Quando in Scandinavia, una ventina di anni fa, si stava coltivando un massiccio ritorno alle sonorità del rock progressivo sinfonico dei seventies, i Panzerpappa furono tra i pochi gruppi nordici, insieme ai Gösta Berling Saga, a proporre un’offerta musicale più complessa di avant-prog che proseguiva l’elitarismo del Rock in Opposition degli Henry Cow con un leggero tocco di zeuhl alla Univers Zero. Partendo dai primi radicali lavori, i Panzerpappa si sono poi con il tempo ammorbiditi, spostando musicalmente il loro sguardo verso sud ovest, al sound di Canterbury, arrivando a quest’ultimo Pestrottedans dopo quattro anni di silenzio da Astromalist.
Nella nuova opera, i Panzerpappa sembrano aprirsi ancora di più a melodie vagamente cantabili o per lo meno più orecchiabili, tranne poi concludere l’album con il maggior incisivo ritorno alla materia RIO di Goda' Gomorrah. Il loro blend di jazz rock, musica etnica e classica, ad esempio, si snoda nelle prime tre tracce con grande attenzione a melodie lineari - tessute dall’interplay tra il sassofono di Børve e la chitarra di Storløkken - dalle quali si possono cogliere anche richiami alle tradizioni klezmer e mediorientali, passando dal sembrare ora un semplice ensemble di fusion, ora una piccola orchestra da camera. Il quintetto, però, carbura al suo meglio quando all’interno delle composizioni si inseriscono delle riconoscibili tracce di progressive rock come accade su Fundal e Landsbysladder 3 che senza dubbio rappresentano i numeri migliori dell’album.
I Panzerpappa dimostrano ancora una volta la propria competenza in qualità di strumentisti ed esecutori, encomiabile anche una certa ricerca nel sound che li porta a confrontarsi nel merito tra il sinfonismo e il jazz prog. Ma a frenarli sulla via dell’emancipazione che possa fare la differenza è proprio la sensazione di una rilassatezza compositiva e la conseguente limitazione di risvolti che potrebbero insinuare maggiore complessità tra le trame.
Nella nuova opera, i Panzerpappa sembrano aprirsi ancora di più a melodie vagamente cantabili o per lo meno più orecchiabili, tranne poi concludere l’album con il maggior incisivo ritorno alla materia RIO di Goda' Gomorrah. Il loro blend di jazz rock, musica etnica e classica, ad esempio, si snoda nelle prime tre tracce con grande attenzione a melodie lineari - tessute dall’interplay tra il sassofono di Børve e la chitarra di Storløkken - dalle quali si possono cogliere anche richiami alle tradizioni klezmer e mediorientali, passando dal sembrare ora un semplice ensemble di fusion, ora una piccola orchestra da camera. Il quintetto, però, carbura al suo meglio quando all’interno delle composizioni si inseriscono delle riconoscibili tracce di progressive rock come accade su Fundal e Landsbysladder 3 che senza dubbio rappresentano i numeri migliori dell’album.
I Panzerpappa dimostrano ancora una volta la propria competenza in qualità di strumentisti ed esecutori, encomiabile anche una certa ricerca nel sound che li porta a confrontarsi nel merito tra il sinfonismo e il jazz prog. Ma a frenarli sulla via dell’emancipazione che possa fare la differenza è proprio la sensazione di una rilassatezza compositiva e la conseguente limitazione di risvolti che potrebbero insinuare maggiore complessità tra le trame.
1 commento:
Altro disco molto valido della altrock
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