un vero capolavoro di eterogeneità e dove gli Avenged Sevenfold abbandonano ogni freno fino ad arrivare dalle parti di Frank Zappa.  


  • Se vi ricordate del chitarrista Martin Gonzalez e dei suoi Atomic Guava c'è la possibilità che sappiate anche chi siano gli Ok Goodnight, la sua band parallela formata insieme alla cantante Casey Lee Williams, che adesso si presenta alla seconda prova con The Fox and the Bird. Essendo un concept album ambientato nel regno animale, quasi ogni traccia ne prende il titolo e l'ispirazione, settando il carattere del pezzo in base al peculiare temperamento dell'animale protagonista. Il disco parte in modo acustico per poi avviarsi ad atmosfere sempre più inclinate verso il prog metal e prog fusion, con una varietà di scrittura e atmosfere encomiabile. Un disco che di sicuro merita attenzione nella abbondante scelta di proposte nel genere.


  • Il talento del tastierista Lars Fredrik Frøislie è tutt'altro che da mettere in dubbio, essendo già un'istituzione del prog scandinavo, grazie alla sua collaborazione con gruppi ormai leggendari come Tusmørke, White Willow Wobbler. Ebbene, Frøislie ha esordito con Fire fortellinger, un album solista che è un monumento alla sua arte, contenente solo quattro pezzi che sono quanto di meglio possa produrre oggi il prog sinfonico. Nostalgici solo nei suoni, ma con una carica e un'inventiva multitematica da imprimere il giusto bilanciamento tra modernità e tradizione. Anche se non è giusto fare paragoni, lasciatevelo dire, Frøislie riesce da solo a volare anche più in alto dei suoi Wobbler.


  • Il nuovo KNOWER del duo Genevieve Artadi e Louis Cole, anche se è uscito venerdì, sarà disponibile per l'ascolto intero in tutte le piattaforme solo tra 4 o 6 mesi per il comprensibile motivo di capitalizzare il prodotto e al il momento potete averlo solo se acquistato su Bandcamp. Da parte mia posso anticiparvi che, se siete fan dei KNOWER e del loro scanzonato stile funk jazz con tocchi di pop e prog, questo album non vi deluderà. I pezzi sono come al solito trascinanti e le parti soliste sono assolutamente stellari, molto più avanzate ed evolute del precedente LIFE. Diciamo che KNOWER FOREVER sta a LIFE come la versione originale di Overtime tratta da quest'ultimo sta a quella "live-in-da-house" del video divenuto virale.

sabato 2 novembre 2013

THE OPIUM CARTEL - Ardor (2013)


Ogni tanto gli artisti di progressive rock sentono il bisogno di prendersi una pausa dalle trame complicate e cervellotiche che contraddistinguono tale genere. E' ciò che ha fatto Jacob Holm-Lupo, chitarrista, mente e leader dei norvegesi White Willow, che con questo suo progetto parallelo denominato The Opium Cartel vuole dichiaratamente tornare alle atmosfere art rock anni '80 di gruppi come Prefab Sprout, The Blue Nile e Japan.

Ardor è la seconda opera sotto questo moniker, dopo Night Blooms (uscito nel 2009), ancora una volta ricco di ospiti prestigiosi come i cantanti Rhys Marsh, Tim Bowness (No-Man, Henry Fool), Alexander Stenerud e Venke Knutson, artista pop molto famosa in Norvegia, nonché i compagni provenienti dai White Willow Mattias Olsson (batteria), Ellen Andrea Wang (basso), Lars Fredrik Frøislie (tastiere) e Ketil Vestrum Einarsen (flauto).

Essendo Holm-Lupo il principale compositore, l'impronta stilistica del suo gruppo di riferimento è innegabilmente presente, ma tutto è calato in un contesto più etereo e raffinato. Anche se sono canzoni spogliate dall'aura della pretenziosità, quelle di Ardor rimangono in un certo senso legate all'estetica progressive rock. In tutto l'album i break strumentali sono ricchi e numerosi anche grazie alla presenza massiccia di tastiere e synth ed in più si ha sempre quella sensazione di un sinfonismo romantico a fare da sottotesto, mentre dall'altro lato si utilizzano sia batteria, sia drum machine.

La summa di questo ibrido la troviamo alla fine dell'album negli 11 minuti di Mariner, Come In con ospite al canto e alle tastiere l'altra metà degli Henry Fool, Stephen Bennett, e Harald Lassen che pone il proprio suggello al brano con un sinistro assolo di sax finale. Un altro ottimo esempio può essere The Waiting Groung, sublimazione di pop progressivo che sposa suoni acustici costellati da sintetizzatori ad intermezzi che replicano i mellotron romantici di Genesis e King Crimson.



Quella di Ardor è una rilettura, attraverso le strumentazioni moderne, di stilemi AOR e art-pop anni '80. Forse c'è un po' di Asia nel singolo When We Dream (soprattutto nel crescendo finale) e ascoltando White Wolf è impossibile non farsi venire alla mente Paul Buchanan che canta il più bell'inedito dei Blue Nile, sensazione che viene replicata su Northern Rains. Su Ardor c'è lo spazio anche per un'altra cover: se su Night Blooms era toccato a By This River di Brian Eno, qui Holm-Lupo rispolvera il suo mai celato amore per i Blue Öyster Cult con Then Came the Last Days of May che assume le sembianze di una ballad interpretata in modo magistrale dalla Knutson. A questa malinconia nordica si aggiungono le acustiche e crepuscolari Silence Instead, cantata da Bowness, e Revenant che assomigliano molto ai White Willow più pastorali.

Di questi tempi, tra i molti revival che cercano di replicare musicalmente o trarre ispirazione da uno dei decenni più vacui della storia del rock, quello di Holm-Lupo è sicuramente uno dei più originali e dall'approccio non convenzionale e comunque non scontato. E' chiaro che se siete fan di No-Man, The Blue Nile e Talk Talk l'acquisto è più che consigliato.



http://www.theopiumcartel.com/

lunedì 16 maggio 2011

WOBBLER - Rites at Dawn (2011)


In attesa del nuovo album dei White Willow - in uscita il 15 agosto con il titolo di Terminal Twilight - non c'è meglio che ascoltarsi l'ultima fatica del loro tastierista Lars Fredrik Frøislie che, con il suo progetto Wobbler, è arrivato ormai al terzo lavoro. Non ho mai dato troppa importanza a questo gruppo norvegese dato che gli album precedenti, pur essendo impeccabili dal punto di vista produttivo ed esecutivo, erano dei giochi al rimando ai gruppi progressive rock più famosi degli anni '70. In questa loro voluta derivatività, i Wobbler perdevano in freschezza e i loro brani divenivano dei lambiccati esercizi di stile fatti di colte citazioni.

Mi sono avvicinato quindi a Rites at Dawn con molto scetticismo, ma per fortuna qualcosa è cambiato. Sarà la felice introduzione della voce del nuovo arrivato Andreas Prestmo, oppure una più felice vena compositiva, ma questo terzo disco va oltre gli stretti parametri rievocativi e nostalgici. Gli strumenti vintage e i suoni dei magici anni '70 ci sono sempre, ma stavolta il gruppo è meno ossessionato dal citare ad ogni cambio tematico un gruppo ben preciso di quei tempi tra ELP, King Crimson, Genesis o Yes. Diciamo che le peculiarità di questi ultimi spiccano in particolar modo su Rites at Dawn, complice anche le armonie vocali che sembrano in alcuni punti uscite dai dischi di Crosby, Stills & Nash. Ma in generale i brani godono di una direzione univoca e meno eclettica che sicuramente ha giovato alla compattezza della visione finale che rimane comunque caleidoscopica.
L'aspetto bucolico dei CS&N emerge particolarmente negli arpeggi acustici di This Past Presence, cogliendo anche le affinità che legavano gli Yes alle suggestioni armoniche della West Coast. Stessa storia vale per le bellissime La Bealtaine e A Fearie's Play che nei loro intrecci di basso, mellotron e organo Hammond chiamano in causa anche i Gentle Giant. La band dei fratelli Shulman risuona su In Orbit dove le varie parti, che si dipanano nei suoi oltre 12 minuti, sono inframezzate dalla chitarra a 12 corde molto genesisiana di Morten Eriksen. I prog fan più tradizionalisti avranno di che gioire pure con l'altro lungo pezzo che è The River, dove emerge la tipica malinconia nordica di Anekdoten e Landberk che in seguito si trasforma in un tripudio di armonie vocali in stile Yes. D'altra parte tutte le band progressive provenienti dalla Scandinavia ci hanno da anni abituati a volgere lo sguardo verso il passato di questo genere, riproponendone sonorità, vezzi e piccoli-grandi stratagemmi esecutivi con cura filologica e quasi maniacale.

Talvolta queste operazioni risultano stucchevoli, altre colgono nel segno e i Wobbler stavolta ci sono riusciti. Rites at Dawn è forse il miglior album di progressive rock pubblicato in questo primo semestre 2011 sinora avaro di nuove uscite interessanti, compreso il deludente Mammoth dei Beardfish. E' comunque incredibile come in Scandinavia i gruppi emersi negli ultimi 20 anni si siano attestati come i più autorevoli interpreti di prog sinfonico.