mercoledì 26 aprile 2017

MEW - Visuals (2017)


Nelle recensione dedicata a +-, l'ultimo album in studio dei Mew, ci lamentavamo dell'abitudine della band di far passare diverso tempo tra un album e l'altro. Questa volta l'attesa per un nuovo lavoro è durata sorprendentemente solo due anni ma, se +- aveva visto il ritorno del bassista Johan Wohlert ricomponendo in tal modo il quartetto originale dei Mew, Visuals deve fare i conti con l'addio di un membro storico del gruppo: il chitarrista Bo Madsen. I Mew sono così tornati ad essere un trio nel 2015 e quindi è implicito che Visuals sia il frutto dei soli Jonas Bjerre, Silas Jørgensen e Wohlert, anche se a livello di economia sonora, per amore di verità, la differenza non si percepisce, come non aveva pesato l'assenza di Wohlert. Questa enfasi o preoccupazione riguardo le sorti della line-up non è casuale quando si parla di una band come i Mew, dove ogni membro è stato una pedina fondamentale nella peculiare messa a punto di un "wall of sound" originale e personale il quale, nonostante i cambiamenti, ha sempre dimostrato che la formula dei Mew è più solida e forte di qualsiasi crisi.

Visuals in questo senso parte alla grande, con una prima metà di una bellezza quasi ammaliante, raggiungendo delle vette di lucidità che il gruppo non toccava dai tempi di And the Glass Handed Kites, sempre però continuando in un percorso lontano da quel capitolo maiuscolo. Ma andiamo con ordine. Gli ultimi lavori ci avevano presentato una band curiosa di sperimentare ed evolversi nel proprio universo di synth pop e math prog ed erano stati così radicali in una direzione o nell'altra - No More Stories più prog e avventuroso, +- più orientato su sonorità pop - da lasciare interrogativi su come la band potesse ancora aggiungere qualcosa di nuovo e degno di interesse. Visuals riesce in tale compito, raggiungendo un equilibrio tra prog e pop davvero encomiabile, anche se è il secondo aspetto ad essere privilegiato. Probabilmente le melodie accessibili, pastose e orecchiabili dei Mew sono le uniche a richiedere un ascolto attento ed assorto, senza necessariamente dover battere mani e piedi, dovuto al fatto delle molteplici stratificazioni e Visuals spinge molto su tale effetto. A parte la voce angelica di Bjerre, i paesaggi sonori immaginati dai Mew hanno un fascino del tutto particolare, creando un insieme di timbri veramente unici.

Persa la chitarra baritono di Madsen, da una parte i Mew ovviano a tale mancanza edificando un caleidoscopio sognante di tastiere nella dolcissima Nothingness and No Regret, nel singolo 85 Videos e nella ballad Carry Me to Safety, ricordando a tutti che loro erano stati (e sono ancora) l'avanguardia synthwave quando ancora il revival era ben lontano e non andava di moda come adesso. Dall'altra ne rivitalizzano il ricordo nei riff obliqui di The Wake of Your Life e Candy Pieces All Smeared Out, due canzoni che segnano un connubio organico tra synth pop dai chorus perfetti e trame dalle involuzioni sottili. Ay Ay Ay è forse il miglior risultato nella convivenza tra le due parti di vecchio e nuovo - o meglio - passato e presente: basso e batteria in controtempi tribali, addolciti da arpeggi riverberati, sono congiunti ad un suggestivo ed avvolgente chorus. La seconda parte dell'album, adagiandosi su dei sentieri meno avvincenti ma ugualmente interessanti, è occupata da brani quasi interlocutori come Zanzibar e Shoulders oppure molto particolari come Learn Our Crystals e Twist Quest che fanno sfoggio di ritmiche tra il sudamericano e il math rock, sottolineate dalla leggera novità dell'utilizzo dei fiati (presenti anche nel finale di In a Better Place in odore di post rock) che ne accentuano la dimensione ballabile. In questo momento forse non poteva essere altrimenti, ma Visuals è l'album dei Mew che suona più anni '80, anche se rimane nella sfera del tutto riconoscibile della band, e quello che li ricongiunge alla matrice rock più diretta che era propria di Frengers.  






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