In un’epoca in cui la pausa tra un album e l’altro si è allungata a dismisura, i Biffy Clyro in poco più di un anno diedero alle stampe due colpi da maestro come The Vertigo of Bliss e Infinity Land. Ormai parliamo di dieci anni fa, dato che Infinity Land uscì il quattro ottobre 2004. Il trio scozzese stava passando la sua fase creativa più fulgida e, dopo essersi rifugiati in Galles ai Monnow Valley Studios insieme al produttore Chris Sheldon, riuscirono a bissare lo stato di grazia compositivo sperimentato con The Vertigo of Bliss. Il titolo dell’album aveva un’origine alquanto inquietante, essendo ispirato da un libro del serial killer Jeffrey Dahmer come spiegò Simon Neil in un’intervista: “In un suo libro lui parlava del suo posto ideale chiamato “Infinity Land” – la sua idea del paradiso – il che è davvero truce se pensi che era circondato da cadaveri e merda. Tu non sapresti dire di cosa si tratta, suonerebbe quasi come una speranza, ma quando sai a cosa si riferisce è alquanto sinistro. In un certo senso sarebbe un bene che la gente non sapesse a cosa ci riferiamo, così si possono creare il loro significato…potrebbe essere abbastanza ottimista, ma non lo è.”
Il materiale presentato su Infinity Land era senza dubbio più massiccio e oscuro rispetto a
quello proposto su The Vertigo of Bliss,
ma il livello di sperimentazione rimaneva ineguagliato. I due album erano quasi
complementari, parlare di uno significherebbe parlare inevitabilmente anche
dell’altro, i cui contenuti furono scritti probabilmente nello stesso periodo e
influenzati dai medesimi ascolti di quel particolare momento (tipo The Dismemberment
Plan e Sunny Day Real Estate). I Biffy Clyro lasciarono comunque un’impronta
peculiare con i loro primi album. Il modo in cui si relazionavano con il post
hardcore era del tutto differente da quello dei gruppi che li avevano ispirati.
Non si limitava a porre l’accento sui contrasti tra momenti quieti e riff
detonanti, ma era barocco e caleidoscopico, spesso imprevedibile. Il sound non
era scarno e essenziale, ma si innalzava come un uragano metal composto da
molteplici strati. Con una line-up da power trio i Biffy Clyro riuscivano a
sostenere un’onda sonora deflagrante, al pari dei Grand Funk Railroad.
L’overdrive della chitarra elettrica di Simon Neil era costantemente in
saturazione e da sola era sufficiente a coprire la parte ritmica e solista. Il
basso e la batteria, affidati ai gemelli Johnston, sostenevano al meglio i
momenti in cui la chitarra taceva.
Infinity
Land partiva con un minuto di smarrimento: la carica a salve di una
electro-dance bolsa e chiassosa apriva a sorpresa il singolo Glitter and Trauma che si caricava di
veri proiettili con l’entrata del riff sbilenco e dissonante che accompagnava
le strofe, per poi dare spazio a cascate di piombo fuso quando la chitarra
entrava in distorsione. Glitter and
Trauma tratteggiava già i Biffy Clyro del futuro, quelli dei grandi chorus
da arena rock, quelli degli “start and stop”, quelli che strizzavano l’occhio
al mainstream. Tra le sponde di Got Wrong,
The Kids from Kibble and the Fist of
Light e Some Kind of Wizard
scorrevano ettolitri di fiumi elettrici, sommerse sotto i quali nuotavano
melodie a dir poco contagiose.
Con Strung
to Your Ribcage, Wave Upon Wave Upon
Wave, My Recovery Injection e,
ancora, ballate rock come Only One Word
Comes to Mind che si concludevano in modo devastante, i Biffy Clyro
sapevano sottolineare i contrasti in maniera efficace, estrema, radicale: Neil
esasperava il caratteristico urlo da post hardcore strillando come un
gallinaccio, subito dopo poteva seguire una parte intensamente orecchiabile,
oppure tutti e tre applicavano tempi dispari a scandire un rock trascinante e
coinvolgente. Il più delle volte si trovava tutto impacchettato anche in una
sola canzone. Cambi di tonalità e progressioni di accordi inusuali erano
utilizzati come una cosa naturale. Nel suo procedere l’album si faceva sempre
più complesso fino all’apoteosi di There's
No Such Thing as a Jaggy Snake, uno dei tour de force meglio riusciti dei
Biffy Clyro. Il pezzo poteva essere considerato il massimo esempio di come il
gruppo cambiava tema allo stesso modo di come si ruotano i lati di un cubo di
Rubik. Il loro girovagare e saltare tra un cambio e l’altro era come la ricerca
del perfetto allineamento che scaturiva nel climax finale quando Neil intonava You're facing a pointless task / and it's
the same thing / I will face the task.
I titoli, molto criptici, non avevano significati
particolari, ma erano tratti e ispirati dai discorsi personali tra i membri del
gruppo. Anche i testi seguivano la linea cupa dell’album, seppur molto liberi
ad adattarsi a interpretazioni personali, riflettevano sul lato oscuro della
natura umana. Come al solito, tra la stampa, ci fu chi li paragonò ai Nirvana e
Neil commentò: “E’ buffo perché eravamo pazzi dei Nirvana quando vennero fuori.
Ma non vediamo più collegamenti tra noi e loro. È solo questa influenza
subconscia che permea quello che facciamo. Voglio dire, penso che siamo meglio
dei Nirvana e che facciamo cose più interessanti di quelle che hanno fatto
loro. Comunque i Nirvana sono fottutamente incredibili. I Nirvana e i Pixies
hanno popolarizzato la cosa del quiet/loud e oggi non senti una band che non
faccia uso di queste dinamiche. Ma non penso che il nostro sound sia molto
simile al loro.”
Lo strano e simbolico artwork di Chris Fleming fu realizzato
dall’artista in base ai titoli e ai testi delle canzoni che il gruppo gli aveva
anticipatamente passato. L’immagine che alla fine finì sulla copertina del CD
fu scelta dalla band dopo aver vagliato alcune idee, chiedendo anche
spiegazioni sul reale significato allo stesso Fleming che però non lo volle mai
rivelare. Infinty Land è stato
l’album che chiuse la fase più ispirata e pirotecnica dei Biffy Clyro, sempre
se si è disposti ad accettare una dose di sperimentazione nel rock alternativo.
Se, al contrario non volete sorprese, i tre album pubblicati dopo questo
potranno fare al caso vostro.
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