martedì 20 agosto 2013
VOLCANO CHOIR - Repave (2013)
Forse il successo ottenuto con il gruppo/pseudonimo Bon Iver deve aver già stancato Justin Vernon, pronto a chiudere quel capitolo della sua carriera, se non per sempre, per un bel po' di tempo. Sperando che sia solamente un pensiero fugace e di passaggio, in compenso, tra collaborazioni e apparizioni in album di altri artisti, Vernon è rimasto molto attivo musicalmente. Fino al ritorno verso i lidi del progetto che più si avvicina alla sua indole musicale, cioè questi Volcano Choir, una collaborazione nata e sviluppata insieme alla band di Milwaukee Collections of Colonies of Bees.
Repave, in uscita il 2 settembre, è il secondo capitolo di questa avventura che vede la luce a quattro anni di distanza da Unmap. Questo Repave, più di quanto non fosse stato Unmap, è un sorso d'acqua nel deserto per tutti coloro che temono di non ascoltare più in futuro qualcosa dei Bon Iver. Anche se Vernon si è occupato più che altro della stesura dei testi, le musiche dei Collections of Colonies of Bees fanno di tutto per riprendere e riprodurre quella estetica eterea, bucolica, con l'aggiunta di impalpabile elettronica, che ha caratterizzato il bellissimo Bon Iver, Bon Iver. Elementi di post rock e folktronica si fondono in delle composizioni che riportano battiti umani fusi con beat e loop elettronici, con in più l'ausilio del solito auto-tune che, utilizzato da Vernon in modo più invasivo del solito, talvolta è proprio seccante.
L'organo liturgico che apre l'album potrebbe fare da metafora per la specificità del rito laico con cui si deve affrontare l'ascolto di Repave. Questo album non andrebbe ascoltato nel chiuso di una stanza, ma va liberato, fatto respirare come un buon vino e assaporato all'aria aperta. Oltre all'udito si dovrebbe poi coinvolgere anche la vista. Repave, come suggerisce la copertina, si gusta meglio a contatto con la natura, necessita di alte vette montane o infinite praterie. La natura anthemica di questa musica, molto cinematografica e visuale, sembra fatta apposta per descrivere la bellezza che ci circonda.
Peccato che l'album si perda per strada nella seconda parte: delle otto tracce presenti le ultime quattro faticano a trovare l'intensità delle altre. I crescendo che portano a compimento pezzi memorabili come Tiderays, Comrade o Byegone sono compensati da scarni esperimenti non proprio riusciti (Keel), ballate lamentose (Dancepack) e altri che si salvano solo parzialmente (Alaskans e Almanac). Nel senso che i Volcano Choir vorrebbero spingere verso sperimentazioni minimaliste e vuote dissonanze, andandosi però a scontrare nella stagnazione dell'ovvietà. Un lavoro dal sapore ambivalente quindi, un dolceamaro che però trova la propria forza vitale nella potenza visuale e sinestetica evocata dalla musica. Vernon in questo si conferma un ammaliatore e uno dei migliori pittori di paesaggi sonori.
http://volcanochoir.com/
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento