venerdì 31 marzo 2017

Schooltree - Heterotopia (2017)


Lainey Schooltree, tastierista, cantante, produttrice, nonché leader dell'omonima band, è un nome ancora nuovo nell'ambiente del progressive rock, ma credo che con il suo nuovo album Heterotopia saprà farsi notare. Il gruppo è stato messo insieme nel 2013 in occasione della pubblicazione dell'album Rise, un viaggio dalle caratteristiche cantautorali nella vena di Kate Bush e Tori Amos, ma la Schooltree aveva già esordito nel 2011 con un lavoro in proprio dal titolo My Metal Mother. Dopo Rise qualcuno le ha fatto notare che la sua musica dai connotati teatrali sarebbe stata perfetta per essere adattata ad una rock opera e la Schooltre, senza farselo ripetere due volte, per la sua terza prova ha deciso di cimentarsi in un lavoro decisamente più ambizioso.

Con l'aiuto dei suoi fan, tramite una raccolta fondi su Kickstarter, ha prodotto una monumentale opera rock che si espande su due CD, attingendo dalla miglior tradizione del rock progressivo passato e presente. Un work in progress che è durato tre anni nei quali la frontwoman ha buttato giù varie idee e bozze, molto spesso insoddisfacenti e ricominciando quindi tutto da capo. Fino a che un amico gli ha suggerito di scrivere qualcosa di personale che si ispirasse alla sua vita. Mischiando realtà e finzione, Heterotopia è presentato come un fantasy metafisico e metaforico il cui soggetto è Suzi - una cantante rock nella quale non è difficile scorgere l'alter ego della Schooltree - e il suo viaggio fuori dal proprio corpo attraverso un mondo parallelo creato dall'inconscio collettivo, in cui si confronterà con svariati personaggi prima di tornare indietro. Se la linea guida della trama vi ricorda qualcosa non vi sbagliate, dato che la stessa Schooltree dichiara di essersi ispirata a classici come The Lamb Lies Down on Broadway e The Rise and Fall of Ziggy Stardust.

L'idea di optare per una rock opera è nata nella Schooltree, come dicevamo, anche a causa della natura teatrale della sua musica e Heterotopia mantiene tale aspetto anche se lo proietta in un contesto molto più strutturato, prendendo inoltre a piene mani ispirazione dal classico viaggio di iniziazione teorizzato da Joseph Campbell e creando intorno ad esso una mitologia di personaggi fantastici del tutto inediti. Il titolo è invece un neologismo coniato dal filosofo francese Michel Foucault che starebbe a rappresentare quegli spazi connessi con il reale e a cui attribuiamo molteplici significati, ma che allo stesso tempo annullano la nostra dimensione creandone una fittizia, come possono essere ad esempio gli specchi, i cimiteri, i cinema, i manicomi o le prigioni. Ed infatti Heterotopia ha anche a che fare con la morte, la perdita e la follia.

Nonostante le premesse, l'album non si perde in lunghe suite o brani complessi per tutta la sua durata, ma è costituito da molte tracce che potrebbero funzionare anche se prese singolarmente in quanto la musica è un buon compromesso tra le meticolose sonorità prog e un approccio più diretto che snellisce le strutture attraverso lo stile cantautorale della Schooltree già in parte presente su Rise. Quest'ultimo aspetto prende decisamente un maggiore spazio nel secondo atto, ma nei quasi cento minuti di Heterotopia l'equilibrio tra le due parti stilistiche viene gestito in modo da soddisfare anche chi non fosse avvezzo alle elucubrazione progressive. Un gusto per l'art pop, il classic rock e il chamber rock traspare e fa parte dell'apparato costituente di ogni traccia, il fatto che poi la Schooltree sia di base una tastierista offre un ampio spettro nell'utilizzo di sintetizzatori e timbri che riprendono i classici suoni dell'estetica prog. Il pregio di Heterotopia è però quello di non cercare di ricalcare quelle arie degli anni '70 come molti gruppi neo prog e prog sinfonici, ma di mantenere l'identità di scrittura da cantautrice della Schooltree e applicarvi una concezione moderna di progressive. Come impostazione base del concept, se si volesse citare il caso più celebre degli ultimi anni in ambito prog, verrebbe in mente Snow degli Spock's Beard, anche se i risultati ottenuti dalla Schooltree mi sembrano superiori per coerenza e omogeneità.



http://schooltreemusic.com/

martedì 28 marzo 2017

Once & Future Band - Once & Future Band (2017)


Attenzione! Questo disco è datato 2017, ma potrebbe benissimo riportare come data di pubblicazione il 1977. Nonostante questo, Once & Future Band è uno degli esordi più freschi, rivitalizzanti e gustosi di inizio anno. Il quartetto di Oakland formato da Joel Robinow (tastiere/chitarra/voce), Raj Ojha (batteria), Eli Eckert (basso/chitarra/voce) and Raze Regal (chitarra) proviene da esperienze comuni in altre band (Drunk Horse, Howlin Rain, East Bay Grease) e in questo nuovo progetto, con alle spalle l'EP Brain (2014), hanno deciso di registrare alcune composizioni di Robinow dal sapore decisamente retrò.

Once & Future Band è un pastiche pop prog le cui influenze sonore richiamano inevitabilmente classici suoni sintetizzati degli anni '70 circoscritti a determinati artisti come ELO, Queen, Steely Dan, Yes e Todd Rundgren ma, benché l'operazione nostalgia guardi a quell'epoca, l'album si ammanta di un'aura moderna fatta di ritmiche irregolari e parti strumentali arrangiate con dovizia. Quindi, se siete stanchi del prog pomposo e che si prende troppo sul serio, i Once & Future Band lo smorzano con ampie dosi di pop, R&B, soul e rock orchestrale pieno di synth e polifonie vocali come nell'irresistibile apertura di How Does It Make You Feel?. Rolando è un'altra magia pop jazz che fa rivivere le atmosfere sofisticate dei migliori Steely Dan (quelli di Aja per intendersi), dove non mancano ammiccamenti alla vecchia e gloriosa discomusic, che si collega alla ballad romantica Tell Me Those Are Tears of Joy, un lento rock spaziale a gravità zero che fluttua su tastiere elettriche e voci suadenti.

I'll Be Fine segue i motivetti orecchiabili dei Beatles, ravvivandoli con progressioni power pop tra le nuvole di zucchero filato dei Jellyfish e le chitarre duplicate di Brian May. Per confutare la rilettura moderna di alcune pratiche electro funk, ecco poi arrivare in chiusura Standing in the Wake of Violence che si impone con dei groove lisergici alla Thundercat. Nel revival odierno che guarda alle caratteristiche estetiche sonore che si svilupparono a cavallo tra fine anni '70 e inizio anni '80, Once & Future Band è un album da tenere assolutamente in considerazione per questo suo intelligente e riuscito mix.


domenica 26 marzo 2017

Vasudeva - No Clearance (2017)


Il trio strumentale del New Jersey Vasudeva si è fatto lentamente apprezzare e conoscere nell'arco di questi anni con il debutto Life in Cycles risalente al 2013 quando ancora erano un quartetto. La perdita di un elemento non sembra aver intaccato a livello sonoro la compattezza del gruppo e No Clearance, in uscita il 31 marzo, ne è la testimonianza. Anzi, nel loro secondo lavoro i Vasudeva intensificano le sfumature del proprio mix tra math rock e post rock, aggiungendoci suggestivi riverberi dream pop e echi di ambient derivati dall'ultima direzione del djent di Disperse e Tesseract. Pur essendo musica strumentale infatti, nei brani dei Vasuveda ad essere al centro dell'attenzione non sono gli assoli, ma il trio dà grande importanza al sound d'insieme e alla costruzione di strutture armoniche piuttosto che melodiche. Per fan di Covet, Six Gallery e Damiera.



venerdì 24 marzo 2017

22 - You Are Creating: Limb 1 (2017)


Nel 2012 l'etichetta inglese Best Before Records si accorse dei norvegesi 22 e li mise sotto contratto su suggerimento degli amici Arcane Roots. In quel momento il gruppo sembrava lanciatissimo, promozionalmente parlando, con un tour inglese, la ristampa e distribuzione anche per il mercato europeo del primo album Flux (risalente a due anni prima) con l'aggiunta di nuovi brani allegati ai singoli tratti dal disco. Ora, è vero che i 22 stavano capitalizzando e promuovendo Flux al di fuori della Norvegia per farsi conoscere ed era lecito aspettarsi una pausa più prolungata, ma sette anni di attesa per un'opera seconda sembrano davvero troppi. Aggiungiamoci poi che la band non è proprio portata per la promozione da social media - pubblicando nel 2014 un primo video per il brano Ectypes che faceva presumere un ritorno imminente per poi eclissarsi di nuovo fino a qualche mese fa con l'annuncio del loro approdo all'etichetta Indie Recordings - e il gioco è fatto: chi si ricorda più dei 22? Ed anche in seguito le cose non hanno brillato per strategia con la data di uscita fissata per la fine di febbraio e poi spostata di un mese senza apparente motivo, con notizie e aggiornamenti costantemente elargiti con il contagocce. Se ad oggi, quindi, ancora non sapete chi sono i 22 non è che sia necessariamente colpa vostra.

Come parziale giustificazione c'è da dire che il gruppo ha dovuto far fronte all'abbandono del cantante a registrazioni già ultimate, l'arrivo di un sostituto con il quale avevano deciso di rifare ex novo le parti vocali, e infine il ritorno del frontman originale. Inoltre You Are Creating: Limb 1, come si evince dal titolo, è solo la prima sezione di due parti (la seconda è già pronta e registrata, ma non si sa ancora quando uscirà), anche perché il lavoro in sé supera di poco la mezz'ora. La lunga gestazione, comunque, non sembra aver intaccato o sviluppato più del dovuto il sound del quartetto dai tempi dell'exploit di Flux. You Are Creating appare semmai come un'ulteriore esplorazione delle possibilità math rock e post hardcore se rilette dal punto di vista power pop. L'accessibilità di Staying Embodied, di INSPEC e della title-track mette sullo stesso piano le ritmiche dispari e i ritornelli a presa rapida che si librano come cori da arena rock. Un'apertura a territori ancora più pop, che regala due episodi abbastanza inconsistenti, arriva prima con Sum of Parts e poi con A Mutations of Thrushes che pare un deludente mix tra gli arpeggi depressi dei Radiohead e il rock hip hop dei Gorillaz. Ma in questo caso non si vuole stigmatizzare un cedimento verso la tentazione commerciale, anche perché Flux era già posizionato su quelle latitudini, solamente che qui, tutto ciò che prima funzionava, appare ora sbiadito e poco convinto. In sintesi, You Are Creating rappresenta la metà di un'opera che la band, visto il risultato un po' svogliato e altalenante, dopo tutto questo tempo forse avrebbe fatto bene a pubblicare immediatamente nella sua interezza, poiché questa prima parte da sola non convince del tutto.






sabato 18 marzo 2017

A.M. Overcast - Drown to You (2017)


Il mio amore incondizionato per Alex Litinski si è cementato soprattutto con il suo meraviglioso progetto Grand Beach, ma è ormai da anni che porta avanti in solitaria il proprio alter ego musicale A.M. Overcast. Il nuovo Drown to You è l'ottavo capitolo di una discografia alquanto particolare dato che ogni suo lavoro rimane sotto la soglia dei trenta minuti. Ormai per Litinski tale standard di durata è talmente consolidato che non è giusto chiamarlo EP, per lui è questo il formato con il quale ha deciso di esprimenrsi. Drown to You contiene quattordici tracce e, nella sua stranezza, può essere considerato quindi un album a tutti gli effetti, solo concepito con miniature che vanno dai trenta secondi al minuto e mezzo.

La durata non va ad intaccare la varietà delle invenzioni di Litinski che viaggia perennemente sul confine tra rock alternativo sperimentale, pop punk e math rock, collegando molto spesso un brano all'altro con arguta e gioisa frenesia come ad inventare un progressive all'incontrario che ribalta le regole e le aspettative e rimpiazza le lunghe digressioni con micrologie in continuo cambiamento. Alla fine il materiale degli A.M. Overcast è così divertente, infarcito di idee e saturo di melodie che ascolteresti ogni album all'infinito senza mai cedere un attimo alla noia.


giovedì 16 marzo 2017

Kodiak Empire - Silent Bodies (2016)


Forse sarà la loro remota posizione geografica che le fa sembrare distaccate dal resto del mondo, forse sarà una effettiva vitalità musicale ma, da qualche tempo a questa parte, le novità più interessanti a livello musicale provengono dall'Australia e dalla Nuova Zelanda. L'ultima scoperta sono i Kodiak Empire, cinque giovani di Brisbane che, dopo il piccolo EP Urashima essenzialmente composto da due brani, hanno esordito l'agosto scorso con il magnifico mini album Silent Bodies, portando alla luce un ibrido alquanto interessante. Diciamo che per descrivere il sound della band è necessario fare riferimento a più fonti come il post hardcore progressivo, il math rock, l'emocore, l'atmospheric metal e aggiungerei anche l'elemento fusion. Quello che ne viene fuori è un sound personale che sembra messo insieme da un patchwork di idee eterogenee che comunque partono da presupposti alternative rock.

Più che chiare le modalità con cui i Kodiak Empire costruiscono i loro brani. I continui cambi di direzione, talvolta completamente slegati tra loro eppure estremamente calzanti nel puzzle sonoro, nascono da improvvisazioni di gruppo nelle quali si possono intraprendere le strade più disparate. Il caos da fuoco incrociato di Ocean and Sky sembra generare anarchia totale anche se, con l'ingresso inaspettato delle tastiere progressive di Josh Engel, tutto prende una piega epica e solenne. Accade pure nelle pulsazioni irregolari di Paso Doble, per gentile concessione delle ritmiche costantemente irrequiete dettate da Benjamin Shannon e dal basso fusion di Jacob Warren, dove gli accordi e gli arpeggi caleidoscopici della chitarra di Joseph Rabjohns rimandano a delle trame da jazz elettrico psichedelico.

La veloce e selvaggia Connochaetes è quasi un'intermissione metalcore avant-garde arricchita con il sax dissonante di John Stefulj e il cantato di Bryce Carleton che si adegua per l'occasione al regime harsh/growl, dall'altra parte, come compensazione, il singolo Sun ripiega su rifrazioni da ballad che si scontrano con groove hardcore funk. Wild Swans inizia immediatamente come un tiratissimo math rock e prosegue in costante mutamento in più direzioni come, d'altronde, fa anche Hakbah, il brano del quale è stato da poco realizzato un video, che si dipana in una valanga di riff robotici tra The Mars Volta e King Crimson che farebbero presagire un seguito dall'alto tasso adrenalinico, ma che invece si risolve in un meditativo avant-core con improvvise accelerazioni metal.  

Silent Bodies colpisce proprio per questa sua ricchezza di contrasti e atmosfere, applicate attraverso idee ben sviluppate che vanno oltre i trentaquattro minuti della sua durata. Nella loro peculiarità l'unico paragone che verrebbe in mente con i Kodiak Empire è quello con gli Oceansize non tanto per l'affinità sonora, ma piuttosto per l'attitudine nel creare qualcosa di personale e variegato che non richiami direttamente a nessun altro gruppo. Per i Kodiak Empire questo rappresenta solo l'inizio e con tali premesse è arduo prevedere come svilupperanno il proprio mix sonoro, ma per ora rimangono la rivelazione del mese, dell'anno, della vita.



Kodiak Empire - Hakbah from Shanahan Flanders on Vimeo.
Kodiak Empire - Sun from Shanahan Flanders on Vimeo.

mercoledì 15 marzo 2017

Crying live @ Audiotree


L'album d'esordio dei Crying Beyond The Fleeting Gales è rientrato tra le migliori uscite del 2016 secondo questo blog grazie ad una proposta fresca che unisce power pop e stadium rock visti dalla prospettiva di un power trio che sintetizzato la formula perfetta tra Van Halen e i Rush in chiave pop. Attualmente sono in tour e lo scorso mese sono passati anche dall'Italia per una data milanese di supporto ai The Hotelier. Per chi se li fosse persi dal vivo ecco un assaggio di cosa sanno fare, grazie alle mai troppo lodate sessioni Audiotree, con l'aggiunta della nuova batterista Kynwyn Sterling.




Stolas - Stolas (2017)


Il terzo album in studio degli Stolas, in uscita venerdì, segna un considerevole cambiamento per la band intuibile già dalla scelta del titolo omonimo come a sottolineare un nuovo inizio. Con l'abbandono del cantante Jason Welche, il batterista Carlo Marquez si è preso la responsabilità di sostituirlo alla voce e tale avvicendamento ha creato il bisogno di trovare anche un suo sostituto nella persona di Carlos Silva. Le novità non si fermano qui comunque: se a livello musicale la proposta degli Stolas rimane vicina ad un post hardcore progressivo già sviscerato ampiamente da loro e da altri colleghi, le linee vocali sono comprensibilmente rivoluzionate con l'abbandono delle harsh vocals in favore di un canto totalmente clean che riprende le alte tonalità e le linee melodiche simili a Circa Survive e Hail the Sun.

Tenendo bene in mente questa analogia, Stolas è un album che si rafforza per un grande influsso da parte di band come The Mars Volta e At the Drive-In, con vibrazioni percussive latinoamericane e fraseggi di chitarra frenetici, ma che non aggiunge molto di nuovo a quanto già fatto dall'ultimo progetto di Donovan Melero e Will Swan, i Sianvar, anche se è un lavoro che potrà piacere ai fan di Dance Gavin Dance, A Lot Like Birds e Hail the Sun, naturalmente. La copertina è opera di Drew Roulette dei Dredg.

domenica 12 marzo 2017

Dredg - Il sonno della ragione genera "El Cielo"


Nello sviluppo della nascita di quello che fu il connubio tra progressive rock e post hardcore all'inizio di questo secolo si possono individuare tre principali tappe successive che comprendono la pubblicazione di The Second Stage Turbine Blade dei Coheed and Cambria (5 marzo 2002), El Cielo dei Dredg (8 ottobre 2002) e De-Loused in the Comatorium dei The Mars Volta (24 giugno 2003). Tra questi tre El Cielo è l'album più ermetico, visionario e meno convenzionale che, come gli altri, è riuscito a lasciare una profonda traccia nel rock alternativo e progressivo americano, essendo indicato come fonte d’ispirazione da molti gruppi successivi, eppure, paradossalmente, a differenza di Coheed and Cambria e The Mars Volta, nessuno è mai riuscito a ricreare quella particolare alchimia che ha contraddistinto il peculiare sound dei Dredg. Unico è anche il loro modo di trasmettere la propria immagine: tutto ciò che circonda il mondo dei Dredg è arte. La musica, i testi, le cover o l’idea medesima che giace alla base di ogni album non sono trattati come un mero prodotto commerciale, ma concepiti alla pari di un’opera letteraria o pittorica. El Cielo fu proprio la massima espressione di questo modo di operare, un concept album tematicamente complesso e profondo di cui quest'anno cade il quindicesimo anniversario. Anche se il gruppo californiano è ormai fermo discograficamente dal 2011 (ma sembra che qualcosa si stia lentamente muovendo e che forse in futuro tornerà a registrare nuovo materiale) in tutto questo tempo si è creato uno status da band di culto, coltivando una strada che li portò da un acerbo metal hardcore con i primi EP ad un precoce e maturo art rock.

Fin dalla sua genesi El Cielo doveva avere come soggetto d’ispirazione il dipinto “Sogno Causato dal Volo di un’Ape Intorno a una Melagrana un Attimo Prima del Risveglio” del pittore surrealista Salvador Dalí. Andando più a fondo nello studio dell’opera, i Dredg vennero a conoscenza che il disturbo della paralisi del sonno, di cui era affetta la moglie di Dalí, Gala, poteva essere una delle chiavi di lettura del quadro. Decisero quindi di estendere il concept agli effetti della paralisi del sonno, una patologia che paralizza tutti i muscoli del corpo e che può avvenire mentre una persona sta dormendo, durante la fase R.E.M. e addirittura durante il risveglio o prima di addormentarsi. In questi ultimi due casi il soggetto è completamente vigile e, nei pochi secondi o minuti in cui si manifesta il disturbo, non può né comunicare né muoversi, venendo colto comprensibilmente da panico e ansia che possono generare anche delle allucinazioni. Lo scopo della pittura di Dalí era appunto dare forma ai sogni lucidi, o a quello che noi riportiamo dal mondo onirico una volta svegli, e i Dredg vollero simbolizzare il quadro come una metafora della libertà artistica.  Una curiosa pratica che negli anni si è aggiunta riguardo all’album fu suggerita da alcuni fan: se El Cielo veniva sincronizzato alle immagini del film Eternal Sunshine of the Spotless Mind di Michel Gondry, le musiche e i testi si sposavano in maniera perfetta. Naturalmente l’osservazione non poteva che essere una coincidenza, ma, in un certo modo, tale visione aiutava a rafforzare il senso di unità dell’opera.

El Cielo non era quindi un concept album basato su una narrazione oggettiva, bensì una perfetta riflessione meta-artistica sull’interconnessione tra musica e pittura, suono e immagine. I testi di Hayes costituivano, naturalmente, un altro tassello importante del disco. Partendo da un’idea del bassista Drew Roulette, il gruppo chiese ai fan tramite il proprio sito web le loro testimonianze sulla paralisi del sonno e, in caso avessero avuto delle esperienze in tal senso, di inviare delle e-mail o lettere con racconti e descrizioni del fenomeno. Oltre ad usare queste lettere come ispirazione, Hayes estrapolò da esse alcuni passaggi per poi inserirli nei testi. Come una naturale prosecuzione di questa linea di lavoro, fu deciso di riprodurre alcune di queste missive (ognuna abbinata a una canzone) nel booklet interno del CD al posto delle liriche. Nei testi e nei titoli di ogni brano c’erano chiari riferimenti o indizi nascosti che si ricollegavano ai due temi dell’album: ad esempio le lettere che appaiono nel titolo del brano strumentale d’apertura Brushstroke: dcbtfoabaaposba rappresentano le iniziali del titolo in inglese del quadro di Dalí (“Dream Caused by the Flight of a Bumblebee Around a Pomegranate One Second Before Awakening”); inoltre, nell'incipit del pezzo finale The Canyon Behind Her, vengono enunciate delle frasi in giapponese il cui significato tradotto è: “Questo album è stato ispirato da un dipinto dal titolo “Sogno Causato dal Volo di un’Ape Intorno a una Melagrana un Attimo Prima del Risveglio”. È consigliabile visualizzare questo quadro mentre state ascoltando El Cielo. È come se uno stimolo risvegliasse gli altri sensi. In altre parole, si tratta di "disegnare la musica"”.  D’altronde, anche il titolo stesso, The Canyon Behind Her, si riferisce a come è posizionata la figura femminile nel quadro. In più, i suoni che si possono ascoltare all’inizio dell’album sono prodotti da Roulette mentre sta dipingendo su tela, come per rafforzare in noi la visualizzazione introspettiva di un quadro.

Fu con questo secondo album che i Dredg arrivarono alla perfetta sublimazione del loro suono, consolidando quella peculiare formula di musica immaginifica, evocando scenari jazz-core e post ambient. Il rock proposto su El Cielo si librava sulle ali della sperimentazione, era artistico e passionale, psichedelico e introverso. Quando nel 2001 i quattro musicisti cominciarono la fase di scrittura del secondo album avevano la sicurezza di un contratto appena stipulato con la Interscope Records che gli garantiva assoluta libertà artistica e si trasferirono per cinque mesi in una casa tra i deserti della Coachella Valley, come una sorta di ritiro spirituale. Da queste sessioni scaturirono alcuni demo da presentare alla Interscope per rendere un’idea sul procedere dei lavori. Però, non si sa bene come, i demo andarono a finire anche su Internet di modo che molte persone poterono ascoltarli in anteprima e più tardi battezzati come Industry Demo – 2001, comprendenti una prima versione di Of the Room e gli inediti Redrawing The Island Map, Running Through Propellers e Papal Insignia che non furono usati nell’album. El Cielo fu poi registrato negli studi del mitico Skywalker Ranch, una vasta tenuta di proprietà del regista George Lucas situata in una zona rurale nell’area di Nicasio in California nella quale i Dredg passarono circa due settimane, per poi aggiungere gli ultimi ritocchi nei Longview Farm Studios a Brookfield in Massachusetts. La band si servì addirittura di tre produttori per completare l’album: Ron St. Germain (Bad Brains, Living Colour), Tim Palmer (U2, Pearl Jam) e Jim Scott (Red Hot Chili Peppers), anche se, effettivamente, la maggior parte del lavoro fu svolta da St. Germain.

L’album era il figlio naturale di quelle sessioni desertiche che avevano ispirato canzoni che evocavano grandi spazi desolati e immaginavano vividi paesaggi sonori cinematografici. Il mix che donava vita a questa magia era ineffabile come la musica messa a punto dal quartetto: la voce gentile e trascendente di Hayes, la chitarra pittorica di Engles, il basso fluido di Roulette, la batteria secca e viscerale di Campanella. Le canzoni di El Cielo, anche nei loro momenti più aggressivi, erano più vicine alla calma della meditazione zen che non al rock. Il groove propulsivo, ma triste di Same Ol’ Road, la chitarra sincopata e shoegaze di Sanzen, che viaggiava su incontaminate praterie psichedeliche, o il mantra multipartito dai connotati quasi mistici di Δ (Triangle), davano l’impressione di una spinta di forza pari ad un’elevazione spirituale. Sorry But It’s Over - quasi una ballad semiacustica - e Convalescent riportavano i Dredg su latitudini più terrene. L’aggiunta di una sezione d’archi arricchiva Eighteen People Living in Harmony di sfumature da hard rock impressionista, un’immagine che prendeva forma anche nella malinconia spaziale di Scissor Lock. I Dredg condivano la loro ricetta musicale con rumori di sottofondo, spezie di suoni orientali e lontani echi di jazz. I ritmi spezzati di Of the Room, la chitarra elettrica satura di Engles che travolgeva come un’onda su It Only Took a Day, la fascinazione delle articolate sfaccettature armoniche di Whoa is Me e, per finire, il simil drum ‘n’ bass di It Only Took a Day con un chorus che colpiva come una liberazione, costituivano l’idealizzazione di un’opera creata in un pressoché completo stato di grazia. Le musiche di El Cielo si scontravano in un singolare amalgama proveniente dal metal e dall’ambient, dal post hardcore e dallo shoegaze, sublimandosi in un una strana trascendenza simile alla peculiarità della world music, pur non essendo world music. Quella dei Dredg era musica etnica apolide, patrimonio universale di una civiltà aliena ancora da scoprire.

mercoledì 1 marzo 2017

Altprogcore March discoveries


I Mungion, nati a Chicago nel 2015, sono quella che in gergo viene chiamata "jam band" e infatti il loro esordio Scary Blankets del giugno scorso, porta in dote lunghe composizioni molto versatili e inclini all'assolo facile e dilungato. Proprio come gli Umhprey's McGee, ma soprattutto come i Phish (Schvingo, Hindsight e Nuthead sembrano letteralmente scippate dal repertorio di Anastasio and company), nelle lunghe digressioni potete trovare molti elementi di jazz, latin, metal, bluegrass, electronic, classical, world e funk.



I Mechanical Butterfly sono un quintetto di Acireale in attività da ormai dieci anni. The Irresistible Gravity è il loro album di esordio e presenta un ottimo prog metal che si inserisce molto bene nella scena internazionale come pochi altri hanno tentato nel nostro paese (mi vengono in mente gli VIII Strada). Tra brani strumentali come Labyrinth of Doors e altri cantati dalla voce femminile di Francesca Pulvirenti, i groove di chitarra che si fondono con i solismi di synth permettono un crossover proprio tra il metal più tradizionale e il progressive sinfonico, connotati che sono indicativi nella traccia più rappresentativa dell'album Marks of Time, dalla quale è stato tratto di recente anche un video, anche se La Fenice e The Alchemist sono altrettanto valide.



Gli FS non sono proprio una scoperta in quanto il loro primo EP Cheers and Fears from the Past Year fu eletto il migliore del 2013 da questo blog. Ad essere sinceri, pensavo che dopo quattro anni di assenza il trio del North Carolina si sarebbe ripresentato con un album intero e invece ecco una altro EP di cinque tracce. You, Of All People riprende l'energia che fece grande il precedente EP, fondendo le dinamiche in eterno movimento dei Damiera e l'inclinazione hard prog dei Coheed and Cambria che in pratica si traduce nella capacità di creare intricate e mutevoli trame di chitarra, ritmiche sincopate e linee melodiche orecchiabili tra emocore e math rock. Spero vivamente che riescano a realizzare un full length nell'immediato futuro.



Stessa storia per i canadesi Shipley Hollow che nel 2015 con l'EP Normal Soup si piazzarono nei posti alti della classifica annuale di altprogcore. Tornano con un altro EP di sole tre tracce, ma sufficienti a certificare una significativa crescita del loro math rock su un piano più indirizzato al jazz e ai groove fusion. Tutto questo accade con una line-up totalmente rinnovata che riduce il gruppo a trio, dopo l'abbandono del tastierista, con l'unico membro originale Sean Clarey a tenere le fila. Non è sempre detto che la quantità faccia la qualità e questa rivoluzione ha portato un nuovo positivo sviluppo per gli Shipley Hollow. Fossi in voi darei anche un'occhiata ai video allegati alle corrispettive tracce. Giovani e talentuosi.



Anche i Band Royale sono già comparsi su altprogcore per l'ottimo album .​.​.​As Long As The Money Lasted in un amalgama di progressive suadente, soft e psichedelico che il gruppo ama definire yacht metal. L'EP Stranger Things Have Happened raccoglie quattro singoli che il gruppo ha prodotto negli ultimi due anni.


Di questo fantomatico omonimo esordio a nome Varra è dato sapere solamente che è un one man project di un ragazzo proveniente dal Cile che suona chitarra e produce fusion math rock nello stile di Chon. I brani, nella loro breve durata, risultano molto godibili, contenendo variazioni che talvolta guardano alle reiterazioni del minimalismo.



Con una formazione atipica che ricorda i King Crimson dell'era Thrak, i canadesi Bisbâyé, con Jean-Pierre Larouche e Nathanaël Labrèche alle chitarre, Vincent Savary al basso, Julien Daoust e Hugo Veilleux alle batterie, stanno caricando su Bandcamp, traccia dopo traccia, il loro nuovo album Synkronyk. Da quello che ci è dato ascoltare questo è un gruppo che sa sfruttare la potenzialità di due batteristi, trasferendo le possibili derive su trame spezzate e dinamiche irregolari con un sound da math rock metal abrasivo.


Se vi piacciono gli Explosion in the Sky e quindi più in generale il post rock, You Are Here Now degli Heron è un album che dovreste ascoltare. Pieno di slanci e paesaggi sonori sognanti e atmosfere che si trasformano da rilassanti a evocativi crescendo. Ad ogni modo non aspettatevi nulla di rivoluzionario, ma per gli amanti del post rock tradizionale potrebbe rappresentare una buona scoperta.



Di recente ho scoperto che Mike Sparks dei By Sunlight è stato coinvolto in numerose band tra le quali i Mister Metaphor, responsabili du due pregevoli EP indie math rock con un gran lavoro di batteria e progressioni chitarristiche.



Senza che ne avessi ancora sentito parlare, il gruppo olandese Semistereo arriva al terzo album Trans Earth Injection. I membri hanno tutti precedenti esperienze musicali (anche con Arjen Lucassen) e personalmente mi ricordano alla lontana i loro conterranei A Liquid Landscape. Un bel prog rock energico.



Vaneta è una giovane band californiana che ha debuttato con Antimemory lo scorso ottobre. L'album incorpora vari elementi di progressive rock moderno e presenta diversi punti di interesse. L'unico vero rimpianto è la produzione che non offre una registrazione all'altezza che possa rendere giustizia alla visione della band.