sabato 17 settembre 2011

Anni Zero e Retromania: una riflessione

«Se gli anni settanta hanno avuto la disco music e il punk, gli anni ottanta l’hip-hop e gli anni novanta il rave e il grunge, qual è stato l’imprescindibile fenomeno musicale che ha dominato il mondo della musica pop negli Anni Zero? (Imbarazzato silenzio)».

L’uscita del libro di Simon Reynolds Retromania mi ha dato l’occasione per una riflessione che riporto di seguito ed è, se vogliamo, una continuazione del discorso aperto a suo tempo in questo post.


INTRO
Non so se sapete quanto sia frustrante rispondere alla domanda che tipo di musica ti piace? o, ancora peggio, che gruppi ascolti?, quando sai già che il tuo interlocutore sarà totalmente allo scuro dei nomi che farai. Il più delle volte mi rassegno e rispondo con un laconico e secco “nessuno che tu conosca”. Oppure, quando mi gira bene, opto per una risposta possibilista che ripone un margine di fiducia in chi mi sta davanti e tento uno speranzoso “posso farti qualche nome, ma dubito che potresti conoscerne qualcuno”. Attenzione, non faccio tutto questo con il piglio del presuntuoso professorino, sono solo realista. E infatti, se scelgo la seconda risposta (quella che lascia un'apertura di dialogo) succede questo: sono naturalmente invitato a fare qualche nome. E io lo faccio. Diffidente, ma lo faccio. A quel punto sul volto del mio astante si dipinge regolarmente un’espressione di smarrimento, poi mano a mano che vado avanti, mi guarda inebetito come se fossi un alieno appena arrivato sulla Terra dopo un soggiorno su Proxima Centauri. Quando vedo che siamo ormai al terzo stadio - quello cioè in cui sul viso dell’altro si fa strada una punta di terrore, neanche stessi enunciando nomi che fanno parte di un antico rituale nazista per evocare presenze maligne - mi fermo e lo tranquillizzo: “ma sai…mi piacciono anche Pink Floyd, Led Zeppelin, Genesis (in genere con questi si riprendono come succede con i sali fatti annusare ad uno svenuto), Yes, King Crimson (e qui mi ripiombano nell’oblio).

Piccolo inciso
(Come uno dei miei gruppi preferiti mi spiace che generalmente siano in molti a non conoscere gli Yes. Cos’hanno in meno dei Genesis? Per aiutare potrei dire che gli Yes sono quelli - pur degni - di Owner of a Lonely Heart e accennare il riff taaaa-dada-dada-da-da, ma non sarebbe esattamente rappresentativo del tipo di musica che voglio descrivere.)

Ecco, i nomi sconosciuti a cui mi riferisco sono tutti più o meno di gruppi o artisti sorti negli anni Zero o comunque negli ultimi anni ‘90. Privilegio questi perché è la musica che ascolto adesso, quella del presente. Gli anni ’60 e ’70 li ho sviscerati da adolescente, poi sono andato avanti. Ma per far capire che tipo di musica ti piace devi per forza far riferimento a nomi del passato. Tutto questo mi dispiace perché ci sono delle band veramente notevoli che hanno attraversato il decennio appena trascorso, ma nessuno o quasi le ha mai sentite nominare.

UNA RIFLESSIONE
Leggendo le tesi di Retromania, ultimo saggio del giornalista musicale Simon Reynolds, mi è venuta in mente qualche considerazione. Molto, molto sinteticamente“Reynolds sostiene che la musica ha ormai smesso di evolversi. Di crescere. Non ci troviamo in una fase di plateau, ma di vera e propria impasse. La ragione, secondo il critico inglese, è di natura essenzialmente tecnologica: la sovrabbondanza di materiale musicale accessibile su internet – a costo zero, 24 ore al giorno, trecentosessanta cinque giorni l’anno – ha finito per creare una situazione surreale in cui passato, presente e futuro coesistono, ma in forma caotica e potenzialmente distruttiva. Meglio ancora, parafrasando Nietzsche, oggi viviamo in un eterno presente ("lungo presente", scrive Reynolds). Alla passione neofila per il nuovo – si è sostituita un’ossessione retro, che prevede il culto e il recupero costante del passato. La neofilia è stata rimpiazzata dalla tecno-necrofilia.” (fonte qui)

Con quello che dice Reynolds concordo in parte, perché all’inizio degli anni Zero almeno uno stimolo di rinnovamento c’era stato. Il culmine fu nel 2003, quando uscirono diversi album di qualità che poi hanno segnato la musica indipendente e alternativa negli anni a venire. Ma il loro impatto si è limitato a questo, non trovando la forza di creare un trend mainstream. Tra le cose uscite quell’anno i primi nomi che mi vengono in mente sono De-loused in the Comatorium dei Mars Volta, Effloresce degli Oceansize, The Vertigo of Bliss dei Biffy Clyro, l’omonimo esordio dei The Fall of Troy, In Keeping Secrets of Silent Earth: 3 dei Coheed & Cambria, Did You Know People Can Fly? dei Kaddisfly, Sleep and Release degli Aereogramme e Choirs of the Eye dei Kayo Dot. Poi le uscite di qualità si sono via via diradate, hanno preso il sopravvento i sopravvalutati Muse e Coldplay, lo pseudo avant-rock dei Radiohead, il “nuovo corso” dei Porcupine Tree ed è andato tutto in vacca. Dalla metà del decennio in poi un effettivo appiattimento c’è stato. Ed è qui che concordo con Reynolds. Gli ultimi 2-3 anni poi, con uscite sempre più inconsistenti, sono stati drammatici. Tanto che sono scivolati via senza portarsi dietro nessun capolavoro, o al limite qualcosa su cui poter riporre un’indicazione per il futuro della musica. E l’inizio di questi anni ‘10 non accenna a nessun sussulto.

In un certo senso ciò sembra ricalcare le sorti dell’indie-hardcore americano degli anni ’80, quando le riviste musicali erano troppo impegnate con la new wave e i new romantics per dare spazio a Pixies, Black Flag, Minutemen e Hüsker Dü. Ci volle il terremoto del grunge e dei suoi gruppi, che ammettevano candidamente di ispirarsi a quelle band, per sottolineare come quel tipo di musica avesse avuto le potenzialità per portare una ventata d’aria fresca al mercato discografico. Cosa che, quando avvenne, in molti li andarono a riscoprire. Come a dire che i giovani della provincia americana hanno più fiuto di un giornalista musicale e sono loro i veri catalizzatori del futuro della musica. C’è da rilevare che tutto questo accadeva senza l’aiuto del Web. Allora può essere Internet una delle cause di questo stallo? La sovrabbondanza di materiale e informazioni può avere atrofizzato la nostra creatività? Reynolds crede di sì.

Uno dei paradossi della Rete è che, con la sua natura omnicomprensiva, si pensava potesse diversificare e ramificare l’offerta e aiutare a promuovere nuove tendenze. Invece, in molti casi, non ha fatto che moltiplicare la presenza dei già noti. Se prima si parlava di Beatles, Dylan, Springsteen, Rolling Stones il 75%, adesso se ne parla il 100%. La corsa all’inedito post mortem, al box set, alla ristampa per audiofili persi, spesso espansa a triplo CD/DVD (nei vari formati surround 5.1, DVD/SACD, blue ray, DTS), è rimasta invariata. Come se la storia della musica ci avesse offerto una ristretta cerchia di artisti e si dovesse comprare all’infinito il loro materiale. Io amo i Pink Floyd, ma non posso comprarmi la loro discografia per la centocinquantesima volta! Un trucchetto messo a punto ultimamente anche da King Crimson, Caravan e Jethro Tull. Non sarebbe meglio ignorare queste operazioni che vanno ad arricchire gruppi già affermati e spendere gli stessi soldi in 5 o 6 CD per finanziare band emergenti che hanno realmente bisogno di farsi conoscere? Un parallelismo in campo cinematografico lo troviamo in George Lucas che, da oltre 30 anni, si diverte a manipolare allo sfinimento le sue Guerre Stellari per spremerle il più possibile. E intanto non produce nulla di nuovo.


La cosa più azzeccata di questo progetto è il nome: Why Pink Floyd?

Così facendo ci addentriamo in un “passato tecnologico” e non nel vero futuro. Ri-ammoderniamo il passato. D’altra parte con un mercato discografico agonizzante, che comunque premia in termini di vendite il pop più insulso, si deve essere cauti nello sperimentare nuove strade, altrimenti non si rimane a galla. Un segnale che si è acutizzato in quest’ultimo anno con lo scioglimento di moltissime band.

A mio avviso molto dell’appiattimento musicale è responsabile certa stampa di settore che, ad esempio, fa assurgere roba pseudo-alternativa da hipsters, come Arcade Fire e Fleet Foxes, a nuovi classici da culto del rock. Se volete sentire qualcosa di vecchio, derivativo e assolutamente non rivoluzionario, l’ultimo dei Fleet Foxes fa per voi. Se cercate originalità rivolgetevi altrove. Voglio dire che, pure nei giornali, quando si parla di band alternative, compaiono casualmente sempre gli stessi nomi. Non mi è mai capitato di leggere, che so, un elogio agli Oceansize, che magari può capitare il critico a cui fanno cagare, ma mi rifiuto di pensare che gli sia negato un oggettivo valore artistico. Fateci caso: anche tra i gruppi alternativi gli incensati dalla stampa sono sempre gli stessi e se li ascolti sei un figo della madonna.

INTERMEZZO
Poi devo leggere gigantesche cazzate come questa (proferita nientemeno che da Mick Jagger a proposito dell’ultimo album fatto con Dave Stewart e Joss Stone): “Superheavy è un incrocio di culture, ma non chiamatela world music, meglio allora dire che è un genere di musica che non ha ancora trovato un nome”. Boom!!! Ecco, il giornalista riporta queste affermazioni senza batter ciglio, facendo un danno incalcolabile alla musica. Certe dichiarazioni sono pericolose perché: 1) la gente sprovveduta e ingenua poi ci crede veramente e pensa di ascoltare chissà cosa, quando invece è la solita fuffa riscaldata; 2) la musica non si evolverà con Superheavy, nonostante Mr. Jagger creda di aver registrato l’album del secolo. A queste parole il giornalista avrebbe dovuto interrompere l’intervista e dire al rocker ottuagenario: “scusa ma credo sia meglio andare ad intervistare i 22 che sicuramente innovano più del tuo album muffoso. Ah! A proposito Mick…fatti vedere…ma da uno bravo!” Come dite? Sacrilegio? Be’ fottetevi anche voi!! A me piace la musica e non idolatro nessuno. Quando gli idoli hanno fatto il loro corso è bene che vadano a casa! La tua l’hai già detta, ora fai spazio ai giovani. Come dicevo prima amo i Pink Floyd, ma se fanno una cazzata non li seguo incondizionatamente.

EPILOGO
Una delle cose più esilaranti che ho letto a proposito di Retromania è quella dei collezionisti di Mp3 rari. L’altro giorno stavo trafficando tra i miei scaffali di LP e CD pensando a quale album far girare. Di fronte a quell’abbondanza ho pensato che probabilmente ad un ragazzo della internet generation tutto quel rimestare tra una fila e l’altra sarebbe risultato superfluo. Allora, pensando al suo ipotetico scaffale inesistente, ho provato ad immedesimarmi in lui che conserva tutto nel proprio lettore Mp3. Forse mi avrebbe detto: “ma che ci fai con tutti questi CD, prendono spazio e basta, se voglio mi trovo velocemente tutto quello che voglio qui (mostrando iPod,nda) e quando non mi va più di ascoltarlo lo cancello.” Mi sono rattristato pensando alla musica come qualcosa di futile, volatile e che in futuro, gli stessi scaffali che raccolgono pezzi della nostra vita, saranno vuoti, rimpiazzati da icone sul desktop. E forse la vera causa per cui la musica fatica ad evolversi è perché oggi viene ascoltata e fruita con superficialità.

SIGLA

10 commenti:

Unknown ha detto...

Davvero una buona critica. Ma c'è da dire che ciò di cui si parla è ovviamente la musica mainstream - nell'underground il progresso c'è e ci sarà sempre (vedi gli ultimissimi TesseracT/Periphery con il loro progressive metal con influenze 'core). Ho una domanda: come mai ritieni sopravvalutati i Coldplay e i Muse? Okay, non ho mai ascoltato un album dei Coldplay ma fanno musica bella e bene (seppure credo che siano troppo famosi rispetto a ciò che propongono). Ma i Muse? Cos'hanno per te che non va? Io ci sono cresciuto.

Lorenzo Barbagli ha detto...

L'underground negli anni passati, come ho detto, si è insinuato nella crescita e nel successo di alcuni generi che sono divenuti popolari. In questi anni mi sembra che ciò non sia accaduto.

Per i Coldplay ti sei risposto da solo. Credo che il loro successo andrebbe ridimensionato. Dopo 2 album avevano già dato tutto.
I Muse invece trovo che abbiano portato all'esasparazione alcuni vezzi dei Radiohead - come i passaggi simil-operistici e i falsetti di Bellamy -, fanno un uso elemetare dell'elettronica e tendono un po' a ripetersi. Visto che ti piacciono non so se troverai giuste queste critiche, ma è la mia impressione.

Unknown ha detto...

Grazie per il chiarimento! Questione Coldplay risolta, non sapevo fino a che punto era giusto il mio ragionamento non conoscendoli a fondo.
Riguardo i Muse beh, negli ultimi tempi me ne sono stancato in attesa del nuovo album, le vecchie canzoni oramai le conosco troppo bene. Credo di essermene innamorato perchè nessuno nel panorama musicale è stato in grado di scrivere qualcosa come Space Dementia (lo spazio è uno dei miei chiodi fissi). Sinceramente non ho notato un loro ripetersi, ma sull'elettronica devo darti ragione. Hanno stile e sanno come usarlo, questa è la mia risoluzione dei Muse.

Credo, poi, che il futuro della musica sia davvero nell'underground e che non sia più plausibile un'eventuale influenza di questo nel mainstream. Le due cose sono completamente agli antipodi oggi come mai, perchè il mainstream è diventato sinonimo di soldi mentre l'underground ogni tanto riserva sorprese di non poca importanza.

Comunque il discorso è lungo, se vuoi possiamo continuarlo in altra sede - tra l'altro non mi dispiacerebbe parlarti visto che finora vi è stato solo un monologo (interessante, sì, ma pur sempre passivo da parte mia).

Lorenzo Barbagli ha detto...

Se vuoi contatarmi "fuori sede" puoi usare l'email nel mio profilo.

Ciao!

red ha detto...

Discorso interessante, come sempre quando si affronta la questione "ai miei tempi sì che c'era buona musica, adesso il rock è morto"
Ho 55 anni, un fratello più grande che mi ha educato a base di 45 giri dei Move, dei Turtles, di Arthur Brown e ovviamente dei Beatles.
Il mio primo album acquistato è stato Led Zeppelin II (1969), poi mi sono innamorato del progressive con Genesis, VDGG, Gente Giant e i miei preferiti Yes.
Ultimo CD acquistato (ancora acquisto i CD) Snowtorch di Phideaux.
Cerco di sintetizzare un discorso che sarebbe lungo.
Non si può negare tra il 68 e il 73 si siano sfornati i più grandi capolavori del progressive.
Probabilmente c'erano le condizioni giuste, anche dal punto di vista "sociale"
Inoltre la cosa sorprendente era che la musica di qualità così alta era apprezzata da un numero di persone relativamente elevato.
Conosco personalmente gente che ha amato i Genesis di Nursery Crime (non un disco facilissimo) o i Pink Floyd di Atom Heart Mother senza avere la più pallida idea di cosa sia il rock, tanto meno il progressive.
Come mai?
Forse perchè la musica dei 15-18 anni è quella che rimane perchè viene (magari inconsapevolmente) legata a ricordi piacevoli?
O perchè allora le alternative erano Orietta Berti e Massimo Ranieri?
Oggi ci sono ancora buone cose, talvolta ottime, ma nella enorme offerta non è facile trovarle.
Personalmente, per fare solo una breve lista ,ho apprezzato molto negli ultimi anni i Beardfish (specie The Sane Day), gli ultimi Big Big Train, alcune cose dei Tangent,, l'ultimo Wobbler, e l'ultimo di Troy Donockley (novello Mike Oldfield).
Da ultimo due parole sui Muse. Ho un figlio che stravede per il gruppo, ma non fa fatica ad ammettere i chiari riferimenti, come i già citati Radiohead ma a mio parere anche i Queen.
Io li considero un gruppo "furbo", ma bisogna ammettere che dal vivo sanno fare delle performance che non tutti si possono permettere.
E questo nell'era dell'mp3 ha il suo bel significato
Ciao a tutti

Lorenzo Barbagli ha detto...

Solo due parole per quanto riguarda i vecchi classici.
Ho avuto la fortuna, da ragazzo, di avere amici che mi hanno "educato" all'ascolto, partendo dai grandi del passato. Penso sia un bene per un ragazzo di oggi partire da quell'epoca e poi ascoltare i contemporanei. Come si fa a scuola del resto.
Ma non credo si debba guardare quella musica con nostalgia (storicamente parlando). Quello è stato un periodo sicuramente irripetibile, ma trovo che nel presente, sapendo cercare, si possa trovare della musica altrettanto valida ed emozionante.

Chrisbware ha detto...

Una parola sul tema "internet non educa all'ascolto".
Purtroppo della Grande Rete ne godiamo solo noi vecchioni, in questo senso, abituati all'ascolto di LP, musicassette e CD, perché abbiamo lo stesso approccio ( e amiamo masterizzare la roba che ascoltiamo). Grazie alla rete (basta semplicemente youtube) si possono ritrovare materiali che tutti pensavano ormai perduti o l'innovativo sound di un gruppo che suona in cantina, per ora, e che magari sfonderà.
La generazione iPod invece sarà attraversata velocemente da tutto questo senza avere il tempo di assaporare la musica.
Colpa della rete? Non direi. Se i giovani di oggi hanno adottato l'abitudine di scaricare molta musica, senza fare selezione e senza avere il tempo di valutarla, è tutta colpa delle case discografiche, che hanno reso il costo di un CD proibitivo per un quindicenne. Quando si sono accorte del fenomeno hanno forse abbassato i prezzi? No, hanno corrotto i politici per fare leggi contro la pirateria. Il danno resta incalcolabile.

Lorenzo Barbagli ha detto...

Altro punto dolente è quello del prezzo elevato dei CD, almeno qui in Italia. Al giorno d'oggi non ha assolutamente senso tenere i prezzi così alti, poichè non si fa altro che penalizzare il negoziante e l'artista. Oltre ad essere un incentivo per i giovani a scaricare, è un deterrente per quelli come noi che ancora spendono qualche soldino in CD e di sicuro non scendono nel negozio sotto casa a comprarlo. Io ormai da anni compro tutto online dato che dall'estero, paradossalmente comprese le spese di spedizione, spendo molto meno che acquistarlo in negozio.

Quality Time (Celestica) ha detto...

Ho apprezzato l'articolo e mi trovo d'accordo su molti punti. Ma trovo si sia fatta un po' di confusione tra musica mainstream e musica underground. Nel senso che Reynolds guarda evidentemente alla musica di massa quando scrive certe cose. Secondo poi, trovo che lo spazio riservato all'elettronica sia qui ridotto all'osso se non nulla e questa non può che essere una grave mancanza, giacché essa ha influenzato grandemente buona parte della musica di massa; mi riferisco principalmente all'elettronica minimale, come la dubstep , i cui riferimenti sono rintracciabili anche in album insospettabili di artisti pop molto commerciali.
P.S.: Muse visti dal vivo: in tre fanno talmente tanto casino che sembra siano in sei. Bravissimi ma anche furbetti, questo sì.

Lorenzo Barbagli ha detto...

L'elettronica non compare perché non mi occupo di quel tipo di musica. Ho solo voluto prendere lo spunto di Reynolds e portarlo sul piano della musica di cui parlo in questa sede. A tal proposito non credo di aver fatto confusione tra mainstream e underground riguardo a certa musica alternativa e indie. Quando Reynolds scrive che la musica di massa non si è evoluta negli anni Zero è perché si è perso quella curiosità di guardarsi intorno, paradossalmente a causa dell'offerta amplissima messa a disposizione dalla Rete.