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martedì 10 gennaio 2017

Pain of Salvation - In The Passing Light of Day (2017)


La presentazione con la quale è stata anticipata la pubblicazione di In The Passing Light Of Day, il nuovo album dei Pain of Salvation, ha posto in evidenza ciò che tutti attendevano e speravano: non solo un ritorno alle radici prog metal del gruppo, completo di brani più estesi e articolati e suoni più massicci, ma anche la riesumazione del formato concept molto caro a Daniel Gildenlöw, il che era quasi una scelta scontata visto il pretesto per raccontare la drammatica esperienza personale attraverso cui è passato il cantante e chitarrista nel 2014. Quindi, se ve lo chiedete, In The Passing Light Of Day prende proprio ispirazione dai giorni che Gildenlöw ha dovuto affrontare in ospedale a causa di un'infezione che lo ha portato quasi alla morte, creando così le basi per una riflessione sulla caducità della vita, delle relazioni personali e via dicendo. Il doloroso tema è stato messo in musica adeguatamente, seguendo l'umore mutevole che si può trarre dall'angosciosa esperienza di Gildenlöw e anche la scelta del produttore Daniel Bergstrand (In Flames, Meshuggah, Strapping Young Lad) assicura un'immersione in tinte metal dal carattere molto dark.

Nonostante la prospettiva personale dell'opera, Gildenlöw non ha comunque lasciato che la scrittura fosse suo appannaggio esclusivo, tanto che il caso più eclatante è stato il ripescaggio del pezzo Rockers Don't Bathe dei Sign, la band del chitarrista Ragnar Zolberg, tratto dall'EP Out from the Dirt (2012) dal quale è stato tirato fuori (con minime modifiche al testo) il primo singolo Meaningless. Trattandosi di un racconto così soggettivo naturalmente anche le liriche hanno assunto un ruolo importante, tanto che talvolta la musica ne sembra assorbita e quasi assoggettata con il risultato di apparire piuttosto appiattita (il requiem If This is the End, il soul Silent Gold, l'hard blues The Taming of a Beast che non a caso sono quelle più vicine alla vena da rock americano affiorata nel periodo di Road Salt).

Tornando al contenuto musicale dell'album, andrei cauto sul fatto che esso sia un degno successore di The Perfect Element o Remedy Lane, ovvero i lavori con i quali i PoS devono fare i conti quando si parla di "ritorno alle origini". Ma non è solo questo, guardando indietro ai primi capolavori del gruppo svedese, si può argomentare come loro, più che i Dream Theater, abbiano insegnato alla odierne generazioni in quale modo realizzare un prog metal molto più sperimentale, melodicamente avventuroso e più coinvolgente dal punto di vista emotivo. Nel frattempo però il genere si è evoluto e adesso questa logica si è invertita, portando i Pain of Salvation, che avevano deciso di percorrere legittimamente altre strade, a tornare sui propri passi e guardare agli altri. Quello che ineluttabilmente traspare da In The Passing Light Of Day, oltre che dal singolo Reasons e dalla lasciva sensualità metal di Tongue of God, è quanto si siano adattati e accodati i Pain of Salvation alla nuova ondata di gruppi prog metal tipo, per fare un esempio, gli Haken e soprattutto i Leprous, ai quali gli aspetti più oscuri dell'album sembrano rifarsi.



In The Passing Light Of Day potrà accontentare e far gioire chi cercava una ritrovata vena per l'estetica progressiva nei PoS, però non è privo di limiti che lo pongono distante dallo status di capolavoro già proclamato nella maggior parte delle recensioni, ma più realisticamente riconducibile ad un dignitosissimo album di prog metal contemporaneo che incorpora molti elementi e stratagemmi sonori ormai divenuti canone, come i sempre abbondanti riff sincopati con ammiccamenti al djent. Limiti che vengono a galla sulla pelle di canzoni che comunque mantengono un certo legame sonoro con il passato, ma nei casi dove il minutaggio è più elevato sembrano tirate troppo per le lunghe.

Prendiamo ad esempio una delle migliori: Full Throttle Tribe, ci sono i classici controtempi con incedere minaccioso, un chorus che ti si stampa in testa, una sottile linea di synth che pulsa e crea atmosfera. Eppure, nella sua durata di quasi nove minuti, tutto si risolve a livello tematico principalmente tra strofa e ritornello, un pezzo che se fosse stato sotto i cinque minuti avrebbe potuto ricoprire un ruolo più ad effetto di Meaningless. Quello che non funziona qui e in altri brani sono gli innesti da lento atmosferico riconducibili soprattutto ai passaggi di piano e tastiere, non diciamo inadeguati, ma abbastanza superflui proprio perché privi di ispirazione e quasi forzati, si veda anche il bridge dell'ottima On a Tuesday che si fregia delle stesse qualità di Full Throttle Tribe, ma soffre di una solenne coda conclusiva fin troppo dilatata. Altre stentano a decollare come Angels of Broken Dreams, un pezzo dalla ritmica pleonasticamente "sbicentrata" che ruota attorno ad un tema che non sfocia mai in un climax e quando lo fa, con il bellissimo doppio assolo di chitarra finale, è ormai troppo tardi.

L'album si chiude con The Passing Light of Day: uno showdown al contrario dove gli esagerati quindici minuti a disposizione si dividono in un'interminabile prima parte a forma di ballad minimale per solo chitarra e voce seguita da una seconda più strutturata con tutta la band, dove il perno centrale rimane il chorus già esposto anche nella prima. E In The Passing Light Of Day è soprattutto questo: sprazzi di superba lucidità contrapposti ad episodi trascurabili, svelandosi così un lavoro più preoccupato di crogiolarsi in un sentimento e edificare un'atmosfera coerente piuttosto che un viaggio musicale ben arrangiato, pianificato e sviluppato.


mercoledì 28 settembre 2011

PAIN OF SALVATION - Road Salt Two (2011)


Sciogliamo subito il mistero. Una cosa è sicura a proposito di Road Salt Two, se vi è piaciuto il primo vi piacerà anche questo secondo volume, se invece lo avete trovato non all’altezza delle altre cose del gruppo, allora statene alla larga. Anche se il mio giudizio generale sulla band rimane più o meno il medesimo espresso nella recensione del volume uno. Quello che dispiace di più è che i Pain of Salvation hanno finito di stupire, nel senso che da una band di tale levatura ci si aspetterebbe di più. Però mi sono messo nei panni di chi i Pain of Salvation non li ha mai ascoltati. Ecco, forse è questa la chiave di lettura per giudicare positivamente questo album. Se si ignora cosa ha prodotto il gruppo in passato, prima dei due volumi di Road Salt, questo secondo capitolo può apparire degno.

Prendiamo ad esempio Eleven, uno dei migliori pezzi di Road Salt Two, messo in mano ad un gruppo di media bravura sarebbe stato una bomba, ma per una band dal curriculum dei Pain of Salvation rimane una cosa di routine. Insieme ad Eleven, tra i brani meritevoli, vanno citati la concitata The Deeper Cut e la più strutturata The Physics Gridlock.

Il tono generale rimane impostato su un lavoro dalle caratteristiche “americane” con la western-picaresca To the Shoreline, il soul rock di Mortar Grind, più il resto che punta sulla facile presa come Softly She Cries e il blues scontato di Conditioned. La netta cesura con il passato è data di nuovo dalle sonorità e dalla produzione: suoni secchi e rauchi, una batteria che sembra suonata con una sordina e la voce di Gildenlöw che svetta tra gli strumenti.

Personalmente questi Pain of Salvation continuano a non convincermi e penso che per ora li riporrò in un cassetto, ma se si accetta questo nuovo corso il disco non è poi male.


Tracklist:

01. Road Salt Theme
02. Softly She Cries
03. Conditioned
04. Healing Now
05. To The Shoreline
06. Eleven
07. 1979
08. The Deeper Cut
09. Mortar Grind
10. Through The Distance
11. The Physics Of Gridlock
12. End Credits

Nel frattempo, qualche mese fa, è uscito anche il video di Where It Hurts, brano tratto da Road Salt One, dai contenuti abbastanza espliciti. Tanto che la versione uncensored (riportata di seguito) è stata tolta da YouTube.




Pain of Salvation - Where it Hurts (UNCENSORED) from Il Recensore on Vimeo

venerdì 25 giugno 2010

From the vaults pt.II: Pain of Salvation, 12:5

Mentre il nuovo album dei Pain of Salvation, il controverso Road Salt One, sta facendo discutere animatamente i fan, ecco due video estratti dall'esibizione della band, che registrò per l'album 12:5.




martedì 11 maggio 2010

PAIN OF SALVATION - Road Salt One - Ivory (2010)


Ok, nessuno dice che un artista durante la sua carriera non debba cambiare o rinnovarsi, in genere si chiama in causa anche la maturità artistica, ma solo in caso che ci sia un miglioramento, un cambio tale di prospettiva da fare impallidire il materiale precedente. Insomma credo che il pensiero e l’idea che una band, anche nel cambiamento, debba progredire nel suo percorso non sia poi così rivoluzionario o difficile da condividere. Questa premessa è necessaria in quanto non vorrei fraintendimenti quando dico che ascoltando Road Salt, pt.1 - Ivory c’è da rimanere come minimo sotto shock. In poche parole non vorrei passare per colui che critica sempre i cambi di rotta (come ho fatto per Porcupine Tree, The Mars Volta, Coheed and Cambria e Biffy Clyro) per lodare esclusivamente i vecchi lavori, facendo la parte dell’inguaribile nostalgico.

Il fatto è che anche i Pain of Salvation - ormai è chiaro - hanno passato il loro periodo d’oro. Dopo Scarisck si può tracciare una linea chiara nella carriera della band svedese che, dopo una serie incredibile (in crescendo) di album strepitosi, con Be si è aperta una fase minore che culmina ora su Road Salt, pt.1. Persino su Scarsick riuscivo a trovare qualcosa di buono, ma qui neanche l’ultima - e migliore - traccia del lavoro, Innocence, riesce a far emergere il talento della band. Staremo a vedere se a novembre con la seconda parte (Ebony) saremo smentiti (ma non credo), per il momento però a noi interessa questo album. I Pain of Salvation hanno gettato tutto ciò che li rendeva un gruppo progressive metal originale: le complicate ritmiche e polifonie vocali, i cambi tematici, l’aggressività abrasiva ma sempre costantemente melodica. Allora cosa si trova su Road Salt - Ivory ? Molto lapidariamente: uno scontatissimo hard rock blues che va dalla sinuosa No Way alle più classiche e aderenti al genere She Likes to Hide e Tell Me You Don’t Know, fino a tutto il corollario di musica nera che ne consegue, dal gospel da preghiera raccolta di Of Dust, alla marcetta di valzer in stile The Dear Hunter di Sleeping Under the Stars.

In pratica sembra che Gildenlöw e compagni si siano fatti una cura ricostituente nel delta del Mississippi e abbiano riportato tutto in Svezia. Anche se ci sono dei sobbalzi elettrici (c’è la già conosciuta Linoleum e la sua gemella Darkness of Mine), i brani sono fondamentalmente della ballad blues lamentose e oscure (e non parliamo della narcotica title-track), raggiungendo preoccupanti picchi depressivi su Sisters. E così, per dire, anche la produzione ha subìto un calo considerevole: i suoni sono molto secchi, sporchi e pure le proverbiali trame stratificate del gruppo sono scompare, ma sinceramente, sentendo il prodotto finale e il suo indirizzo, probabilmente il tutto è frutto di una scelta ben precisa. Quindi se questa deve essere la fase “matura” dei Pain of Salvation mi dispiace ma non ci sto e passo la mano.

www.myspace.com/painofsalvation

lunedì 22 marzo 2010

La copertina del mese

Come molti sapranno il nuovo album dei Pain of Salvation, Road Salt, sarà un doppio. Uscirà però in due parti nell'arco del 2010: la prima, Ivory (della quale potete vedere la copertina qui sopra), è prevista per il 19 maggio, la seconda, Ebony, slitterà a novembre.

A sentire la title-track, un po' moscia a dire il vero, non si fanno salti di gioia e se la strada molto più diretta e ammiccante intrapresa con Scarsick e, soprattutto, con l'EP Linoleum continuerà (il trucco simil-emo di Gildenlöw la dice lunga), avremo perso la miglior band di progressive metal.

martedì 2 febbraio 2010

La lenta metamorfosi dei Pain of Salvation


Come alcuni sapranno i Pain of Salvation pubblicheranno il nuovo album Road Salt tra alcuni mesi e intanto la band presenterà la title-track al Melodifestivalen.

Dal video ufficiale di Linoleum, alla fotografia qui sopra, arrivando a questa presentazione della band per il suddetto festival, mi sovviene una domanda: c'era proprio bisogno di tutto quell'eyeliner (leggi soluzione furbetta e paracula per riciclarsi) per rilanciare il look dei Pain of Salvation?


lunedì 16 marzo 2009

PAIN OF SALVATION - Ending Themes (On the Two Deaths of Pain of Salvation)


Esce in questi giorni un live da non perdere dei Pain of Salvation, registrato al mitico Paradiso di Amsterdam il 2 marzo 2007, dal titolo Ending Themes (On the Two Deaths of Pain of Salvation).

Disponibile in doppio CD, doppio DVD (contenente anche un documentario), oppure come box set quadruplo in edizione limitata che racchiude entrambi.

Il sottotitolo On the Two Deaths of Pain of Salvation si riferisce ai cambi di formazione che nel 2005 e nel 2007 hanno colpito la band: prima la defezione del bassista Kristoffer Gildenlöw (fratello di Daniel) e poi è stata la volta del batterista Johan Langell.

I brani inclusi sono:

Scarsick
America
!
Nightmist
Handful of Nothing
New Year's Eve
Ashes
Undertow
This Heart of Mine/Song for the Innocent
Chain Sling
Diffidentia
Flame to the Moth
Disco Queen
Hallelujah
Cribcaged
Used

Superfluo dire che è assolutamente da avere!

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