mercoledì 30 maggio 2018

Blanko Basnet - Ocean Meets the Animal (2018)


Qualche volta succede che trovi ciò che stai cercando nella musica (originalità, complicazione, melodia) in un disco indie rock, ma di quelli fatti bene e che fanno bene. Così scopri per caso una band come i Blanko Basnet pensando erroneamente che corrisponda all'ennesimo gruppo pop rock come tanti e invece dietro c'è un chitarrista virtuoso dal nome Joe Hall che, insieme al batterista Jeff Stickley, milita contemporaneamente nel trio Hammer No More the Fingers e dove i Blanko Basnet dovevano essere il suo sfogo solista con il quale ha esordito nel 2013 con un omonimo album. Ocean Meets the Animal è il secondo lavoro che esce a distanza di cinque anni e, oltre a ciò, si distanzia dai suoi predecessori per una scrittura più asciutta ma arrangiata in modo quasi progressivo e che per la prima volta ha coinvolto anche gli altri membri Matt McElroy (basso) e Matt Skinner Peterson (chitarra, tastiere) e non il solo Hall.

La musica dei Blanko Basnet consiste in riff elettroacustici e arpeggi sincopati che riportano a timbri psichedelici e puliti allo stesso tempo, rendendo riconoscibile lo stile personale di Hall del quale fa bello sfoggio in Every Dollar e Mother senza mai scadere nel lezioso. In altri momenti i ritmi dei brani sono proprio dettati dalla costruzione di pattern pizzicati, creando così un corto circuito con la folktronica (Minnow, Light, Get Away), o meno convenzionali e quasi post rock (la title-track, Eyes). Le vocalità a toni alti e l'uso di polifonie, alle quali ha contribuito come ospite Amalia Meath dei Sylvan Esso, ricordano i primissimi White Denim (senza l'influsso southern), ma il risultato è così etereo che si sposa perfettamente con i sognanti e avvolgenti suoni della chitarra come nelle stellari Berry e Yossarin. Probabilmente non troverete nulla di nuovo in Ocean Meets the Animal se non un album che si eleva con intelligenza nell'attuale panorama indie rock.




www.blankobasnet.com

domenica 20 maggio 2018

Nuove uscite e anticipazioni


In questo fine settimana ci sono state alcune novità che sommerò in quest'unico post:

Mike Vennart ha da molto tempo annunciato il secondo album al quale, ancora una volta, prenderanno parte gli ex Oceansize Richard Ingram e Steve Durose. Ancora non c'è una data definitiva, ma nel frattempo è possibile ascoltare il nuovo singolo Donkey Kong.


 Tra i singoli che annunciano nuove eccitanti usciteci sono quelli di Skyharbor (il più volte annunciato Sunshine Dust è previsto per il 7 settembre) e di The Mercury Tree che si ripresentano con il pezzo Superposition of Silhouettes composto interamente in accordatura microtonale.





Forse sapete che i The Dear Hunter e i Between the Buried and Me hanno intrapreso insieme un tour statunitense. Le due band sono molto amiche e hanno deciso di celebrare la cosa con uno speciale 7" in edizione limitata dove ognuno coverizza un pezzo dell'altro: The Tank per i Between the Buried and Me e Rapid Calm per i The Dear Hunter.


Sempre in tema di singoli il trio giapponese di math pop Tricot ha appena pubblicato due nuovi brani inediti dal titolo postage e On the boom.



I Dream the Electric Sleep hanno invece recuperato un intero album inedito risalente al 2008 (quando la band era appena in embrione ed era solo un duo) dal titolo The Giants Newground. Questa uscita anticipa anche il nuovo lavoro previsto per il 2019 e prodotto nientemeno che da Michael Beinhorn.

domenica 13 maggio 2018

Not a Good Sign - Icebound (2018)


In pochi anni il progetto Not a Good Sign, pensato e formato nel 2012 dal chitarrista Francesco Zago (Yugen) e dal tastierista Paolo «Ske» Botta, è arrivato al terzo album, questa volta con qualche novità. Infatti Zago all’indomani del secondo lavoro in studio From a Distance (2015) ha lasciato la direzione del gruppo nelle mani del solo Botta che in questa sede si carica sulle spalle il peso di firmare tutte le composizioni, ad eccezione di Truth di De Sarno/Trevisan. Icebound testimonia inoltre l’ultima presenza del cantante Alessio Calandriello (La Coscienza di Zeno) che si congeda lasciando le future parti vocali al nuovo chitarrista Gian Marco Trevisan, ma le più considerevoli novità riguardano la direzione dell’album. 

Quello che era nato come un sodalizio che potesse accostare le potenzialità melodiche, alleggerendo le complessità più astruse del prog in favore di costruzioni musicali più scorrevoli, qui assume contorni propriamente avventurosi e audaci, come la lunga cavalcata Hidden Smile, brano di punta che approfondisce in maniera spigolosa e ruvida le prospettive di 1000Autunni, il bell’album solista di Botta risalente al 2011. Se infatti prima nei Not a Good Sign era rispettato il giusto equilibrio tra parti vocali e strumentali in una filosofia compositiva prossima all’estetica “song oriented”, Icebound si immerge in spazi multiformi tipici del prog e lo fa con lucidità nel mantenere legami tanto con il presente quanto con il passato. 

Le due anime di Frozen Words e Down Below si riescono ad integrare con il moderno art rock e il prog jazz, rimarcato anche dai prestigiosi interventi del sax vandergraaffiano di David Jackson che si fanno spazio nelle trame tensive di Trapped In. Alla fine però il maggior pregio di Icebound (e della band soprattutto) risiede nel fatto che, pur utilizzando timbriche strumentali ormai consolidate all’interno del progressive rock, queste si discostano da qualsiasi sterile paragone e creano una miscela esplosiva e personale. Icebound è così da catalogare come un grande album di prog moderno.


domenica 6 maggio 2018

Altprogcore May discoveries, part 2


From Worry to Shame è l'esordio del duo Head with Wings formato da Joshua Corum e Brandon Cousino. Il concept album, in uscita l'1 giugno, è stato registrato e prodotto da Frank Sacramone e Jamie Van Dyck degli Earthside (che suonano anche come ospiti) e mixato da Forrester Savell (Karnivool).




Vi ricordate gli Anywhere? No? Beh è comprensibile visto che sono passati sei anni dal primo LP  prodotto dall'unione di Cedric Bixler Zavala, Mike Watt e Christian Eric Beaulieu. Questa volta a tenere le redini del progetto è il solo Beaulieu accanto al quale compaiono una serie impressionante di ospiti a partire dagli stessi Bixler Zavala e Watt e poi Krist Novoselic, Dale Crover, Naima Mora, Gregory Rogove, Isaiah Mitchell e molti altri. Anywhere II raccoglie comunque i nove brani editi in passato nei due EP Olompali (2013) e Light the Portals (2016).


Terzo album per la band belga ATMOSPHERES che con Reach producono un buon djent atmosferico di cui la ricetta è stemperare le parti più aggressive elettrico/elettroniche con voci e sonorità dreamgaze.



I MoeTar, dopo due album in studio eccellenti che mischiavano art rock e progressive, si sciolgono e ci dicono addio con questo EP che raccoglie le ultime quattro composizioni registrate dal gruppo. Un vero peccato.



EP di debutto per gli italiani Nowe, quintetto di Schio con voce femminile e un bell'amalgama strumentale di suoni elettrici impalpabili tra post rock e dream pop.



Il 22 giugno vedrà anche il ritorno dei Roller Trio, con il terzo album New Devices, che con un piccolo cambio di line-up, con l'inclusione del chitarrista sperimentale Chris Sharkey, probabilmente segnerà anche un cambio di direzione verso paesaggi fusion più all'avanguardia.

venerdì 4 maggio 2018

Oh Malô - Young Orchard, Vol.1 (2018)


Dopo l'anticipo di due singoli dal potere ultraterreno, gli Oh Malô pubblicano oggi il loro primo EP, a due anni di distanza dall'esordio As We Were che fu una delle più belle soprese del 2016. Young Orchard, Vol.1, come facevano presagire Don't Look, Don't Stare e Pedaling Backwards (dei quali ho già detto), segna un passo avanti nella ricerca del raffinato e atmosferico rock sperimentale della band di Boston: si infittiscono i suoni impalpabili e post rock, si accentuano le voci angeliche e lontane, si consolidano trame eteree e non convenzionali. I brani che non avevamo ancora ascoltato (a parte il breve strumentale Orchard) Concierge Man e Read Me sono fatti di fievoli arpeggi e increspature minimali le cui tessiture dalle soffici atmosfere riescono a creare avvolgenti e solide strutture che vanno a completare un quadro sonoro di sapori affini ma totalmente diversi da ciò che era As We Were. Se questa deve essere la nuova pelle degli Oh Malô ben venga, anzi è un peccato che l'EP si risolva praticamente in quattro bellissime tracce che ci fanno agognare al più presto l'arrivo del previsto volume secondo.


martedì 1 maggio 2018

Altprogcore May discoveries


I The Valley Ends non sono esattamente una nuova scoperta: il quintetto australiano è dal 2014 che non si presenta con nuovo materiale, quando fu pubblicato l'ottimo EP d'esordio Falls e quindi è bene ricordarli in questa sede con una nuova introduzione dato che ieri è stato realizzato con un video d'accompagnamento il primo inedito a distanza di quattro anni, dal titolo Dark Emu, che anticipa l'album Hearth in uscita entro la fine dell'anno.



I due gruppi francesi di estrazione ultra sperimentale PoiL e ni si sono fusi insieme per dare vita ad un'unica entità chiamata PinioL e portare alla massima potenza le loro esperienze jazzcore, math rock e avant-garde in quello che è un debutto al fulmicotone. Insieme la band forma un settetto che raddoppia alcuni strumenti (abbiamo due batterie, due bassi, due chitarre e una tastiera) e grazie a tale espediente si destreggia in un'incredibile e irregolare selva ritmica che si dipana in prodigiose evoluzioni math fusion e irriverenti echi di zeuhl e art rock dadista. Un must per i fan dei King Crimson e non solo. 



Il progetto Lack the Low fa in realtà riferimento alla giovane cantante e polistrumentista di Melbourne Kat Hunter. One Eye Closed è il suo debutto che si divide tra cantautorato sperimentale e art rock in una vena non dissimile a Bent Knee, Thom Yorke e l'ultimo Bon Iver più elettronico.



Anche gli Slow Talk sono un duo proveniente da Melbourne formato dal cantante James Butler e dal chitarrista Ash Fuller. L'EP New Vernacular è una raccolta di pezzi di post hardcore moderno molto debitore delle elucubrazioni psichedeliche dei primi Circa Survive e qualche influsso, mai troppo estremo, dello swancore più melodico che si sta profilando negli ultimi anni con gruppi come Hail the Sun e Sinavar.



Chitarrista di Sydney, Harvey Shepherdson-Beck è un altro prodigio da cameretta che potrà interessare ai seguaci di Owane, Plini, Maxim David Micic, ecc. e che non a caso ospita in questo suo album colleghi del calibro di Jakub Zytecki, Sithu Aye, Adam Rafowitz e Stephen Taranto.



Dopo due singoli in anteprima per riscaldare la pista, ecco che arriva il debutto del trio formato da Sergio Medina (chitarra), Kurt Travis (voce) e Joseph Arrington (batteria). I Royal Coda suonano come una sintesi dei gruppi dai quali provengono i tre membri (A Lot Like Birds, Stolas, Sianvar) e delle deviazioni meno estreme che hanno imboccato ultimamente tutte queste band. Al genere experimental post harcore non aggiungono nulla di nuovo, ma una particolare segnalazione di merito va se non altro alla ricerca sonora di Medina che qui prosegue in solitaria quanto elaborato insieme a Will Swan su Stay Lost dei Sianvar.