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sabato 2 novembre 2013

THE OPIUM CARTEL - Ardor (2013)


Ogni tanto gli artisti di progressive rock sentono il bisogno di prendersi una pausa dalle trame complicate e cervellotiche che contraddistinguono tale genere. E' ciò che ha fatto Jacob Holm-Lupo, chitarrista, mente e leader dei norvegesi White Willow, che con questo suo progetto parallelo denominato The Opium Cartel vuole dichiaratamente tornare alle atmosfere art rock anni '80 di gruppi come Prefab Sprout, The Blue Nile e Japan.

Ardor è la seconda opera sotto questo moniker, dopo Night Blooms (uscito nel 2009), ancora una volta ricco di ospiti prestigiosi come i cantanti Rhys Marsh, Tim Bowness (No-Man, Henry Fool), Alexander Stenerud e Venke Knutson, artista pop molto famosa in Norvegia, nonché i compagni provenienti dai White Willow Mattias Olsson (batteria), Ellen Andrea Wang (basso), Lars Fredrik Frøislie (tastiere) e Ketil Vestrum Einarsen (flauto).

Essendo Holm-Lupo il principale compositore, l'impronta stilistica del suo gruppo di riferimento è innegabilmente presente, ma tutto è calato in un contesto più etereo e raffinato. Anche se sono canzoni spogliate dall'aura della pretenziosità, quelle di Ardor rimangono in un certo senso legate all'estetica progressive rock. In tutto l'album i break strumentali sono ricchi e numerosi anche grazie alla presenza massiccia di tastiere e synth ed in più si ha sempre quella sensazione di un sinfonismo romantico a fare da sottotesto, mentre dall'altro lato si utilizzano sia batteria, sia drum machine.

La summa di questo ibrido la troviamo alla fine dell'album negli 11 minuti di Mariner, Come In con ospite al canto e alle tastiere l'altra metà degli Henry Fool, Stephen Bennett, e Harald Lassen che pone il proprio suggello al brano con un sinistro assolo di sax finale. Un altro ottimo esempio può essere The Waiting Groung, sublimazione di pop progressivo che sposa suoni acustici costellati da sintetizzatori ad intermezzi che replicano i mellotron romantici di Genesis e King Crimson.



Quella di Ardor è una rilettura, attraverso le strumentazioni moderne, di stilemi AOR e art-pop anni '80. Forse c'è un po' di Asia nel singolo When We Dream (soprattutto nel crescendo finale) e ascoltando White Wolf è impossibile non farsi venire alla mente Paul Buchanan che canta il più bell'inedito dei Blue Nile, sensazione che viene replicata su Northern Rains. Su Ardor c'è lo spazio anche per un'altra cover: se su Night Blooms era toccato a By This River di Brian Eno, qui Holm-Lupo rispolvera il suo mai celato amore per i Blue Öyster Cult con Then Came the Last Days of May che assume le sembianze di una ballad interpretata in modo magistrale dalla Knutson. A questa malinconia nordica si aggiungono le acustiche e crepuscolari Silence Instead, cantata da Bowness, e Revenant che assomigliano molto ai White Willow più pastorali.

Di questi tempi, tra i molti revival che cercano di replicare musicalmente o trarre ispirazione da uno dei decenni più vacui della storia del rock, quello di Holm-Lupo è sicuramente uno dei più originali e dall'approccio non convenzionale e comunque non scontato. E' chiaro che se siete fan di No-Man, The Blue Nile e Talk Talk l'acquisto è più che consigliato.



http://www.theopiumcartel.com/

martedì 20 settembre 2011

WHITE WILLOW - Terminal Twilight (2011)


All’indomani dell’uscita di Signal to Noise (2006) il futuro dei White Willow sembrava incerto. La band si era disgregata e il leader, Jacob Holm-Lupo, si era dedicato a tempo pieno al suo progetto solista The Opium Cartel. In effetti di tempo ne è passato e, a distanza di cinque anni dall’ultimo lavoro in studio, esce ora Terminal Twilight, sesta opera della band norvegese. Holm-Lupo ha nel frattempo rimodellato la line-up del gruppo. Insieme a lui e agli ormai consolidati Lars Fredrik Frøislie (tastierista di fama “wobbler-iana”) e Ketil Einarsen (flauto), c’è stato l’arrivo della nuova bassista Ellen Andrea Wang, la seconda sortita alla batteria dell’ex Änglagård Mattias Olsson (già presente su Ex Tenebris) e soprattutto il ritorno della storica voce dei White Willow Sylvia Skjellestad (a.k.a. Erichson).

Come reazione alla sovrapproduzione di Signal to Noise, Holm-Lupo ha deciso di registrare e mixare il lavoro in modo minimale, non in uno studio professionale, ma nella propria casa, coadiuvato dal suo MacBook, una soundcard e qualche microfono. Ciò, in termini di qualità sonora ed equilibrio, non ha afflitto in alcun modo il risultato finale. Nella discografia dei White Willow Terminal Twilight è destinato a divenire una delle prove migliori. Mai il gruppo si era confrontato con un repertorio così complesso e articolato, dove ogni composizione è una mini suite che incorpora al proprio interno molteplici risvolti tematici.

L’album si apre con le esoteriche atmosfere di Hawks Circle the Mountain che recuperano quel retaggio da rituale pagano presente su Ex Tenebris, ma con ben altra forza e spessore. Kansas Regrets è una languida ballata autunnale guidata da incantevoli arpeggi di chitarra acustica, con una coda finale che ricorda il David Sylvian degli ultimi anni ’80. La canzone è molto toccante e delicata e l’utilizzo della voce raffinata e malinconica dell’ospite Tim Bowness non potrebbe essere più riuscito. Oltretutto il cantante dei No-Man, già ospitato nell’album solista di Holm-Lupo, è anche co-autore del brano.

Red Leaves e Floor 67 sono forse i pezzi forti di Terminal Twilight. Il primo è dedicato esplicitamente a Tony Banks, ma non è però una pedissequa rivisitazione delle sonorità genesisiane. Holm-Lupo allestisce il brano sfruttando una notevole capacità di arrangiamento e sugli emozionanti crescendo di tastiere di Frøislie. Il secondo fonde la natura melodica (e quasi pop) dei White Willow con quella più progressiva, rappresentata dal drammatico showdown strumentale, orchestrato dalla presenza magistrale delle percussioni di Olsson.

Natasha of the Burning Woods è uno strumentale abbastanza ordinario, all’inizio quieto e in odore di Pink Floyd, poi si trasforma in una cavalcata elettronica somigliante ad alcune cose degli Alan Parsons Project. Searise, con le sue arie elegiache, si ricollega direttamente alle ambientazioni dark di Storm Season. Anche qui a farla da padrone sono le tastiere di Frøislie con una predilezione per l’organo e un certo gusto per le sonorità dei gruppi progressivi italiani degli anni ’70. I White Willow continuano a mantenere un altissimo profilo nell’ambito del progressive rock contemporaneo. Sono mancati dalle scene per un po’ di tempo, ma ora sono qui a riprendersi il posto che gli spetta.



Tracklist:
1. Hawks Circle the Mountain (7.10)
2. Snowswept (4.13)
3. Kansas Regrets (4.39)
4. Red Leaves (8.40)
5. Floor 67 (9.54)
6. Natasha of the Burning Woods (6.30)
7. Searise (13.14)
8. A Rumour of Twilight (2.35)

http://www.whitewillow.info/

martedì 12 luglio 2011

Il nuovo album dei White Willow a ottobre



Il nuovo album dei White Willow dal titolo Terminal Twilight, annunciato in un primo momento per il 15 agosto, è stato posticipato al 11 ottobre. La foto qui sopra mostra la nuova line-up (da sinistra a destra): Sylvia Skjellestad, Jacob Holm-Lupo, Ellen Andrea Wang, Ketil Vestrum Einarsen, Lars Fredrik Frøislie and Mattias Olsson. Inoltre l'album avrà come ospite alla voce Tim Bowness dei No-Man.

Ecco alcuni estratti dal lavoro in studio:










http://whitewillow.info/

lunedì 16 maggio 2011

WOBBLER - Rites at Dawn (2011)


In attesa del nuovo album dei White Willow - in uscita il 15 agosto con il titolo di Terminal Twilight - non c'è meglio che ascoltarsi l'ultima fatica del loro tastierista Lars Fredrik Frøislie che, con il suo progetto Wobbler, è arrivato ormai al terzo lavoro. Non ho mai dato troppa importanza a questo gruppo norvegese dato che gli album precedenti, pur essendo impeccabili dal punto di vista produttivo ed esecutivo, erano dei giochi al rimando ai gruppi progressive rock più famosi degli anni '70. In questa loro voluta derivatività, i Wobbler perdevano in freschezza e i loro brani divenivano dei lambiccati esercizi di stile fatti di colte citazioni.

Mi sono avvicinato quindi a Rites at Dawn con molto scetticismo, ma per fortuna qualcosa è cambiato. Sarà la felice introduzione della voce del nuovo arrivato Andreas Prestmo, oppure una più felice vena compositiva, ma questo terzo disco va oltre gli stretti parametri rievocativi e nostalgici. Gli strumenti vintage e i suoni dei magici anni '70 ci sono sempre, ma stavolta il gruppo è meno ossessionato dal citare ad ogni cambio tematico un gruppo ben preciso di quei tempi tra ELP, King Crimson, Genesis o Yes. Diciamo che le peculiarità di questi ultimi spiccano in particolar modo su Rites at Dawn, complice anche le armonie vocali che sembrano in alcuni punti uscite dai dischi di Crosby, Stills & Nash. Ma in generale i brani godono di una direzione univoca e meno eclettica che sicuramente ha giovato alla compattezza della visione finale che rimane comunque caleidoscopica.
L'aspetto bucolico dei CS&N emerge particolarmente negli arpeggi acustici di This Past Presence, cogliendo anche le affinità che legavano gli Yes alle suggestioni armoniche della West Coast. Stessa storia vale per le bellissime La Bealtaine e A Fearie's Play che nei loro intrecci di basso, mellotron e organo Hammond chiamano in causa anche i Gentle Giant. La band dei fratelli Shulman risuona su In Orbit dove le varie parti, che si dipanano nei suoi oltre 12 minuti, sono inframezzate dalla chitarra a 12 corde molto genesisiana di Morten Eriksen. I prog fan più tradizionalisti avranno di che gioire pure con l'altro lungo pezzo che è The River, dove emerge la tipica malinconia nordica di Anekdoten e Landberk che in seguito si trasforma in un tripudio di armonie vocali in stile Yes. D'altra parte tutte le band progressive provenienti dalla Scandinavia ci hanno da anni abituati a volgere lo sguardo verso il passato di questo genere, riproponendone sonorità, vezzi e piccoli-grandi stratagemmi esecutivi con cura filologica e quasi maniacale.

Talvolta queste operazioni risultano stucchevoli, altre colgono nel segno e i Wobbler stavolta ci sono riusciti. Rites at Dawn è forse il miglior album di progressive rock pubblicato in questo primo semestre 2011 sinora avaro di nuove uscite interessanti, compreso il deludente Mammoth dei Beardfish. E' comunque incredibile come in Scandinavia i gruppi emersi negli ultimi 20 anni si siano attestati come i più autorevoli interpreti di prog sinfonico.




mercoledì 17 novembre 2010

White Willow - "Ignis Fatuus" in vinile e nuovo album

E' disponibile per la prima volta la versione in vinile di Ignis Fatuus (1995), primo album della progressive rock band norvegese White Willow. Per chi non lo sapesse Ignis Fatuus è uno degli album più importanti del prog anni '90, la versione CD è oggi fuori catalogo e ora arriva questa nuova edizione rimasterizzata e con in più una bonus track di 13 minuti.



Norwegian progsters White Willow's legendary prog-folk debut "Ignis Fatuus" from 1995is finally released on vinyl. Featuring remastered sound and a 13 minute bonus track, this is the ultimate edition of a seminal Scandinavian album. The CD has been out of print for years and is already a collectors' item. Now you can own it as a double album on vinyl (180 g), sumptuously packaged in a gatefold sleeve with artwork by design team Trine&Kim and including a lyrics insert.

"Ignis Fatuus" is a mellotron-drenched journey through meadows and forests, featuring a cast of thousands and instruments like sitars, krumhorns, bagpipes and pennywhistles in addition to an arsenal of analogue synths and ethereal female voices. Think early King Crimson meets Dead Can Dance meets The Trees and you're halfway there. The album has been praised by such diverse musicians as Lee Dorrian (Cathedral, Napalm Death), Mikael Åkerfeldt (Opeth), Greg Weeks (Espers, Marissa Nadler) and Fabio Zuffanti (Höstsonaten, Maschera di Cera).

Nel frattempo Jacob Holm-Lupo ci fa sapere che il nuovo album dei White Willow, dal titolo Terminal Twilight, è in fase di completamento e non passerà molto tempo da qui alla sua uscita. Una lieta notizia vede il ritorno in formazione della celestiale voce di Sylvia Erichsen. Qui si può vedere un video con alcune preview delle canzoni.

Tutte le informazioni su
www.whitewillow.info

mercoledì 6 maggio 2009

THE OPIUM CARTEL - Night Blooms (2009)


The Opium Cartel è il progetto solista al quale stava lavorando da molti anni Jacob Holm-Lupo, chitarrista e leader del gruppo di progressive rock White Willow. La pagina MySpace dedicata a The Opium Cartel è ormai attiva da qualche anno e di volta in volta aveva ospitato i demo dei pezzi che sarebbero andati a completare l'album d'esordio Night Blooms che oggi vede la luce.

Holm-Lupo, per questa sua prima prova lontano dai White Willow, si è circondato di uno stuolo di collaboratori non estranei a chi frequenta abitualmente il progressive rock scandinavo e quello più ricercato ed etereo dei No-Man. E' infatti Tim Bownes l'ospite più illustre di Night Blooms, che canta insieme a Rachel Haden (attuale bassista di Todd Rundgren) in By This River di Brian Eno (riletta con violoncello e contrappunti di tastiere), unica cover di un album che comunque mantiene alcuni punti in comune con il teorico della "musica per non musicisti". Un altro punto di rilievo è la presenza costante alla batteria e a varie percussioni dell'esperto progger Mattias Olsson (vedi Änglagård).

La musica di The Opium Cartel si potrebbe definire folk elettronico, prendendo ispirazione tanto da David Sylvian quanto dalla tradizione popolare scandinava. E' così che appaiono i bozzetti acustici della bellissima Three Sleepers o di Heavenman che sono toccate da delle punteggiature di tastiere e synth bass, ma anche arricchite da fiati e archi. La stessa cosa accade alle pseudo-ballate Better Days Ahead e Honeybee (dove Holm-Lupo adotta un'inaspettata vocalità alla Geddy Lee) che accennano una leggera propensione al pop, ma sempre attraversate ed intermezzate dai suoni di synth. Molto bella anche la riproposizione di The Last Rose of Summer (già presente su Sacrament dei White Willow, ma stavolta cantata dalla Haden) con un'inedita introduzione di Ketil Einarsen al flauto che sembra un'appendice ai pezzi più bucolici dei King Crimson. Beach House è un'elegia di progressive gotico che si avvicina molto ai White Willow e che porta in sé pure i germi della psichedelia lisergica dei Pink Floyd.
Il punto debole dell'album sono le voci maschili che danno ai pezzi poca sicurezza ed incisività, oltre che un andamento sonnolento. Quando invece sono le voci femminili della Haden o di Sylvia Skjellestad a fare da linea guida a canzoni come Skinnydip e Flicker Girl il pop prog di Holm-Lupo diventa ispirato e romantico come non mai.