mercoledì 27 luglio 2016
THANK YOU SCIENTIST - Stranger Heads Prevail (2016)
Nel 2012 i Thank You Scientist, con il loro esordio, diedero una scossa al sonnacchioso mondo del prog rock con una formula a base di fusion metal orchestrale che ebbe il merito di frullare vari stili in un gioco virtuoso dell'accumulo, non disdegnando neanche strizzate d'occhio ad aperture accessibili. Che cosa è successo quindi in questi quattro anni che separano Maps of Non-Existente Places da Stranger Heads Prevail? I Thank You Scientist hanno girato in lungo e in largo gli Stati Uniti suonando dal vivo, sono stati notati da Claudio Sanchez che li ha voluti come supporto nei tour dei Coheed and Cambria, ampliando di molto la loro popolarità, quindi li ha scritturati nella sua etichetta personale e nel 2014 Maps of Non-Existente Places è stato ristampato e remixato, diventando il primo album pubblicato dalla Evil Ink Record. Nel frattempo il gruppo ha perso e rimpiazzato due membri storici come il bassista Greg Colacino (adesso al suo posto c'è Cody McCorry) e il violinista Russ Lynch (con Ben Karas).
Ora, nessuno pretende che un gruppo ad ogni nuovo album si cimenti nella scissione dell'atomo per inventarsi chissà cosa, ma dai Thank You Scientist era lecito aspettarsi un po' di più alla seconda prova e soprattutto dopo quattro anni di attesa. Intendiamoci, Stranger Heads Prevail è un lavoro molto piacevole e assolutamente degno di nota che comunque segue le stesse regole compositive del primo album e non aggiunge nulla alla già debordante formula del settetto, anzi, delle due lavora per sottrazione, facendo prevalere (è il caso di dire) il prog metal e lasciando nello sfondo l'eclettismo d'interazione tra generi. Per intendersi, è un po' l'equivalente di ciò che fecero i King Crimson con In the Wake of Poseidon.
Il disco inizia e si conclude nella maniera di Maps, con una breve incursione nella polifonia da musical in bilico tra The Dear Hunter, Jellyfish e Queen. Ciò che risalta di Stranger Heads Prevail è la ricerca della melodia applicata ad un contesto prog metal - e la voce androgina di Salvatore Marrano gioca un ruolo decisivo in questo -, accentuando ancora di più un legame con AOR e pop rock senza per questo divenire stucchevoli e arrendersi a compromessi. Infatti ci ritroviamo con una collezione di brani estremamente dilatati dal punto di vista temporale (l'album stesso sfiora i 70 minuti) e gli artifici strumentali sono sempre pronti a lasciare stupito l'ascoltatore. La chitarra di Tom Monda continua a scodellare minuziosi fraseggi e assoli, sia in modalità djent che in modalità clean, i fiati e il violino accompagnano e punteggiano con contrappunti come farebbero le tastiere qui totalmente assenti e la sezione ritmica non perde un colpo tra stop e riprese improvvise, scandendo con scioltezza stilemi di poli opposti inclusi tra thrash e fusion.
Una volta in mente tali caratteristiche diviene quasi superfluo citare dei brani più rappresentativi di altri, poiché ognuno rimane sullo stesso livello qualitativo, realizzati con un piglio da big band heavy prog che perde comunque per strada la componente post hardcore, dalla quale il gruppo era germogliato, in favore di un più collaudato prog metal. In pratica, pur considerando la versatilità che li contraddistingue, i Thank You Scientist su Stranger Heads Prevail hanno imbrigliato una formula che ripropongono senza osare ad eccezione forse per lo sfogo strumentale Rude Goldberg Variations, tra suggestioni latino americane e drum & bass portate a casa con una buona dose di umorismo sottotraccia. Detto questo, i Thank You Scientist rimangono saldamente tra i gruppi migliori nell'asfittico panorama prog che continua a sfornare lavori pedissequamente uguali, senza alcuna cognizione di come far progredire il genere.
Infine una parola sulla produzione: in un contesto così compositamente ricco per un complesso rock, dove ogni elemento è chiamato a donare corpo e sostanza al sound, non è facile districarsi nel gioco degli equilibri e il primo album ne usciva vincitore, grazie ad un compatto mix che non lasciava spazi vuoti. Paradossalmente qui, in alcuni punti come ad esempio nel fusion funk di Mr. Invisible e nell'assolo finale di Caverns, ho avuto come la sensazione che ogni strumento sia stato registrato a compartimenti stagni, isolato dal resto del gruppo, il che non interferisce con la resa armonica facendo pensare che ognuno vada per conto proprio, ma piuttosto agisce su un livello di amalgama dove ogni parte sembra disgiunta l'una dall'altra.
www.thankyouscientist.net
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