Ricordarsi degli Adjy è forse un'ardua impresa. Già all'epoca del loro primo EP Prelude (.3333) risalente al 2016 si sapeva ben poco di questa band e con il passare del tempo le cose non sono migliorate, complice il fatto che la presenza sul web degli Adjy è stata costantemente defilata ed in più il gruppo si è preso una lunga pausa prima di tornare sulle scene con nuovo materiale. Il silenzio si era interrotto un paio di anni fa con i due singoli A Boy Called June (I e II) e In Medias Res, annunciando al tempo stesso, con la laconicità che gli è propria, la loro appartenenza a qualcosa di più grande. Il fatto che ora se ne escano con un'opera monumentale come The Idyll Opus (I–VI) mi ha obbligato ad una doverosa indagine su di loro per presentare l'album come si merita.
Il leader della band Christoper Noyes a suo tempo dichiarò di essere affascinato dal tipo di artista che si nasconde dietro la sua opera d'arte, lasciando piccole tracce o indizi da far scoprire al fruitore. E così ha fatto egli stesso. Gli Adjy rappresentano la sua personale emanazione di progetto artistico, musicale, visivo e poetico. Appassionato di scrittura, linguaggio, grafia (tanto che al college, in pieno stile Tolkien, aveva tentato persino di inventare una lingua fittizia per una sua storia) e influenzato dal saggio Della grammatologia del filosofo Jacques Derrida, Noyes ha riversato questi interessi fin dalle sue prime opere precedenti alla nascita degli Adjy.
Attivo inizialmente con i Solia Tera, che hanno prodotto i due EP A Flammarion Woodcut (2009) e Diamonds, Dirt, Iron Pyrite, And A Pearl of Great Prize (2010), Noyes ha proseguito la propria carriera come solista con altri due EP Grapheme (2011) e 3 (2012) per poi formare gli Adjy. Il gruppo è praticamente l'evoluzione della visione musicale che Noyes aveva portato avanti prima con i Solia Tera ed in seguito da solista, consolidando al meglio la sua fascinazione per un indie rock da camera che unisce folk, emo e experimental pop con un particolare interesse per le possibilità offerte dagli strumenti a percussione, anche non convenzionali (macchine da scrivere, forbici, utensili da lavoro). In un primo momento gli Adjy si presentano come sestetto operando in modo indipendente con l'EP a edizione limitata Grammatology (2014), per poi entrare stabilmente nella scuderia dell'etichetta Triple Crown Records con l'EP Prelude (.3333).
La formazione odierna consta di cinque elementi alle prese con una varietà di strumenti che vale la pena menzionare: Christoper Noyes (voce, piano, chitarra, banjo, vibrafono, trombone, percussioni, melodica, field recordings), Austin Smith (batteria, bodhran, percussioni, dulcimer), Kaeli Riccardi (voce, piano, percussioni, vibrafono), Griffin Smith (voce, chitarra, bouzouki, percussioni), George Rutsyamuka (basso, voce), ai quali vanno aggiunti una sezione di archi e fiati i cui interventi fondamentali si addizionano all'insieme come una piccola orchestra.
Partendo dalle premesse di A Boy Called June possiamo comprendere il concept che sta dietro a The Idyll Opus (I-VI) che stavolta mette da parte (ma solo velatamente) argomenti astratti come letteratura e filosofia per concentrarsi su un racconto mitico, metafora di sentimenti universali dove il tema portante dell'estate gioca un ruolo centrale. Noyes, consapevole della scelta di mantenere un profilo bassissimo per la band, è riemerso dal silenzio due anni fa e introdusse l'argomento paragonando la parabola degli Adjy alla vita delle cicale: “Le cicale lavorano sottoterra in segreto, a volte fino a 17 anni, aspettando il momento giusto per emergere e cantare la loro famigerata canzone dell'estate.
Allo stesso modo gli Adjy stanno emergendo di nuovo, inaugurando un capitolo dentro qualcosa di molto, molto più grande." A due anni di distanza scopriamo che quel qualcosa non è altro che The Idyll Opus (I-VI) e, a giudicare dalla cover e dal titolo, ci sono in attesa altri sei capitoli da raccontare, che proseguiranno in un'opera futura.
Quando Noyes annunciava A Boy Called June come un frammento di un progetto su più larga scala, era difficile prevedere che il soggetto sarebbe stato un album doppio di quasi 98 minuti. In primo luogo il tema centrale di The Idyll Opus è la celebrazione dell'estate e le sensazioni ad essa legate, dell'ultimo giorno di scuola nel quale assapori la libertà che sta per arrivare e "il fuoco irrequieto della giovinezza", ma tutto raccontato attraverso la lente del mito classico. Anche la scelta di pubblicarlo il 30 giugno non è stata casuale: quel momento "dove giugno incontra luglio" che poi è il titolo della suite centrale composta da nove parti o capitoli, come sarebbe giusto interpretarli, dato che per Noyes letteratura e arte vanno di pari passo.
L'assoluto silenzio del gruppo, sia sui social che sui media, è stato causato anche dall'imprevista separazione avvenuta dopo il tour di supporto a Prelude (.3333). Noyes si è quindi rifugiato in una piccola cittadina situata nella regione dei monti Appalachi ed ha iniziato a scrivere in completa solitudine i brani per The Idyll Opus. Nei mesi estivi tra il 2016 e il 2019 il gruppo tornava a collaborare al progetto a fasi alterne per poi lasciarlo di nuovo nelle mani di Noyes. I luoghi rurali e legati a tradizioni antiche hanno giocato sicuramente una parte nell'ispirazione musicale e si respirano quelle atmosfere bucoliche che trasportano nei grandi spazi aperti dei parchi naturali americani dove in genere si consumano i campi estivi degli adolescenti.
Ed è proprio in questi scenari che si svolge la storia, piena di significati nascosti e metafore, citazioni colte e un linguaggio lirico forbito, nel quale Noyes riversa tutta la sua competenza di paroliere. Il racconto è quello di June (lui irrequieto musicista in viaggio con la band) e July (lei scrittrice molto composta) e del loro incontro ad un festival estivo che li porterà a conoscersi profondamente ed insieme passeranno la stagione estiva tra connessioni, argomentazioni, scelte e amori con l'ombra della salute precaria di July ad incombere e che porterà June a seguirla nella città in cui vive. O, più sinteticamente, come scrivono gli stessi
Adjy: "La mitica rivisitazione della tua storia d'amore al campo estivo, solo che il coro greco è la banda della scuola." In tutto questo infatti la narrazione è filtrata dagli occhi di un alchimista che vuole servirsi della storia di June e July per resuscitare dalla morte il proprio fratello gemello. Un espediente strano come aggiunta alla storia, ma forse Noyes approfondirà il ruolo dell'alchimista e il suo legame con June e July nell'album successivo.
The Idyll Opus (I-VI) rimane un album ambizioso e complesso, naturalmente non solo dal punto di vista lirico, ma anche musicale. Un disco che si struttura attraverso brani lunghi che si prendono tutto il tempo necessario per svilupparsi nell'epica della narrazione, dei capolavori di arrangiamento grazie alla ricchezza strumentale che si insinua in ogni dettaglio. Per assaporare in pieno il dispiegamento di mezzi è bene fare attenzione ad ogni piccola variazione e cambiamento nei quali si dipanano le canzoni. Gli Adjy non scrivono in modo convenzionale sul modello strofa/ritornello, ma ogni brano è compiuto solo se lo si ascolta fino in fondo, dato che è solamente alla fine che si può comprendere il quadro completo, quando ogni tassello è andato al proprio posto. Come un racconto letto a metà o come concentrarsi solo su un particolare di un'opera d'arte non rende giustizia alla loro totalità, allo stesso modo un brano degli Adjy necessita di tutta la sua durata per dispiegarsi nei suoi continui crescendo che aggiungono elementi su elementi, come il bozzo di una farfalla che si schiude per poi mostrarsi in tutta la sua bellezza.
L'album si apre con il trittico introduttivo In Medias Res (Between Longing and Mystery), A Boy Called June, Pt. I e A Boy Called June, Pt. II, che erano stati pubblicati separatamente due anni fa come singoli ed offrono già uno spaccato sufficiente per comprendere la magniloquenza armonica di cui gli Adjy solitamente fanno uso. Voci che si rincorrono costantemente in precario equilibrio tra polifonie e "gang vocals", percussioni che battono freneticamente come in un rituale estatico, folk tradizionale che incontra l'art rock e le dinamiche dell'emo, in pratica elementi già sufficienti per una tela complessa e intricata di suoni...ma questa è solo l'introduzione, l'opera deve ancora tuffarsi nell'imponente suite Where June Meets July.
Where June Meets July: I. Overture è, come suggerisce il titolo, una vera e propria apertura sinfonica dove gli Adjy si confrontano con una parentesi classica, quieta e calma come una notte d'estate nella quale gli archi e il clarinetto non pennellano mai una melodia distinta. Noyes preferisce incaricarli di creare un'atmosfera impressionista, mutuata da tappeti di note che si sovrappongono con delicatezza.
Where June Meets July: II. On a Road Trip That Summer's Day ci introduce al magico incontro di June e July, prendendo a piene mani dal folk, country, blugrass e li trasforma in qualcosa di trascendentale come solo Sufjan Stevens in Illinois e gli Anathallo in Floating World hanno saputo fare in passato. Senza soluzione di continuità sfociamo su Where June Meets July: III. at a Dance Where the Stars Cross che prosegue sulla medesima impostazione, impreziosita dalle corde martellate del dulcimer, per poi crescere in una danza. In tutto questo il banjo è lo strumento centrale, ma gli Adjy si servono di quel genere musicale chiamato appunto "americana", per stigmatizzare stilemi che appartengono a quella tradizione, solo come tramite per richiamare il legame a quella terra di vecchi coloni.
In realtà negli Adjy è presente una profonda padronanza dei linguaggi musicali moderni e tradizionali, tale da far incontrare vecchio e nuovo senza risultare anacronistici: ad esempio la ballad Where June Meets July: IV. O Tonight potrebbe essere allo stesso tempo sia un inno alternative sia una canzone da cantare accampato la sera davanti a un fuoco sotto le stelle. Where June Meets July: V. Maps (To the Tune of "The Great Midwestern Summer Jig") parte lentamente per poi prendere i contorni di una danza, una giga in effetti, con tanto di contrappunti di violino irlandese.
Se lo scorrere dell'album finora non fosse ancora abbastanza memorabile, ecco arrivare una mini suite all'interno di una suite: Where June Meets July: The Cicada's Song, Pt. I e Where June Meets July: The Cicada's Song, Pt. II si rivolgono alle altre piccole protagoniste della storia, le cicale e la loro canzone estiva. La prima parte è un preparativo, un'ouverture che anticipa alcune variazioni tematiche in crescendo che ritroveremo riproposte in modo differente nella seconda parte. Quest'ultima si può dire consista di tre movimenti: un'introduzione quasi sussurrata, talmente raccolta che quando entra in campo un organo pare di ascoltare una preghiera, viene troncata di botto e riemerge il tema principale della prima parte questa volta rielaborato in modo gioioso e frenetico con tamburi e polifonie. Infine entra in scena tutta l'orchestra per un finale festoso ed emozionante. E qui spunta tutta la maestria degli Adjy nell'attuare lo stratagemma di cui prima parlavo: Where June Meets July: The Cicada's Song, Pt. II respira di un'epica meravigliosa, che si compie nella sua totalità solo se la si considera nell'arco di tutta la canzone. Un altro apice di questo capolavoro.
Avviandosi verso la conclusione, Where June Meets July continua nella propria ambizione con i nove minuti di Where June Meets July: VIII. Secretus Liber (Beneath the Fireworks That Fell in Mystique Participation), dove July racconta a June di quando da piccola trovò un libro misterioso nella soffitta di suo nonno scritto a metà e senza autore, proponendo a June di finirlo insieme. Praticamente una racconto breve all'interno di un racconto, messo in musica come fosse una mini opera da camera trascinata lentamente e che va a collegarsi alla sonata per banjo Where June Meets July: IX. In the Space Between Pages... che ancora una volta ci conduce ad un finale intenso intriso di malinconia ed energia.
Una volta chiusa la suite le sorprese non accennano ad esaurirsi. Altri tre brani ci attendono, il primo dei quali, The Farmland and the Forest's Edge, è quanto di più vicino ad un mix tra gospel e indie folk gli Adjy abbiano prodotto, mentre Lake Adeyoha è un altro brano che prepara con calma il suo climax, partendo come una torch song emo per cori e vibrafono e a circa metà si trasforma in una marcia orchestrale in stile The Dear Hunter. Come se non bastasse l'ultima traccia Eve Beneath the Maple Tree è un tour de force di diciassette minuti, fungendo da compendio musicale, sonoro e lirico di questo gigantesco calderone di idee e ispirazione.
Il primo volume si conclude con la salute di July che peggiora e, temendo di rimanere con June ancora per poco, lo prega di piantare i semi di acero che le aveva regalato e di concludere il libro prima della sua morte. Due atti per ricordarsi di lei quando non ci sarà più. Quella che all'apparenza sembra essere una classica storia romantica è in realtà uno sforzo creativo che nasconde temi come filosofia, mitologia e letteratura, la quale avrebbe giovato di un libretto con note esplicative in appendice (purtroppo l'album è e sarà disponibile solo in versione digitale).
Ovvio che per digerire a livello musicale, nonché a livello lirico un lavoro così imponente e pregno di significati su più livelli ci vorrà la pazienza che di questi tempi non va più per la maggiore. Ma gli Adjy meritano tutta l'attenzione necessaria perché alla fine dell'ascolto se ne esce ripagati e arricchiti. Intanto ci hanno fatto un bellissimo regalo con cui trascorrere la torrida estate: non riuscirei ad immaginare un album più appropriato di questo da abbinare ad una stagione. Per ora so solo che quando sentirò il canto delle cicale non sarà più la stessa cosa.
edit 08/07/21: fortunatamente gli Adjy hanno colmato una lacuna e caricato nel loro sito ufficiale note e testi dell'album:
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