Lasciamo perdere i meriti riconosciuti per i vari e recenti remix di album storici per il prog, oltre che le sue doti di stimato produttore che nessuno mette in dubbio, tutto questo è venuto dopo. Parliamo delle sue scelte discutibili che lo hanno portato a realizzare degli album (sia con i PT che in altri ambiti) dagli esiti artistici altalenanti, dimenticando volentieri la trascurabile parentesi Storm Corrosion. Naturalmente per la maggior parte dei suoi fan "post In Absentia" non è così. Wilson è in pratica diventato un santo intoccabile, un genio che trasforma in oro tutto ciò che tocca e, leggendo le recensioni preventive di Hand. Cannot. Erase. comparse nei siti stranieri, sembra che il grande Autore abbia fatto centro di nuovo. E così arriviamo alla sostanza del discorso: qui si assiste alla solita glorificazione di quest'ultimo album come l'ennesimo capolavoro, cosa che oggettivamente non è. Potrei al limite capire chi lo considera un bell'album per questioni di gusto, ma talvolta si dovrebbe avere il coraggio di andare fuori dal coro e affermare che Hand. Cannot. Erase. è tutto fuorché un capolavoro. Anzi, è una delle opere più deboli partorite da Wilson, e lo dico da fan.
Un vero amante del progressive rock non può appassionarsi a Hand. Cannot. Erase. o, perlomeno, non può assolutamente giudicare Wilson un padreterno del prog, poiché questo album è pieno zeppo di cose già sentite e risentite. E non sto parlando di ridare smalto alle classiche sonorità di King Crimson e Genesis con attitudine moderna, come già sperimentato nel grandioso Grace for Drowning e nel pur pregevole The Raven That Refused to Sing. Qui si parla di riciclare le sonorità del neo prog degli anni '90 tanto odiate dallo stesso Wilson. Se prendete 3 Years Older, ad esempio, non c'è nulla che nei suoi 10 minuti gruppi come Spock's Beard e The Flower Kings non abbiano già fatto.
Anche la title-track si rivela abbastanza debole. Come molti giustamente hanno notato, essa ha le sembianze di un pezzo estrapolato dalla già non eccitatane ex band parallela di Wilson, i Blackfield. Il primo singolo tratto dall'album fa il suo dovere di semplice canzone per attirare l'attenzione, ma si capisce chiaramente che il suo compito si limita a questo, dentro non sono racchiusi dei particolari memorabili da rilevare. Si è discusso, poi, sulla scelta azzardata e quanto mai coraggiosa di lanciare come secondo singolo (con tanto di video) la divisiva Perfect Life: voce narrante della cantante israeliana Ninet Tayeb sopra una base electro ambient con il canto di Steven Wilson che interviene solo a metà canzone, ripetendo la stessa frase più volte. Al di là dei giudizi soggettivi che portano ad amare o odiare Perfect Life, esso è, in realtà, un pezzo abbastanza debole che, messo in prospettiva, si può rilevare come un artista tipo David Sylvian abbia dato contributi più incisivi in materia.
Routine, che a quanto pare per molti rappresenta il brano cardine dell'album, possiede, al contrario, un senso di incompiuto, ammassando la successione di almeno tre sezioni - dai connotati inequivocabilmente genesisiani e floydiani - senza mai decidere quale strada imboccare. Qui il gioco di prestigio di Wilson è piuttosto quello di ammaliare con trucchi di arrangiamento sinfonico, toccando le corde emotive dell'ascoltatore. Qualcosa di buono comunque lo troviamo quando si arriva alla sequenza composta da Home Invasion e Regret #9: la prima viene pilotata da un groove di piano elettrico alla Alan Parson Project e un incedere da blues metal (non privo di strappi solisti psichedelici nella prima parte); il secondo, interamente strumentale, tra oscuri bordoni e un grande solo di synth di Adam Holzman prima e uno magnifico di Guthrie Govan poi, si attesta come il miglior pezzo di tutto il disco.
La lunga Ancestral, nei suoi toni cupi e oppressivi, poteva benissimo comparire in un album dei White Willow e nessuno avrebbe gridato al miracolo, ma in questo contesto scommetto che sarà considerato un altro capolavoro. Happy Returns è invece la classica glossa a forma di ballata malinconica per piano e chitarra acustica che di sovente troviamo in chiusura negli album firmati da Wilson (quindi anche quelli dei Porcupine Tree) che stupisce per la sua modestia, con in più l'aggiunta di un coretto a modo di inciso abbastanza imbarazzante. Tirando le somme Hand. Cannot. Erase. appare un'opera che vive di momenti diversificati a livello stilistico, che in altri casi avrebbero potuto anche funzionare, ma qui la maggior parte delle volte non vengono messi bene a fuoco e rispecchiano una certa confusione su quale indirizzo dare all'album e penso che la cosa la potrà percepire anche chi lo apprezzerà. Parlando di genialità Hand. Cannot. Erase. in effetti non ne è privo: al suo interno c'è un solo genio, le sue iniziali sono GG e non a caso le parti migliori sono quelle che lo vedono protagonista.