giovedì 30 aprile 2020

Music by Gestalt - Debussy’s Fawn (2020)


A poco più di un anno di distanza dal debutto da Schubert's Pony, il trio jazz Music by Gestalt, guidato dal pianista Tim Johnson insieme a Miller Wrenn al basso, Ben Scanlan alla batteria, pubblicherà questa estate il secondo album Debussy’s Fawn. Lo scopo dei Music by Gestalt non è quello di proporre un tipico jazz che ci si aspetterebbe da un trio, ma piuttosto contaminare trasversalmente la musica colta con più elementi. Sullo stile pianistico di Johnson ha sempre fatto capolino l'influsso della musica classica, ma se il primo album mostrava un gruppo dalla verve scoppiettante, sfumature ruvide e ritmiche nervose da math rock, Debussy’s Fawn si lancia in una direzione quasi opposta con forti accenti cameristici e d'avanguardia, senza comunque tralasciare l'importanza e la preponderanza della sezione ritmica.

Forse è proprio tenendo fede al nome del compositore impressionista francese che dà il titolo all'album, che il nuovo lavoro dei Music by Gestalt declina verso percorsi ancora più colti e classici. Ed è così che The Frog's Song appare sottotraccia come una sonata cantabile, con il contrabbasso di Wrenn suonato con l'archetto come a creare una leggera dissonanza, trasfigurata da scombinazioni ritmiche, mentre Church Music si fonda su un continuo crescendo edificato dagli ampi arpeggi di Johnson, anche in questo caso l'andamento è molto declinato al classico più che al jazz. Le reiterazioni, i piccoli movimenti verso nuovi accordi sembrano arrivare direttamente dal minimalismo, ma anche sulla title-track il contesto percussivo accelera la dinamica e l'evoluzione del brano verso territori math jazz. 

Lo sviluppo della suite finale Rabbit in a Snowstorm è suddiviso in tre parti da circa sedici minuti in totale, interpretate come musica da camera sperimentale, ospitando in qualche sezione la violinista Shalini Vijayan ed il percussionista Anthony Stornolio. Nella prima parte una lunga introduzione di ricerca timbrica del violino apre quella che ha tutto l'aspetto di una lunga improvvisazione formale. In questo caso entriamo in una prospettiva avant-garde da cui la suite devia a partire dalla seconda parte, inaugurando un continuo ed ostinato piano concerto che trabocca di accordi battuti ed arpeggiati. La terza parte ne prosegue le premesse con ancor più frenesia. Con Debussy’s Fawn i Music by Gestalt si spingono perciò molto oltre, rispetto al primo album, nella sfida per ottenere risultati originali e trasversali nella sfera della musica jazz.

Tracklist:

1.The Frog's Song
2.Church Music
3.Debussy's Fawn
4.Rabbit in a Snowstorm, Part 1
5.Rabbit in a Snowstorm, Part 2
6.Rabbit in a Snowstorm, Part 3

 https://musicbygestalt.com/



martedì 28 aprile 2020

RIVIẼRE - Passage (2020)


A tre anni dall'uscita di Heal, esordio dei francesi RIVIẼRE, penso in pochi si ricordino del loro nome. Eppure quell'album costituiva un'autorevole prima prova, prodotta da Forrester Savell e molto vicina al prog metal intellettuale dei Karnivool. Durante il loro percorso i RIVIẼRE hanno perso il bassista e cantante (che ha abbandonato il gruppo nel 2018), diventando di fatto un trio con la decisione di proseguire senza rimpiazzarlo.

Passage è una seconda prova che rimane in ambito prog metal, ma che si allontana dall'ingombrante paragone con i Karnivool di cui godeva il pur interessante primo album. Sempre all'Australia comunque sembrano guardare i RIVIẼRE, con i forti echi tribali dei COG che si fanno strada su Wordless. Tutto sommato però la band cerca di essere più personale questa volta, cercando alternative, osservando altre possibilità sonore, che si risolvono portando sul tavolo passaggi chitarristici mutuati dal math rock (Shapeless) oppure onde soniche vorticose provenienti dal post rock (la title-track, Surface), oltre che pertinenti tracce di elettronica che aumentano l'atmosfera "retrofuturistica" (New Ghost, Pressure Steps).

In questo modo Passage assume dei connotati psichedelici e alternative rock, molto più incline ad aperture melodiche. Insomma, nulla di rivoluzionario, però apprezzabile come i RIVIẼRE abbiano mostrato la volontà di evolvere e cambiare.

lunedì 27 aprile 2020

VAR - The Never-Ending Year (2020)


Per la densità demografica la piccola Islanda accoglie decisamente un gran numero di band al suo interno. I VAR sono una tra le ultime espressioni ad emergere dall'isola, anche se in verità il gruppo non nasce adesso con l'album The Never-Ending Year, ma la sua fondazione risale al 2013, come un progetto solista di Júlíus Óttar (voce, chitarra, piano) che ben presto inizia a collaborare con altri musicisti scelti tra amici e familiari: la moglie Myrra Rós (synth, voce), suo fratello Egill Björgvinsson (basso), Arnór Jónasson (chitarra) e Andri Freyr Þorgeirsson (batteria).

Nella prima fase la musica del gruppo assume contorni molti vicini al post rock calmo ed etereo dei Sigur Ros, culminando nell'album Vetur (2017). Con le defezioni di Myrra Rós e Andri Freyr, sostituito da Sigurður Ingi Einarsson, i VAR iniziano a riconsiderare il proprio sound, animando le dinamiche con maggior presenza ritmica ed elettrica, aggiungendo in più melodie più inclini all'indie rock piuttosto che al post rock. The Never-Ending Year lascia da parte droni, musica d'ambiente e ripetitività e si dedica più alla melodia ed a creare vasti e suggestivi paesaggi sonori intrisi di intensa dolcezza e asprezza che richiamano inevitabilmente la dicotomia della natura delle terre islandesi.

I processi di scrittura e di registrazione si sono consumati nell'arco di un anno, nel quale i VAR non solo hanno avuto modo di modellare il proprio sound con rinnovata ispirazione, ma si sono trovati anche a dover decidere se cambiare e utilizzare l'inglese come lingua per i testi, cosa che poi è avvenuta. Il lungo lavoro di calibrazione ha comunque ripagato i VAR con un album elettrico, orchestrale e solenne, un po' art rock e un po' pop, valido per tutte le stagioni, anche se inevitabilmente frutto di atmosfere tipiche delle lande nordiche. Un album che trasmette la malinconia dell'inverno, ma che scalda come un sole d'estate.

sabato 25 aprile 2020

Gavin Castleton - Here You Go. (2020)


Nel panorama indipendente americano Gavin Castleton è una delle figure più eclettiche e imprevedibili, artisticamente parlando, ma anche un nome noto a pochi. Ma visto il suo curriculum non potrebbe essere altrimenti, provenendo da una band come i Gruvis Malt (dei quali mi sono di recente occupato) che ha fatto della fusione di generi un manifesto programmatico. Castleton si è poi infilato in una prolifica carriera solista altrettanto frammentaria, incurante di qualsiasi logica di mercato, piena di EP e album che affrontano i più spregiudicati accostamenti di genere, dall'hip hop al rock, dal folk alla rock opera (e qui mi riferisco in particolare a quel capolavoro sottovalutato che è Home di cui ho parlato qui).

Castleton ha poi collaborato come musicista dal vivo con i Rare Futures e i The Dear Hunter fino a diventarne un membro effettivo. Era quasi scontato quindi che su Here You Go. comparisse come ospite Casey Crescenzo alla chitarra elettrica ed acustica nei brani Adaptation, Modeling e Acceptance. Here You Go. è il nuovo capitolo della discografia di Castelton, un lavoro nel quale viste le scelte minimali del passato, si è speso molto in termini di produzione e composizione, ritornando dopo molto tempo su canoni meno inclini all'hip hop e alla sperimentazione elettronica, mettendo in piena luce le sue doti di cantautore art rock, abilità che aveva già mostrato su Home e che qui ritrova la propria vena creativa in forma smagliante.

Castleton si muove in territori da cantautore come accennato, ma trattandosi della sua persona naturalmente non c'è nulla di scontato. Canzoni come Adaptation e Courage assomigliano a delle brevi suite per quel gusto dell'imprevedibile direzione che prenderanno i loro sviluppi, sempre tenendo come punto fermo la tradizione pop orchestrale e folk americana. Compersion è un perfetto bilanciamento di tali elementi con le sue intro e coda sinfoniche che lasciano spazio tra i propri confini ad un cadenzato ed elettronico RnB. Nell'art pop infuso di piano di Castleton si ritrovano molti indizi di black music, come lo stesso autore non ha mai nascosto nella sua carriera, naturalmente riproposti in modo del tutto personale, come nello stomp elettronico in odore di gospel Privacy o nel mini musical che chiude il disco Acceptance.

Dal punto di vista lirico e atmosferico l'intimità e il sentimento sono gli argomenti che prendono il sopravvento anche nella musica, raggiungendo l'apice interpretativo su Modeling, un brano dove non è difficile empatizzare con lui da quanto riesce a trasmettere emozioni nel crescendo del suo percorso. Castleton sembra come voler aprire il suo cuore all'ascoltatore, soprattutto quando si spoglia di tutti gli strumenti e si confronta solo con il suo piano in Foundation, Dipping e Timing. Con Here You Go. Castleton dà prova di nuovo di appartenere a quella schiera di autori talentuosi che il mondo della musica ignora bellamente, mentre lui intanto, incurante, continua a sfornare questi piccoli grandi gioielli.


venerdì 24 aprile 2020

Oh Malô - Young Orchard, Vol.2 (2020)


Ultimamente gli Oh Malô sono stati molto avari di notizie, ma tutto questo silenzio era dovuto ad una pausa che il gruppo si è preso e che dura tutt'ora. Nel frattempo il frontman Brandon Hafetz ha avviato un proprio progetto solista dal nome Hayfitz attraverso il quale ha realizzato finora tre singoli ed è in procinto di pubblicare un album.

Prima di entrare in questa fase dormiente però, gli Oh Malô erano riusciti a registrare una serie di nuovi brani che hanno scelto di suddividere in due EP il cui primo volume è uscito ormai due anni fa. Young Orchard, Vol.2 vede la luce oggi e contiene altre cinque tracce che, sommate alle altre già esistenti, vanno a completare un ipotetico seguito del meraviglioso esordio As We Were.

L'atmosfera del secondo volume si fa ancora più intima e psichedelica, merito della coda post rock di Insulated Isolated e del sempre più presente registro riverberato delle chitarre che lambiscono gli echi lontani di Another, oltre al merito dell'evanescente voce in falsetto di Hafetz che riscalda le linee eteree di One Dimensional Man. Il singolo Easy mette in ballo anche un leggero impasto di folktronica, che forse avrebbe potuto indicare nuovi sviluppi per il futuro degli Oh Malô. Staremo a vedere cosa riserva il futuro, intanto per ora è tutto.



mercoledì 22 aprile 2020

Childish Japes - The Book of Japes (2020)


Dopo un primo album con vari ospiti alla voce che imprimevano una intrigante eterogeneità all'insieme del lavoro e un secondo album che si serviva della notevole presenza dell'ex cantante dei Mals Totem Dave Vives, nel terzo album appena pubblicato i Childish Japes - creatura del batterista JP Bouvet messa in piedi con Asher Kurtz (chitarra) e Jed Lingat (basso) - decidono di dedicarsi completamente alla fusion strumentale e lo fanno con l'aiuto dei due membri aggiunti David Leon al sassofono e al clarinetto basso e Christian Li alle tastiere. In questa nuova veste abbiamo così l'occasione di approfondire ancora meglio le capacità strumentali del trio (allargato) che si dedica in egual misura a virtuosismo e ricerca sonora. The Book of Japes mischia con brillante equilibrio composizione e improvvisazione, quando compare quest'ultima l'avanguardia è dietro l'angolo dato che Kurtz preferisce sperimentare effetti sonici con il proprio strumento, mentre le sezioni soliste più intensamente jazz sono sostenute da sax e piano. Un nuovo crossover che porta i Childish Japes a produrre un album ancora una volta differente dal precedente, dimostrando la volontà di cambiare prospettiva ad ogni pubblicazione.




venerdì 17 aprile 2020

Martin Grech - Hush Mortal Core (2020)


Le prime volte che ho sentito il nome del chitarrista e cantante inglese Martin Grech è stato associato a collaborazioni con le band Gunship e Tesseract, ma non immaginavo che da solista avesse anche una discografia così interessante. Fin dal suo esordio acclamato dalla critica Open Heart Zoo (2002), lo stile musicale di Grech è stato paragonato a grandi nomi come quello di Jeff Buckley e dei Radiohead, pur affrontando l'art rock con maggior eclettismo ed un senso di esplorazione al margine, in territori estetici diametralmente opposti: dal metal al folk psichedelico.

Hush Mortal Core è il quarto album in studio di Grech ed arriva dopo ben tredici anni dall'ultimo lavoro in studio March of the Lonely (2007). Proprio per questo, come artista indipendente, Grech non ha voluto aspettare un altro anno per trovare il supporto di un'etichetta discografica, ricerca resa ancor più difficoltosa dall'aggravarsi della pandemia, e ha deciso di realizzare Hush Mortal Core digitalmente, in anteprima a marzo tramite la sua pagina Patreon, ed oggi attraverso i classici canali streaming. Il disco era pronto addirittura dal 2018, ma la lunga attesa è comunque stata ripagata, poiché l'album scandaglia nella maniera più soddisfacente ogni aspetto della musica di Grech, trovandosi scaraventati in un eterogeneo vortice di post rock, progressive rock, metal, folk e avant-garde. La collaborazione con i Tesseract ha permesso inoltre a Grech di coinvolgere come ospiti Acle Kahney alla chitarra e Jay Postones alla batteria, cementando un'affinità così solida con il gruppo che il brano Ecstasy Astral Melancholia e il djent new age di Mothflower paiono ripercorrere i sentieri più irregolari di Polaris.

Il carattere sperimentale, evanescente e libero di Grech è in questo più simile a Buckley padre, Tim, ricercando le stesse ambizioni formali e aleatore di Starsailor e Lorca, logicamente in tutt'altro contesto e ambito, anche se le immagini ultraterrene di Nymphs in Heliacal Rising e della title-track si legano indissolubilmente a quell'universo free form, con un ritorno alla ballata acustica quasi ordinaria di Sadness is a Story of Beauty Only a Dancer Can Tell. Ed è così che si rimane sopraffatti ed impreparati di fronte alla capacità e alla sensibilità dimostrata da Grech nel manipolare con sapienza e a suo piacere ogni forma stilistica, piegandola alla propria visione originale. Si ha la netta sensazione che Grech quando compone lo fa in modo non convenzionale, con la finalità di creare qualcosa di unico, ed è così che appare ognuna delle undici tracce di Hush Mortal Core: unica.

Maelstrom Spark ci prepara ad un album dalle atmosfere eteree, ambient e post rock, ma l'immediatamente successiva Aural Awol scopre la versatilità di Grech nel passare dai più delicati ambiti acustici al metal d'avanguardia oppressivo e potente. La sezione centrale dell'album che include il trittico Enigmas, Psychobabble e Into the Sun fa sfoggio di queste capacità su un percorso strutturale maggiormente conforme ai canoni da "forma canzone", ma non per questo rinuncia a strappi improvvisi e repentini passaggi dinamici. Il melodramma che avvolge l'ultima traccia The Death of All Logic è forse la cosa più vicina al progressive rock tout court (o meglio al post prog) di tutto l'album, che Hush Mortal Core arriva più volte a sfiorare nel suo percorso senza mai abbracciarlo veramente, anche perché è bello considerare il suo eclettismo slegato da ogni genere. Senza alcun dubbio un capolavoro dei nostri tempi incerti, che rimarrà tra le cose più belle e preziose di questo anno da dimenticare.


venerdì 10 aprile 2020

Once & Future Band - Deleted Scenes (2020)


I californiani Once & Future Band colpiscono ancora! Dopo i consensi ottenuti con il primo omonimo album, che gli ha permesso anche di fare da spalla ad alcuni concerti americani dei Tool (nonostante il loro genere musicale sia tutt'altro), ecco che dopo tre anni ci regalano un'altra delizia retrò al sapore pop prog jazz. Deleted Scenes è tutto quello che ci si poteva aspettare da una seconda prova e anche di più, dato che le sorprese non mancano. Benché infatti ai Once & Future Band non manchino certo le doti per scrivere perfetti sonetti di pop barocco nello stile di Beatles ed Elctric Light Orchestra, come i singoli Andromeda e Freaks, questa volta puntano molto anche sui pezzi strumentali, addirittura quattro, dove possono sfogare il proprio lato prog e jazz.

Da questo punto di vista le atmosfere si fanno sofisticate come nei migliori Steely Dan (Automatic Air), ma anche piene zeppe di melodie romantiche alla Todd Rundgren (la title-track). E per la precisione il Rundgren più progressivo della fase Utopia e Initiation, dato che l'album è una festa di synth e piano elettrico, sfiorando anche l'estro fusion canterburiano su Mr.G. Interessante anche come viene sviluppato un brano come Airplane, una ballata acustica che si tinge con artifici sonori spaziali e da camera per ammantarla di un'aura ultraterrena.

L'aggettivo cool salta più volte alla mente ascoltando Deleted Scenes, dato che la sua estetica ha il potere immaginativo di ricreare tutto un mondo passato. Gli arrangiamenti alle volte si fanno caleidoscopici, coinvolgendo orchestra e armonie vocali e pare di tornare indietro, con la mente e le orecchie, ai tempi delle colonne sonore anni '70 o alla lounge soft disco sempre di quel periodo, elementi che emergono in superficie più o meno in ogni brano, ma che vengono tutti involtati in un unico involucro nella finale The End and the Beginning. Non c'è che dire, con Deleted Scenes i Once & Future Band firmano una deliziosa seconda opera, rivestita da scintillante futurismo del passato.

venerdì 3 aprile 2020

Elder - Omens (2020)


Ai tempi del celebrato Lore (2015) forse si pensava che gli Elder avessero raggiunto la maturità con quell'opera, ma gli eventi hanno trasportato il gruppo ad uno sviluppo superiore. Il primo e più importante tassello di questa nuova primavera artistica è stato il capolavoro Reflections Of A Floating World (2017), dove gli Elder da trio si erano espansi a quintetto. Poi, dopo l'annuncio dell'addio del batterista Matt Couto sostituito da George Edert, il chitarrista Michael Risberg è stato promosso membro effettivo, stabilizzando la band come quartetto. A quel punto viene annunciato l'album The Silver & Gold Sessions (2019), non proprio un'anomalia all'interno della discografia del gruppo, ma comunque un affresco psichedelico fuori dagli schemi. Completamente strumentale, il disco riporta tre lunghe improvvisazioni o quasi, colme fino all'orlo di suggestioni lisergiche psych e krautrock. Nel frattempo però gli Elder non avevano smesso di lavorare al seguito di Reflections Of A Floating World.

La parola epico è un termine che non è fuori luogo pensando a come sono strutturati i brani degli Elder, che mai temporalmente scendono sotto gli otto minuti. Inutile celebrare l’impagabile lavoro chitarristico di Nick DiSalvo, fonte inesauribile di riff e groove elettrici che si susseguono uno dopo l’altro con una fluidità senza eguali. Omens non fa altro che consolidare questi aspetti già presenti sul lavoro precedente, ancora una volta immerso in un crocevia tra stoner rock e progressive rock, lasciandosi alle spalle l'alone più doom e heavy metal degli esordi. Ecco allora che la maturità può dirsi ampiamente compiuta. Come riportato nelle note che accompagnano l'uscita dell'album "Omens è scritto come un concept album che ripercorre l'intero sviluppo di una civiltà – ma è naturale leggerlo come un commento alla nostra società odierna, votata esclusivamente al profitto a danno delle nostre stesse vite e dell'ambiente in cui le viviamo."

L'impianto tastieristico è una novità relativamente recente nell'estetica elderiana, ma si sono adattati con molta naturalità ai possibili percorsi inediti che può offrire. La pertinenza con la quale gli Elder inseriscono nel loro jam rock strumenti come Fender Rhodes e Mellotron, di cui si fa carico l'ospite Fabio Cuomo (compositore solista e inoltre nei Liquido Di Morte, LOG, Eremite, Cambrian e autore di diverse colonne sonore) non trova corrispondenze neanche nei più fedeli artigiani prog, per definire con incisività ogni sfumatura dinamica che costella l'andamento delle cinque tracce.

Ad esempio, se in passato era solo la chitarra di DiSalvo a dominare anche nei momenti solisti, portando la visceralità electro-fuzz ai massimi livelli, ora si lavora in una prospettiva quasi orchestrale con passaggi armonici che amplificano la profondità dello spettro sonoro. La parte centrale della title-track è quasi pittorica in questo senso, mentre In Procession ne viene proprio imbevuta e risucchiata con le tante spore di piano elettrico che costellano il brano. Il trip causa un effetto altamente psych rock vicino ai viaggi ultraterreni dei Pink Floyd abbinati alla massiccia rocciosità dei Motorpsycho. Due punti dinamici opposti che si bilanciano a vicenda. Persino l'approccio di DiSalvo si arricchisce con l'uso più presente ed incisivo di arpeggi, anziché gli onnipresenti riff, che comunque sostengono una propulsione invariata, anche grazie al drumming di Edert, messo a frutto nella stellare Embers.

Su One Light Retreating affiora in modo evidente il contrasto tra la chitarra arpeggiata DiSalvo e il ritmo sostenuto a forza di riff da Risberg. Nella parte strumentale invece il gioco delle parti coinvolge un interplay infuocato tra synth e chitarre, che si arricchisce anche per lo stupore di ascoltare per la prima volta una acustica in un album degli Elder. Halcyon sembra un regalo rimasto fuori da The Silver & Gold Sessions con i suoi droni di sintetizzatori nella lunga introduzione, la quale apre un ulteriore varco direzionato al krautrock che finora era rimasto confinato nelle retrovie. Il brano poi prende forma con uno stoner rock cadenzato in cui tutto l'arsenale tastieristico sfoggia il proprio potenziale ornante. Che dire di più, Omens è un altro capolavoro targato Elder che, a piccoli passi, trova sempre deviazioni interessanti in una formula che li avrebbe potuti ingabbiare.

mercoledì 1 aprile 2020

Altprogcore April discoveries


Dopo aver prodotto due EP il quartetto di Portland Glacier Veins fa il suo ingresso alla Equal Vision Records e debutta con l'album The World You Want to See. Il gruppo che si definisce "dream punk", è partito come un progetto solista della cantante Malia Endres alla quale in seguito si sono aggiunti amici musicisti. Il mix di pop, emo e alternative rock è molto accattivante e sembra portarci indietro di qualche anno ai tempi dei migliori Paramore, ma aggiornati al 2020.



Tajanae è una nuova band formata dal batterista Ben Rosett (Strawberry Girls, Eternity Forever), il chitarrista Tayor Neal (TANG), la cantante Haley Nicole Woodward (Mookatite) e il tastierista Ryan Camastral. L'EP Half Moon è un mix di math fusion con influssi pop smooth che piacerà a chi apprezza il percorso seguito dagli Strawberry Girls.



Un trio formato nel 2015 e che ha collezionato i propri esperimenti artigianali poi finiti nell'album Great Album (2018), una specie di compilation eterogenea che comprende un po' di tutto: dall'art pop all'hip hop. Guidati dalla cantante Jill Ryan, i Great Time hanno dato prova di creatività dal vivo, rielaborando alcuni brani di Great Album, soprattutto nell'ottima performance Audiotree, dopo il quale hanno pubblicato due nuovi singoli.




Una scoperta per modo di dire perché questo EP è in realtà il frutto di una collaborazione tra i già conosciuti The Kraken Quartet e il chitarrista Nay Wilkins degli Hikes, attivo anche come solista con il progetto Adobo. E Backdrop non fa altro che unire le forze dei cinque con l'indie math rock di Wilkins e il prog jazz del quartetto Kraken in maniera molto aggraziata.



Zopp è l'album d'esordio dell'omonimo duo di Nottingham formato dal polistrumentista Ryan Stevenson e dal batterista Andrea Moneta. Il disco è un'istantanea di prog tastieristico molto debitore delle ultime tendenze scandinave prog e del jazz rock proveniente dalla scuola di Canterbury. A fare da ospiti d'eccezione troviamo Andy Tillison dei The Tangent e il fiatista Theo Travis.



Con gli Higher Power pare di essere tornati indietro alla scena post hardcore di Long Island di venti anni fa. Solo che gli Higher Power provengono da Leeds, ma il loro sound non potrebbe essere più americano, ricordando un mix tra Glassjaw, Jane's Addiction e Cave In con un'attitudine grunge e pop punk. 27 Miles Underwater è il loro secondo album, pubblicato a gennaio riscuotendo consensi un po' ovunque.



Magari non siamo al livello degli Elder, ma lo stoner rock del trio Howling Giant è sicuramente gradevole. The Space Between Worlds, album che arriva dopo tre EP, è un concentarto di heavy rock e riff stoner che però non è declinato nella solita patina doom, ma sostenuto da un discreto livello di melodia e armonie vocali.