martedì 24 marzo 2015

"All is Illusory" - Il ritorno dei The Velvet Teen


Tra i tanti gruppi di cui ho parlato su altprogcore ne manca uno importantissimo all’appello e non perché mi fossi scordato di loro, ma perché, da quando questo blog è nato, non hanno mai pubblicato niente a parte l’EP di quattro tracce No Star nel 2010. Il gruppo in questione si chiama The Velevet Teen e il loro ultimo album in studio, Cum Laude!, risale addirittura al 2006. Questo lungo silenzio sarà finalmente interrotto il 30 giugno quando verrà pubblicato All is Illusory, quarto album in studio del gruppo, via Topshelf Records. Colgo quindi l’occasione di anticipare tale uscita con un doveroso articolo poiché, nella esigua discografia dei The Velvet Teen, fa parte anche quello che personalmente ritengo uno dei capolavori del passato decennio e cioè Elysium (che poi è il soggetto di questo articolo).

La principale curiosità che mi fa attendere All is Illusiory con trepidazione è che i The Velevet Teen sono da sempre una creatura anomala nel panorama musicale, dato che, non solo gli album da loro prodotti risultano uno diverso dall’altro, ma in ognuno di essi hanno sempre cercato di perseguire soluzioni originali con l'intento di non suonare come una banale e prevedibile indie rock band. Questa schizofrenia stilistica ha in pratica relegato i The Velvet Teen ad uno status di popolarità quasi di nicchia se vogliamo, ma comunque molto amati e rispettati da chi li conosce.

Le origini dei The Velvet Teen risalgono al 1999, quando il nome (una storpiatura ispirata al libro per bambini The Velveteen Rabbit) fu usato dal solo Judah Nagler per un breve tour in Islanda. Dopo l’incontro con il batterista Logan Whitehurst, i due registrano l’EP Comasynthesis per poi stabilizzarsi come trio con l’ingresso del bassista Josh Staples e la realizzazione di un altro EP dal titolo The Great Beast February (entrambi gli EP poi raccolti su Plus, Minus, Equals). L’esordio vero e proprio avvenne nel 2002 con Out of the Fierce Parade (co-prodotto da Christopher Walla dei Death Cab for Cutie), un onestissimo album di indie-emo rock che tentava di andare oltre i soliti cliché, anche grazie ad un certo intellettualismo stilistico di fondo che non si limitava alle citazioni letterarie di Henry Miller e C. S. Lewis, ma si ispirava un po’ ingenuamente anche ai Radiohead, somiglianza amplificata dai falsetti di Nagler (Red, Like Roses, Into the Open).

 

Quando nel 2004 Elysium fu pubblicato, i The Velevet Teen potevano contare, quindi, su una carriera già ben avviata che li aveva fatti inquadrare dalla critica statunitense come una nuova promessa indie rock: praticamente un confortevole e sicuro angolo musicale nel quale crescere e magari, con il tempo, avere successo. Nessuno, al contrario, si sarebbe aspettato che con il secondo lavoro il trio californiano avrebbe scombinato le carte in tavola con un incredibile salto di maturità. Il totale cambio di prospettiva sonora, indirizzato sulla ricerca e sulla sperimentazione nell’ambito di un baroque pop orchestrale quasi progressive, si poneva sullo stesso piano delle scelte compiute da un gruppo come Talk Talk e, in seguito, anche dai These New Puritans.

Il mutamento radicale operato dai The Velvet Teen su Elysium faceva in modo che la sua materia rimanesse nell’ambito pop, ma che difficilmente avrebbe scalato le classifiche. La decisione di non utilizzare chitarre e affidare il ruolo di strumento protagonista al pianoforte con l’aggiunta dell’orchestra, i cui interventi non risultano mai eccessivi o barocchi, generò degli arrangiamenti delicati dove ogni traccia era un piccolo mondo in cui perdersi. I refrain di pianoforte e gli archi di Poor Celine e Forlorn avevano qualcosa di irresistibile, eppure erano lontani dal pop inteso nel senso classico del termine. Le canzoni non avevano strutture ortodosse, preferendo collegare tra loro delle progressioni armoniche che si sviluppavano in crescendo emotivi. Con tali premesse Penicillin (It Doesn’t Mean Much) e A Captive Audience annegavano la malinconia in un vortice intimistico di sensazioni che penetravano sottopelle, dove la voce espressiva di Judah Nagler, spaccata tra un crooner di night club e un Jeff Buckley depresso, dava il suo meglio nei dettagli.

Il centro dell’album era occupato dall’epico tour de force da 13 minuti di Chimera Obscurant che, dopo poche strofe accompagnate da accordi di piano con una ritmica jazz, si trasformava in un logorroico sfogo musicale nel corso del quale Nagler si esibiva, senza prendere fiato, in una sorta di testo-Weltanschauung di oltre 1000 parole che racchiudeva di tutto: dalla critica al capitalismo e alla religione organizzata, fino alla biologia cellulare, alle cospirazioni governative e alla geometria sacra biblica. Un monumento lirico/musicale di uno sforzo notevole. Infine, c’è da aggiungere che Elysium, pur non essendo un concept, fa comunque i conti con il tema portante della separazione sentimentale, non solo nei confronti di una persona, ma verso ogni tipo di cosa. Nonostante tali caratteristiche, l'estetica di Elysium non è riconducibile ad un lavoro eccessivamente sdolcinato o che si crogiola nell’autocommiserazione. Quello di Elysium era un mondo calmo, rallentato e notturno il cui valore cristallino difficilmente veniva sviscerato al primo ascolto, come le canzoni che vi sono contenute, esso è un album che cresce e si fa strada poco a poco. In me l’amore per quest’opera scattò in modo istantaneo, cogliendo immediatamente un fascino singolare nelle sue musiche. E anche per questa affinità personale lo ritengo uno dei miei album preferiti, uno di quelli che vorresti suonassero in loop nella tua vita ininterrottamente 24 ore su 24.



Dopo la folgorazione di Elysium sarebbe stato possibile superare qualitativamente tale capolavoro? Forse i The Velevet Teen non se lo posero neanche questo problema e, come se nulla fosse, due anni dopo, con il terzo album Cum Laude!, sterzarono su una via stilistica diametralmente opposta a quell'opera, ancora una volta cambiando pelle musicale e attitudine, dimostrando coraggio e versatilità. Tanto era crepuscolare e meditabondo Elysium, tanto solare e spensierato risultava Cum Laude!. Tanto era acustico e pianistico Elysium, tanto Cum Laude! era elettrico e con un ritorno prepotente verso la chitarra, anche se le sue peculiarità erano ben altre.

L'album sembrava voler proseguire la sperimentazione di glitch music, introdotta fugacemente su Elysium nella strumentale Sartre Ringo, con effetti e risultati ancora una volta lungimiranti che hanno precorso il riflusso della moda della musica 8 bit (o chiptune) in voga in questi ultimi anni. Non che Cum Laude! suonasse cacofonico e privo di melodia, tutt'altro, ma conteneva canzoni pop rock rivestite di electro noise con in più la scelta radicale di camuffare e sfregiare la bella voce di Nagler con abbondante uso di vocoder. Sepolti sotto gli strati di rumori giacevano motivi irresistibili come Noi Boi, Spin the Wink, Gyzmkid, incorniciati dal rutilante e frenetico drumming del nuovo batterista Casey Deitz, che dovette sostituire temporaneamente Whitehurst al quale era stato diagnosticato un tumore al cervello. Dopo la morte di Whitehurst, avvenuta nel dicembre 2006, Deitz prese definitivamente il suo posto e il gruppo decise di continuare. Come accennato, però, fino ad oggi a livello discografico i The Velevet Teen sono rimasti quasi del tutto inattivi, quindi l'uscita di All is Illusory possiede tanto i connotati dell'evento.






www.thevelvetteen.com

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