giovedì 11 febbraio 2016
Motorpsycho - Here Be Monsters (2016)
Dopo The Death Defying Unicorn (2012) e En Konsert for Folk Flest (2015), Here Be Monsters segna la terza collaborazione su disco tra il rinomato trio di Trondheim e il tastierista d'impostazione classica, ma imprestato al rock, Ståle Storløkken. Come i due predecessori, anche quest'ultima opera dei Motorpsycho prende le mosse da un lavoro su commissione, composto nel novembre 2014 per celebrare il centennale del Norwegian Technical Museum. Il materiale fu eseguito dal vivo una sola volta e, dati gli impegni, Storløkken non poté dedicarsi con il gruppo a lavorare per realizzarne un album. Ecco spiegato quindi perché Storløkken questa volta non condivide il nome in copertina, dato che i tre Motorpsycho sono tornati sul progetto e lo hanno trasformato in un nuovo capitolo discografico del gruppo, affidando le parti di tastiera a Thomas Henriksen che ha anche co-prodotto l'album insieme alla band.
A parte le brevissime sonatine per piano Sleepwalking e Sleepwalking Again (ognuna di cinquattasette secondi), Here Be Monsters consta di cinque brani di cui uno è la cover di Spin, Spin, Spin: un vecchio pezzo di folk psichedelico scritto da Terry Callier per gli H.P. Lovecraft (e incluso nel loro secondo album del 1968) che i Motorpsycho avevano da molto tempo intenzione di reintepretare, mantenendolo comunque abbastanza fedele all'originale. Il fatto che questa canzone, oltre ad essere una cover, è stata scelta anche come singolo, ci fa intuire che gli altri pezzi rimanenti siano, come al solito, delle lunghe cavalcate rock nella tradizione del gruppo, cosa che puntualmente avviene.
Dopo ventisette anni di onorata carriera (celebrata lo scorso anno con un libro, la prima compilation antologica della loro storia e una retrospettiva al museo Rockheim), i Motorpsycho si sono costruiti una reputazione tale che ad ogni nuova uscita corrisponde l'attesa per quale direzione potrebbe imboccare la loro musica. Negli ultimi tempi comunque, a parte qualche rara eccezione, si sono dedicati ad un rock massicccio, psichedelico e anche un po' stoner, copione che viene rispettato in parte anche su Here Be Monsters. Da questo lato possiamo rintracciare I.M.S., un pezzo spedito e ritmato, ma poco incisivo e che pare una outtake dalle sessioni di Black Hole/Blank Canvas. Poi c'è il tour de force Big Black Dog: quasi diciotto minuti posti nel finale. Il movimento iniziale non potrebbe essere più ammaliante fatto di chitarre arpeggiate, polifonie che si aggiungono mano a mano che il pezzo prende forma e un tocco di mellotron. Dopo l'introduzione irrompe un groove heavy dai toni cupi, che bene o male non ci lascerà per tutta la durata, al quale il gruppo affianca voci dal carattere epico e messianico e momenti intensamente crimsoniani.
L'altra faccia dell'album ci mostra che nella band è ancora saldamente presente l'influsso della psichedelia sixties West Coast, soprattutto nella strumentale e suggestiva Running with Scissors, con accompagnamento di chitarra acustica, piano e chitarra elettrici a mescolare suoni pastello che riverberano un caldo sole estivo. Questo sole lo troviamo metaforicamente al tramonto nella speculare e suadente Lacuna/Sunrise, una lenta e atmosferica elegia floydiana con tanto di groove centrale per fare spazio alla solita improvvisazione lisergica. I Motorpsycho in fondo sono rimasti dei California Dreamin' norvegesi dai tempi di Let Them Eat Cake e Phanerothyme. Alla fine Here Be Monsters si culla tra questi due aspetti che ormai, credo, i tre abbiano scandagliato abbastanza, servendosi di brani però non sempre incisivi o in grado di lasciare un segnale che faccia prevedere qualcosa di nuovo nell'orizzonte del gruppo.
Motorpsycho - Spin, Spin, Spin from Motorpsycho on Vimeo.
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