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mercoledì 27 febbraio 2019
American Football - American Football (LP3) (2019)
Devo essere sincero, non mi aspettavo chissà che cosa dal terzo LP degli American Football, presentato ancora una volta senza titolo come era solito fare Peter Gabriel. Dopo il grande revival dell'emo avvenuto nel 2014, la reunion dello storico gruppo che nel 1999 ne innalzò il vessilo da una sponda più intimista, fu quasi un atto dovuto e l'album che ne scaturì nel 2016 quasi una naturale conseguenza per placare quella voglia di ascoltare ancora la magica alchimia creata da Kinsella e soci che si piazza in una zona franca, fuori fuoco, posta tra depressione e felicità. LP2 era davvero un bel lavoro in sintonia con quanto fatto dagli American Football, coerente con il loro stile ma che non aggiungeva molto al ricco catalogo del midwest emo, soprattutto se messo in relazione con la carriera che nel frattempo si è costruito parallelamente Mike Kinsella con lo pseudonimo di Owen.
Forse anche gli American Football hanno percepito una sensazione di incompiuto e per loro stessa ammissione non si erano pienamente espressi come avrebbero voluto, complice il precipitoso ritorno sulle scene. LP3 parte quindi dal presupposto che c'è stato tempo di fermarsi a riflettere e che qualcosa è cambiato. I più affezionati se ne possono accorgere già dalla copertina che, a differenza dei due album precedenti con due iconiche foto di esterno ed interno di una casa, mostra un desolato paesaggio invernale al crepuscolo che pare uscito dal film Revenant. Da qui lo spunto del gruppo per dichiarare il loro genere come "post house", il che in effetti acquista un senso dopo aver ascoltato i nuovi sottili input stilistici con i quali gli American Football arricchiscono la propria tavolozza: shoegaze, dreampop, minimalismo mutuato da Steve Reich e anche un po' di prog.
Gli impasti per evocare malinconia non sono mai stati così efficaci, molti brani si perdono in orizzonti di eco, riverberi e impalpabili sensazioni ultraterrene. Il math rock è quasi uno sfumato ricordo e ciò che prevale in primo piano è l'importanza dell'impianto atmosferico. Anche il fatto che siano presenti delle canzoni più lunghe del solito è un sintomo di come i quattro veterani dell'emo questa volta abbiano voluto dare più respiro e spazio alla costruzione di paesaggi sonori che potessero evocare ben altro che malinconia.
L'inizio è da sogno: il piccolo concerto di idiofoni che apre Silhouettes sottolinea ancora di più la calma che viene interrotta quando entra tutta la band la quale, come un'onda improvvisa, ci sveglia da quel torpore cullante solo per restituirci ad un altro sogno, uno più vivido. Tutto è rarefatto e nebuloso e l'accumulo degli strumenti viene dosato esclusivamente in funzione di trasmettere un senso avvolgente e crepuscolare. La missione degli American Football però questa volta non è deprimerci, ma investirci di melodie dolci e rallentate, dove le chitarre non si spendono più in tapping ma si dividono tra profusione di arpeggi e creare soffici tappeti ambient - nella cadenza di I Can't Feel You sembra quasi di sentire i Genesis di Entagled, mentre Doom in Full Bloom è una bellissima ed efficace epitome di questo trattamento.
Le tre voci femminili, che per la prima volta vengono ospitate in un album del gruppo - Elizabeth Powell dei Land Of Talk su Every Wave To Ever Rise, Hayley Williams dei Paramore su Uncomfortably Numb e Rachel Goswell degli Slowdive I Can't Feel You - rafforzano un sentimento di apertura verso scenari dreampop vicini ai Cocteau Twins, territori finora vergini per le corde di Kinsella e compagni, inediti come lo spiraglio di spensieratezza trasmesso da Heir Apparent. Quindi il mio scetticismo iniziale era dovuto al timore di confrontarmi con un'opera che ripetesse gli stessi schemi del passato. In pratica gli American Football hanno mantenuto la loro identità, ma è come se avessero provato a raccontare la malinconia da un'angolazione leggermente differente e, come al solito, preziosa.
mercoledì 5 ottobre 2016
American Football - American Football (LP2) (2016)
Se una band, nata e diventata di culto per caso, torna dopo 17 anni di distanza dal primo LP, con grande accoglienza da parte delle scena alternativa statunitense, qualche ragione ci deve essere. Gli American Football si riunirono nel 2014 per una serie di concerti al culmine di un ritrovato interesse nei confronti di quel genere elusivo (ma non troppo) che è l'emo, quando si
assistette ad un vero e proprio revival del genere, certificato da ogni rivista, come se questo fosse
tornato redivivo dagli anni '90 per riprendersi ciò che gli spettava. La cosa si palesò
con il successo di alcuni artisti indipendenti facenti capo a etichette come Topshelf Records e No Sleep Records, poi attraverso la reunion e il tour dei Mineral e, infine, con i nuovi album in studio di Braid e
Owls (che pubblicarono Two a distanza di tredici anni dal primo omonimo
album).
Per quanto riguarda gli American Football, diedero vita ad una nuova concezione dell’emocore. Esso si consolidò infatti come una scena a sé stante negli stati limitrofi dell’Illinois e del Wisconsin, nell’area di Chicago, Champaign-Urbana e Milwaukee, soprattutto grazie alle numerose band formate dai tre fratelli Kinsella: Mike, Tim e Nate. L’importante peculiarità sviluppata da questo movimento – che fu talmente caratteristico nella sua forma da meritarsi l’appellativo di “midwest emo” – fu quella di avvicinare in un unico stile l’emocore e il math rock. Tra i pionieri del midwest emo ci furono i Cap'n Jazz che realizzarono un solo album nel 1995. Da qui seguirono i satelliti Joan of Arc, Owls, The One Up Downstairs, The Promise Ring e, in particolare, gli American Football che, anche loro con un solo album omonimo nel 1999, posero le basi per una nuova tipologia di math rock che sopperiva alla rigida freddezza del genere con venature malinconico-alternative mutuate dall’emocore e dal jazz. In particolare erano assenti le sferzate di energia dirompente a cui l’emocore si lasciava andare nelle parti più aggressive e il tutto si risolveva con molta melodia crepuscolare e progressioni armoniche derivate quasi dal prog. American Football fu un album che, in tal senso, influenzò e diede un nuovo impulso sia alle generazioni successive dell’emo, sia a quelle del math rock. Steve Lamos, Steve Holmes, Mike Kinsella tennero in vita gli American Football fintanto che rimasero al college, dopodiché ognuno andò per la propria strada, ma il passaparola fece diventare quell'album un successo di culto che negli anni ha preso sempre più vigore.
Eccoci quindi al secondo LP, di nuovo senza titolo e di nuovo con un'iconica foto di una casa nella cover, dove ritroviamo Lamos, Holmes, Kinsella e l'aggiunta del fratello Nate al basso. American Football (LP2) riporta in vita quegli intrecci peculiari di chitarra tra Kinsella e Holmes, i controtempi jazz di Lamos ma, come era logico aspettarsi, non possiede quella forza seminale del primo LP. Il fatto che gli anni siano passati non ha inciso sulla caratterizzazione dai forti connotati della musica del gruppo, più che altro è evidente che alcuni brani possono essere percepiti come un affine residuo proveniente dall'alter ego di Kinsella, Owen (che, a proposito, se non ne aveste abbastanza, ci ha omaggiato proprio quest'anno con il nuovo The King of Whys), o come alcuni cavalchino bene l'emo revival di marca Into It. Over It. (Desire Gets in the Way). Forse non tutti i brani brillano come dovrebbero (I Need a Drink (or Two or Three), Everyone Is Dressed Up), ma la malinconia emo degli American Football è ancora lì, intatta, e quando si schiudono le dolci note arpeggiate di Where Are We Now? è impossibile non farsi venire in mente le parole del poeta "...e il naufragar m'è dolce in questo mare". I testi di Kinsella sono tra quelli più efficaci, profondi e semplici allo stesso tempo per descrivere uno stato malinconico, una cosa che riesce a farti empatizzare con lui anche se sei di buon umore. Eppure ti ritrovi a pensare quanto ti facciano star bene le arie estremamente depressive (nelle intenzioni, ma non nel sound) di My Instincts Are the Enemy, I've Been So Lost for So Long e Give Me the Gun. Questo è l'emo, quello vero.
Per quanto riguarda gli American Football, diedero vita ad una nuova concezione dell’emocore. Esso si consolidò infatti come una scena a sé stante negli stati limitrofi dell’Illinois e del Wisconsin, nell’area di Chicago, Champaign-Urbana e Milwaukee, soprattutto grazie alle numerose band formate dai tre fratelli Kinsella: Mike, Tim e Nate. L’importante peculiarità sviluppata da questo movimento – che fu talmente caratteristico nella sua forma da meritarsi l’appellativo di “midwest emo” – fu quella di avvicinare in un unico stile l’emocore e il math rock. Tra i pionieri del midwest emo ci furono i Cap'n Jazz che realizzarono un solo album nel 1995. Da qui seguirono i satelliti Joan of Arc, Owls, The One Up Downstairs, The Promise Ring e, in particolare, gli American Football che, anche loro con un solo album omonimo nel 1999, posero le basi per una nuova tipologia di math rock che sopperiva alla rigida freddezza del genere con venature malinconico-alternative mutuate dall’emocore e dal jazz. In particolare erano assenti le sferzate di energia dirompente a cui l’emocore si lasciava andare nelle parti più aggressive e il tutto si risolveva con molta melodia crepuscolare e progressioni armoniche derivate quasi dal prog. American Football fu un album che, in tal senso, influenzò e diede un nuovo impulso sia alle generazioni successive dell’emo, sia a quelle del math rock. Steve Lamos, Steve Holmes, Mike Kinsella tennero in vita gli American Football fintanto che rimasero al college, dopodiché ognuno andò per la propria strada, ma il passaparola fece diventare quell'album un successo di culto che negli anni ha preso sempre più vigore.
Eccoci quindi al secondo LP, di nuovo senza titolo e di nuovo con un'iconica foto di una casa nella cover, dove ritroviamo Lamos, Holmes, Kinsella e l'aggiunta del fratello Nate al basso. American Football (LP2) riporta in vita quegli intrecci peculiari di chitarra tra Kinsella e Holmes, i controtempi jazz di Lamos ma, come era logico aspettarsi, non possiede quella forza seminale del primo LP. Il fatto che gli anni siano passati non ha inciso sulla caratterizzazione dai forti connotati della musica del gruppo, più che altro è evidente che alcuni brani possono essere percepiti come un affine residuo proveniente dall'alter ego di Kinsella, Owen (che, a proposito, se non ne aveste abbastanza, ci ha omaggiato proprio quest'anno con il nuovo The King of Whys), o come alcuni cavalchino bene l'emo revival di marca Into It. Over It. (Desire Gets in the Way). Forse non tutti i brani brillano come dovrebbero (I Need a Drink (or Two or Three), Everyone Is Dressed Up), ma la malinconia emo degli American Football è ancora lì, intatta, e quando si schiudono le dolci note arpeggiate di Where Are We Now? è impossibile non farsi venire in mente le parole del poeta "...e il naufragar m'è dolce in questo mare". I testi di Kinsella sono tra quelli più efficaci, profondi e semplici allo stesso tempo per descrivere uno stato malinconico, una cosa che riesce a farti empatizzare con lui anche se sei di buon umore. Eppure ti ritrovi a pensare quanto ti facciano star bene le arie estremamente depressive (nelle intenzioni, ma non nel sound) di My Instincts Are the Enemy, I've Been So Lost for So Long e Give Me the Gun. Questo è l'emo, quello vero.
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