giovedì 26 febbraio 2015

STEVEN WILSON - Hand. Cannot. Erase. (2015)


Premessa: Hand. Cannot. Erase. ha riportato a galla il personale rapporto conflittuale che ho con questo signore. Non è sempre stato così in verità, lo amavo veramente nei primi lavori dei Porcupine Tree, poi, quando conseguì il "successo" con il cambiamento di rotta stilistico, qualcosa si è incrinato. Non mi reputo uno di quelli che vorrebbe un artista relegato perpetuamente alla sua piccola nicchia di appassionati e che quando questo diventa un po' più conosciuto, lo ritiene un traditore (prova ne sono le recensioni positive che riservai a Grace for Drowning e The Raven That Refused to Sing). Quello che mi dispiace davvero è che Wilson ha conseguito una maggior popolarità per i motivi sbagliati. Se per i meriti raccolti sul campo Wilson doveva diventare l'icona del progressive rock cui è ritenuto oggi, in teoria, lo sarebbe dovuto diventare immediatamente, dato che i suoi lavori più intrinsecamente progressive sono i primi. Quindi, diciamoci la verità: il pubblico che ha iniziato ad amare Steven Wilson attraverso gli ultimi album dei Porcupine Tree non è necessariamente affezionato al progressive rock, ma fa parte di una varietà trasversale, che al limite ne possiede una concezione relativamente giovane e più ingenua (nel senso buono del termine). Il che non è una critica, ma solo un modo per sottolineare come la figura di Wilson sia stata nel tempo sopravvalutata da persone non preparate in materia di progressive rock, fino ad attribuirgli un'aura che lo rende praticamente immune alle critiche.

Lasciamo perdere i meriti riconosciuti per i vari e recenti remix di album storici per il prog, oltre che le sue doti di stimato produttore che nessuno mette in dubbio, tutto questo è venuto dopo. Parliamo delle sue scelte discutibili che lo hanno portato a realizzare degli album (sia con i PT che in altri ambiti) dagli esiti artistici altalenanti, dimenticando volentieri la trascurabile parentesi Storm Corrosion. Naturalmente per la maggior parte dei suoi fan "post In Absentia" non è così. Wilson è in pratica diventato un santo intoccabile, un genio che trasforma in oro tutto ciò che tocca e, leggendo le recensioni preventive di Hand. Cannot. Erase. comparse nei siti stranieri, sembra che il grande Autore abbia fatto centro di nuovo. E così arriviamo alla sostanza del discorso: qui si assiste alla solita glorificazione di quest'ultimo album come l'ennesimo capolavoro, cosa che oggettivamente non è. Potrei al limite capire chi lo considera un bell'album per questioni di gusto, ma talvolta si dovrebbe avere il coraggio di andare fuori dal coro e affermare che Hand. Cannot. Erase. è tutto fuorché un capolavoro. Anzi, è una delle opere più deboli partorite da Wilson, e lo dico da fan.

Un vero amante del progressive rock non può appassionarsi a Hand. Cannot. Erase. o, perlomeno, non può assolutamente giudicare Wilson un padreterno del prog, poiché questo album è pieno zeppo di cose già sentite e risentite. E non sto parlando di ridare smalto alle classiche sonorità di King Crimson e Genesis con attitudine moderna, come già sperimentato nel grandioso Grace for Drowning e nel pur pregevole The Raven That Refused to Sing. Qui si parla di riciclare le sonorità del neo prog degli anni '90 tanto odiate dallo stesso Wilson. Se prendete 3 Years Older, ad esempio, non c'è nulla che nei suoi 10 minuti gruppi come Spock's Beard e The Flower Kings non abbiano già fatto.





Anche la title-track si rivela abbastanza debole. Come molti giustamente hanno notato, essa ha le sembianze di un pezzo estrapolato dalla già non eccitatane ex band parallela di Wilson, i Blackfield. Il primo singolo tratto dall'album fa il suo dovere di semplice canzone per attirare l'attenzione, ma si capisce chiaramente che il suo compito si limita a questo, dentro non sono racchiusi dei particolari memorabili da rilevare. Si è discusso, poi, sulla scelta azzardata e quanto mai coraggiosa di lanciare come secondo singolo (con tanto di video) la divisiva Perfect Life: voce narrante della cantante israeliana Ninet Tayeb sopra una base electro ambient con il canto di Steven Wilson che interviene solo a metà canzone, ripetendo la stessa frase più volte. Al di là dei giudizi soggettivi che portano ad amare o odiare Perfect Life, esso è, in realtà, un pezzo abbastanza debole che, messo in prospettiva, si può rilevare come un artista tipo David Sylvian abbia dato contributi più incisivi in materia.

Routine, che a quanto pare per molti rappresenta il brano cardine dell'album, possiede, al contrario, un senso di incompiuto, ammassando la successione di almeno tre sezioni - dai connotati inequivocabilmente genesisiani e floydiani - senza mai decidere quale strada imboccare. Qui il gioco di prestigio di Wilson è piuttosto quello di ammaliare con trucchi di arrangiamento sinfonico, toccando le corde emotive dell'ascoltatore. Qualcosa di buono comunque lo troviamo quando si arriva alla sequenza composta da Home InvasionRegret #9: la prima viene pilotata da un groove di piano elettrico alla Alan Parson Project e un incedere da blues metal (non privo di strappi solisti psichedelici nella prima parte); il secondo, interamente strumentale, tra oscuri bordoni e un grande solo di synth di Adam Holzman prima e uno magnifico di Guthrie Govan poi, si attesta come il miglior pezzo di tutto il disco.

La lunga Ancestral, nei suoi toni cupi e oppressivi, poteva benissimo comparire in un album dei White Willow e nessuno avrebbe gridato al miracolo, ma in questo contesto scommetto che sarà considerato un altro capolavoro. Happy Returns è invece la classica glossa a forma di ballata malinconica per piano e chitarra acustica che di sovente troviamo in chiusura negli album firmati da Wilson (quindi anche quelli dei Porcupine Tree) che stupisce per la sua modestia, con in più l'aggiunta di un coretto a modo di inciso abbastanza imbarazzante. Tirando le somme Hand. Cannot. Erase. appare un'opera che vive di momenti diversificati a livello stilistico, che in altri casi avrebbero potuto anche funzionare, ma qui la maggior parte delle volte non vengono messi bene a fuoco e rispecchiano una certa confusione su quale indirizzo dare all'album e penso che la cosa la potrà percepire anche chi lo apprezzerà. Parlando di genialità Hand. Cannot. Erase. in effetti non ne è privo: al suo interno c'è un solo genio, le sue iniziali sono GG e non a caso le parti migliori sono quelle che lo vedono protagonista.

 

martedì 24 febbraio 2015

SANGUINE HUM - Now We Have Light (2015)


E' così raro trovare nel progressive contemporaneo qualcuno che sappia e che sia in grado di riproporre le soffici e delicate atmosfere canterburiane, tanto che quando qualcuno viene allo scoperto è bene tenerselo stretto, così da poter ritornare a respirare quelle particolari arie rarefatte provenienti dalle terre tinte di grigio e di rosa e popolate da teiere volanti e molta patafisica. Quel gruppo oggi si chiama Sanguine Hum e in passato ha seminato per la strada piccoli gioielli musicali sotto il nome di Antique Seeking Nuns e Joff Winks Band, ma sempre con la stessa attitudine professionale.

Con la nuova sigla di Sanguine Hum sono stati realizzati due album (che potete trovare entrambi recensiti in questo blog) e ora, la coppia Joff Winks e Matt Baber, torna con il suo progetto più ambizioso: il doppio Now We Have Light. Il lavoro è un concept album di 83 minuti ambientato in un futuro post apocalittico e presentato come "un contorto mix tra Guida Galattica per Autostoppisti, Joe's Garage e The Lamb Lies Down on Broadway", raccontando la storia tra il surreale e il fantastico del protagonista Don che scopre casualmente una nuova fonte di energia rinnovabile e pulita, basandosi su due fondamentali verità: che quando un gatto cade atterra sempre in piedi e che quando a cadere è invece una fetta di toast imburrato, questa cadrà inevitabilmente dalla parte del burro. Chi non conosce lo spirito dadaista canterburiano potrà anche sorridere della trama, ma i Sanguine Hum, con questo terzo capitolo della loro discografia, incarnano i migliori esecutori testamentari dell'eredità di Caravan, National Health, Gilgamesh e Matching Mole.

Interpolando canzoni molto armoniche e sperimentazioni sonore che si incastrano tra un brano e l'altro (Getting Warmer), Now We Have Light è ricco di spunti e idee che si realizzano con l'ormai classico mix di piano elettrico di Baber e gli arpeggi di Winks che sono divenuti come un marchio di fabbrica. Anche se non mancano momenti più concitati relegati alle parti strumentali, l'album si concentra per la maggioranza su atmosfere rilassate con deliziose melodie che possono cullare l'ascoltatore nei vortici fusion di Derision e Desolation Song o nel pop rock dai suoni apertamente elettronici e idiosincratici di Settle Down. I Sanguine Hum si accostano al jazz di Canterbury come lo affronterebbe una band post rock, attraverso fraseggi e blocchi tematici reiterati. Così Spanning the Eternal Abyss appare come una contemporanea versione di Hatfield and the North e Bubble Trouble si spezza tra spore wilsoniane (nel senso di Steven) e spezie zappiane. Interessante l'esperimento di Theft che nasconde sottotrame minimali per dare sfogo ad una fusion che sfiora in alcuni momenti il metal, ma sempre con eleganza, e ancor di più l'elettroacustica On the Beach con un bell'assolo finale di piano e synth.

Come per Richard e Dave Sinclair, due tra le anime canterburiane più vicine alla sensibilità pop, non è da sottovalutare nei Sanguine Hum una certa fascinazione per le belle melodie che fanno capolino su Chat Show e Out of Mind. In definitiva Now We Have Light rappresenta una monumentale opera omogenea, non perfetta, ma sicuramente notevole e che classifica i Sanguine Hum come una specie da proteggere e da salvaguardare per chi, come noi, ama alla follia il Canterbury Sound. In più il booklet ci avverte e annuncia che Don ritornerà su Now We Have Power, quindi questo è soltanto l'inizio.


http://troopersforsound.com/

domenica 22 febbraio 2015

Il jazz progressivo degli Snarky Puppy

 
Quando si ascolta gli Snarky Puppy non si può che rimanere sbalorditi dalle loro performance. Il gruppo o collettivo comprende una quarantina di musicisti (professionisti, session man e insegnati esperti provenienti dal mondo del jazz e del pop rock) che si alternano in una formazione molto dinamica, anche se il nucleo rimane piuttosto costante. Radunati dalla volontà del bassista Michael League, gli Snarky Puppy sono partiti dal Texas e si sono stabilizzati a Brooklyn, ma hanno trovato in Europa una seconda casa, tanto che il secondo leader, il tastierista Bill Laurence, è inglese (e dovreste ascoltare il suo primo album solista), macinando concerti sold out in Francia, Belgio, Olanda e Germania e vincendo anche un Grammy nel 2014 per la performance di questa robetta qua.

Dopo tre album in studio (il primo è datato 2006), dal 2010 la carriera degli Snarky Puppy ha preso un piega decisamente innovativa, decidendo di realizzare album esclusivamente live di materiale inedito registrato in presa diretta, con una resa sonora impressionante (che potete verificare nei vari video caricati su YouTube), e allegarvi anche il DVD dell'evento. L'ultimo album pubblicato in questo modo (esattamente un anno fa e registrato in Olanda), We Like It Here, è forse il migliore per avvicinarsi al gruppo e, proprio nella sua dimensione visiva, è un vero concerto-capolavoro che rende l'idea della caratura degli Snarky meglio di qualsiasi parola. Nella loro fusion di jazz, funk, R&B, soul, world e progressive, gli Snarky Puppy fanno di tutto per non tediare l'ascoltatore con pezzi strumentali leziosi e assoli insipidi, anche perché ogni brano nelle sua totalità è esso stesso un assolo continuo finalizzato a mettere in risalto le doti spettacolari di ogni strumentista del gruppo.





A differenza di molti colleghi che sono soliti arrangiare brani strumentali attraverso esposizione del tema per poi dare libero sfogo all'improvvisazione, con il rischio di far perdere interesse all'ascoltatore, qui è consigliato caldamente l'ascolto dei pezzi nella loro interezza, dato che scorrono con idee imprevedibili che trasformano la musica costantemente.

Se qualcuno pensa che il jazz sia finito e senza futuro, credo che gli Snarky Puppy rappresentino una buona risposta alla carenza di artisti che non si ripetono in questo campo. Naturalmente la band in questi anni ha partecipato ai più esclusivi festival jazz in giro per il mondo, trascurando come al solito l'Italia anche se, molto spesso e volentieri, sono di passaggio in Europa come già detto. A proposito di ciò, Sylva, il prossimo album in uscita il 20 aprile, è stato registrato sempre in Olanda e, con la costante voglia di mettersi in gioco, gli Snarky Puppy si sono uniti alla Metropole Orkest per un connubio di jazz orchestrale ancora una volta realizzato in formato CD e DVD.



http://www.snarkypuppy.com/

martedì 17 febbraio 2015

Intervista con Nigel Pulsford (ex chitarrista dei Bush)

di Francesco Notarangelo

Sono ormai anni che ho problemi lavorativi: da quando ho finito l'università, sto provando sempre grosse difficoltà nell'essere felice e nel guadagnarmi da vivere. Spesso mi ritrovo con contratti della durata di 3-6 mesi, gente che cerca di non pagare o capi altezzosi che credono di essere tutto: padri - madri perfette, persone oneste, persone perbene! La mia vita è ormai contraddistinta da queste guerre, periodi di re-invio  cv, momenti di panico, depressione, sollievo, goduria per la scoperta di qualche chicca musicale.

Tutto ciò non ha niente a che fare con quello che speravo quando alle superiori mi svegliavo alle 6.30 e mi facevo un'ora di autobus con un indistruttibile lettore cd Sony azzurro (fantastico) per andare a scuola e mi caricavo con la musica più disparata. Tenevo a volte il volume così alto che, spesso, la gente mi chiedeva che gruppo stessi ascoltando rimanendo attonita per quanto rispondevo loro.
Nei miei viaggi non poteva mancare Razorblade Suitcase o Sixteen Stone dei Bush, gruppo per il quale persi la testa e che forse ha contribuito all'inizio del tutto: raccolta di vinili, amore spropositato per la musica, insoddisfazione perenne.
A farmeli conoscere fu il mio migliore amico che purtroppo, ormai, vedo sempre meno e col quale non discuto più di musica e tantomeno vado a mostre di cd e vinili, ma al quale, nel 2002 in un angolo di un bar disastrato in uno sperduto quartiere di periferia, feci una promessa. Ricordo che di fronte all’ennesimo spritz, la conversazione si svolse praticamente così:

-Credi che Baggio andrà al mondiale?
-Non credo.
-Io credo che ce la farà.. sono pronto a scommetterci.
-Ma secondo te Gavin che fa tutto il giorno? Si sveglia a mezzogiorno e si prepara un uovo al tegamino?
-Non so, sicuro si diverte!
-Ti prometto che un giorno glielo domanderò.

Da allora moltissima musica è passata, cambiamenti epocali sono avvenuti nella mia e in  quella del gruppo, ma di certe promesse non posso e non voglio dimenticarmi
Riuscire ad intervistare l'ex chitarrista dei Bush, Nigel Pulsford,  la  mente del gruppo, è un sentito ringraziamento a quei momenti in cui la vita sembrava leggera e disincantata, quei momenti in cui ci si dava battaglia in campi da calcio polverosi e non in treni, bus per raggiungere lavori precari e sottopagati. La promessa non è ancora stata mantenuta, ma arriverà.. Grazie Nigel, grazie Nico. Per tutto. Punto.


Ci sono canzoni inedite dei Future Primitive (primo gruppo di Nigel Pulsford e Gavin Rossdale)?

Ci sono alcune canzoni finite nel dimenticatoio, mentre altre sono state registrate come demo. Probabilmente una dozzina.

Come sono nati i Bush?

Un vecchio amico, Suze Demarche, è il cantante della band australiana Baby Animals. Nell’inverno del 1991 stava suonando di supporto a Bryan Adams alla Wembley Arena e a Londra mi presentò Gavin pensando che potessimo iniziare a lavorare insieme. Abbiamo così scoperto che avevamo un sacco di musica in comune e abbiamo deciso di coinvolgere altri musicisti. Solo nel 1992 Dave è entrato come bassista ufficiale e abbiamo firmato il primo nostro contratto discografico. Nel 1993, invece, è arrivato Robin alla batteria.

Come nacque l’origine del nome Bush?

Il grafico del primo album ci suggerì di cambiare il nome. Sixteen Stone stava per essere chiamato Bush. Non abbiamo mai amato troppo il nome Future Primitive e, quindi, abbiamo ritenuto che fosse il momento opportuno per cambiarlo.

Quali sono stati i tuoi gruppi preferiti e cosa ascolti ora?

E' molto difficile da ricordare, ma suppongo i Pixies, Elvis Costello, Alice in Chains, Tom Waits, Hery Rollins, Beastie Boys, Nirvana, PJ Harvey, Red Hot Chili Peppers, Primal Scream, Jane’s Addiction, The Gun Club, The Cramps, The Birthday Party, Neil Young. ancora oggi ascolto tutti questi gruppi insieme a moltissimo jazz e a Jenny Lewis, Ryan Adams, Dylan, Velvets, The Band, Randy Newman…

Non eravate spaventati d’imporvi in Inghilterra come gruppo grunge quando in realtà andava molto il britpop come gli Oasis?

Non ci avevamo mai pensato, il nostro era l’unico genere che volevamo davvero suonare e non aveva alcuna importanza se andava o meno di moda. Ho sempre pensato che il britpop fosse un genere orribile e, di conseguenza, non sono mai stato un grande fan.

Quali sono i significati dei titoli e degli artworks dei vostri album?

Non lo so. Gavin s’interessava e aveva il pieno controllo su quelli.

Qual è la tua canzone dei Bush a cui sei più affezionato?

Mi piacciono molte delle canzoni dei primi due album.

Com’era suonare le vostre canzoni dal vivo? Puoi raccontarmi un episodio divertente dei vostri live?

Suonare dal vivo è sempre la parte migliore di far parte di una band. il poter condividere ed essere guidati dall’entusiasmo dei fan è qualcosa di davvero eccitante; è la giusta ricompensa alla fatica del tour e dei suoi immensi spostamenti. E' incredibile poter ammirare un pubblico che canta e si agita per i tuoi suoni, per le tue canzoni. Ricordo il live a Manchester al Roadhouse in cui palco era talmente basso che la gente continuava a salirci sopra finché non fummo costretti ad interrompere il concerto. non riuscivamo a credere che tutta quella gente fosse lì per noi e fossero in un tale stato di agitazione. Ricordo anche il nostro primo concerto in America al CBGB di New York. anche lì la gente era entusiasta e incontrammo diverse difficoltà per raggiungere il palco. Una volta iniziato a suonare, siamo rimasti stupiti che conoscessero tutte le nostre canzoni. Qualcosa che non avevamo mai visto prima e che faccio fatica a dimenticare. Erano tempi molto felici ed indimenticabili. Anche incontrare i fan dopo la fine di un concerto, era un’esperienza meravigliosa.

Avete mai pensato di registrare un unplugged o un album di cover?

Sì, abbiamo fatto un provino per un Mtv Unplugged, ma alla fine non se ne fece nulla.

Come evolse il vostro processo creativo dal primo album (Sixteen Stone) all’ultimo album insieme (Golden State)?

Sicuramente qualcosa cambiò. Registrare i primi due album fu un processo creativo e divertente. Gli ultimi due, invece, furono molto difficili.

Perché hai lasciato i Bush? Cosa è successo?

Ogni cosa ebbe il giusto corso. Formai una famiglia e non mi piaceva lasciarli soli per così tanto tempo, in più ero stanco del music business e di tutto ciò collegato ad esso.

Che cosa hai portato nel tuo album solista dalla tua esperienza con i Bush?

Il mio album solista fu una reazione ai Bush. Volevo staccarmi da quel mondo e fare qualcosa di diverso. avevo scritto diverse canzoni per i Bush che poi Gavin si rifiutò di registrare così decisi di utilizzarle insieme ad altre nuovi appena andai a vivere a Nashville nel 1997/1998. Mi sono davvero divertito e stavo bene mentre lo facevo.

Com’era suonare e cantare da solo come in Heavenly Toast on the Paradise Road?

Come detto, mi sono divertito molto, ma non sono un bravo cantante. sto lavorando ad un altro album solista, ma sarà principalmente strumentale.

Hai mai pensato di fare un altro album con tua moglie Judith Pulsford o Gavin Rossdale?

Mia moglie mi aiuta sempre su tutto e non ho mai pensato di tornare a lavorare con Gavin di nuovo.

Cosa ne pensi delle nuove canzoni dei Bush e degli Institute? Hai mai provato a tornare a suonare con loro?

No, non voglio tornare a suonare quelle vecchie canzoni e preferisco non esprimermi sul “nuovo” materiale.

I tuoi progetti futuri?

Ho appena finito di produrre una band di Bristol, The Vigil; ho suonato con i Furlined ed entro autunno spero di uscire con il mio nuovo album solista oltre a suonare in giro con molte band locali. Sono davvero molto positivo per il futuro.




 

lunedì 16 febbraio 2015

Kevin Gilbert - Thud (20th Anniversary Deluxe Edition) (2015)


Una dote che non deve mancare ai fan di Kevin Gilbert è certamente la pazienza. È risaputo, infatti, che negli archivi dell’artista (scomparso tragicamente nel 1996) giacciono tonnellate di materiale pronto per essere pubblicato, ma ci sono voluti anni affinché solo una parte di esso venisse alla luce. L’Estate of Kevin Gilbert e Jon Rubin (ovvero gli esecutori testamentari del lascito musicale gilbertiano) si sono finalmente decisi, allo scoccare dei venti anni, a ristampare la più volte annunciata nuova edizione di Thud, l’unico album che Gilbert pubblicò a proprio nome quando era in vita. Per l’occasione, al disco originale (uscito anche in una splendida edizione limitata in vinile) sono stati aggiunti altri due CD di materiale inedito, demo e versioni alternative.

Per chi non conoscesse l’artista, è doveroso aggiungere che Gilbert era solito conservare della stessa canzone molteplici arrangiamenti o versioni, le quali davano la misura del suo genio. Ecco perché, allora, ascoltare i differenti stravolgimenti subiti da Goodness Gracious, oppure una rimodellata All Fall Down (in versione Toto!), o un’intensa Song for a Dead Friend interpretata con la chitarra acustica anziché con il piano, diventa l’occasione per scoprire quasi delle nuove canzoni. Accanto a loro troviamo forse la miglior cover mai realizzata di Kashmir dei Led Zeppelin (pensata per la raccolta-tributo Encomium, ma rifiutata dalla Atlantic Records perché Gilbert “non era abbastanza famoso”) e due inediti di tutto riguardo come Until I Get Her Back e Big Heart.

Un’altra importante perla che vede la luce per la prima volta su disco è la versione in studio della mitica Miss Broadway, canzone con liriche di fuoco scagliate contro la ex fidanzata Sheryl Crow. Infatti, Thud arrivò dopo la scottante delusione per la vicenda Tuesday Night Music Club (alcuni musicisti che avevano partecipato a quell’album sono qui presenti) e le polemiche che ne seguirono. D’altronde, in Thud, Gilbert riversò molte delle proprie aspettative e frustrazioni da artista infelice e parte della poetica pessimista e tenebrosa dell’album fu in qualche misura influenzata da quell’avvenimento. Questa nuova edizione è confezionata in una bellissima custodia formato libro (curata da Hugh Brown) con molte foto inedite e una superlativa rimasterizzazione realizzata da John Cuniberti. L’unica cosa da aggiungere è che chi ama Kevin Gilbert ascolterà questi tre dischi con le lacrime agli occhi.

www.kevingilbert.com  





Disc 1

1.When You Give Your Love To Me
2.Goodness Gracious
3.Joytown
4.Waiting
5.Tea For One
6.Shadow Self
7.The Tears Of Audrey
8.Shrug (Because Of Me And You)
9.All Fall Down
10.Song For A Dead Friend

Disc 2

1.When You Give Your Love To Me (Demo)
2.Goodness Gracious (Demo)
3.Joytown (Acoustic)
4.Waiting (The Other Version)
5.Tea For One (Demo Mix #1)
6.Shadow Self (Mix #2)
7.The Tears Of Audrey (Demo-Straight)
8.Because Of You (Demo)
9.All Fall Down (Toto Version)
10.Song For A Dead Friend (Guitar Mix)
11.Until I Get Her Back (Studio Version)
12.Big Heart (Studio Version)

Disc 3

1.Kashmir (Studio Version)
2.Miss Broadway (Studio Version) 
3.Goodness Gracious (Can-Am Version)
4.Joytown (Full Mix-Unedited)
5.Tea For One (Sax Mix)
6.Late For Dinner (Dark Mix)
7.Song For Michael (Demo)
8.Waking The Sun (Instrumental) 
9.Tea For One (Demo-Instrumental)
10.The Tears Of Audrey (Demo-Instrumental)
11.Goodness Gracious (Bottrell Loop Mix)
12.Shadow Self (Bill's Board)




sabato 14 febbraio 2015

Intervista con gli Eva's Milk


Intervista realizzata da
Francesco Notarangelo


Non sono importanti le cose che accadono, ma forse è importante l'ordine in cui accadono.
Eva's milk, un gruppo per cui vale la pena aspettare e sorbirsi musica non all'altezza, pellicole scadenti, capi indolenti e subdoli.
Il gruppo di Novara dopo i due precedenti ottimi episodi (Cassandra e il sole che uccide e Zorn) torna a scaldare i nostri cuori con un terzo album dal titolo omonimo.. un album valido, coerente pronto a cullarci nelle notti più buie. Lasciate pure sbattere le porte e le finestre, immergiamoci nei suoni western di Pendulum o nelle sonorità grunge di Badishù senza dimenticare  quella lieve sottile dolcezza  e favolosa malinconia di un brano come Il Mare Sordo (un po' Pixies, un po' Verdena). Gli Eva's milk parlano di amori non corrisposti, di rabbia, paura, fuga in se stessi e contraddizioni varie del mondo in cui viviamo, per un lavoro davvero sentito e sincero.
Dopo la tempesta, rimarrà la voglia di rigettarsi in questo vortice di sensazioni suonate e cantate con maestria...finalmente musica italiana, finalmente musica ben suonata!



Vi state ancora divertendo? Che musica ascoltate per divertirvi?

Certo! Quando suoniamo siamo felici, quando fai management no, è una gran rottura. Ascoltiamo tantissima musica in tre, un migliaio di band famose e non.

Come e quando sono nati gli Eva’s Milk? Com’è nata questa passione per la musica e il progetto di provarci?

Volevamo fare una band, canzoni nostre e riempire gli stadi. I sogni post-adolescenziali che belli! Non abbiamo fatto la band per noia, anche se fa figo dire così (e 10 anni fa lo dicevo), ma perché eravamo e siamo stregati dalla musica. E' una necessità. Facciamo i nostri dischi da soli. Suoniamo con altre band come noi e a volte con alcune giganti. Figo.
 
Eva’s Milk… puoi spiegarmi l’origine e il significato di questo nome?
 
Dovevamo scegliere un nome. Era il 2002 ed eravamo in saletta. La parola che volevamo usare era Latte. Quella sicuro. Poi è nato il nome e dopo il significato. Avevamo robe tipo Lake of Milk, Red Milk, cose così. Abbiamo scelto Eva non per la bibbia, ma per la figura femminile, ci piaceva come suonava. In italiano non troverei tutt'ora un nome figo e originale.

Cosa sono più importanti: le parole o i suoni? Chi si cura di tutta la vostra grafica?
 
Entrambe, ma i suoni di più, l'italiano è difficile. Deve girare la canzone. La grafica del disco è di Lollo, anche lui ci ha sclerato parecchio. E anche adesso. Non ti dico poi per il vinile.

I vostri testi parlano di storie urbane, di sogni infranti e crudi e si scorge una certa disillusione e un sicuro pessimismo, da dove nasce questo punto di vista? Come scrivete i vostri testi ponendo sempre l'attenzione all’universo che ci circonda? Qual è il vostro messaggio da artisti ai vostri fruitori?
 
Con Zorn più che pessimisti credo fossero reali, una sorta di rivisitazione sociale più che politica. Senza mai dimenticare la musicalità. Ho odiato la mia voce fino a questo disco, ho corretto tante cose, specie gli accenti. Adesso me la faccio piacere e mi concentro. I testi sono stra-lavorati, lavoro di mesi. Più che un messaggio mi piace pensare all'idea che con la nostra attitudine possiamo far divertire o sfogare chi ci segue e chi ci seguirà.

Cos’è cambiato dal primo al terzo album?
 
Siamo cambiati noi, siamo cresciuti, io ho avuto una figlia, abbiamo preso schiaffi come tutti, ma resistiamo cazzo. Più faccende personali assurde di tutti. Musicalmente credo che l'autoproduzione apra strade infinite. Rispetto a tutti gli altri lavori abbiamo potuto dedicarci molto più tempo. Diciamo che con il prossimo disco non avremo più la parte iniziale, cioè lo zero! Abbiamo già voglia di registrare ancora.
 
Badishù non so perché mi ricorda il film Babadook… chi è?

E' l'alieno che vive nell'armadio di casa mia. Davvero. A volte c'è.
 
Penso che, soprattutto, nell’ultimo album si sentano più derivazioni artistiche, ci si è quasi staccati dall’ombra dei Nirvana che poteva sovrastare le scorse due opere. Nuovi ascolti vi hanno influenzato oppure si è cercato di intraprendere strade nuove? E' quanto dobbiamo aspettarci… una band in continua evoluzione che prima o poi, magari, inciderà un album unplugged?
 
Avevamo circa una ventina di canzoni più altre bozze. Non abbiamo mai scritto un album in studio, cioè componiamo in saletta, i testi arrivano per ultimi tranne qualche eccezione. Volevamo pestare di più in alcuni pezzi e in altri essere diversi, come Justine, Il Mare sordo, Patti coi Luciferi, canzoni spensierate, leggere. Per l'acustico abbiamo seri problemi relazionali. Questo ci preclude un sacco di opportunità live. Ma chi se ne frega.
 
Due album sotto etichetta… un terzo autoprodotto: perché e quali sono gli aspetti positivi di questa scelta?
 
In realtà anche il terzo è sotto la Fuego e ci siamo sempre autoprodotti, intendo come studio e stampa.

Il momento migliore e peggiore della lavorazione al vostro ultimo album?
 
Paolo ha fatto tutto. Ho solo registrato le chitarre e qualche voce. Giocando con la velocità io e Lollo abbiamo fatto «Il mare slow», la canzone che sarà sul vinile. Mentre si registra sono i momenti migliori. I peggiori sono stati in fase di mixaggio, un delirio, quando suonava la batteria non suonava il basso e così via, poi litigavamo spesso...però poi alla fine è stato divertente.

Ammettendo che non si viva più di musica come si faceva una volta e che spesso i guadagni derivano dai live, che ne pensate dei concerti i cui prezzi sono alle stelle? Meglio farne pochi guadagnando molto oppure farne tanti, ma guadagnare poco, però rendere la propria musica accessibile a tutti?

Che ne pensi se i biglietti per gli AC/DC a 90 euro che finiscono in 2 ore? Fa riflettere. Però per me è un vero furto, in questo caso per chi ama gli AC/DC. Ma sono non mondi, ma galassie diverse. Quel poco che entra si fa cassa per comprarci la roba o stampare le magliette. Non perché siamo sfigati, è che funziona così. O prendi o lasci. Ci sono i gruppi cover che suonano gratis, diciamo che questa tristezza è tutta loro.

Avete pensato di girare un prossimo video? Progetti futuri?
 
Abbiamo fatto un montaggio per Pendulum con un mini-film in super8 girato nel '70 a Novara da un cugino di mia madre. Ci sono anche i miei genitori che recitano e mio zio. La cosa assurda è che la storia gira a meraviglia sul pezzo, compare la nostra sala prove che poi è dove vive mia nonna che adesso ha 90 anni. La amiamo. Ho dovuto solo tagliare le scene perché dura 10 minuti, ma la storia è fantastica. Mi ricorda un sacco la serie de Il prigioniero. Adesso vogliamo suonare il più possibile in giro. Componiamo molto, il difficile è incastrare i turni del lavoro. Di sicuro registreremo con nuovi metodi e strumentazioni. Vogliamo fare dischi insieme fino a quando avremo 60 anni.


http://www.evasmilk.com/


lunedì 9 febbraio 2015

tricot - AND (2015)


E' da un po' di tempo che conosco le tricot, gruppo giapponese dedito al math rock la cui peculiarità, tra le altre cose, è essere composto principalmente da ragazze. Finora non avevo scritto ancora nulla nel blog a proposito delle tricot, anche se il loro esordio, THE, risalente al 2013, mi aveva colpito positivamente. Diciamo che le ragazze, pur cercando di alternare trame ritmicamente complesse ad un pizzico di hardcore molto leggero, rimangono sempre su canoni melodici abbastanza accattivanti. Il 18 marzo sarà la volta del loro secondo album, di nuovo dal titolo sintetico, AND e, ascoltando il nuovo singolo E, sono abbastanza curioso di ascoltarlo.

Tracklist:

1. Noradrenaline
2. Hashire
3. E
4. Colorless Aquarium
5. Kobe Number
6. Kieru
7. Pieeen A N D ver.
8. Shoku-taku
9. Niwa
10. CBG
11. QFF
12. Break

http://tricot.tv/


martedì 3 febbraio 2015

VOLA - Inmazes (2015)


Bene, sembra proprio che in Scandinavia abbiano un modo unitario di affrontare gli stilemi di certo progressive rock. E non parlo di quello sinfonico che pure ha dato meritata fama a questi paesi nordici. Parlo di quello sorto negli ultimi anni che unisce il djent estremo dei Meshuggah all'elettronica post wave molto più pop dei Mew. Proprio come questi ultimi, anche i VOLA provengono dalla Danimarca e si vanno ad aggiungere tra le fila dei norvegesi 22 e Rumble in Rhodos e degli islandesi Agent Fresco per quel modo peculiare di affrontare riff metal abbinati a poliritmie math rock ed electro rock moderno.

Inmazes è il pregevolissimo album d'esordio dei VOLA, che avevano all'attivo già due EP altrettanto interessanti, uscito proprio ieri. Il gruppo, nella miglior tradizione dell'hardcore progressivo, tende a porre l'accento sui contrasti: a brutali suoni di chitarra elettrica vengono contrapposti chorus melodici, con momenti eterei degni dei Dredg e polifonie vocali, non ostentate, ma comunque ben eseguite. Per ora, una delle migliori sorprese del 2015.





www.volaband.com

domenica 1 febbraio 2015

Introducing: Eidola

 
Tra le nuove etichette indipendenti da tenere d'occhio da qualche tempo si è aggiunta la Blue Swan Records, creata da Will Swan dei Dance Gavin Dance. All'interno della BSR si possono trovare nomi ormai noti ai frequentatori di Altprogcore come Hail the Sun, Sianvar, Stolas e altri. A questi si aggiungeranno tra poco gli Eidola, una band emergente che pubblicherà il suo secondo album, Degeneraterra, proprio tramite Blue Swan Records. Da esso per il momento è possibile ascoltare il brano To Know What's Real.



Per chi volesse approfondire, gli Eidola hanno pubblicato quasi un anno fa l'interessante album d'esordio The Great Glass Elephant che ricalca quanto di meglio fatto sinora dal post hardcore progressivo da gruppi come Circa Survive, HRVRD e Hail the Sun, volendo con richiami pure ai The Doors in pezzi blues come Bastard's Fire e Argue.