martedì 3 novembre 2015

GAZPACHO - Molok (2015)


Le premesse del nuovo album dei norvegesi Gazpacho appaiono molto intriganti. Molok, nono lavoro in studio che arriva a poco più di un anno dal precedente Demon, affronta temi alti come scienza e religione attraverso un personaggio vissuto nel 1920, raccontando di come l’Uomo nella propria storia si sia costruito idoli di pietra da adorare e di come il senso della vita possa eventualmente perdere di significato senza una presenza divina in cui credere. L’esoterismo legato a Molok aumenta se si pensa che è stato presentato come un album che può distruggere l’universo - teoria confermata pure dal fisico inglese Adam Washington -, dove un codice bit legato allo strano suono prodotto al termine del CD provoca la correzione del software del lettore, generando ogni volta un numero casuale differente che, in caso di corrispondenza con le particelle dell’universo, porterebbe al suo graduale collasso (in fisica Zenone quantistico). Passando a cose meno impegnative, la musica contenuta in Molok poco si discosta da quanto fatto sinora dai Gazpacho.

Il gruppo questa volta si lascia alle spalle le lunghe elucubrazioni di Demon e si concentra su un formato temporale più ridotto, riuscendo una volta tanto, con il brano ABC, ad imbrigliare delle melodie sinuose da potenziale singolo. Anche se qui non lesinano qualche sussulto, come nella vivace Bela Kiss, i Gazpacho ci hanno comunque abituato a tempi rallentati che rientrano più nei confini di certo art rock crepuscolare che non nel progressive inteso nella sua accezione classica. Il risultato di tali formule ci fa arrancare nei quasi dieci minuti di muzak ancestrale di Molok Rising o nelle inconsistenti velleità simil-new wave di Alarm. Il disco vorrebbe trasmettere delle vibrazioni spirituali e le atmosfere raccolte della band si prestano particolarmente nei passaggi da rito ecclesiastico di The Master’s Voice. I tamburi tribali che ritornano in modo sistematico su Choir of Ancestors, Park Bench e Know Your Time riflettono musicalmente la natura quasi pagana del concept, brani non privi di un certo elemento di fascinazione, ma che continuano a mancare di quel quid che possa rendere memorabile la musica dei Gazpacho.

2 commenti:

Forcy ha detto...

A me Molok è piaciuto tanto invece... ma ancor più mi è piaciuto Demon. Atmosfere uniche, meditative, oscure...
Lo hai recensito?

Forse non sono proprio prog-rock nel senso più classico del termine.

Lorenzo Barbagli ha detto...

Ho recensito altri album dei Gazpacho sulle pagine della rivista "Wonderous Stories" quando era ancora in vita. Poi molto del materiale che ho scritto in generale non lo trovi tutto su questo blog, ma rielaborato e ampliato, l'ho raccolto nei miei libri sul Prog.