mercoledì 29 aprile 2015

Monobody - Monobody (2015)


Un vero supergruppo nato a Chicago quello dei Monobody, che unisce membri provenienti da The Para-Medics, Loose Lips Sink Ships, Renaissance Sound, The Soft Greens e che in un certo senso continua il discorso di quelle band. Ad un primo approccio sembrerebbe che i Monobody suonino del complesso math rock come molti altri gruppi in giro, ma in realtà le loro progressioni armoniche assomigliano molto al jazz - si ascolti Gilgamesh (R-Texas) -, il cui substrato avvicina il tutto inevitabilmente al progressive rock. L'omonimo album d'esordio del quintetto è da poco disponibile su Bandcamp. Si parlava poco tempo fa su queste pagine della bravura degli Snarky Puppy, ecco un'altra band meritevole che contamina il jazz con altri generi.

 

domenica 26 aprile 2015

Grand Beach - Grand Beach (2014)


Da quando ascolto prog ho nutrito il sogno ambizioso di ascoltare, un giorno, un pop rock che potesse in qualche modo evolversi allo stesso modo. La mia personale formula per una pop song dovrebbe mantenere una durata breve, ma: niente schemi prefissati, nessun ritornello, temi orecchiabili che si interscambiano senza ripetersi e ritmche complesse. Bene, il primo album omonimo dei canadesi Grand Beach, uscito su Bandcamp lo scorso ottobre, si avvicina sensazionalmente a tali caratteristiche ed è una giostra di tecnica strumentale al servizio di intelligenza compositiva. Non che là fuori non ci sia qualcuno che abbia già sperimentato queste strade - gli stessi membri si sono ritrovati nel progetto di Alex Litinsky A.M. Overcast -, ma i Grand Beach le elevano ad un'eccellenza che in pochi hanno conseguito. 

I Grand Beach partono principalemente dal math rock (nella loro pagina Facebook lo chiamano giustamente progressive pop), ma la dose di motivi accattivanti, armonie vocali e sensibilità pop, tutto abbinato agli schemi geometrici delle ritmiche, sono così accentuati da farli uscire dai semplici confini di questi generi. Il disco ricalca quella brevità che era propria dei Damiera e, nella sua mezz'ora di durata, c'è una tale condensazione di idee da far implallidire, tanto che, una volta finito l'ascolto, non si può fare a meno che ricominciare da capo in modo quasi compulsivo. Anche se le canzoni stesse hanno una durata contenuta, spesso concludendosi inaspettatatamente, ci si diverte come non mai nel continuo gioco di cambi tematici e dinamiche complesse: midwest emo, power pop, Tera Melos, Invalids, The Poises, le pazzesche atonalità consonanti dei Time of Orchids, tutto questo e molto altro si trova su Grand Beach, un album che, per me, rimane il prototipo del pop rock che vorrei sempre ascoltare. 


martedì 21 aprile 2015

MEW - +- (2015)

 
Parlando del nuovo album dei Mew sarebbe giusto fare una riflessione su come oggi siano cambiati i tempi discografici. Pensando all'argomento, a parte il caso emblematico dei Tool, non si può fare a meno di prendere come riferimento i Mew. Lontani sono i tempi degli anni '70 e '80 quando, tra un album e l'altro, poteva intercorrere uno, due o al massimo tre anni. Da molto tempo ormai la media di attesa è salita a quattro o addirittura cinque anni, ma sei, ovvero il periodo trascorso dall'ultima fatica del gruppo danese a oggi, sono veramente un'enormità. Magari ormai siamo assuefatti a tale sistema, ma la cosa si fa ancora più incredibile se si pensa che nei dieci anni intercorsi dall'uscita di And the Glass Handed Kites (settembre 2005) i Mew abbiano prodotto un solo album. Ce ne sarebbe abbastanza per aprire anche un dibattito su come le moderne tecnologie abbiano rallentato, invece che accelerato, i tempi di produzione. E lo chiamano progresso.
 
Quindi, come valutare la maturazione di una band con una produzione così esigua in un arco di tempo così lungo? Naturale che anche il proprio sviluppo artistico sia messo in tale prospettiva e che abbia intrapreso un percorso lento e a tratti impercepibile. In parole povere i Mew sono sempre i Mew e la loro tecnica di lavorare artefatti di raffinato pop barocco rimane quasi invariata, a parte qualche piccolo appunto. +- non si inerpica nelle zone di complessità strumentali sperimentate con No More Stories, ma ritorna invece a latitudini più sicure e confortevoli per loro, tipo una via di mezzo tra Frengers e And the Glass Handed Kites. Così appaiono le spensierate armonie di The Night Believer (con ospite una Kimbra molto misurata), i groove suadenti di Making Friends e di Water Slides o l'ibrido tra post punk e art pop di My Complications e Witness.
 
In aggiunta, prendendo ancora come esempio comparativo And the Glass Handed Kites,+- ne ribalta le prospettive estetiche. Se quell'album capolavoro di dieci anni fa assemblava delle pressoché perfette melodie electro-pop dal gusto ottantiano, aggiungendoci accorgimenti stilistici tipici del progressive rock, qui si arriva al contrario. Questa volta i Mew vogliono articolare le loro canzoni partendo da presupposti progressivi (come, ad esempio, dilungarsi sulla narrazione musicale, confondere con deviazioni tematiche ad effetto e aumentare l'apporto delle tastiere e dei sintetizzatori fino quasi a far scomparire la chitarra), lasciando la materia pop rock sullo sfondo a dare slancio. Da questo lato troviamo Clinging to a Bad Dream che è una perfetta dinamica tra ritmiche ballabili e una costruzione cervellotica di melodie robotiche e Rows che sembra un tentativo di mini-suite tra suggestioni psichedeliche e pop ballad.
 
Infine +- è un album di grandi ritorni: la band ha ri-accolto nelle sue fila il bassista Johan Wohlert che aveva abbandonato i suoi tre compagni nel 2006 per dedicarsi alla famiglia ed in più il produttore è di nuovo il grande Michael Beinhorn, lo stesso che aveva creato la magia di And the Glass Handed Kites. La produzione è, naturalmente, uno dei punti di forza di questo album e non poteva essere altrimenti visto chi siede dietro al banco di regia. Ammettere che ascoltare in cuffia Satellites è una bellissima sensazione (non la versione edit uscita come singolo) - con tutte le stratificazioni che ne arricchiscono lo spettro sonoro - sarebbe piuttosto limitativo...è uno spettacolo simile ad un film in 3D. Tirando le somme, manca comunque all'interno dell'album un brano che si elevi per forza e incisività sugli altri, tutto è uniformato a una ricerca degli equilibri che risultino non troppo complessi, ma che non concedano neanche il fianco a melodie troppo smaccate. Un lavoro ad ogni modo che lascia delle buone vibrazioni.

sabato 11 aprile 2015

IZZ - Everlasting Instant (2015)

 
Se oggi facessimo una carrellata dall'alto, fotografando la situazione del progressive rock, noteremmo nella panoramica una miriade di band, la maggior parte delle quali composta da timidi epigoni mestieranti che producono album scialbi e fotocopie incolori di neo prog stantio. Districarsi in questa selva di offerte che ne popolano la scena non è semplice ma, se uno possiede un minimo di spirito critico, saprebbe riconoscere al suo interno ciò che è buono e ciò che è da buttare. Insomma, sarebbe bene selezionare accuratamente, dato che proprio questa ipertrofica produzione non credo faccia bene al prog, ottenendo il risultato di portare a galla tutti quei cliché che negli anni sono stati il bersaglio preferito dei critici con la puzza sotto il naso. In più, molto spesso si finisce per dare troppa importanza a queste band con l'effetto di tralasciare cose più meritevoli.

Il discorso è sempre il medesimo quando parlo degli IZZ: uno di questi paradossi di cui non mi capacito è il perché un gruppo validissimo come loro, che appartiene alla "vecchia" guardia del prog sorto nella seconda metà degli anni '90, non abbia mai conseguito i meriti che gli spettano, navigando tuttora in una nicchia di quasi anonimato. Forse sarà perché il loro peccato originale fu quell'I Move osteggiato dai proggers più oltranzisti per quei suoi ammiccamenti alla musica commerciale con beat elettronici e refrain da pop rock. Fatto sta che oggi, se si vuole ascoltare del progressive rock di qualità che offra a chi ascolta perlomeno degli stimoli interessanti, ci si deve rivolgere necessariamente proprio agli IZZ. Solo loro si ricordano con quale classe esporre le ouverture di pianoforte che si immaginano retaggio di Genesis e Emerson, Lake and Palmer (The Three Sears, Illuminata), oppure di raffinare gli arrangiamenti con soluzioni che ricordano il Peter Gabriel anni '80 (Start Again), ma si tengono nella perfetta linea di un prog jazz personale.

Terzo e ultimo tassello di una trilogia di album composta da The Darkened Room e Crush of Night, Everlasting Instant si colloca qualitativamente al centro, proprio come un'ideale conclusione che cristallizza le caratteristiche estetiche dei due lavori precedenti. L'opera contiene il melodismo perfetto del secondo capitolo e le soluzioni meno scontate e più ricercate del primo, sublimate nel gioco di bassi e synth della convulsa The Everlasting Instant - che potrebbe competere con i Rush nei suoi riff elettrici - e nelle vaghe arie canterburiane che si possono respirare su Own the Mystery. Prendendo le mosse da queste impostazioni, leggermente vicine al jazz e al pop, If It's True, cantata con leggiadria da Laura Meade, si mostra come una delle migliori composizioni del lotto.
Nella seconda parte Everlasting Instant perde un po' di mordente, anche se i fratelli Galgano, il chitarrista Paul Bremner e i due batteristi Brian Coralian e Greg DiMiceli sfoggiano con costanza degli arrangiamenti intelligenti. La troppa varietà, invece che essere un punto di forza, finisce per soffocare Keep Away, ad esempio, e Sincerest Life, a parte i riusciti interventi strumentali, altrove risulta leziosa. Ad ogni modo gli IZZ rimangono tra i migliori artigiani di progressive rock moderno, sfruttando al meglio le sue caratteristiche (polifonie, assoli virtuosi, cambi tematici, ecc.).

www.izzmusic.com



venerdì 10 aprile 2015

ANEKDOTEN - Until All The Ghosts Are Gone (2015)

 
Oggi viene pubblicato il nuovo album degli Anekdoten. Until All The Ghosts Are Gone segue una pausa di otto anni dall'ultima testimonianza in studio Time of Day. Il quartetto svedese è da sempre famoso per riportare a galla quelle atmosfere del prog anni '70, specialmente indirizzato alle idilliache sonorità di King Crimson attraverso l'uso consistente di mellotron e chitarre elettriche distorte. Direi che questo Until All The Ghosts Are Gone non si discosta da tali premesse e prosegue senza grandi rivoluzioni la poetica musicale degli Anekdoten. Quindi, se già conoscete il gruppo e apprezzate la sua produzione, probabilmente questa ultima fatica non vi deluderà.



www.anekdoten.se

martedì 7 aprile 2015

Thomas Erak (The Fall of Troy) ft. CHON - Full Set @ Audiotree Live SXSW 2015

 
Durante il festival South by Southwest (SXSW) che tutti gli anni si tiene ad Austin (Texas), tra i tanti concerti e showcase, c'è stato quello allestito e organizzato da Audiotree che, tra gli altri, ha visto l'unione di Thomas Erak (frontman e leader dei The Fall of Troy) con il quartetto strumentale CHON che ha da poco pubblicato il primo album Grow e che è anche stato il protagonista di uno showcase personale. Audiotree ha da poco pubblicato i video di queste performance. Enjoy!