domenica 26 ottobre 2014

Rishloo - Living As Ghosts With Buildings As Teeth (2014)


A cinque anni di distanza da Feathergun stanno per tornare i Rishloo che si sono uniti di nuovo e, grazie al generoso contributo di alcuni fans, sono riusciti a registrare il loro quarto album in studio dal titolo Living As Ghosts With Buildings As Teeth e di imminente pubblicazione. Per ora l'album è solo pre-ordinabile tramite il loro sito ufficiale ed è stato rilasciato il brano inedito Landmines, che non mi sembra affatto male. I Rishloo li potremmo incastrare stilisticamente in un limbo minore che si trova tra i Tool e i Dredg. I Rishloo però sono sempre stati un gruppo piuttosto sfortunato in quanto a popolarità perché non sono mai riusciti a superare le barriere per diventare almeno un gruppo di culto, rimanendo in una nicchia di pochi adepti. Confesso che anche a me non hanno mai fatto impazzire, ma non escludo un buon risultato per questo nuovo lavoro se mantiene gli standard di Landmines.



www.rishloo.com

venerdì 24 ottobre 2014

FULL CODE - Telescapes (2014)


La prima cosa che colpisce di Telscapes, che è l'album di esordio dei Full Code, è come riescano a sposare una sorta di metal sperimentale con influenze pesantemente mutuate dall'elettronica. Il quartetto australiano (di Melbourne) si presenta con una line-up con strumentazione dai connotati rock, ma non disdegnano l'aiuto di sintetizzatori e altre diavolerie associate (si ascolti come esempio (b)TtM²).

Quello che ne esce fuori è un moderno art rock che potrà sicuramente essere apprezzato da chi predilige l'ultima ondata di post progressive psichedelico, trovandovi molte influenze tra le band di spicco del genere. Ad esempio, le trame elettro-acustiche di Obsidian condurrebbero a tracce degli Anathema più tenebrosi. L'atmosfera di Telescapes è per lo più caratterizzata da cupi droni elettronici, chitarre nebulose e un tono generale dark che a tratti può essere associato alla stessa estetica elegiaca dei Riverside, come su Archaeopteryx. I Full Code trovano la propria forza nell'espressivo drumming di Gene Carroll e in un cantante molto versatile nella persona di Steve Berry, che può ricordare Maynard Keenan, portando qualche pezzo, tipo AquautomatonLion, a ovvi riferimenti con Tool e, soprattutto, A Perfect Circle. 

Per quanto possano assomigliare ad altre band, però, i Full Code hanno il pregio di scegliere i giusti equilibri e aggiungerci una notevole mole di suoni sintetico-cosmici, creando quasi dei tappeti di space ambient. I brani sono molto dilatati, e, come accade per Multiverse, essi non puntano all'esagerazione di cambi tematici, ma all'instaurazione di atmosfere predisposte per trip psichedelici. Considerando le tante sfumature a cui è stato sottoposto il prog metal, non so se i Full Code potrebbero essere considerati come una delle sua tante diramazioni. Ma probabilmente, se come prova voleste sostituire le chitarre con i sintetizzatori, il risultato sarebbe questo.



www.fullcodemusic.com

martedì 21 ottobre 2014

Gates - Bloom & Breathe (2014)


Oggi è in uscita il nuovo album dei Gates, il terzo della loro carriera, che rappresenta sicuramente un passo avanti e una maturazione rispetto all'altrettanto buono You Are All You Have Left to Fear. Il loro stile di post rock fatto di crescendo maestosi e una certa melodrammaticità post hardcore mi ricorda la stessa passionalità dei Moving Mountains. Ma i Gates spingono ancora di più il contrasto verso eteree melodie e roboanti impetuosità. Comunque Bloom & Breathe regala momenti di completa estasi, anche se non per tutta la sua durata, che magari per alcuni potrà essere difficile da digerire in tutta la sua reiterata veemenza solenne, ma è sicuramente un ascolto da provare.


domenica 19 ottobre 2014

STEPFRIENDS - All We've Got (2014)


Ascoltando in anteprima solo pochi brani degli Stepfriends credevo di aver capito la loro direzione stilistica. Invece ho scoperto che nel disco di esordio All We've Got c'è molto di più. L'album è un eterogeneo assortimento di piccoli gioielli pop emocore che si rispecchiano in questo genere sotto vari aspetti, brevi canzoni che compilano un lavoro altrettanto conciso dalla durata di poco più di mezz'ora, ma sufficiente per sviscerare tutto ciò che il gruppo ha da dire.

Gli Stepfriends nascono dall'impulso dei due amici Johnny Lucas e Greg McClure che iniziano a scrivere insieme alcune canzoni e poi decidono di registrarle con l'aiuto e la supervisione di Steve Sopchak, proprietario degli Square Sudios di Syracuse. Nasce così All We've Got, una cornucopia di melodie sognanti e malinconiche, vibranti polifonie vocali ben calibrate e un songwriting che evoca la miglior tradizione del rock altrenativo americano. Quiet Place e Collide Collapse si stagliano, ad esempio, come assoluti capolavori di questa arte che coniuga la vitalità del grunge anni '90 e un pizzico di progressive rock nelle loro soluzioni armoniche. In questo, se aggiungiamo il canto di Lucas, gli Stepfriends possono ricordare dei Circa Survive più introspettivi e romantici, ritrovando affinità con il gruppo di Anthony Green anche nelle acute atmosfere psichedeliche di Renovation.

Gli Stepfriends intarsiano arpeggi incrociati e deliziose armonie chitarristiche elettroacustiche su Scared to Death e poi puntano dritti al cuore delle strade del "midwest emo" - recentemente tornato alla ribalta nella splendida forma di Sleep In. e Into It.Over It. - con Strangers, Friends, and Pictures e Leaves. Ma All We've Got pulsa anche di immediatezza indie rock nella semplicità di I Know You, dove ritroviamo quello sbrigativo e innato senso per il pop vintage di Jenny Toomey, poi ci sono lo swing di The Open Road, l'electro-lounge di Snow Day: in breve un album vario, ma unitario nel rendere l'idea di come si è trasformato il moderno emo americano.

All We've Got sarà disponibile in versione digitale a partire dal 21 ottobre, mentre un'edizione limitata in vinile si può pre-ordinare sul sito della intheclouds Records e sarà spedita all'inizio di dicembre.


lunedì 13 ottobre 2014

iamthemorining - Belighted (2014)

 
Con molta pazienza il duo di formato dal pianista Gleb Kolyadin e dalla cantante Marjana Semkina è riuscito a crearsi un’ottima reputazione grazie alla qualità della loro proposta. Partiti dalle distanti latitudini di San Pietroburgo, attraverso un primo album scaricabile gratuitamente da Bandcamp, dal 2012 ad oggi si sono fatti strada, conquistandosi il patrocinio di Daniel Cavanagh degli Anathema e un contratto con la lanciatissima Kscope. Belighted nasce comunque anche grazie all’aiuto di una campagna Kickstarter, strumento sempre più in voga tra le band indipendenti, che ne ha finanziato la produzione. Gli iamthemorning continuano il loro cammino nell’estetica sofisticata del rock da camera con inflessioni neoclassiche, ma qui l’atmosfera si fa più eterogenea, dividendo idealmente l’album in due sezioni ben distinte.

Dopo una prima parte orientata verso un pop rock sinfonico che strizza l’occhio ai Porcupine Tree più idilliaci (The Howler, The Simple Story e To Human Misery), si arriva ad una seconda parte più interessante, come se il duo avesse voluto mettersi alla prova. L’innesto di strumenti come arpa e violini dona un tocco onirico, avvicinandoli al folk d’avanguardia di Joanna Newsom, come accade nelle bellissime e tortuose melodie di Crowded Corridors, in cui vengono ampiamente esplorate tutte le potenzialità progressive del duo. L’impianto sonoro fa sempre leva sull’incantevole voce della Semkina e sul piano fluido e molto armonico di Kolyadin, sfruttandone i requisiti folk e classici. Il recupero di certi abbinamenti tra strumentazione da camera e popular music può far ripensare agli indimenticati Clannad (Gerda), ma anche alle ballate pianistiche di Tori Amos (5/4).

Ci sono poi momenti che risaltano l’alchimia acustica tra la Semkina e Kolydin in pezzi più intimisti come Reprise Of Light/No Light e Os Lunatum, ma generalmente Belighted sembra il prodotto di una band al completo. È indubbio che in questa seconda opera gli iamthemorning abbiano compiuto un notevole atto di maturazione, sia per quanto riguarda la produzione che per gli arrangiamenti, più riccamente ornati, fino a permettersi il contributo alla batteria di Gavin Harrison.



http://iamthemorning.com/

PERFECT BEINGS - perfect_beings (2014)

 
Una volta si diceva che il progressive rock era una musica per pochi eletti. Ad ascoltare molti degli album che escono ultimamente tale affermazione potrebbe essere smentita dato che essi concedono molto spazio all’orecchiabilità e alla purezza delle melodie. Il debutto dei Perfect Beings è uno di questi, avendo le carte in regola per conquistare anche i non esperti in materia. Se da una parte le sonorità scelte per gli strumenti si rifanno chiaramente al prog sinfonico di Yes e Genesis, allo stesso tempo, dall’altro lato, i Perfect Beings propongono delle canzoni che strizzano l’occhio al pop rock, ai Beatles e alla ricchezza armonica dei Flower Kings, caratteristiche ben sintetizzate nel brano migliore del lotto Walkabout. Il chitarrista dei Moth Vellum Johannes Luley è il creatore di questo progetto e ha raccolto attorno a sé esperti musicisti. Luley si ritaglia delle parti chitarristiche timbricamente simili a quelle di Steve Howe, arricchendo i brani con gli stessi ricami barocchi, così come il basso di Chris Tristram ricorda il tipico muggito di Chris Squire.

perfect_beings è un concept album ispirato al romanzo di fantascienza TJ and Tosc di Suhail Rafidi e la musica trasporta bene l’atmosfera di un’ipotetica epopea spaziale. Molto funzionale, a tal proposito, il richiamo al sound delle vastità impalpabili degli Yes sfruttato alla maniera dei Glass Hammer: chitarra slide e accordi di tastiere altisonanti. Ma i Perfect Being cercano di essere ancora più accessibili grazie a contaminazione da art pop che sfociano nella Electric Light Orchestra (Fictions), XTC (Removal of the Identity Chip) e Supertramp (Program Kid), aprendo sin dall’inizio con due tracce di immediata presa come The Canyon Hill e Helicopter. Il pregio dei Perfect Beings è quello di non cadere sotto il peso di tali derivazioni, ma le elaborano per usarle a proprio vantaggio senza correre il rischio di risultare prosaici.   



www.perfectbeingsband.com

SPOKE OF SHADOWS - Spoke of Shadows (2014)


Spoke of Shadows nasce dall’esigenza di Mark Cook, membro degli Herd of Instinct, di creare una musica con più dinamiche e maggiormente basata sull’utilizzo di strumenti come la Warr guitar e il basso fretless. Con l’aiuto del batterista Bill Bachman (già con Neal Morse) Cook ha completato il primo album di questo suo progetto collaterale licenziato dall’etichetta Firepool Records di proprietà dei Djam Karet (dei quali compare Gayle Ellett ospite in un brano). Spoke of Shadows è composto da dodici tracce strumentali d’alta classe le quali, anche se in un primo momento possono far inevitabilmente pensare ai King Crimson, viaggiano abbastanza su vari livelli e sfumature da poter affermare una propria autonomia stilistica.

In quello che si potrebbe definire connubio tra fusion e progressive rock, Cook sa ben destreggiarsi tra riff frippiani, bassi che aggiungono densità e sostanza con la loro presenza e trame intense di Warr guitar. Inoltre, poiché ultimamente in progetti simili c’è la tendenza ad abusare nell’utilizzo di percussioni programmate, è bello trovare la batteria competente e umana di Bachman che dona dinamica e fluidità ai brani. La differenza del tocco umano si può chiaramente percepire nella tiratissima Harbinger e nella multiforme Pain Map. Come progetto, a conti fatti,  Spoke of Shadows sembra molto più solido e organico rispetto agli Herd of Instinct, permettendosi di spaziare con competenza nel metal (Dichotomy), nel jazz (One Day), oltre che nei King Crimson degli anni ’80 (Dominion, Drama of Display).

TRACKLIST:
1. Dominion
2. Images
3. One Day
4. Harbinger
5. Lost One
6. Pain Map
7. Persona
8. Splendid Sisters
9. Tilting at Windmills
10. Accord
11. Dichotomy
12. Drama of Display

http://spokeofshadows.wix.com/spokeofshadows


martedì 7 ottobre 2014

Flights - History Be Kind (2014)

 
I Flights sono un quartetto di Bristol, che dopo un EP del 2011, debutta con questo History Be Kind che, devo dire, mi ha subito conquistato per le sue somiglianze neanche tanto lontane con gli Oceansize. Inoltre i Flights non sfigurerebbero accanto al team dei gruppi post progressive dell'etichetta Kscope in quanto i sottesi droni elettronici e le strutture ripetitive riportano alla memoria il minimalismo dei North Atlantic Oscillation. Incredibilmente spaccati tra muri di suono elettrico dal retaggio post rock e tonnellate di melodie solenni che ritornano indietro al sottovalutato capolavoro oceansizeiano Everyone Into Position, i Flights si inseriscono tra le migliori proposte emergenti del 2014.



www.flightsband.co.uk

lunedì 6 ottobre 2014

Grandi novità dagli archivi di Kevin Gilbert


La Kevin Gilbert Estate, il management che amministra il materiale postumo del grande musicista, è sempre stata piuttosto avida nel gestire le numerose perle che ancora giacciono negli archivi di Gilbert. Dal 2009 qualcosa si è mosso con la pubblicazione delle raccolte Nuts e Bolts e il live al Roxy dei Toy Matinee. Ora è arrivato il momento di un'altra serie di uscite elettrizzanti (tre in tutto) che vedranno la luce in contemporanea verso la metà di novembre. Gran parte di queste pubblicazioni comprende materiale conosciuto tra i fans e che è trapelato negli anni sotto forma di bootlegs, ma questa volta la KG Estate ha deciso finalmente di riconoscerne l'ufficialità e dargli una veste audio ottimale.

1. THUD 20th ANNIVERSARY DELUXE EDITION

Edizione espansa e rimasterizzata del classico album da solista del 1995 con tre inediti e 18 demo e versioni alternative





2. Toy Matinee acoustic

Acoustic rehearsal recorded in 1990 with Kevin Gilbert, Marc Bonilla, and Spencer Campbell
- Suite: Judy Blue Eyes
- The Ballad Of Jenny Ledge
- Last Plane Out
- Rocket Man
- Things She Said
- If I Fell
**includes between song banter

Acoustic Christmas Track performed by Kevin Gilbert & Marc Bonilla in 1990
- O Come, O Come, Emmanuel

Bonus: Full-band live tracks recorded in Ventura, Ca. in 1991, with Kevin Gilbert, Marc Bonilla, Spencer Campbell, Sheryl Crow, and Toss Panos
- Remember My Name
- There Was A Little Boy
- Turn It On Salvador



3. Kevin Gilbert's GIRAFFE - A 20th Anniversary Performance Of “The Lamb Lies Down On
Broadway

Recorded live at Valley Arts Center, Los Angeles • November 8, 1994.

Audio recorded and mixed by Kevin Gilbert.

The Band was:
Kevin Gilbert: Vocals, Organ, 12 String on “The Musical Box”
David Kerzner: Hammond Organ, RMI Electric Piano,
Novatron, Yamaha CP-70B, ARP Pro-soloist
Stan Cotey: Bass, Bass Pedals, 12 String Electrics
Dan Hancock: Guitars
Nick D’Virgilio: Drums, Backing Vocals

- The Lamb Lies Down On Broadway
- Fly On A Windshield
- Broadway Melody Of 1974
- In The Cage
- The Grand Parade Of Lifeless Packaging
- Back In N.Y.C.
- The Carpet Crawlers
- Lilywhite Lilith
- The Lamia
- The Colony Of Slippermen
- In The Rapids
- It/Watcher Of The Skies
- The Musical Box



http://www.facebook.com/kevingilbertofficial

sabato 4 ottobre 2014

Biffy Clyro - i 10 anni di "Infinity Land"


In un’epoca in cui la pausa tra un album e l’altro si è allungata a dismisura, i Biffy Clyro in poco più di un anno diedero alle stampe due colpi da maestro come The Vertigo of Bliss e Infinity Land. Ormai parliamo di dieci anni fa, dato che Infinity Land uscì il quattro ottobre 2004. Il trio scozzese stava passando la sua fase creativa più fulgida e, dopo essersi rifugiati in Galles ai Monnow Valley Studios insieme al produttore Chris Sheldon, riuscirono a bissare lo stato di grazia compositivo sperimentato con The Vertigo of Bliss. Il titolo dell’album aveva un’origine alquanto inquietante, essendo ispirato da un libro del serial killer Jeffrey Dahmer come spiegò Simon Neil in un’intervista: “In un suo libro lui parlava del suo posto ideale chiamato “Infinity Land” – la sua idea del paradiso – il che è davvero truce se pensi che era circondato da cadaveri e merda. Tu non sapresti dire di cosa si tratta, suonerebbe quasi come una speranza, ma quando sai a cosa si riferisce è alquanto sinistro. In un certo senso sarebbe un bene che la gente non sapesse a cosa ci riferiamo, così si possono creare il loro significato…potrebbe essere abbastanza ottimista, ma non lo è.”

Il materiale presentato su Infinity Land era senza dubbio più massiccio e oscuro rispetto a quello proposto su The Vertigo of Bliss, ma il livello di sperimentazione rimaneva ineguagliato. I due album erano quasi complementari, parlare di uno significherebbe parlare inevitabilmente anche dell’altro, i cui contenuti furono scritti probabilmente nello stesso periodo e influenzati dai medesimi ascolti di quel particolare momento (tipo The Dismemberment Plan e Sunny Day Real Estate). I Biffy Clyro lasciarono comunque un’impronta peculiare con i loro primi album. Il modo in cui si relazionavano con il post hardcore era del tutto differente da quello dei gruppi che li avevano ispirati. Non si limitava a porre l’accento sui contrasti tra momenti quieti e riff detonanti, ma era barocco e caleidoscopico, spesso imprevedibile. Il sound non era scarno e essenziale, ma si innalzava come un uragano metal composto da molteplici strati. Con una line-up da power trio i Biffy Clyro riuscivano a sostenere un’onda sonora deflagrante, al pari dei Grand Funk Railroad. L’overdrive della chitarra elettrica di Simon Neil era costantemente in saturazione e da sola era sufficiente a coprire la parte ritmica e solista. Il basso e la batteria, affidati ai gemelli Johnston, sostenevano al meglio i momenti in cui la chitarra taceva.

Infinity Land partiva con un minuto di smarrimento: la carica a salve di una electro-dance bolsa e chiassosa apriva a sorpresa il singolo Glitter and Trauma che si caricava di veri proiettili con l’entrata del riff sbilenco e dissonante che accompagnava le strofe, per poi dare spazio a cascate di piombo fuso quando la chitarra entrava in distorsione. Glitter and Trauma tratteggiava già i Biffy Clyro del futuro, quelli dei grandi chorus da arena rock, quelli degli “start and stop”, quelli che strizzavano l’occhio al mainstream. Tra le sponde di Got Wrong, The Kids from Kibble and the Fist of Light e Some Kind of Wizard scorrevano ettolitri di fiumi elettrici, sommerse sotto i quali nuotavano melodie a dir poco contagiose.

Con Strung to Your Ribcage, Wave Upon Wave Upon Wave, My Recovery Injection e, ancora, ballate rock come Only One Word Comes to Mind che si concludevano in modo devastante, i Biffy Clyro sapevano sottolineare i contrasti in maniera efficace, estrema, radicale: Neil esasperava il caratteristico urlo da post hardcore strillando come un gallinaccio, subito dopo poteva seguire una parte intensamente orecchiabile, oppure tutti e tre applicavano tempi dispari a scandire un rock trascinante e coinvolgente. Il più delle volte si trovava tutto impacchettato anche in una sola canzone. Cambi di tonalità e progressioni di accordi inusuali erano utilizzati come una cosa naturale. Nel suo procedere l’album si faceva sempre più complesso fino all’apoteosi di There's No Such Thing as a Jaggy Snake, uno dei tour de force meglio riusciti dei Biffy Clyro. Il pezzo poteva essere considerato il massimo esempio di come il gruppo cambiava tema allo stesso modo di come si ruotano i lati di un cubo di Rubik. Il loro girovagare e saltare tra un cambio e l’altro era come la ricerca del perfetto allineamento che scaturiva nel climax finale quando Neil intonava You're facing a pointless task / and it's the same thing / I will face the task.

I titoli, molto criptici, non avevano significati particolari, ma erano tratti e ispirati dai discorsi personali tra i membri del gruppo. Anche i testi seguivano la linea cupa dell’album, seppur molto liberi ad adattarsi a interpretazioni personali, riflettevano sul lato oscuro della natura umana. Come al solito, tra la stampa, ci fu chi li paragonò ai Nirvana e Neil commentò: “E’ buffo perché eravamo pazzi dei Nirvana quando vennero fuori. Ma non vediamo più collegamenti tra noi e loro. È solo questa influenza subconscia che permea quello che facciamo. Voglio dire, penso che siamo meglio dei Nirvana e che facciamo cose più interessanti di quelle che hanno fatto loro. Comunque i Nirvana sono fottutamente incredibili. I Nirvana e i Pixies hanno popolarizzato la cosa del quiet/loud e oggi non senti una band che non faccia uso di queste dinamiche. Ma non penso che il nostro sound sia molto simile al loro.”

Lo strano e simbolico artwork di Chris Fleming fu realizzato dall’artista in base ai titoli e ai testi delle canzoni che il gruppo gli aveva anticipatamente passato. L’immagine che alla fine finì sulla copertina del CD fu scelta dalla band dopo aver vagliato alcune idee, chiedendo anche spiegazioni sul reale significato allo stesso Fleming che però non lo volle mai rivelare. Infinty Land è stato l’album che chiuse la fase più ispirata e pirotecnica dei Biffy Clyro, sempre se si è disposti ad accettare una dose di sperimentazione nel rock alternativo. Se, al contrario non volete sorprese, i tre album pubblicati dopo questo potranno fare al caso vostro.

Se è vero che qualcuno li ha accusati di essersi venduti allo show business, dall’altro lato si può affermare che i Biffy Clyro è una di quelle poche band che si è meritata il successo conseguito lavorando sodo e si deve ammettere realisticamente che non avrebbero avuto lo stesso impatto una volta proseguiti gli standard prog hardcore di Infinity Land.

giovedì 2 ottobre 2014

Father Figure - Heavy Meddlers (2014)


Se volete essere trasportatati in un'altra dimensione, dove la musica è suonata da gente che la sa suonare, dove il math rock e la fusion non generano preconcetti di tortuosità strumentale a tutti i costi, ma entusiasmano fin dal primo ascolto, allora il nuovissimo album dei Father Figure farà per voi. Heavy Meddlers è il secondo lavoro del quintetto di New York e presenta un progressive rock strumentale che si evolve attraverso trucchi sonici di groove chitarristici e assoli di violino, comprendendo la complessità di molteplici temi che si accavallano sempre portati alla luce con un'euforia melodica non comune in gruppi del genere.

Le incursioni nel jazz, nel funk e nella psichedelia fanno pensare a una versione 2.0 dei Djam Karet che incontrano Phish e King Crimson. Pezzi come March of the Rare BirdsSchizophrenzy e Bolt from the Blue per la loro concitazione sembrano più dei tour de force incontenibili che normali e fredde esposizioni della bravura del gruppo. Undercover Magister invece somiglia ad un gustoso tributo al jazz canterburiano, trasformandosi a metà in uno space ambient con spezie floydiane. Ma sono solo alcune delle tante sfaccettature della musica dei Father Figure che potete scoprire voi stessi ascoltando l'album qui di seguito.



www.facebook.com/fatherfiguremusic