In attesa del nuovo album dei White Willow - in uscita il 15 agosto con il titolo di Terminal Twilight - non c'è meglio che ascoltarsi l'ultima fatica del loro tastierista Lars Fredrik Frøislie che, con il suo progetto Wobbler, è arrivato ormai al terzo lavoro. Non ho mai dato troppa importanza a questo gruppo norvegese dato che gli album precedenti, pur essendo impeccabili dal punto di vista produttivo ed esecutivo, erano dei giochi al rimando ai gruppi progressive rock più famosi degli anni '70. In questa loro voluta derivatività, i Wobbler perdevano in freschezza e i loro brani divenivano dei lambiccati esercizi di stile fatti di colte citazioni.
Mi sono avvicinato quindi a Rites at Dawn con molto scetticismo, ma per fortuna qualcosa è cambiato. Sarà la felice introduzione della voce del nuovo arrivato Andreas Prestmo, oppure una più felice vena compositiva, ma questo terzo disco va oltre gli stretti parametri rievocativi e nostalgici. Gli strumenti vintage e i suoni dei magici anni '70 ci sono sempre, ma stavolta il gruppo è meno ossessionato dal citare ad ogni cambio tematico un gruppo ben preciso di quei tempi tra ELP, King Crimson, Genesis o Yes. Diciamo che le peculiarità di questi ultimi spiccano in particolar modo su Rites at Dawn, complice anche le armonie vocali che sembrano in alcuni punti uscite dai dischi di Crosby, Stills & Nash. Ma in generale i brani godono di una direzione univoca e meno eclettica che sicuramente ha giovato alla compattezza della visione finale che rimane comunque caleidoscopica.
L'aspetto bucolico dei CS&N emerge particolarmente negli arpeggi acustici di This Past Presence, cogliendo anche le affinità che legavano gli Yes alle suggestioni armoniche della West Coast. Stessa storia vale per le bellissime La Bealtaine e A Fearie's Play che nei loro intrecci di basso, mellotron e organo Hammond chiamano in causa anche i Gentle Giant. La band dei fratelli Shulman risuona su In Orbit dove le varie parti, che si dipanano nei suoi oltre 12 minuti, sono inframezzate dalla chitarra a 12 corde molto genesisiana di Morten Eriksen. I prog fan più tradizionalisti avranno di che gioire pure con l'altro lungo pezzo che è The River, dove emerge la tipica malinconia nordica di Anekdoten e Landberk che in seguito si trasforma in un tripudio di armonie vocali in stile Yes. D'altra parte tutte le band progressive provenienti dalla Scandinavia ci hanno da anni abituati a volgere lo sguardo verso il passato di questo genere, riproponendone sonorità, vezzi e piccoli-grandi stratagemmi esecutivi con cura filologica e quasi maniacale.
Talvolta queste operazioni risultano stucchevoli, altre colgono nel segno e i Wobbler stavolta ci sono riusciti. Rites at Dawn è forse il miglior album di progressive rock pubblicato in questo primo semestre 2011 sinora avaro di nuove uscite interessanti, compreso il deludente Mammoth dei Beardfish. E' comunque incredibile come in Scandinavia i gruppi emersi negli ultimi 20 anni si siano attestati come i più autorevoli interpreti di prog sinfonico.
2 commenti:
Non ho sentito i lavori precedenti e non conosco i White Willow, ma questo Rites at Dawn è un album davvero coinvolgente ed emozionante.
Insieme agli ultimi due Big Big Train è la cosa migliore da parecchio tempo a questa parte
Concordo con te. Anche i Big Big Train mi piacciono molto.
Se vuoi dei White Willow ti posso consigliare Sacrament (2000) o Storm Season (2004) che a mio parere sono gli album più rappresentativi.
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